di MIMMO NUNNARI – L’ha scritto chiaramente anche su questo giornale Pietro Massimo Busetta che “l’Autonomia differenziata” se passa alla Camera passa perché è un ricatto della Lega ai suoi alleati di Fdi e Forza Italia, che così tradiranno il Sud come Giuda e neanche per trenta denari, ma più vilmente per mantenere fede ad un patto scellerato di Governo in cui non credono.
Probabilmente sarà il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto a chiedere a Forza Italia di sfilarsi, sia pure all’ultimo momento, dal “pactum scelleris” politico istituzionale voluto dalla Lega di Matteo Salvini e Roberto Calderoli. L’ultimo allarme è della Conferenza Episcopale Siciliana che con una nota durissima segnala diverse criticità della riforma «che mette a rischio l’unità nazionale» e sottolinea che il provvedimento voluto dal Governo e approdato alla Camera manchi di un esplicito è necessario richiamo all’articolo 2 della Costituzione “fonte del dovere di solidarietà sociale in favore dei soggetti meno abbienti”.
Non sappiamo con quale faccia i deputati del Sud della coalizione del Governo presieduto da Giorgia Meloni guarderanno i loro elettori dopo il “misfatto” ai quali non resterà che piangere per aver dato fiducia a chi non la meritava e aver dato ai loro rappresentanti il potere di distruggere la propria gente.
Quali danni subirà il Sud non stiamo qui a ricordarlo tanto sé n’è parlato abbastanza ma possiamo scattare la fotografia del giorno dopo che vedrà il Nord somigliante al “Belgio grasso” è il Sud ad uno Stato mafia sul modello balcanico. Questo aspetto della mafia, che sarà favorita dall’Autonomia, non è stato molto approfondito ed è rimasto fuori dal dibattito, ma proviamo ad affrontarlo partendo da lontano, da quando profeticamente Giorgio Ruffolo nel libro Un paese troppo lungo, pubblicato da Einaudi nel 2011, rifletteva sul problema della nascita dell’Italia che a distanza di secoli dalla conclusione del processo di unità nazionale restava un Paese disunito. Anzi, scriveva: «Sono sempre più forti quelle spinte che in forme storiche sempre diverse puntano a una dissoluzione dello stato unitario».
E avvertiva del rischio «di una decomposizione del tessuto nazionale al Nord con forme politiche provocatorie e al Sud con una forma ambigua di secessione criminale delle mafie che sottraggono sovranità allo Stato».
Erano ancora i tempi in cui la Lega Nord inseguiva il progetto di secessione ed emergeva dalla riflessione del saggista e storico esponente del PSI di origini calabresi, che, a un progressivo indebolimento dell’ideale di nazione, potesse corrispondere una deriva mafiosa a Sud, col conseguente pericolo della caduta del Mezzogiorno sotto il controllo territoriale della mafie; un qualcosa che allora stava già accadendo in alcuni paesi dell’area balcanica nati dalla dissoluzione della Repubblica jugoslava. In quella straordinaria analisi di Ruffolo sulla situazione dell’Italia, che bisognerebbe attentamente rileggere oggi, tanto è attuale, si spiegava che, di fronte alle spinte antirisorgimentali, sempre più forti, l’unica speranza, per tenere insieme il nostro “lunghissimo paese”, era recuperare la «forza ideale della nazione».
Quella nazione che oggi con l’Autonomia si vuole definitivamente mettere da parte. Pochi, prestano attenzione a questo ulteriore rischio mafia per Il Sud ma in uno scenario come quello ipotizzato da Ruffolo non lo si può escludere. Già oggi la situazione è quella che è. Basta sfogliare i giornali degli ultimi tempi: intimidazioni, spari contro negozi, incendi di auto di amministratori comunali, di privati cittadini; parroci malmenati, vescovi minacciati. violenze diffuse. Non sono tra i più eclatanti fatti di cronaca – siamo tristemente abituai a ben altro – ma sono, tuttavia, storie di ordinaria prepotenza mafiosa: segnali preoccupanti che dimostrano come la strategia mafiosa è sempre più rivolta al controllo del territorio.Segnali inequivocabili che fanno intendere: “Qui comandiamo noi”.
Ha detto bene monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano e vice presidente della Cei: «La mafia ci schiavizza. Noi dobbiamo recuperare la libertà, l’esercizio della libertà». Clima grave, dunque, insopportabile e che con meno Stato in futuro potrebbe diventare ancora più incandescente.
Occorrerebbe, perciò – prima di pensare all’Autonomia – ricostruire il tessuto connettivo di una presenza dello Stato nei territori, particolarmente in determinate aree, dove la pervasività del fenomeno mafioso si spiega anche col radicamento debole dello Stato che, nel tempo, ha perso sempre più sovranità.
L’indebolimento della funzione centrale statuale che comporterà il progetto dell’Autonomia, aggraverà la situazione: ci troveremmo in una situazione in cui l’autorità statale, venuta meno al compito di ridurre le disuguaglianze, non riuscirà più a far fronte pienamente ai suoi compiti e la mafia avrebbe campo libero. Riusciranno i nostri eroi deputati del Sud a votare secondo coscienza e non a comando? (mnu)