di BRUNELLA GIACOBBE – Sono pochi i paesi e le città del mondo che riconoscono nell’arte un mestiere vero e proprio e l’Italia, per non dire la nostra Calabria, non è certamente tra questi. Ma tale sfavorevole condizione di partenza porta con sé un vantaggio per gli amanti dell’arte, forse un po’ meno per gli artisti: i nostri artisti sono tali per un’irrefrenabile passione. Passione che spesso, inevitabilmente, affiancano ad una professione sicura dal punto di vista finanziario.
Certo, valorizzare maggiormente le arti consentirebbe a molti artisti non solo di provare la meritata soddisfazione di veder condivise le proprie opere con pubblici più ampi, ma favorirebbe anche i famosi talenti nascosti, assopiti, acerbi che aspettano solo di sbocciare, prima o poi.
Mario Lo Prete, un artista catanzarese poco conosciuto in terra natìa ma ben noto e ricercato a livello internazionale, è tra quegli artisti calabresi che ha tutte le caratteristiche di cui sopra: ha la sua professione stabile, dipinge e scolpisce per passione, ad altissimi livelli ci sembra il caso di aggiungere, lo conoscono in pochi nella sua città natale e in moltissimi negli ambienti artistici internazionali, inoltre non riesce a frenare la manifestazione della propria arte, insomma le ha tutte!
Il suo curriculum artistico è altamente significativo, le sue mostre vanno da Catanzaro ad Amsterdam, da Montauro alla Germania, da Cosenza alla Francia con una proporzione maggiore della sua presenza fuori dalla Calabria piuttosto che in Calabria.
Il 14 agosto è stata inaugurata la mostra The thin red line di Mario Loprete nella prestigiosa Overcash Art Gallery della città di Charlotte, in North Carolina (USA) e sarà visitabile fino al 5 ottobre. Mostra curata dalla nota gallerista americana Amelia Zytka, che presenta così il nostro, è proprio il caso di sottolineare con orgoglio, Mario Loprete: «Loprete porta avanti con le sue opere una singolare ed affascinante ricerca visiva, grazie ad un profondo concetto poetico di grande impatto, unicamente ispirato alla cultura Hip Hop, ma anche alla tradizione italiana dell’affresco. Ed è proprio attraverso l’uso dell’immagine pittorica che l’artista si sforza di conoscere la realtà, indagando instancabilmente i territori della “veritas” umana. Istinto e rigore, pensiero e pratica sono strettamente connessi in un linguaggio intenso e metropolitano, che attraverso la pittura crea immagini capaci di generare meditazione sull’attualità».
Una cultura, cinque discipline
Tempismo perfetto peraltro, avendo la cultura dell’Hip Hop brindato in questo mese di agosto 2023 al suo 50° anniversario. Definita “cultura” perché, il “vero HipHop” e non la derivazione mainstream che arriva alla massa ahinoi, si tratta di una corrente composta da quattro discipline:
– MCing, da M.C. vale a dire Master of Cerimonies, cioè i rapper con la loro voce usata come strumento.
– DJing, da D.J., il disk jockey che nel caso dell’hip hop è sempre stato oltre che un acculturato selezionatore di musiche di altri, è un produttore musicale la cui particolarità è sempre stata quella di attingere dalle più svariate correnti musicali, in particolare la soul music, il funk, la musica black.
– Breaking, da breaker, i ballerini di break dance e di tutte le sue evoluzioni quali l’electro e il popping.
– Writing, da writer, coloro che dipingono graffiti. Graffiti, non incontinenze vandaliche senza rispetto. Anche per quanto riguarda la disciplina Hip Hop del writing ciò che arriva alla massa, che non ha colpa ovviamente, è la degenerazione e l’abuso di un termine, di una forma d’arte, di un’espressione artistica che ha radici ben più nobili e solide.
Agli inizi degli anni 2000 si aggiunge una quinta disciplina: la beat-boxing, cioè quella capacità di creare melodie con la voce, utilizzandola alla stregua di uno strumento musicale.
Ecco, Loprete nelle sue opere dedicate all’Hip Hop – ribadiamo “quello vero”, quello che non riconosce assolutamente come appartenenti alla propria cultura taluni “rapper” e certi “vandali graffitari”, condannandoli aspramente – riesce a cogliere l’anima più profonda di questa cultura straordinaria che per molti versi in Italia resta, e forse resterà sempre, un tesoro prezioso a disposizione dei pochi fedeli dell’underground. Una cultura che continua ad avere un’ottima produzione di elevata qualità in tutte e cinque le discipline e che grazie ad artisti come Loprete che hanno a cuore la sua rappresentazione, onorando il motto “rappresent” tipico dell’HH, continua a tenere alta questa qualità.
Quella sottile linea rossa
Loprete come artista ha una produzione ampia, che sconfina anche l’Hiphop ovviamente e che abbraccia spesso elementi iconici della nostra Calabria, ma la mostra di sculture e dipinti in oggetto nonché il cuore di Loprete sono dedicati all’HH e allora sempre sull’argomento vogliamo citare la persona con cui l’artista ha da sempre avuto un sentito confronto sull’arte, fin da quando era in fasce: suo figlio.
Suo figlio Francesco Loprete, studente al secondo anno di Medicina & Chirurgia e profondo appassionato d’arte, commenta così la mostra del padre in North Caroline: «Sia la tristezza che la sofferenza sono state portate all’estremo dal recente periodo di quarantena. stata davvero un’esperienza tragica e traumatica, sotto innumerevoli punti di vista. Tuttavia, quasi paradossalmente, in quella frazione di tempo in cui, per necessità, tutti siamo stati costretti a rimanere confinati nella clausura delle nostre dimore, questi sentimenti negativi ci hanno unito, portandoci all’omologazione di vari comportamenti e attività.
Questa particolare serie, presentata a Charlotte (USA), rende omaggio alla musica , uno dei principali mezzi di intrattenimento disponibili in questa nostra solitudine universale, capace, per quanto brevemente, di far dimenticare i tormenti quotidiani e la tensione costante. Attraverso le iconiche figure dei b-boys, care alla poetica dell’artista, e un rosso vivo, che sottolinea una passione altrimenti letargica, Mario Loprete immortala la musica attraverso il suo innovativo ed alternativo linguaggio espressivo basato sul cemento. La scelta di utilizzare esclusivamente il colore rosso non è casuale.
È il primo colore dell’arcobaleno, il primo colore percepito dai bambini, il primo colore che ogni popolo nomina prima degli altri, il colore del cuore e dell’amore, del dinamismo e della vitalità, della passione e della sensualità, dell’autorità e della fierezza, della forza e sicurezza, di fiducia nelle proprie capacità. Il periodo dell’arte paleocristiana vedeva dipinte in rosso le figure degli arcangeli e dei serafini, e questo è il motivo principale della sua scelta di utilizzare tale colore per rappresentare i soggetti, per dare loro un senso di divinità fondamentale per accompagnarci e sostenerci in questo terribile periodo storico. I soli soggetti non avrebbero avuto la giusta forza se non fossero stati rappresentati come graffiti su una base di cemento, elemento predominante nel progetto artistico di Mario Loprete».
Questa descrizione critica della mostra ci è stata inviata dallo stesso Loprete cui abbiamo chiesto informazioni, insieme alla promessa di rilasciarci un’intervista direttamente nel suo studio a Catanzaro appena sarà disponibile. Non vediamo l’ora di andare ad intervistarlo e di scattare fotografie del suo prezioso studio, accessibile a pochi, così da condividerle come sempre in esclusiva con voi cari affezionati lettori di Calabria.Live! (bg)