di ETTORE JORIO – Ricordo due eventi che mi fecero capire, ridendo a crepapelle, lo strumentale disinteresse verso l’avversario in senso lato, canzonandolo, ritenuto non degno di considerazione. Uno, ricorrendo ad accorgimenti dialettici ricchi di simpatia e, l’altro, della migliore satira politica.
Il primo fu in una commedia di Gilberto Govi ove il grande maestro della commedia ligure, dovendo dare pochissima importanza alle cose dette da uno dei suoi interlocutori, rivolgendosi agli altri, diceva (più o meno) “cusch’è una musca” (chiedo venia della certo errata scrittura della lingua genovese). Parificando così il contenuto dell’ascolto al ronzio di una mosca.
Il secondo era invece rintracciabile su L’Unità da Mauro Melloni, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Fortebraccio, lo stesso che descrisse Mario Tanassi come dotato di una «fronte inutilmente spaziosa». Il quale sotto intendendo anche in questo caso l’inutilità politica del personaggio scrisse, nell’approssimarsi di una importante riunione a Palazzo Chigi, «Si aprì la portiera dell’auto. Non scese nessuno. Era Antonio Cariglia», un segretario nazionale del partito socialdemocratico che in pochi invero ricordano.
Due mondi diversi, due modi altrettanto differenti per sminuire. Un vezzo che in politica è molto frequente, per sottrarre le capacità altrui: boys will be boys (so’ ragazzi!), dedicato sarcasticamente a chi non predilige cose intelligenti, prioritariamente i saperi che fanno la differenza tra le regole e la convenienza politica.
Ciò avviene solitamente per due motivi: 1) per non dare peso alle cose importanti ritenute impunemente “stupidaggini” perché impegnative, pur di acquisire un immediato e spesso immeritato guadagno politico; 2) per sminuire tutto ciò che è davvero utile a costruire “un mondo nuovo” ma con fatica e impegno. Tutto ciò allo scopo di rimanere in piedi senza sudore e spesso senza meriti, ma soprattutto con il lavoro degli altri. Vittima di questo è la Nazione, che paga l’assurdo che governa, nonostante i frequenti riferimenti ad essa con una errata sinonimia a Paese. Da qui, il PNRR che c’è ma non si vede!
Una politica dalla peggiore espressione
Eh già, perché la politica (tutta) ha assunto brutti vizi, tra uno sparo ad una gamba durante una festa tra “amici” e i domiciliari imposti ad un cognato di un ministro: privilegia la promessa sui risultati; predilige il rumore al prodotto; vende l’oggi vergognoso, esaltandolo cinicamente, piuttosto che realizzare il domani accettabile.
Una brutta cosa, questa, una volta di moda solo nei Paesi sudamericani, ove i leader senza ideologia ovvero distorta privilegiavano ostentare gradi militari a chilogrammi, auto conferiti, trascurando la cultura governativa solidaristica. Ciò avveniva nonostante la esemplare semplicità delle grandi istanze rivoluzionarie del Che, eroe non solo di quelle parti ma del mondo intero.
A ben vedere quello esposto oggi è un quadretto desolante, ove in primo piano c’è una politica dai toni spesso deliranti e autopromozionali, con sullo sfondo, di frequente neppure inquadrata dall’obiettivo, la burocrazia più servile. Quella di solito arrivata all’apice spesso in forza di maliziosi progetti ovvero di storie che sanno di ben oltre l’infecondo. Ebbene di questi mali (gravissimi) è contaminata la società politica nazionale, così come ben descritto nel libro di un anonimo Io sono il potere. Confessioni di un Capo gabinetto.
Tutto questo è funzionale alla concretizzazione di “matrimoni impropri” tra ceto politico e dirigenza, nonostante ben distinti legislativamente nell’esercizio dei rispettivi compiti: indirizzo, programmazione e controllo su gli atti, il primo; adozione degli atti, gestione ed esecuzione, la seconda.
La debolezza della cultura di governo del Mezzogiorno e la sanità in Calabria
Il peggio di tutto si è registrato nelle regioni più deboli, rimaste tali perché vittima di un siffatto orrendo compromesso, con ricadute pesanti sulla esigibilità dei diritti essenziali.
In Calabria tanto, ove tuttavia pare che qualcosa stia cambiando, con una sanità che impone opzioni sensate e scelte virtuose, dopo tante fatte malissimo. È cessata, ci si augura ultimamente, la stagione della esaltazione dei gringos dalle competenze inesistenti, peraltro già compromessi e facili da compromettere in senso lato.
Sembra che sia iniziata una correzione di quella rotta che impedì ai bravi di rimanere ivi a lottare per l’interesse collettivo. È capitato, pensando alla sanità che non c’è ma che sarebbe dovuta esserci, con Francesco Bevere, messo in condizione di scappare altrove per una infima guerra assunta contro di lui da un decisore che nemmeno in Uganda. Una decisione dissennata che buttò a mare una scelta oculata della compianta Iole Santelli, che fece di tutto per convincerlo a venire a lavorare nella Calabria impossibile.
Con la sanità non si gioca, fare scelte sbagliate nell’affidamento dei ruoli fondamentali significa portare le persone a vivere in un girone dell’inferno, così come avvenuto da sempre. Specie quando si suppone di copiare ivi persino gli errori organizzativi delle altre Regioni, del tipo l’istituzione di Azienda zero, non solo inutile ma dannosa per l’autonomia delle aziende della salute, delle quali tante lasciate in mani inadeguate.
La tutela dell’interesse pubblico attraverso la qualità e non l’appartenenza
I bravi manager vanno ricercati con il lanternino, diffidando dai “mi manda Picone” troppo frequenti nel sistema della salute, tormentato dal pressapochismo di Agenas e dai Tavoli romani che vivono di “disattenzioni” strumentali, favorevoli a taluni, e di cronici dispetti destinati ad altri.
Allorquando capita di convincere i fuoriclasse a venire in Calabria occorre fare dedicare loro tutti i giorni la banda del consenso e non mettere i bastoni tra le ruote, così come avvenuto con il bravo Bevere. Soprattutto non svuotando il Dipartimento delle professionalità migliori, senza capirne un perché intelligente.
La paura, meglio il sospetto, è che la stessa cosa (se non peggio!) stia avvenendo nei riguardi di Licia Petropulacos, estranea la centrodestra, che tutti noi calabresi dovremmo ringraziare. Scelta da Roberto Occhiuto, esclusivamente per i grandi meriti dimostrati in Emilia-Romagna, ha accettato di combattere, di svolgere il ruolo della “resistenza partigiana” contro il cinico invasore stabilmente insediato da decenni nella sanità regionale.
Quella sanità, condotta da oltre vent’anni all’insegna del malaffare e delle connivenze, la cui contabilità è lasciata da sempre in mani persino di inconsapevoli delle differenze che ci siano tra il criterio di cassa e quello della competenza (così come di recente sottolineato, nel concreto, dalla Corte dei conti nella procedura aperta con l’AO Mater Domini), cui la dirigente greco-emiliana romagnola potrà dare tanto, anche in termini di acculturamento della burocrazia sulla disciplina sul bilancio.
A chi preferisce non pensare al male che produce da decenni ai calabresi, sarebbe da consigliare la lettura di un manuale di civiltà politico-dirigenziale, di recente citato in un articolo dal pensiero politico sempreverde di Agazio Loiero, il suo titolo è La conoscenza e i suoi nemici, l’autore è Tom Nichols, edito dalla Luiss nel 2017, nella traduzione arguta della brava cosentina Chiara Veltri. In particolare, per imparare una strada più giusta, la conclusione nella parte in cui si afferma che “Gli esperti sono terribili”, ovviamente perché sanno di cosa parlano!
Insomma, occorre un immediato rimedio a quanto avviene a discapito della povera gente che non sa neppure cosa siano i Lea, perché messi all’angolo del ring ove i diritti finiscono da decenni al tappeto con il peggiore dei kappaò. (ej)