SOVERIA MANNELLI – Il Festival del Lavoro nelle aree interne

Da mercoledì 11 a venerdì 13 giugno, a Soveria Mannelli, nelle Industrie Rubbettino, si terrà la terza edizione del Festival del Lavoro nelle aree interne, promosso da RESpro, la rete di storici per i paesaggi della produzione, da Fondazione Appennino e da Rubbettino.

In una densa tre giorni di incontri e dibattiti, oltre 40 studiosi provenienti da ogni parte d’Italia (e non solo) discuteranno di impresa e memoria, di quanto i territori che hanno dato origine al modello italiano oggi si siano riscoperti fragili e necessari di tutela e custodia. Non solo analisi, ma anche progetti e proposte per il futuro che mettano insieme produzione e cultura, industria e design, produzioni identitarie e nuove economie.

Il panel dei relatori è variegato e composto da giovani ricercatori, professionisti e affermati studiosi, in uno scambio continuo di idee, visioni ed esperienze.

In particolare, si segnala la partecipazione di Pierluigi Sacco, economista, specializzato in economia della cultura, sviluppo territoriale, industria creativa e politiche culturali; Veronica Macchiavelli, regista del documentario “L’ultima neve” che verrà proiettato nel corso del festival presso lo storico Lanificio Leo; Cristina Garzillo (ICLEI Europe), esperta internazionale di sostenibilità urbana e territori in transizione; Lucia Nardi, vicepresidente di Museimpresa e responsabile cultura d’impresa per Eni; Ludovico Solima, economista della cultura e studioso dei modelli di gestione e sostenibilità del patrimonio culturale, con particolare attenzione alle aree marginali; Paolo Scaramuccia, responsabile nazionale delle cooperative di comunità e delle aree interne di Legacoop; Vito Teti, antropologo e voce autorevole sulla questione meridionale;

Numerosi gli eventi e i talk in programma che comprendono non solo la condivisione di percorsi di studio e di ricerca ma anche di esperienze, come l’evento di networking “Radici rotte”, previsto per la serata del 12 giugno, un momento dedicato all’incontro e al dialogo tra attori del territorio: imprenditori, associazioni, professionisti e cittadini si confronteranno per condividere esperienze, creare connessioni e costruire nuove sinergie. Un’occasione per intrecciare storie, idee e prospettive sul futuro delle aree interne.

La discussione sulle aree interne e il loro futuro è più che mai necessaria in questo momento storico «Il tema delle aree interne – osserva Augusto Ciuffetti, docente di Storia economica presso l’Università Politecnica delle Marche, e membro del comitato scientifico del Festival – continua ad essere al centro del dibattito culturale e degli studi, mentre sta progressivamente scomparendo dall’agenda politica del nostro Paese. Né la SNAI, né il PNRR, nonostante i progetti e le risorse finanziarie messe a disposizione, hanno prodotto risultati degni di nota.

Nello stesso tempo è cambiato il contesto generale. Allo spopolamento delle aree interne corrisponde l’eccessiva urbanizzazione e la cementificazione degli spazi costieri, con una densità abitativa delle città in costante crescita, mentre il declino demografico è ormai un fenomeno che riguarda l’Italia intera. Tale situazione sta permettendo a grandi multinazionali di mettere in atto nuovi atteggiamenti predatori nei confronti della dorsale appenninica. Sembra che il futuro, per quest’ultima, non possa che corrispondere alla realizzazione di enormi parchi eolici, in nome di una distorta visione della transizione energetica, la quale assicura enormi guadagni solo alle società di progettazione, oppure a nuove ipotesi di sviluppo turistico di massa legate alla costruzione di impianti di risalita, che ignorano completamente le conseguenze del mutamento climatico.

Al turismo, considerato come una sorta di illusoria panacea, spesso responsabile, invece, della totale devastazione di territori e spazi urbani, oppure legato esclusivamente a prospettive del tutto inconsistenti o imposte dalle mode del momento, come il cosiddetto turismo delle origini, si dovrebbe sostituire la vera riscoperta dei mestieri e dei patrimoni materiali e immateriali delle comunità locali, in particolare di quelli culturali».

«Questa terza edizione del Festival del Lavoro nelle Aree Interne – ha dichiarato l’Editore Florindo Rubbettino – vuole dare un contributo a un futuro in cui la cultura sia riconosciuta come leva strategica per lo sviluppo locale. La cultura nei territori fragili rappresenta infatti un driver potente e sottovalutato per la rigenerazione e lo sviluppo locale. Spesso, in queste aree, si trovano patrimoni materiali e immateriali soggetti ad abbandono, ma con un grande potenziale. L’approccio interdisciplinare alla conservazione e al miglioramento del costruito storico, così come la rigenerazione del paesaggio culturale raccontato attraverso esperienze concrete, i casi di musei, archivi e biblioteche come patrimonio culturale di prossimità sono alcune delle traiettorie per ragionare su forme di lavoro e sviluppo sostenibile anche in contesti di fragilità».

«L’obiettivo del Festival – per Gianni Lacorazza – cofondatore e vicepresidente di Fondazione Appennino – è quello di rafforzare una identità pragmatica e concreta, ponendo attenzione alle reali esperienze, con i rischi e le opportunità che le caratterizzano. La sfida è quella di un percorso nuovo, lontano da letture ancora affidate a vecchi luoghi comuni o a sempre meno efficaci approcci di analisi datati e autoreferenziali. Servono soluzioni e non più solo consigli, protagonismo reale delle comunità e dei mercati, sguardi dall’interno e non all’interno.

Il festival diventa così un luogo per interrogarsi su numeri e fatti, per capire se ancora ci sono più persone che parlano di aree interne rispetto a quelle che ci vivono o, peggio ancora, che se ne occupano concretamente. Con la consapevolezza che sono proprio queste ultime a poter dare un contributo fondamentale».

«Il Festival – sostiene Roberto Parisi, presidente di RESpro e docente di storia dell’architettura e del paesaggio presso l’Università del Molise – è una importante conferma della validità e della qualità di un approccio metodologico alla questione delle aree interne fondato sulla centralità della storia. Un approccio, concepito e sostenuto sul piano scientifico dalla nostra Associazione fin dai suoi esordi, che in questa occasione si misura sul tema della difesa e della salvaguardia di archivi, biblioteche e musei ancora presenti in molti territori dell’Italia interna. Si tratta di patrimoni culturali molto fragili, la cui sopravvivenza raramente rientra tra gli obiettivi perseguiti dalle cosiddette imprese culturali. Un piccolo grande deposito di storie e di memorie del lavoro che a stento resiste ai processi rigenerativi in atto e che invece dovrebbe essere considerato un imprescindibile presidio territoriale per le stesse comunità locali». (rcz)

Le opere del catanzarese Loprete esposte in North Caroline fino al 5 ottobre

di BRUNELLA GIACOBBESono pochi i paesi e le città del mondo che riconoscono nell’arte un mestiere vero e proprio e l’Italia, per non  dire la nostra Calabria, non è certamente tra questi. Ma tale sfavorevole condizione di partenza porta con sé un vantaggio per gli amanti dell’arte, forse un po’ meno per gli artisti: i nostri artisti sono tali per un’irrefrenabile passione. Passione che spesso, inevitabilmente, affiancano ad una professione sicura dal punto di vista finanziario.

Certo, valorizzare maggiormente le arti consentirebbe a molti artisti non solo di provare la meritata soddisfazione di veder condivise le proprie opere con pubblici più ampi, ma favorirebbe anche i famosi talenti nascosti, assopiti, acerbi che aspettano solo di sbocciare, prima o poi.

Mario Lo Prete, un artista catanzarese poco conosciuto in terra natìa ma ben noto e ricercato a livello internazionale, è tra quegli artisti calabresi che ha tutte le caratteristiche di cui sopra: ha la sua professione stabile, dipinge e scolpisce per passione, ad altissimi livelli ci sembra il caso di aggiungere, lo conoscono in pochi nella sua città natale e in moltissimi negli ambienti artistici internazionali, inoltre non riesce a frenare la manifestazione della propria arte, insomma le ha tutte!

Il suo curriculum artistico è altamente significativo, le sue mostre vanno da Catanzaro ad Amsterdam, da Montauro alla Germania, da Cosenza alla Francia con una proporzione maggiore della sua presenza fuori dalla Calabria piuttosto che in Calabria.

Il 14 agosto è stata inaugurata la mostra The thin red line di Mario Loprete nella prestigiosa Overcash Art Gallery della città di Charlotte, in North Carolina (USA) e sarà visitabile fino al 5 ottobre. Mostra curata dalla nota gallerista americana Amelia Zytka, che presenta così il nostro, è proprio il caso di sottolineare con orgoglio, Mario Loprete: «Loprete porta avanti con le sue opere una singolare ed affascinante ricerca visiva, grazie ad un profondo concetto poetico di grande impatto, unicamente ispirato alla cultura Hip Hop, ma anche alla tradizione italiana dell’affresco.  Ed è proprio attraverso l’uso dell’immagine pittorica che l’artista si sforza di conoscere la realtà, indagando instancabilmente i territori della “veritas” umana. Istinto e rigore, pensiero e pratica sono strettamente connessi in un linguaggio intenso e metropolitano, che attraverso la pittura crea immagini capaci di generare meditazione sull’attualità».

Una cultura, cinque discipline

Tempismo perfetto peraltro, avendo la cultura dell’Hip Hop brindato in questo mese di agosto 2023 al suo 50° anniversario. Definita “cultura” perché, il “vero HipHop” e non la derivazione mainstream che arriva alla massa ahinoi, si tratta di una corrente composta da quattro discipline:
– MCing,  da M.C. vale a dire Master of Cerimonies, cioè i rapper con la loro voce usata come strumento. 
– DJing, da D.J., il disk jockey che nel caso dell’hip hop è sempre stato oltre che un acculturato selezionatore di musiche di altri, è un produttore musicale la cui particolarità è sempre stata quella di attingere dalle più svariate correnti musicali, in particolare la soul music, il funk, la musica black.
– Breaking, da breaker, i ballerini di break dance e di tutte le sue evoluzioni quali l’electro e il popping.
– Writing, da writer, coloro che dipingono graffiti. Graffiti, non incontinenze vandaliche senza rispetto. Anche per quanto riguarda la disciplina Hip Hop del writing ciò che arriva alla massa, che non ha colpa ovviamente, è la degenerazione e l’abuso di un termine, di una forma d’arte, di un’espressione artistica che ha radici ben più nobili e solide.

Agli inizi degli anni 2000 si aggiunge una quinta disciplina: la beat-boxing, cioè quella capacità di creare melodie con la voce, utilizzandola alla stregua di uno strumento musicale.

Ecco, Loprete nelle sue opere dedicate all’Hip Hop – ribadiamo “quello vero”, quello che non riconosce assolutamente come appartenenti alla propria cultura taluni “rapper” e certi “vandali graffitari”, condannandoli aspramente – riesce a cogliere l’anima più profonda di questa cultura straordinaria che per molti versi in Italia resta, e forse resterà sempre, un tesoro prezioso a disposizione dei pochi fedeli dell’underground. Una cultura che continua ad avere un’ottima produzione di elevata qualità in tutte e cinque le discipline e che grazie ad artisti come Loprete che hanno a cuore la sua rappresentazione, onorando il motto “rappresent” tipico dell’HH, continua a tenere alta questa qualità.

Quella sottile linea rossa

Loprete come artista ha una produzione ampia, che sconfina anche l’Hiphop ovviamente e che abbraccia spesso elementi iconici della nostra Calabria, ma la mostra di sculture e dipinti in oggetto nonché il cuore di Loprete sono dedicati all’HH e allora sempre sull’argomento vogliamo citare la persona con cui l’artista ha da sempre avuto un sentito confronto sull’arte, fin da quando era in fasce: suo figlio.

Suo figlio Francesco Loprete, studente al secondo anno di Medicina & Chirurgia e profondo appassionato d’arte, commenta così la mostra del padre in North Caroline: «Sia la tristezza che la sofferenza sono state portate all’estremo dal recente periodo di quarantena.  stata davvero un’esperienza tragica e traumatica, sotto innumerevoli punti di vista. Tuttavia, quasi paradossalmente, in quella frazione di tempo in cui, per necessità, tutti siamo stati costretti a rimanere confinati nella clausura delle nostre dimore, questi sentimenti negativi ci hanno unito, portandoci all’omologazione di vari comportamenti e attività.

Questa particolare serie, presentata a Charlotte (USA), rende omaggio alla musica , uno dei principali mezzi di intrattenimento disponibili in questa nostra solitudine universale, capace, per quanto brevemente, di far dimenticare i tormenti quotidiani e la tensione costante. Attraverso le iconiche figure dei b-boys, care alla poetica dell’artista, e un rosso vivo, che sottolinea una passione altrimenti letargica, Mario Loprete immortala la musica attraverso il suo innovativo ed  alternativo linguaggio espressivo basato sul cemento. La scelta di utilizzare esclusivamente il colore rosso non è casuale.

È il primo colore dell’arcobaleno, il primo colore percepito dai bambini, il primo colore che ogni popolo nomina prima degli altri, il colore del cuore e dell’amore, del dinamismo e della vitalità, della passione e della sensualità, dell’autorità e della fierezza, della forza e sicurezza, di fiducia nelle proprie capacità. Il periodo dell’arte paleocristiana vedeva dipinte in rosso le figure degli arcangeli e dei serafini, e questo è il motivo principale della sua scelta di utilizzare tale colore per rappresentare i soggetti, per dare loro un senso di divinità fondamentale per accompagnarci e sostenerci in questo terribile periodo storico. I soli soggetti non avrebbero avuto la giusta forza se non fossero stati rappresentati come graffiti su una base di cemento, elemento predominante nel progetto artistico di Mario Loprete».

Questa descrizione critica della mostra ci è stata inviata dallo stesso Loprete cui abbiamo chiesto informazioni, insieme alla promessa di rilasciarci un’intervista direttamente nel suo studio a Catanzaro appena sarà disponibile. Non vediamo l’ora di andare ad intervistarlo e di scattare fotografie del suo prezioso studio, accessibile a pochi, così da condividerle come sempre in esclusiva con voi cari affezionati lettori di Calabria.Live(bg)

RENDE – La presentazione dell’accordo tra Comune e Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia

Domani, a Rende, alle 12.00, nella Sala di rappresentanza del Comune, la presentazione dell’Accordo Quadro tra il Comune di Rende e l’Istituto Nazionale di GeofisicaVulcanologia.

Intervengono Marcello Manna, sindaco di Rende, Salvatore Stramondo, direttore Osservatorio Nazionale Terremoti, Domenico Ziccarelli, assessore alla Protezione Civile, Piero Del Gaudio, responsabile sede regionale Ingv. Modera la giornalista Simona De Maria.

«Il protocollo – ha spiegato il sindaco Manna – sancisce una collaborazione che i due enti hanno già avviato da tempo in tema di rischio sismico e divulgazione scientifica. Con la sede regionale dell’INGV, infatti, abbiamo realizzato nelle scuole della città il progetto di alfabetizzazione e prevenzione A scuola di sicurezza arrivato già al secondo anno, oltre ad aver voluto inserire i ricercatori, che discuteranno il tema dell’ambiente, anche nei Laboratori di cittadinanza attiva con gli istituti d’istruzione superiore».

Nell’accordo è inoltre previsto l’ingresso dell’istituto all’interno della sede Com di piazza Matteotti: «abbiamo sempre pensato – ha dichiarato l’assessore Ziccarelli – che questo luogo dovesse divenire centro polifunzionale in cui divulgare, attraverso seminari e workshop, la cultura della prevenzione. L’apporto dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia darà sicuramente lustro all’azione di divulgazione in tema di rischio sismico».
«Si rafforza in questo modo – ha spiegato Piero Del Gaudio, responsabile della sede regionale di INGV – il rapporto con il comune di Rende che proprio con l’amministrazione Manna ha dimostrato sensibilità e interesse verso le attività del nostro ente: è per questo che il protocollo è stato già approvato e sottoscritto dal presidente Carlo Doglioni». (rcs)