L'OPINIONE DI ERCOLE INCALZA SUL PROVVEDIMENTO DEL MINISTRO FITTO IN VIGORE A GENNAIO;
La Zes unica attrarrà investimenti industriali al Sud?

ZES 6 ANNI DOPO SARÀ UNICA PER IL SUD
I DUBBI SUL SUO REALE FUNZIONAMENTO

di ERCOLE INCALZA – Negli ultimi giorni è sempre più cresciuta una critica nei confronti della cosiddetta Zes Unica e, forse sarebbe opportuno affrontare una simile nuova scelta dell’attuale Governo seguendo questo approccio metodologico: prima analizzare in modo asettico la vecchia norma che istitutiva le Zes nell’intero Mezzogiorno.

dopo esporre i motivi che hanno portato alla scelta della Zes Unica e le logiche da seguire per raggiungere davvero quei risultati che finora non si sino raggiunti con l’impostazione precedente.

Sinteticamente riporto di seguito le mie critiche alle Zes istituite con il Decreto Legge 20 giugno 2017 n. 91. Intanto faccio una premessa: il lavoro svolto dai vari Commissari è stato encomiabile e le mie critiche non sono assolutamente rivolte al loro operato. Tuttavia il primo dato negativo, da addebitare essenzialmente ai Governi che si sono succeduti ed alle otto Regioni, è legato al fatto che dopo oltre sei anni non si è fatto nulla o pochissimo e sicuramente quanto prima potremo disporre di un altro provvedimento magari prodotto da un condominio o da più condomini di palazzi ubicati o nella città di Napoli o di Palermo.

Scherzo ma mi sembra davvero assurdo che si continui a parlare di una iniziativa che, per come è stata concepita e per come è stata gestita, ormai è solo da dimenticare ed è una eredità che la ex Ministra per il Sud e la coesione territoriale Mara Carfagna avrebbe fatto bene a non cercare di apportare ulteriori modifiche. Sarebbe stato invece utile effettuare una attenta analisi dello strumento istituito ripeto sei anni fa e cercare intanto di capirne innanzitutto il significato e quindi soffermarsi sulle motivazioni per cui sono state costituite e cioè:

Dovevano essere zone geograficamente delimitate e situate entro i confini dello Stato, costituite anche da aree non territorialmente adiacenti purché presentassero un nesso economico funzionale e comprendessero almeno un’area portuale con le caratteristiche stabilite dagli orientamenti dell’Unione europea per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti (Tent-T).

Dovevano avere l’obiettivo di attrarre grandi investimenti; Dovevano avere l’obiettivo di favorire la crescita delle imprese già operative o la nascita di nuove realtà industriali nelle aree portuali e retroportuali.

Dovevano avere l’obiettivo di implementare le piattaforme logistiche, collegate anche da intermodalità ferroviaria.

Invece, solo in Sicilia ci sono le seguenti ZES: ZES Sicilia occidentale con i comuni di Caltavuturo, Palma di Montechiaro, Misilmeri, Salemi, Campofelice di Roccella, Custonaci, Ravanusa, Calatafimi, Cinisi, Gibellina e Serradifalco; ZES Sicilia orientale con i comuni di Avola, Militello in Val di Catania, Carlentini, Vittoria, Francofonte, Solarino, Scordia, Floridia, Vizzini, Acireale, Rosolini, Pachino, Troina, Lentini, Palazzolo Acreide, Ragusa, Niscemi, Gela, Mineo e Messina; altre aree individuate sono tre portuali (Porto Empedocle. Porto dell’Arenella di Palermo, Porto di Augusta) e due aree industriali (ASI di Caltagirone e la zona di San Cataldo Scalo insieme alla zona industriale di Calderaro nel Comune di Caltanissetta).

Cioè nella sola Sicilia ci sono 36 aree elette a Zes, in tutta la Ue le aree elette a Zes sono 91. Questo dato dimostra la deformazione del concetto ispiratore delle stesse Zes e rende davvero priva di organicità e di immediata incisività l’azione stessa dello strumento.

Questo fallimento di una scelta nata per rilanciare il Sud purtroppo non rappresenta una sorpresa perché rientra in un preciso codice comportamentale che si caratterizza come “pura clientela programmatoria” o in modo più chiaro come “la gratuita soddisfazione dell’organo politico nella elencazione delle risorse ottenute, nella elencazione degli impegni assunti”; sì anche di quelle ridicole come per l’Area industriale di Taranto (solo 8,1 milioni di €), Area industriale di Potenza (solo 20 milioni di €), Area industriale di Matera (solo 30 milioni di €).

Però tutto è rimasto, purtroppo, pura elencazione di procedure e di atti, una elencazione che avrebbe continuato ad illudere il Mezzogiorno per poi concludersi nel nulla.

Per essere concreti riporto esempi di notizie rassicuranti fornite fino a pochi mesi fa dagli organi locali:

Allo sportello unico digitale della Zes Campania sono state presentate 78 domande per diversi settori merceologici: oltre a logistica e farmaceutica, spiccano metalmeccanica, tessile e automotive, quelli autorizzati sono 16 con investimenti per complessivi 120 milioni ed un migliaio di posti di lavoro.

Allo sportello unico digitale della ZES Adriatica (una ZES a cavallo delle Regioni Molise e Puglia) sono arrivati 71 progetti e le autorizzazioni rilasciate sono 18 per un valore globale degli investimenti di 450 milioni di euro e circa 2.000 unità di nuovi posti di lavoro.

Allo sportello unico digitale della Zes Jonica (una Zes a cavallo delle Regioni Puglia e Basilicata) sono finora arrivate 22 domande per complessivi 40 milioni con una ricaduta occupazionale di 250 unità. In Calabria sono arrivate quattro domande e forse sono state autorizzate 2. Strano se si tiene conto della presenza di un HUB portuale come quello di Gioia Tauro. In Abruzzo su sei domande sono state rilasciate tre autorizzazioni con una ipotesi di investimenti pari a 32 milioni di euro ed una ricaduta occupazionale di 150 posti.

Nella Sicilia occidentale su 18 domande presentate è stato concluso l’iter autorizzativo per tre progetti. Nella Sicilia orientale su 37 domande ne sono state autorizzate attualmente un numero di 8.

Alla Zes Sardegna sono pervenute 4 domande e ne sono rilasciate 2. A questa serie di notizie se ne aggiunge una che fa davvero paura, mi riferisco alla seguente dichiarazione del Commissario delle Zes Campania e Basilicata e coordinatore delle otto aree Giuseppe Romano: «Temiamo che questo processo possa fermarsi alla fine del 2023 infatti la cessazione del credito di imposta al prossimo 31 dicembre rappresenta una criticità. Crediamo che questa agevolazione vada legata al periodo di vigenza delle Zone Economiche Speciali, sette anni, per consentire alle imprese che i investono di ragionare sul lungo periodo senza essere costrette ad effettuare l’intero esborso di capitale entro il 2023».

Oltre a questa clausola non possiamo dimenticarne un’altra prevista sempre nel Decreto Legge istitutivo delle ZES n.91 del giugno 2017, convertito nella Legge 3 agosto 2017 n.123 e che precisa: «le imprese beneficiarie devono mantenere la loro attività nell’area ZES per almeno sette anni   dopo   il   completamento dell’investimento oggetto delle agevolazioni, pena la revoca dei benefici concessi e goduti».

Appare evidente che sono passati ormai quasi sei anni e siamo praticamente fermi ai gratuiti ed ottimistici comunicati stampa; mi sembra di essere tornato indietro di mezzo secolo quando nel 1967 furono definite con apposita Legge, sempre nel Mezzogiorno, 46 Aree di Sviluppo Industriale (Asi) e di queste oggi ne esistono forse realmente operative appena 6.

Veniamo ora alla Zes Unica e ritengo che questa scelta genererà una riforma organica dell’intero “Sistema Mezzogiorno”, dell’intero sistema formato da otto Regioni. Perché ritengo che questa scelta possa essere motore di una vera riforma? Perché, finalmente, scopriamo le omogeneità che legano le otto Regioni e forse una simile scoperta spero possa diventare la base di una rivisitazione profonda dei comportamenti le singole realtà regionali.

Cerco di elencare tali omogeneità: Sono tutte otto all’interno dell’obiettivo uno, cioè tutte hanno un PIL pro capite inferiore al 75% della media europea. Nessuna delle otto Regioni supera la soglia del 5% nella formazione del PIL nazionale

Il Pil pro capite nelle otto Regioni non supera la soglia dei 22 mila euro e addirittura in alcune si attesta su un valore di 17 mila euro; al Centro Nord si parte da una soglia di 26 mila euro per arrivare addirittura a 40 mila euro.

I Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep) all’interno delle otto Regioni sono indifendibili; per la offerta di servizi socio – assistenziali si passa da 22 euro pro capite in Calabria ai 540 euro nella Provincia di Bolzano. La spesa sociale del Sud è di 58 euro pro capite, mentre la media nazionale è di 124 euro. Il livello di infrastrutturazione del Sud produce un danno annuale nella organizzazione dei processi logistici superiore a 58 miliardi di euro all’anno

La distanza dell’intero Mezzogiorno dai mercati del Nord d’Italia e del centro Europa è un vincolo alla crescita per tutte le otto Regioni. Ebbene, questa omogeneità deve portare ad un’azione congiunta delle otto Regioni verso scelte non localistiche, verso proposte che non perseguano vantaggi per determinati ambiti territoriali in danno di altre realtà.

La Zes Unica, quindi, produce automaticamente quello che Claudio Signorile definisce giustamente un assetto federativo e forse questo nuovo impianto istituzionale potrebbe portare alla istituzione di una sede in cui le otto Regioni possano: Identificare congiuntamente le sedi da promuovere come ambiti ottimali da incentivare. Equilibrare congiuntamente i nodi logistici che esaltano le funzioni di determinare realtà.

Definire ed approvare insieme l’accesso e l’uso delle risorse. Potrebbe nascere come primo atto concreto un Comitato Interregionale per l’attuazione della Zes Unica ed un simile strumento dovrebbe avere al suo interno oltre alle otto Regioni, il Ministro per il Sud e la Coesione territoriale, il Ministro dell’Economia e delle Finanze, il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ed il Ministro delle Imprese e del Made in Italy

Per raggiungere la organicità del processo sarà necessario costruire un organismo catalizzatore, sì qualcosa di simile alla Cassa del Mezzogiorno, cioè una sede in cui: Evitare la creazione di aree forti e di aree deboli; Evitare la mancata attivazione della spesa; Evitare errori nella gestione delle aree produttive; Evitare una sudditanza delle realtà produttive del Sud nei confronti di quelle del Nord specialmente per quanto concerne i sistemi logistici. (ei)