Le antiche tradizioni popolari: Il presepe si faceva a Santa Lucia

di FRANK GAGLIARDIIl calendario di dicembre è pieno di Santi famosi. Dopo Santa Barbara, San Nicola, Sant’Ambrogio, l’Immacolata Concezione, ecco S. Lucia, vergine e martire. La sua festa liturgica viene celebrata dalla chiesa il 13 dicembre. Ancora non siamo entrati nell’inverno meteorologico vero e proprio. Infatti questa prima decade di dicembre ci ha regalato bellissime giornate molto tiepide inondate di sole.

Santa Lucia era nata a Siracusa in Sicilia e, secondo la tradizione, era una fanciulla molto bella. Era pagana, poi si convertì al cristianesimo. Questa conversione le procurò il martirio e per questo venne innalzata agli oneri degli altari e il suo culto si propagò in breve in tutto il mondo.

La sua bellezza fece innamorare finanche l’imperatore del tempo, Lucia, però, non ne volle sapere e rifiutò la proposta dell’imperatore, il quale, per vendicarsi dell’offesa ricevuta, le fece cavare gli occhi e poi decapitare. Secondo la tradizione popolare, però, si racconta che fu S. Lucia stessa a strapparsi gli occhi e depositarli in un vassoio. Per questo motivo divenne la protettrice degli occhi.

Il suo corpo è conservato in Venezia in una chiesa a lei dedicata. Anche in Cosenza c’è una chiesetta a lei dedicata e che si trova nel centro storico in una via che porta il suo nome, via molto famosa fino al 1958 perché frequentata da donne di male affare.

I cosentini sono molto devoti a Santa Lucia, infatti il giorno della sua festa Piazza Valdesi e via Santa Lucia sono invase da una grande moltitudine di fedeli che fanno visita a questa Santa per chiederle protezione per la vista.

Anche nel mio paese d’origine, S. Pietro in Amantea, una volta si festeggiava Santa Lucia con la celebrazione di una Santa Messa solenne, con la processione della Statua per le vie principali seguita dalla banda musicale o dagli zampognari e poi in piazza con spari di fuochi d’artifizio. Questa usanza è andata perduta, anche perché il Vescovo della Diocesi di Cosenza ha vietato tantissime feste e le processioni. Sono rimaste le feste del santo Patrono, del Corpus Domini e della Madonna delle Grazie. 

Bellissima era la canzoncina che le popolane intonavano in chiesa, nella quale si poteva notare quanto l’imperatore fosse innamorato di lei e dei suoi occhi azzurri. Così cantavano: Santa Lucia gloriosa e bella / facie orazione intra na cella. / Passe lu re e le disse: quantu è bella / Lucia ti vulisse a lu miu cumandu /… Lucia non accetta le proposte dell’imperatore e, prima che ancora il boia le strappasse quegli occhi belli, lei stessa se li strappò e li depose in una bacinella. La statua della Santa, infatti, tiene in mano una bacinella con dentro i suoi occhi.

In alcune città italiane Santa Lucia viene ricordata come la Santa che porta i doni ai bambini buoni. A Siracusa e a Bergamo i doni di Natale arrivano in anticipo rispetto alle altre città italiane. Nei paesi pre-silani per la festa di Santa Lucia si prepara ancora un piatto prelibatissimo che richiede molto tempo e tanta pazienza: la cuccìa.

Ma noi adulti ricordiamo questo 13 dicembre anche per un altro motivo: dalle cantine, dalle soffitte, dai mezzanini tiravamo fuori le scatole di scarpe nelle quali il giorno due febbraio, giorno della Candelora, avevamo conservato con la massima cura tutto l’armamentario del presepe dell’anno precedente.

I pastori, le pecorelle, gli zampognari, i Re Magi, San Giuseppe, la Madonna e il Bambinello venivano srotolati con la massima cura dalla carta di giornale con cui erano stati impacchettati, perché non venissero rovinati dall’umidità e dalla polvere. Malgrado ciò, il più delle volte trovavamo i pastori rotti e inservibili, perché erano fatti a mano e di creta.

Tornavano così a rivedere la luce le casette, la cometa d’argento, l’ovatta e gli specchietti di vetro, i venditori di frutta e verdura, il falegname, l’arrotino, il fabbro, le contadine con in testa ceste colme di doni per il piccolo Gesù. E poi, dopo aver pranzato, via ai preparativi per la costruzione del nuovo presepe.

Carta d’imballaggio, carta di sacchi di farina, qualche legno e poi sughero, sughero in abbondanza, perché la costruzione di un vero presepe che si rispetti abbondava di questo morbido elemento che una volta quando i boschi non subivano incendi durante la torrida estate si trovava facilmente nei boschi del mio paese. (fg)

 

Riti, tradizioni e devozione nella settimana Santa a Belvedere Marittimo

di FRANCESCA IMPIERI – In queste sacre giornate, ci immergiamo nella profonda tradizione e nella fede che caratterizzano la solennità della Settimana Santa a Belvedere Marittimo, un connubio secolare tra mistero e tradizione che permea ogni angolo del nostro amato paese. Le nostre celebrazioni rivelano la forza e la costanza di un popolo devoto alle sue radici millenarie, tramandate di generazione in generazione.

Questi antichi riti di pietà popolare rappresentano un momento di profonda spiritualità e condivisione per l’intera comunità, dalle cerimonie e processioni del Mercoledì Santo al Venerdì Santo, immergendosi nella narrazione della Passione e della Morte di Cristo. Tra le più antiche e significative celebrazioni, la Processione del Venerdì Santo, nota come Processione dei Misteri, continua a incantare e a commuovere con la sua rappresentazione scenica della vita di Cristo. Sul percorso verso il Calvario, le statue che simboleggiano i misteri della passione – dall’Addolorata a San Giovanni Evangelista alla Veronica – sono portate con devozione e rispetto.

Organizzati dall’Associazione ‘I Fratrilli’, i riti aiutano i fedeli a vivere i momenti salienti della vita di Gesù, accompagnando le celebrazioni liturgiche della Chiesa. Fondata da giovani devoti desiderosi di preservare le antiche tradizioni religiose, questa associazione ha riportato in vita i riti e le celebrazioni pasquali che altrimenti rischiavano di scomparire. Guidati da Antonio Cuda, i membri della congregazione dedicano tempo ed energia alla preparazione e alla messa in scena della Settimana Santa, aggiungendo un tocco di autenticità e solennità alla commemorazione della Passione di Cristo. Mediante la loro opera, non solo onorano la storia e la cultura della comunità locale, ma offrono anche un’opportunità per i fedeli di connettersi spiritualmente con il significato profondo della Settimana Santa.

Desidero esprimere, in qualità di assessore agli eventi ecclesiastici, i miei più sentiti ringraziamenti all’associazione ‘I Fratrilli’ per il loro impegno nel mantenere viva la fede e la tradizione. Vorrei altresì ringraziare calorosamente tutti coloro che contribuiscono all’organizzazione degli eventi pasquali e  chi si unisce a queste celebrazioni con un profondo senso di comunità, rendendo così queste festività ancora più speciali e significative.

Per rendere ancora più speciale questo momento, in qualità di amministrazione comunale e come assessore ai Lavori Pubblici, abbiamo compiuto interventi di ripristino nell’area del Calvario, rendendola accessibile e adeguata ad accogliere un evento così solenne. Questo intervento, reso possibile grazie al contributo prezioso dei volontari, restituisce alla comunità un’area non solo funzionale ma anche arricchita come spazio verde.

In queste giornate sante, rinnoviamo il nostro impegno a custodire e valorizzare le nostre radici spirituali, alimentando la fiamma della fede. Che la Luce e la Grazia della Settimana Santa possano illuminare costantemente i nostri cuori. A tutti giungano i miei più sentiti auguri affinché queste giornate sante portino pace e benedizione. (fi)

[Francesca Impieri è vicesindaco e assessore agli Eventi Ecclesiastici di Belvedere Marittimo] 

Pastorelli e figure tipiche del presepe calabrese

di ANDREA BRESSI – La devozione per il presepe si deve a San Francesco D’Assisi, ad un suo atto di fede di una magica Notte di Natale di ottocento anni fa.

Il presepe, lo sanno tutti è la stalla, la mangiatoia nella quale Gesù venne alla luce miseramente nel rigor dell’inverno, e ricevette i primi omaggi dagli uomini della terra. L’uso di rappresentare nelle chiese e anche nelle case il presepio nacque per opera di San Francesco, che in Greccio in valle di Rieti, circa nel 1223, la notte di Natale fece portare in una specie di grotta una mangiatoia col fieno, le figure del bue e dell’asino e il simulacro del bambino Gesù.

Da quell’avvenimento storico-religioso, la rievocazione della nascita di Gesù Bambino con i simulacri di terracotta, sostituita ai figuranti, è diventato uno dei simboli più rappresentativi del Natale, mai tramontato, che ha ispirato e stimolato l’estro di numerosi artisti e artigiani italiani dalla Toscana alla Campania, dalla Sicilia alla nostra Regione.

In Calabria, da Laino Borgo a San Floro, da Catanzaro a Tropea, da Serra San Bruno a Seminara, fino agli anni cinquanta circa, era possibile acquistare i pastorelli da validi artigiani locali, i cosiddetti pasturari, molti dei quali erano soliti, nel mese di dicembre, allestire, per le vie e le piazze dei borghi, assortite bancarelle e veri e propri mercatini natalizi per l’esposizione e la vendita delle loro apprezzabili statuine di terracotta.
Nelle cattedrali, nelle chiese, nei palazzi e in qualche casa nobiliare era possibile ammirare i presepi artistici della scuola napoletana con pastori di terracotta lucida o carta pesta dipinta, semplici o più elaborati, con abiti settecenteschi di tessuto sfarzoso o più rudimentali opere lignee, mobili o anche semoventi.

Da quando gli artigiani locali hanno chiuso le loro botteghe artistiche, sono però venute meno alcune figure tipiche, immancabili e peculiari della tradizione presepiale calabrese, personaggi carichi di storia, significato e simbolismo.

I rinomati ceramisti di Seminara si sono distinti anche nell’arte presepiale, sia con la ripresa di figure comuni come il meravigliato u lampatu da stijia, e sia per l’aver forgiato personaggi allegorici e significativi come ‘u monacu cchì fujì un pastorello di terracotta rappresentante un monaco in fuga, con una grande cesta sulle spalle, dove è nascosta una giovane e bella fanciulla. I pastori si facevano spesso voce di vere e proprie satire locali.

Nei quartieri del capoluogo catanzarese e in alcuni borghi dell’hinterland, l’immancabile personaggio del presepe tradizionale era il pastore “che si cava la spina dal piede”. Ho amato sin da piccolo questo pastore, che ogni anno, nell’avvicinarsi delle festività natalizie, veniva rifoggiato nella casa paterna, con piacere e cura, e con la sua storia e il suo originale significato: u pastura cchì si caccia a spina do peda posto nelle vicinanze della grotta, figura emblematica della miseria spirituale e della debolezza umana, per i Catanzaresi valeva più di qualunque altro singolo pastore del presepe. Oltre a questa figura, che rimanda allo spinario della tradizione ellenica, si tramanda di altri personaggi tipici: ‘u ncantatu (il meravigliato), ‘u zzoparacaru (venditore di angurie), ‘u ricottaru, ‘u monacu capuccinu, ‘u cerameddharu e ‘u pipitaru (gli zampognari), ‘a gadhoffara (venditrice di caldarroste), ‘a pacchjana (la donna in costume tradizionale), e a zingareddha (la zingarella).

Che ci fa una zingarella tra i pastorelli del presepe?
Se consideriamo la religione cristiana, viste le doti divinatorie attribuite alle donne zingare, additate di ricorrere all’astrologia e alla stregoneria, tale personaggio può risultare, in effetti, scomodo e fuori luogo.
Ma ‘a zingareddha, nel presepe locale riveste un ruolo simbolico preciso. La pastorella dal volto scuro, vestita di stracci dai colori accesi rappresentata, la maggior parte delle volte, con un bambino in fasce tra le braccia o nell’atto di allattare, annuncia, nel giorno della nascita del Bambinello, la Passione e Morte di Gesù Cristo, attraverso gli strumenti della Crocifissione (i chiodi, la tenaglia, il martello) che porta in un paniere.
Come testimoniato dal grande ricercatore e musicologo Roberto De Simone, la Zingara, riveste stesso ruolo determinante anche nel presepe napoletano, e rimanda a figure profetiche ancestrali, le Sibille.

La figura della Zingara, per via delle capacità divinatorie, è presente anche in diverse opere letterarie e teatrali, in rappresentazioni sacre e profane, canti e racconti e altre espressioni del mondo popolare del sud Italia.

Durante la fuga in Egitto, episodio evangelico che molto si presta alla narrazione, secondo la tradizione orale, San Giuseppe, Maria e il Bambino in groppa all’asinello, durante il cammino si sono imbattuti in una zingarella indovina.

Si tramanda, a tal proposito, in Calabria, un canto narrativo che riferisce l’immaginario colloquio fra la Madonna e la Zingarella indovina:

Diu ti sarvi, o beddha Signura,
e ti dia bbona ventura:
Bona ventura vecchareddhu
ccu ssu beddhu bambineddhu.

La Zingarella offre ospitalità a Maria e Giuseppe nella sua umile casupola, dà anche alla Madonna la ventura, narrandole il passato vissuto e predicendole la Passione di Gesù:

Cchi dolura sentireti
quandu mortu lu vedreti.
cu gran lacrimi e suspiri
lu portati a seppeddhiri…

La zingarella chiede in cambio l’elemosina, ma la Madonna risponde di essere forestiera e di non avere nemmeno uno spicciolo. Allora la zingarella indovina chiede per ricompensa la salvezza dell’anima:

…s’anima, sulu, dopu morta
falla entrare a li celesti porti.

Queste sono solo alcune strofe di lungo dialogo dialettale catanzarese, tra la Madonna e la Zingarella indovina, pubblicata nel 1881, dal filologo e storico Francesco Corazzini in un libretto dal titolo Poesie Popolari calabresi.

Autorevoli fonti scritte ci danno notizia che si tratti di un antichissimo canto di tradizione orale. Ad opera di un monaco parlemitano, nel 1775, è stato trascritto e pubblicato in un libretto, che ne ha permesso e facilitato la diffusione in Sicilia, in Calabria e in molte regioni italiane parallelamente alla trasmissione orale, e alla riproposizione dei cantastorie nei loro spettacoli di strada.

Anche io, nel mio spettacolo sul Natale calabrese, accompagnandomi con la chitarra battente, tra le tante storie che canto e racconto, interpreto una colorita versione di questo affascinante canto narrativo della tradizione orale, per tramandarlo alle nuove generazioni. (ab)

SANTA DOMENICA TALAO (CS) – La prima festa del pane casareccio

2 gennaio 2019 – A Santa Domenica Talao, si è svolta la prima edizione della Festa du Pani i ‘ngasa.

La manifestazione, dedicata al pane casareccio, è stata organizzata dall’Associazione Gioventù santadomenicana con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale.

Nel corso dell’evento, inoltre, si è svolto un convegno a cui hanno partecipato il nutrizionista Sergio Maradei, lo storico Antonello Lucchesi, la dott.ssa Mascia Marini e il sindaco Alfredo Lucchesi.

Durante l’esposizione scientifica e storica dei relatori, è stata formata una giuria composta dagli esperti presenti, e dai panettieri Stefano Oliva e Maria Fasanaro,  che ha decretato il vincitore del Premio del Pane più buono 2018.

Ad aggiudicarsi la vittoria, la cittadina di Santa Domenica Talao Giuseppina Gabirele Valardi, che ha presentato una tradizionale “panetta” di circa 3 chilogrammi con impasto di fattura locale.

Un evento, questo, che ha portato soddisfazione a Valentino Cioffi, presidente dell’Associazione “Gioventù santadomenicana” e dal sindaco Alfredo Lucchesi, e che rappresenta, per certi versi, un aspetto sociale, culturale e di tradizione legato alla vita e alla storia della comunità e del comprensorio tirrenico e della stessa città di Santa Domenica Talao.

Una manifestazione sicuramente da ripetere e da valorizzare, nata dalla volontà di un’Associazione che vuole rilanciare, in modo semplice e coinvolgente, le tradizioni. (rcs)