Un anno fa ci lasciava Otello Profazio. Il ricordo di Bolano, Montemurro e Cimino

di PAOLO BOLANO – Oggi cade l’anniversario della morte di Otello Profazio. Un personaggio scomodo e ingombrante per la politichetta locale che spesso ha frenato la sua voce. Alla sua morte si è tenuta lontano, assenza totale. Profazio, anarchico-socialista, premio Tenco, meridionalista, il Gaetano Salvemini della Calabria, sconosciuto da una amministrazione di centro sinistra reggina. Ripeto. Alla sua morte nessuno di questi amministratori si è presentato in chiesa per onorarlo. Noi continuiamo a farlo.

Otello Profazio, il cantore degli ultimi. Dopo anni e anni di ricerche è riuscito a portare la cultura dei cafoni meridionali nella cultura euro-americana. A questo punto la domanda viene spontanea: chi era Profazio temuto dalla politichetta locale? Era una voce di protesta che indicava con forza a “lor signori” la strada per accorciare le distanze col nord. Cantava la cultura dei subalterni con frecciate velenose verso la politica incapace di costruire una nuova Calabria, un nuovo Mezzogiorno.

Profazio inizia le sue ricerche dopo la guerra in una regione ingombra di macerie, flagellata dalle alluvioni e dall’emigrazione biblica dove il tardo feudalesimo impediva ancora la realizzazione della tanto attesa riforma agraria. Ecco perché il “mastru cantaturi” si sforza a fare capire le tante rivoluzioni tradite al sud. Sulla scia di Giambattista Vico precursore della ricerca della poesia popolare, di Rousseau, Herder, intreccia il concetto di poesia popolare con quello nazionale.

È favorito anche da Italo Calvino che scrive Le Fiabe Italiane; da Letterio di Francia con Fiabe e Novelle calabresi. E’ una rivoluzione. La cultura dei cafoni salta sui libri oltre che musicata da Profazio.

Il nostro Otello attento alle cose italiane che interessano in particolare il Mezzogiorno, si accorge che a Sanremo, vetrina della canzone italiana, manca l’Italia vera, la Calabria, il Mezzogiorno. Manca Melissa dove durante l’occupazione delle terre la polizia di Scelba uccide tre braccianti. Manca Portella della Ginestra dove il brigante Giuliano durante la festa del Primo Maggio spara e uccide 11 contadini e ne ferisce 27. In questo contesto il grande intellettuale Profazio lavora e ricerca portando la cultura orale dei cafoni nella cultura ufficiale. Il calabrese studioso del mondo contadino traduce e trascrive la storia dei contadini e dei braccianti e va in giro per il mondo a trovare i nostri emigrati per alleviare le sofferenze cantando la loro storia. I suoi compagni di viaggio sono Matteo Salvatori, Rosa Balestrieri, Ignazio Buttitta col quale ha realizzato un importante programma radiofonico: Profazio canta Buttitta e l’Italia cantata dal sud.

Poi, Profazio, si misura con Roberto Murolo, Fausto Cigliano, Domenico Modugno ecc. Il grande artista calabrese fa satira con le sue ballate: Governo italiano e ironia con  Ca si campa d’aria. Poi il comunismo messianico di Buttitta viene corretto con l’umanesimo profaziano: “…compagno so che tu aspetti la vendetta con le braccia levate al cielo, ma io ti evo ricordare che l’odio è analfabeta e scrive pagine lorde di sangue…”. Quando poi la cultura degli esclusi del mondo popolare riesce a convivere con la società opulenta Profazio ci invita a considerare quest’altra ballata significativa: “…non pirchì su pecuraru ma su riccu di munita, ballati donna Tita”. Comunque vi dico che il dialetto lirico del grande amico mio Profazio, il suo canto, è oggi diventato lingua universale.

Per chiudere voglio ancora ricordare che Otello Profazio ha iniziato il suo cammino della ricerca al Teatro Comunale di Reggio Calabria intorno al 1955. Inizia meravigliando il grande conduttore Nunzio Filocamo (che lo aveva scoperot nel 1952 nella sua trasmissione Il microfono è vostro), cantando “U Ciucciu”,  durante una diretta radiofonica del programma Vicini e Lontani.

Il nostro Profazio poi lentamente diventa cantore dei poveri, degli ultimi. Poeta di strada , amato, ma anche invidiato per il suo talento. Sul brigante Musolino scrive tre ballate importantissime per il suo viaggio professionale. Dopo settanta anni di lavoro e di ricerche oggi è considerato l’intellettuale più illuminato e importante della Calabria. Ci conduce ad avere una visione globale della cultura dopo che quella dei cafoni ha superato i confini nazionali.

Adesso chiudo veramente. Ma non posso non parlarvi dei progetti che avevamo assieme a quelli del cardiologo Enzo Montemurro.

Primo. Con Otello eravamo d’accordo di iniziare una ricerca sul Kordax. Lui voleva approfondire meglio quella danza dionisiaca della Magna Grecia arrivata a noi col nome di tarantella. In illo tempore Aristofane chiudeva le sue commedia col Kordax. C’è rilevante unità tra passato classico e attività folclorica. Nella ceramiche greche vediamo le immagini dei danzatori di kordax. Una danza che vive la cultura classica e arriva quasi intatta dalla Magna Grecia. Speriamo che presto qualcuno investa nella cultura reggina della Magna Grecia per recuperare i ritardi.

Secondo. Profazio, Montemurro e il sottoscritto erano pronti a costituire la fondazione Profazio. Ogni volta che ci incontravamo Otello mi sgridava che rallentavo il progetto. Invece non era così. Volevo coinvolgere l’Amministrazione comunale di Reggio. Avevo difficoltà. Non riuscivo a trovare interlocutori. Poi è arrivata la morte che ha cancellato tutto. Durante il funerale, una delle figlie da me “intervistata” ha risposto che il papà non voleva la Fondazione. Silenzio assoluto da parte mia. Ai posteri l’ardua sentenza. Otello, grande amico nostro. Riposa in pace. Che la terra ti sia lieve. (pab)


IL RICORDO DI FRANCO CIMINO

Ote’ e chi caspita, moristi e mancu nu dicusti! Addirittura, l’annu scorzu. E sti tempi. D’estata . Propriu comu ohia, vintitrí lugliu. Ci furu i funerali a la chiesa e Riggiu, ma on c’era nudru e penzamma c’on c’eri mancu tu! Mo’ chi passau n’annu e non ci fu mancu u lutto e l’anniversariu, tu on moristi ancora! Ca nui calabrisi simu bona genti (comu a chiami tu) , de perzuni toghi on ni scordamu. Si ci volumu bena, puru a ciangimu

E si ni ficia bena, a pregamu com’u santu all’artaru.

No, on moristi,

sinnó u sai quanti missi sti chiesi chiesi!

E quanti comizzi sti chiazzi chiazzi.

Previti e patruni,

sindaci e padrini,

masculi e fimmini

a mugghiara, tutti a parrara e tia.

Quantu fusti bellu e bonu, intelligenta e allitteratu, eleganta cu a parrata fina!

Calabrisa d’o Strittu allargatu finu a la Sila piccola e randa.

De sta Calabria,

comu dici tu,

terra ducia e amara.

Duva l’arberi, chi si moticanu a lu ventu, sonanu

E l’ondi d’o mara cantanu. Cantanu supra i lacrimi de mammi, i risati de picciulidri, u lamentu

de cu fatica a la iornata,

E supra u gridu disperatu e sta terra chi non lotta e non s’arrenda.

A nui n’abbasta

l’aria pe’canpare, ca rivoluzziona po’ aspettara, si puru idra s’incriscia ma vena.

On moristi Ote’.

E si ni scordamma e tia, fannillu sapira tu. Mandani na poesia, cantani na canzuna. 

(Franco Cimino nell’anniversario dimenticato della morte di un grande calabrese)

 


QUANTO CI MANCA OTELLO

di VINCENZO MONTEMURRO – Quando Otello Profazio iniziava la sua carriera artistica, il Festival di Sanremo contava appena tre anni di vita, i dischi erano in vinile e a 78 giri e la televisione non era ancora nata!

La Regina indiscussa della canzone Italiana era Adionilla Pizzi in arte “Nilla” che, imperversava tra le masse popolari con le sue più note canzoni: Grazie dei fior, Campanaro, Papaveri e Papere.

Nei salotti buoni e nei seminterrati si ascoltavano le radiocronache di Nicolò Carosio e i programmi musicali dell’orchestra di Cinico Angelini.

L’Italia vera però, appariva devastata, flagellata e piena di macerie della seconda guerra mondiale e impoverita da una biblica emigrazione soprattutto meridionale: sono gli anni in cui i braccianti e i contadini lottano contro la realtà feudale per l’occupazione delle terre, sfociate successivamente nei fatti di Portella delle Ginestre, Torre Melissa e dei profughi Giuliani con la annosa, e allora irrisolta, questione della Città di Trieste.

In quegli anni, Otello Profazio si avvicinava alla musica popolare arricchendola, attraverso un continuo contatto con il mondo della tradizione contadina, degli artigiani del paese e con la partecipazione a riti e festività popolari. Otello Profazio, dotato di una bellissima voce, limpida e versatile e da una non comune capacità artistica, inizia ad “aggiustare”, cioè, a strutturare organicamente frammenti sparsi di canzoni, versi e storie popolari.  Crea brani e canzoni ex-novo, nel rispetto della metrica, mescolando melodie e arrangiamenti, ma soprattutto salvando i contenuti senza alterarne l’originalità.

Sono gli anni in cui nel mondo discografico non esisteva la coscienza della musica popolare, come genere autonomo,  nemmeno la consapevolezza che, tale genere, potesse avere un proprio potenziale settore di mercato. Pochi erano coloro che, come Otello Profazio, attingevano sistematicamente al mondo della tradizione popolare, sostenuti in ciò, solo da una profonda sensibilità personale verso storie e vicende raccontate dal popolo e tramandate nel tempo.

Profazio, a tale scopo, mantiene rapporti stretti e costanti con il mondo della tradizione contadina, segue i cosiddetti “cafoni” in Italia e all’estero; ricerca, lavora, studia, aggiusta strofe, stornelli e frammenti di canzoni, entra, in altri termini, nel mondo dei cantastorie e ricercatori etnomusicali nazionali.

Tra la sua numerosa produzione artistica la canzone U ciucciu rappresenta uno dei suoi primi esempi di “aggiustamento” e ristrutturazione della canzone popolare. Tale brano, nato in controtendenza allo stile canoro dell’epoca, tendente ad  esaltare amori struggenti e melodie coinvolgenti, canta la storia di un uomo che rimpiange più della moglie, l’asino.

Con la canzone del Ciuccio, Profazio affonda, con mordente ironia, il bisturi in una realtà di miseria in cui, lo sfruttamento dell’animale rappresenta la speranza di riscatto economico e sociale delle famiglie povere.

Il tema della canzone del ciuccio lo troviamo anche in “Gente in Aspromonte” di Corrado Alvaro il quale, nel suo racconto, parla di un finale apocalittico a seguito dell’uccisione di una mula in cui erano riposte tutte le speranze di riscatto sociale ed economico di una famiglia povera.

La fisionomia artistica e umana di Profazio appare, sin dall’inizio, caratterizzata da un individualismo ostinato e appassionato che, gli ha consentito di attraversare mode e tendenze, mantenendo sempre una distanza critica nel tempo.

Profazio compie sforzi artistici notevoli per approdare nei circuiti televisivi nazionali, compete, con pari dignità, con i più importanti “Chonsonnier” dell’epoca: Roberto Murola, Fausto Cigliano, Domenico Modugno.

Amplia il suo repertorio attraverso l’estensione della sua area culturale verso la Sicilia, Regione ricca di storie appassionate e struggenti che  racconta con grande maestria. A tal proposito si ricordano i brani: La Baronessa di Carini, La leggenda di Colapesce, Vitti na crozza, Ciuri Ciuri  e tantissime altre ballate che sono nella mente di ognuno di noi.

Con il brano  Governo Italiano Profazio avvia con un testo satirico-popolare il progetto che vedrò coinvolto il poeta siciliano Ignazio Buttitta: L’Italia cantata dal Sud.

Governo Italiano e più tardi Qua si campa d’aria rappresentano l’esempio più evidente di una ironia amara e paradossale con cui Otello Profazio affronta i temi della politica e della questione meridionale. Profazio, oltre ad incarnare lo spirito del cantastorie, che consiste nella capacità di strutturare in racconto la cronaca e la storia, secondo modalità spettacolari che sollecitano la riflessione del pubblico. Egli, con autentica originalità, sceglie di interpretare, musicare, “aggiustare” racconti, brani e storie popolari, trasformandole in grandi composizioni civili, attraverso le quali racconta la storia dell’Italia del Sud.

I temi raccontati sono: l’emigrazione, la mafia, l’amore e la morte, l’ingiustizia e la vendetta, il lavoro e lo sfruttamento, la grande questione meridionale nello stato post-unitario.

Nelle canzoni dedicate al Brigante Musolino, Profazio affronta il tema della vendetta e della giustizia individuale sottolineando, come quest’ultima ha avuto sempre una forte presa nel mondo popolare, ma a ciò, Profazio aggiunge l’inesorabilità del destino.

Nell’Italia cantata dal Sud, per dirla come Carlo Levi, l’autore di Cristo si è fermato a Eboli”, Profazio rappresenta la disperazione, il disfacimento, il senso di abbandono del Sud. Ed ancora l’estranietà alla storia unitaria delle masse meridionali; ovvero racconta con pungente ironia 150 anni di storia post-unitaria dalla parte degli esclusi, i Meridionali!

Profazio, con il suo stile, caratterizzato da individualismo libertario, ha condotto un percorso politico-culturale autonomo, mai subalterno alle ideologie e schieramenti politici di turno, ma attraverso la sua produzione artistica, ha espresso una personale lettura della condizione meridionale senza piegarsi, per tatticismo o opportunità, al contesto politico culturale dominante, bensì scagliandosi, musicalmente contro le inadempienze, verso il SUD, del governo centrale e della peggiore classe politica del Paese.

Da ricordare tra le tante attività svolte il programma radiofonico Quando la gente canta andato in onda per oltre un decennio ideato, condotto e diretto da lui.

Otello Profazio è stato insignito del disco d’oro per aver venduto oltre un milione di co pie dell’album Qua si campa d’aria: unico cantante del genere folclorico.

Attraverso i suoi unnimerovoli concerti ha incontrato le comunità di emigranti sparsi in titti gli angoli della terra e ci ha dato fino all’ultimo l’opportunità di rilanciare la cultura e la “questione merdionale”. Ovvero l’aspirazione del Sud a uscire dalla subalternità impostagli dal Nord, 150 anni fa, e che ancora oggi, quest’ultimo, mantiene il vantaggio del potere economico conquistato con le armi e con una legislazione squilibrata. Quell’Italia del Nord che arrivata al Sud svuotò le ricche banche meridionali, le regge, i musei e le abitazioni private per pagare i debiti del Piemonte e costituire immensi patrimoni privati (al Nord).

Mentre il Sud è stato privato delle sue Istituzioni, delle sue industrie, della sua ricchezza e della capacità di reagire, posto che la gente meridionale è stata indotta ad emigrare (20 milioni in 100 anni!).

Chi emigra, abbandona una comunità e una terra non appartiene più alla sua gente, ma nemmeno a quella in cui si trasferisce. È un uomo senza identità!

il ritardo del Sud rispetto al Nord resiste ancora oggi, malgrado “l’Unità d’Italia”, e ciò perché il Nord, motore dell’economia non intende pareggiare il dislivello economico con il Sud depredato!  La Germania Ovest nei primi 20 anni della riunificazione con la più povera Germania dell’EST, spese nei territori dell’EST una cifra cinque volte superiore a quella che è costata in 50 anni la Cassa del Mezzogiorno. Ogni anno la Germania Ovest investe nei territori dell’ex Germania Est quanto gli USA, con il piano Marshall, inviarono dopo la guerra per la ricostruzione dell’intera Europa.

Ma torniamo a Profazio: sono trascorsi più di 60 anni dal suo esordio sulla scena artistica del canto popolare; oggi non si canta più la canzone cosiddetta “folk”, ma ci si limita ad ascoltare passivamente musichette senza anima e senza radici. Otello, fino all’ultimo, invece, ha continuato ad “aggiustare” in versi, senza alterare l’autenticità. Ha trasformato ciò, con la sua paradossale ironia, in battaglia di civiltà. (vmu)