di SANTO STRATI – Il titolo del programma/progetto, diciamo la verità, è molto suggestivo: turismo delle radici. Ovvero, favorire il viaggio alla scoperta (o riscoperta) delle terre degli avi. Un’occasione che il forte senso di attaccamento alla propria terra, per i calabresi, diventa esigenza di conoscere la terra dei padri, dei nonni, i luoghi che hanno dato i natali ai capostipiti delle famiglie, ahimè emigrate in tutto il mondo, verso la “Merica”, il Canada, l’Australia, la Germania, la Svizzera, etc. Ma, mentre per gli europei un viaggio alla ricerca delle proprie radici si può fare in auto, viaggiando lungo l’Autosole prima e l’Autostrada del Mediterraneo dopo, per chi vive oltreoceano e ha una certa età il viaggio può sembrare una fatica insuperabile e richiede incentivazioni e assistenza specifica,
L’idea di attrarre questo tipo di “turismo” è quantomeno affascinante e merita, indubbiamente, la massima attenzione. Detto in soldoni, potrebbe significare far arrivare in Calabria oltre 100mila persone in più l’anno, rispetto ai flussi tradizionali dei vacanzieri che scelgono la nostra Calabria, ed è una stima estremamente prudente.
Ci sono – secondo una valutazione che tiene conto anche delle terze generazioni, almeno 6 milioni (forse otto) di calabresi che vivono oltre i confini dell’Italia. Una massa incredibile e straordinaria di conterranei (e/o discendenti) che in gran parte non conosce la Calabria. Molti sono partiti da bambini, seguendo i genitori all’inizio del secolo fino a tutti gli anni Cinquanta/Sessanta. I loro discendenti ne hanno sentito illustrare le bellezze, con l’affetto genuino di chi conserva la Calabria nel cuore, e hanno, inevitabilmente e inguaribilmente, ereditato questo amore profondo per una terra pressoché sconosciuta e lontana. Molti hanno fatto fortuna, ma non hanno dimenticato i racconti della terra lontana, virtualmente ne hanno assaporato gli odori e i profumi, l’hanno conosciuta attraverso internet o vecchie foto ingiallite di famiglia. E se ne sono innamorati.
Il loro”turismo di ritorno” ha quindi molte motivazioni, soprattutto di natura emozionale, oltre alla suggestione di poter incontrare parenti sconosciuti, visitare luoghi che hanno visto bambini i loro avi, saggiare di persona quanto di quel forte sentiment a loro trasmesso, quello straordinario e unico senso di appartenenza sia reale e presente.
Bene, ma un progetto del genere (che in Calabria ha preso diverse denominazioni e ha in atto anche discutibili iniziative tipo “La Terra dei Padri” (varato in pompa magna dall’ex assessore al Turismo Fausto Orsomarso e che ha investito sostanziose risorse senza però produrre risultati) non può basarsi sull’improvvisazione o al massimo con l’offerta di una cena tipica da parte della regione…
Fanno molto di più iniziative di singole associazioni: Casa Calabria International, per esempio, con la sua presidente Innocenza Giannuzzi ha varato apprezzati progetti di accoglienza per il turismo di ritorno di numerosi calabresi che vivono all’estero che arrivano in continuazione e godono di assistenza e ricevono una speciale attenzione durante tutto il loro soggiorno, alla scoperta dei paesi degli avi e in una terra che sentono subito di amare, istintivamente e profondamente non appena scesi dall’aereo.
Il turismo, in ogni sua forma, non può fare a meno di marketing territoriale ed è obbligato – se vuole attrarre nuovi ospiti – a seguire le regole del mercato, ovvero rispondere adeguatamente a problemi di ricettività, logistica, mobilità.
Nello specifico, il turismo delle radici è un percorso straordinario che può, quindi, offrire grandi opportunità di crescita del territorio, con nuova occupazione (femminile e giovanile), un indotto di serie proporzioni e, non da ultimo, risolvere la dannazione dello spopolamento dei borghi. Luoghi meravigliosi in attesa di rinascere e accogliere (anche stabilmente) gli “emigranti” di ritorno che potrebbero anche decidere di investire economicamente in nuove imprese o nell’acquisto di una casa da trasformare in buen retiro. Insomma, una grande opportunità per la Calabria, con risorse fresche e, perché no?, nuovi investimenti sul territorio da parte di chi decide di tornare.
Di tutto ciò abbiamo parlato con Nino Foti, ex deputato pdl, oggi Presidente della Fondazione Magna Grecia, un’istituzione culturale di grande rilievo che si occupa di Mezzogiorno e, soprattutto, di Calabria.
– Quanto vale il turismo delle radici per la Calabria?
«É indubbio che il ritorno degli oriundi italiani residenti all’estero – dice il Presidente della Fondazione Magna Grecia Nino Foti – rappresenti un’opportunità di straordinaria rilevanza per il Sud d’Italia. Questo flusso di ritorno, che può manifestarsi sia sotto forma di ritorno permanente che temporaneo, porta con sé una serie di vantaggi chiave che possono contribuire in modo significativo alla crescita e allo sviluppo dei territori».
– Di quali opportunità parliamo?
«In primo luogo, il cosidetto “turismo delle radici” può portare competenze e conoscenze acquisite all’estero, che possono essere applicate in settori cruciali per lo sviluppo del Sud. Le esperienze lavorative e gli apprendimenti maturati all’estero rappresentano una risorsa preziosa per innescare processi di innovazione e sviluppo in aree che possono trarne un vantaggio notevole. Inoltre, il ritorno degli oriundi può apportare un contributo economico significativo attraverso investimenti, iniziative imprenditoriali e progetti di sviluppo locale. Questo flusso di risorse finanziarie può stimolare la crescita economica, creare nuove opportunità di lavoro e contribuire alla diversificazione dell’economia locale e, oltre al contributo economico e alle competenze, può giocare un ruolo fondamentale nella preservazione e valorizzazione delle radici culturali e storiche del Sud».
– Si potrebbe definirli “emigranti di ritorno”?
«In un certo senso sì, ma in termini positivi. Il ritorno è un’occasione di riscatto per la terra degli avi. Questi individui portano con sé, o possono acquisire, un senso di appartenenza profondo e autentico alla terra dei loro antenati, contribuendo così a perpetuare tradizioni, lingua e patrimonio culturale. La loro presenza può anche essere una fonte di ispirazione per le nuove generazioni, incoraggiandole a coltivare un legame con la loro eredità culturale e a prendere parte attiva nella costruzione di un futuro migliore per la regione».
– Quindi più che delle radici, sarebbe opportuno parlare di turismo del ritorno…
«Il ritorno degli oriundi italiani può innescare un circolo virtuoso di sviluppo, in cui il rafforzamento delle connessioni tra la diaspora italiana e il Sud d’Italia crea opportunità di collaborazione, scambio e crescita reciproca. Questa rete globale di connessioni può facilitare lo scambio di conoscenze, l’accesso a nuovi mercati e la creazione di partnership che favoriscono lo sviluppo sostenibile».
– Un’occasione di sviluppo per il Sud?
«Il flusso di ritorno degli oriundi italiani rappresenta certamente uno straordinario potenziale catalizzatore di sviluppo per il Sud d’Italia. La combinazione di competenze, investimenti, cultura e senso di appartenenza può creare un ambiente fertile per la crescita economica, l’innovazione e la preservazione della ricca storia e tradizione della regione. L’accoglienza calorosa e la valorizzazione di questi italo-discendenti possono aprire nuovi orizzonti per il Sud, contribuendo a trasformarlo in un polo di opportunità e progresso».
– Come si dovrebbe operare per sfruttare a pieno questa opportunità?
«Questo obiettivo è stato posto al centro, grazie ad un accordo tra i Ministeri della Cultura e degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, del recente bando “Turismo delle Radici”, finanziato con i fondi del PNRR, rivolto ai discendenti di persone emigrate che viaggiano, alla scoperta delle proprie origini, per (ri)scoprire luoghi e persone in cui sono vissuti i propri antenati. Il presupposto è che per il viaggiatore questa sia una vera e propria esperienza ricca di emozioni e di relazioni umane, e per il territorio una grande opportunità di crescita in termini di valorizzazione, promozione e indotto economico.
«La governance del bando, ad oggi già esperito, si articola su tre livelli:
• 1 Coordinatore nazionale
• 16 Coordinatori regionali
• 16 “raggruppamenti informali” di giovani professionisti o da formare, affiancati da genealogisti e accompagnatori turistici, che terranno in buon conto (nelle intenzioni degli Enti appaltanti) la scoperta della storia familiare ed il legame con il territorio visitato».
– Avverto un certo scetticismo…
«Un’analisi attenta del bando rivela alcune lacune significative nell’approccio e nell’implementazione, sollevando preoccupazioni sulla sua efficacia e produttività complessiva. A mio avviso, infatti, gli obiettivi del bando, così come formulati, non sono ben definiti, così come non lo sono le attività e le modalità per perseguirli, che non sembrano rientrare in una regia generale. Appare inoltre evidente che si è inteso rinunciare a priori a fruire dell’esperienza dei tanti soggetti profit e non profit da anni impegnati nella valorizzazione del territorio e nell’incoming turistico, che nel bando non hanno alcun ruolo evidente».
– Quale dovrebbe essere il ruolo degli enti locali?
– Ha centrato il punto. Non si comprende quale sia il ruolo delle regioni e dei Comuni. Una carenza ancora più importante emerge dalla sottovalutazione (diremmo meglio l’assenza) dell’importanza di una adeguata campagna di promozione e riavvicinamento alla lingua italiana degli 80 milioni di italo-discendenti, più tanti altri milioni di persone nel mondo che, pur non avendo sangue italiano, amano il vivere all’italiana in tutte le sue espressioni. Come ben sappiamo, la lingua è lo specchio di un popolo e la sua conoscenza costituisce un passo obbligato per conoscere o ri-conoscere la sua cultura».
– Il suo discorso va oltre il turismo della radici con destinazione Calabria…
«Il bando è ovviamente destinato a tutto il territorio italiano, non solo a quello calabrese, pur essendo numeroissima la comunità di calabresi nel mondo. Ma rivela parecchi contraddizioni e carenze. La carenza forse più eclatante – dal punto di vista della Fondazione che rappresento, data la sua trentennale attività di creazione e mantenimento di rapporti con le comunità di italiani di origine nel mondo – risiede nel fatto che né nei documenti progettuali, né nell’ambito delle discussioni in corso nei tavoli tecnici, ci si è interrogati su come rilevare, selezionare, contattare, coinvolgere le numerose comunità italiane nel mondo, e con quali modalità, supporti e alleanze. Si corre pertanto il rischio di distribuire a pioggia, e con scarso impatto, dato l’ammontare medio del budget stanziato per regione, pari a soli 200 mila Euro, finanziamenti che si tradurranno fatalmente in festival, ricostruzione di alberi genealogici, piattaforme per le prenotazioni (riedizioni di applicazioni già esistenti), web radio o piattaforme web dedicate, promozione dell’agroturismo e dell’enogastronomia, realizzazione di mostre museali dedicate, esaltazione del ruolo della musica folkloristica, etc.
La definizione puntuale di quali siano i reali target delle iniziative, l’assenza di una ricerca precisa su come individuarli, contattarli e coinvolgerli e di una struttura organizzativa chiara, di un supporto adeguato da parte delle istituzioni e delle strutture del territorio, nonché la sottovalutazione della grande “leva” costituita dalla lingua italiana, costituiscono ad oggi , a mio avviso, le grandi assenti del progetto».
– Quali altre criticità rileva?
«Per ultimo, l’assenza di un sistema di mentoring strutturato è un ulteriore elemento critico. I giovani partecipanti potrebbero anche avere una vasta gamma di competenze, ma l’esperienza è spesso un insegnante inestimabile. L’assenza di professionisti esperti che possano guidare e supportare i partecipanti durante il loro soggiorno all’estero potrebbe limitarne il potenziale di apprendimento e crescita. Il programma sembra sottovalutare l’importanza di costruire ponti tra le generazioni e di facilitare il passaggio delle conoscenze dagli esperti agli emergenti. Infatti, la gestione lasciata all’inesperienza dei giovani potrebbe essere una spada a doppio taglio. Da un lato, essa si può vedere come un’opportunità per i giovani di sviluppare autonomia e leadership, ma dall’altro, senza una guida adeguata e un supporto strutturato, potrebbe portare a errori costosi e a un’applicazione incoerente delle risorse. La combinazione di inesperienza e mancanza di supporto potrebbe tradursi in una scarsa efficacia e impatto limitato del programma nel lungo periodo».
– È necessario rivedere il bando?
«Il bando “Turismo delle radici” ha sicuramente degli aspetti positivi, come il tentativo di coinvolgere i giovani italiani nell’esperienza di marketing internazionale dei territori. Tuttavia, la sua impostazione generale appare improduttiva a causa dell’assenza di supporto strutturato, dell’approccio poco chiaro e della gestione lasciata in gran parte all’inesperienza dei partecipanti. Per massimizzare l’efficacia del programma, sarebbe necessario rivedere e raffinare l’approccio, fornendo supporto logistico, mentoring e obiettivi più chiari per garantire che il bando non sia solo un’opportunità, ma un catalizzatore di crescita e sviluppo concreto per i giovani talenti italiani del Sud d’Italia, a supporto dello sviluppo della loro terra». (s)