MANCA LA GIUSTA SANITÀ NEL BASSO JONIO
COSENTINO: LE ISTITUZIONI INTERVENGANO

di ANTONIO LOIACONONell’entroterra del Basso Jonio cosentino, l’anima e il corpo dei cittadini sono affidati a due strutture fondamentali: da un lato, il personale “ecclesiastico” che si prende cura della comunità e che non manca mai nelle proprie “sedi”; dall’altro, “i medici di famiglia” (queste chimere!) che dovrebbe garantire la necessaria assistenza medica in caso di necessità: figure in via di estinzione nei piccoli centri jonici, con conseguenze drammatiche per i residenti.

A Terravecchia, Scala Coeli, Mandatoriccio, Campana, Bocchigliero ed in tante altre piccole realtà, la carenza di medici di famiglia non è soltanto un problema di accesso alle cure primarie, ma influisce pesantemente anche sul sistema di emergenza. I pronto soccorso delle strutture ospedaliere, già oberati dalla mancanza di personale e risorse, diventano la prima e spesso unica opzione per molti cittadini, costretti a rivolgersi a essi anche per problemi che potrebbero essere gestiti in modo più appropriato da un medico di famiglia. Questo sovraccarico contribuisce a congestionare ulteriormente le strutture ospedaliere, mettendo a repentaglio la qualità delle cure per tutti i pazienti.

Una delle sfide più pressanti per i cittadini di questa area è la difficoltà nel trovare un medico di famiglia. L’accesso a una figura medica di riferimento dovrebbe essere un diritto fondamentale, ma per molti abitanti dei comuni dell’entroterra diventa un’impresa ardua. Trovare un medico disponibile a visitare e prescrivere cure diventa un vero e proprio calvario, costringendo le persone a rivolgersi al proprio medico, attraverso le “chat sanitarie”: “Che farmaco devo prendere, dottò? Mi mandate la ricetta? “. Queste risorse digitali non possono e non devono sostituire l’attenzione e la competenza di un medico “in carne ed ossa”! Spesso, i pazienti, sono lasciati senza risposte adeguate alle loro necessità mediche che dovrebbero, invece, essere risolte “de visu”.

Anche le postazioni di guardia medica, seppur cruciali per garantire assistenza notturna, non sono esenti da problemi. La loro presenza non è uniforme tra i comuni dell’entroterra, lasciando molte aree prive di un punto di riferimento per le emergenze notturne. Anche quando sono presenti, queste postazioni possono essere sottodimensionate o mal equipaggiate, rendendo difficile garantire un servizio adeguato a chi ne ha bisogno.

In definitiva, la situazione sanitaria nell’entroterra del Basso Jonio cosentino è critica e richiede interventi urgenti da parte delle autorità competenti. È necessario investire nelle risorse umane e strutturali per garantire un accesso equo e adeguato alle cure mediche di base, così da evitare che i cittadini debbano continuare a lottare per ottenere assistenza sanitaria essenziale. 

Una possibile soluzione potrebbe essere l’implementazione di iniziative volte a incentivare i medici e gli operatori sanitari a stabilirsi in queste aree, magari offrendo incentivi o agevolazioni fiscali. È importante rendere queste zone più attrattive per i professionisti della salute, in modo che possano offrire cure adeguate e continuative alla popolazione locale.

Le istituzioni locali e regionali devono collaborare attivamente con le comunità e i professionisti della salute per identificare soluzioni su misura ed affrontare le sfide specifiche di queste aree. È necessario un approccio olistico che tenga conto delle esigenze specifiche della popolazione locale e che promuova la partecipazione attiva dei cittadini nella pianificazione e nell’implementazione di nuove strategie sanitarie: è importante sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere una maggiore consapevolezza riguardo alle sfide e alle necessità del sistema sanitario in queste aree. 

Questa situazione non solo è fonte di frustrazione per i residenti, ma rappresenta anche un rischio per la salute pubblica. La difficoltà nel ricevere cure mediche tempestive e adeguate potrebbe portare a gravi conseguenze per i pazienti, compromettendo la qualità della vita e l’efficacia del sistema sanitario locale.

È evidente che sia necessario un intervento urgente per migliorare l’accesso ai servizi sanitari in questi comuni dell’entroterra. La mancanza di medici di famiglia e di risorse nelle strutture sanitarie locali rappresenta una sfida che richiede l’attenzione delle autorità competenti e un impegno concreto per garantire a tutti i cittadini un accesso equo e tempestivo alle cure mediche di base.

Affrontare questa emergenza sanitaria, richiederà un impegno congiunto da parte delle autorità locali, regionali e nazionali, così come una stretta collaborazione tra istituzioni sanitarie, associazioni professionali e comunità locali. Un approccio integrato e cooperativo consentirà di superare queste sfide: è tempo di agire con determinazione per porre fine a questa storia annosa e dannosa e assicurare un futuro più sicuro e salutare per le nostre comunità. (al)

 

SANITÀ CALABRIA, IL CAMBIO DI ROTTA
PORTA LA FIRMA DELLA PETROPULACOS

di ETTORE JORIO  – Ricordo due eventi che mi fecero capire, ridendo a crepapelle, lo strumentale disinteresse verso l’avversario in senso lato, canzonandolo, ritenuto non degno di considerazione. Uno, ricorrendo ad accorgimenti dialettici ricchi di simpatia e, l’altro, della migliore satira politica.

Il primo fu in una commedia di Gilberto Govi ove il grande maestro della commedia ligure, dovendo dare pochissima importanza alle cose dette da uno dei suoi interlocutori, rivolgendosi agli altri, diceva (più o meno) “cusch’è una musca” (chiedo venia della certo errata scrittura della lingua genovese). Parificando così il contenuto dell’ascolto al ronzio di una mosca.

Il secondo era invece rintracciabile su L’Unità da Mauro Melloni, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Fortebraccio, lo stesso che descrisse Mario Tanassi come dotato di una «fronte inutilmente spaziosa». Il quale sotto intendendo anche in questo caso l’inutilità politica del personaggio scrisse, nell’approssimarsi di una importante riunione a Palazzo Chigi, «Si aprì la portiera dell’auto. Non scese nessuno. Era Antonio Cariglia», un segretario nazionale del partito socialdemocratico che in pochi invero ricordano.

Due mondi diversi, due modi altrettanto differenti per sminuire. Un vezzo che in politica è molto frequente, per sottrarre le capacità altrui: boys will be boys (so’ ragazzi!), dedicato sarcasticamente a chi non predilige cose intelligenti, prioritariamente i saperi che fanno la differenza tra le regole e la convenienza politica.

Ciò avviene solitamente per due motivi: 1) per non dare peso alle cose importanti ritenute impunemente “stupidaggini” perché impegnative, pur di acquisire un immediato e spesso immeritato guadagno politico; 2) per sminuire tutto ciò che è davvero utile a costruire “un mondo nuovo” ma con fatica e impegno. Tutto ciò allo scopo di rimanere in piedi senza sudore e spesso senza meriti, ma soprattutto con il lavoro degli altri. Vittima di questo è la Nazione, che paga l’assurdo che governa, nonostante i frequenti riferimenti ad essa con una errata sinonimia a Paese. Da qui, il PNRR che c’è ma non si vede!

Una politica dalla peggiore espressione

Eh già, perché la politica (tutta) ha assunto brutti vizi, tra uno sparo ad una gamba durante una festa tra “amici” e i domiciliari imposti ad un cognato di un ministro: privilegia la promessa sui risultati; predilige il rumore al prodotto; vende l’oggi vergognoso, esaltandolo cinicamente, piuttosto che realizzare il domani accettabile.

Una brutta cosa, questa, una volta di moda solo nei Paesi sudamericani, ove i leader senza ideologia ovvero distorta privilegiavano ostentare gradi militari a chilogrammi, auto conferiti, trascurando la cultura governativa solidaristica. Ciò avveniva nonostante la esemplare semplicità delle grandi istanze rivoluzionarie del Che, eroe non solo di quelle parti ma del mondo intero.

A ben vedere quello esposto oggi è un quadretto desolante, ove in primo piano c’è una politica dai toni spesso deliranti e autopromozionali, con sullo sfondo, di frequente neppure inquadrata dall’obiettivo, la burocrazia più servile. Quella di solito arrivata all’apice spesso in forza di maliziosi progetti ovvero di storie che sanno di ben oltre l’infecondo. Ebbene di questi mali (gravissimi) è contaminata la società politica nazionale, così come ben descritto nel libro di un anonimo Io sono il potere. Confessioni di un Capo gabinetto.

Tutto questo è funzionale alla concretizzazione di “matrimoni impropri” tra ceto politico e dirigenza, nonostante ben distinti legislativamente nell’esercizio dei rispettivi compiti: indirizzo, programmazione e controllo su gli atti, il primo; adozione degli atti, gestione ed esecuzione, la seconda.

La debolezza della cultura di governo del Mezzogiorno e la sanità in Calabria

Il peggio di tutto si è registrato nelle regioni più deboli, rimaste tali perché vittima di un siffatto orrendo compromesso, con ricadute pesanti sulla esigibilità dei diritti essenziali.

In Calabria tanto, ove tuttavia pare che qualcosa stia cambiando, con una sanità che impone opzioni sensate e scelte virtuose, dopo tante fatte malissimo. È cessata, ci si augura ultimamente, la stagione della esaltazione dei gringos dalle competenze inesistenti, peraltro già compromessi e facili da compromettere in senso lato.

Sembra che sia iniziata una correzione di quella rotta che impedì ai bravi di rimanere ivi a lottare per l’interesse collettivo. È capitato, pensando alla sanità che non c’è ma che sarebbe dovuta esserci, con Francesco Bevere, messo in condizione di scappare altrove per una infima guerra assunta contro di lui da un decisore che nemmeno in Uganda. Una decisione dissennata che buttò a mare una scelta oculata della compianta Iole Santelli, che fece di tutto per convincerlo a venire a lavorare nella Calabria impossibile.

Con la sanità non si gioca, fare scelte sbagliate nell’affidamento dei ruoli fondamentali significa portare le persone a vivere in un girone dell’inferno, così come avvenuto da sempre. Specie quando si suppone di copiare ivi persino gli errori organizzativi delle altre Regioni, del tipo l’istituzione di Azienda zero, non solo inutile ma dannosa per l’autonomia delle aziende della salute, delle quali tante lasciate in mani inadeguate.

La tutela dell’interesse pubblico attraverso la qualità e non l’appartenenza

I bravi manager vanno ricercati con il lanternino, diffidando dai “mi manda Picone” troppo frequenti nel sistema della salute, tormentato dal pressapochismo di Agenas e dai Tavoli romani che vivono di “disattenzioni” strumentali,  favorevoli a taluni, e di cronici dispetti destinati ad altri.

Allorquando capita di convincere i fuoriclasse a venire in Calabria occorre fare dedicare loro tutti i giorni la banda del consenso e non mettere i bastoni tra le ruote, così come avvenuto con il bravo Bevere. Soprattutto non svuotando il Dipartimento delle professionalità migliori, senza capirne un perché intelligente.

La paura, meglio il sospetto, è che la stessa cosa (se non peggio!) stia avvenendo nei riguardi di Licia Petropulacos, estranea la centrodestra, che tutti noi calabresi dovremmo ringraziare. Scelta da Roberto Occhiuto, esclusivamente per i grandi meriti dimostrati in Emilia-Romagna, ha accettato di combattere, di svolgere il ruolo della “resistenza partigiana” contro il cinico invasore stabilmente insediato da decenni nella sanità regionale.

Quella sanità, condotta da oltre vent’anni all’insegna del malaffare e delle connivenze, la cui contabilità è lasciata da sempre in mani persino di inconsapevoli delle differenze che ci siano tra il criterio di cassa e quello della competenza (così come di recente sottolineato, nel concreto, dalla Corte dei conti nella procedura aperta con l’AO Mater Domini), cui la dirigente greco-emiliana romagnola potrà dare tanto, anche in termini di acculturamento della burocrazia sulla disciplina sul bilancio.

A chi preferisce non pensare al male che produce da decenni ai calabresi, sarebbe da consigliare la lettura di un manuale di civiltà politico-dirigenziale, di recente citato in un articolo dal pensiero politico sempreverde di Agazio Loiero, il suo titolo è La conoscenza e i suoi nemici, l’autore è Tom Nichols, edito dalla Luiss nel 2017, nella traduzione arguta della brava cosentina Chiara Veltri. In particolare, per imparare una strada più giusta, la conclusione nella parte in cui si afferma che “Gli esperti sono terribili”, ovviamente perché sanno di cosa parlano!

Insomma, occorre un immediato rimedio a quanto avviene a discapito della povera gente che non sa neppure cosa siano i Lea, perché messi all’angolo del ring ove i diritti finiscono da decenni al tappeto con il peggiore dei kappaò. (ej)

SANITÀ, PROPOSTA ANCORA UNA PROROGA
PER IL COMMISSARIAMENTO DI OCCHIUTO

L’ipotesi di una ulteriore proroga del commissariamento della sanità in Calabria, affidato al Presidente Roberto Occhiuto proposta con un emendamento dal sen. Claudio Lotito potrebbe diventare un autogol, per restare in ambito di calcio (visto che Lotito è il patron della Lazio). Per una serie di ragioni: da un lato – apparentemente – si potrebbe interpretare come un consenso al lavoro fin qui svolto (e quindi è necessaria una proroga), dall’altro può significare che la politica si arrende all’ineluttabilità di una sanità “commissariata” sine die in Calabria. E se così fosse, non sarebbe una buona notizia per i calabresi che hanno diritto – dopo anni di illusioni e imperdonabili trascuranze – a una sanità degna di quasto nome. Pur avendo fior di professionisti nel campo medico-ospedaliero e di specialisti sparsi tra università e centri privati, la salute dei calabresi non gode di “buona salute” perché una volta mancano gli strumenti (o sono obsoleti e non sono mai entrati in funzione), un’altra volta mancano i farmaci, le attrezzature, i dispositivi, etc. Così non può continuare, anche se – per la verità – l’impegno del Presidente è lodevole quanto gravoso.

Nei giorni scorsi, la consigliera regionale Amalia Bruni (ricercatrice ed ex direttrice dell’Istituto di Neurogenetica di Lamezia Terme) ha ricordato le sue tante sollecitazioni (già durante la campagna elettorale di due anni fa) perché del debito sanitario calabrese se ne facesse carico l’Esecutivo («serve un patto forte con il Governo. Il commissariamento ha prodotto danni. Sul debito prodotto dai commissari non possono rispondere i calabresi, se ne deve occupare il Governo», e lo ha ribadito:  «Bisognava quantizzare il debito e d’accordo col governo nazionale stabilire la parte da pagare che spettava ai calabresi, mentre il resto accumulato in quetsi anni di gestione commissariale sarabbe stato a carico dello Stato».

Adesso, i consiglieri dem di Palazzo Campanella stigmatizzano ancor di più la situazione in una nota abbastanza “feroce”: « Mentre il ministro Schillaci osannava in Cittadella il nuovo corso della sanità calabrese capace di poter conquistare a breve l’uscita dal commissariamento, il presidente della Lazio e senatore di Forza Italia Claudio Lotito depositava un emendamento con l’approvazione del quale si arriverebbe alla proroga di un altro anno del decreto Calabria. E seppure anche Lotito ha sottolineato presunti progressi fatti nella gestione della sanità calabrese, di fatto si prosegue con una legge emergenziale ad hoc che significa esattamente il contrario dell’uscita dal commissariamento e la necessità per la Calabria di essere ancora sotto la supervisione del governo centrale. In buona sostanza Roberto Occhiuto, che pure ha ottenuto i poteri di Commissario ad acta per il piano di rientro dal debito sanitario, che erano mancati ai suoi predecessori, ha fin qui fallito. Per la maggioranza di centrodestra, evidentemente, permane ancora l’incapacità della Regione Calabria e del commissario Occhiuto di legiferare in materia».

Secondo i consiglieri del gruppo regionale dem, «Le notizie apprese a mezzo stampa evidenziano come il senatore Lotito, incaricato dalla Calabria e dal collega di partito Occhiuto, arriva in soccorso con un emendamento che per l’intero 2024 prevede la proroga delle leggi speciali ed emergenziali per la Calabria. E seppure potrebbe esserci anche qualche risvolto positivo da questa proroga, è chiaro che nessun progresso è stato fatto fin qui e che ci troviamo davanti alla situazione di sempre: bocciatura per la sanità calabrese, perché la proroga del decreto riconsegna ad Occhiuto poteri speciali allungando i tempi del commissariamento perché fin qui, è evidente, il governatore non è stato in grado di rispettare il cronoprogramma per fare uscire la Calabria dalla gestione commissariale«.

Detto in altri termini – spiegano ancora i consiglieri dem – «è Occhiuto che non ha fatto “i compiti a casa” e per tramite di Lotito fa chiedere al governo un altro anno di decreto Calabria.  Nell’emendamento si legge che la situazione dei Lea non è gestibile dalla Calabria, che l’erogazione dei servizi minimi è in alto mare e che, soprattutto, le Aziende sanitarie ed Aziende ospedaliere possono continuare ad essere governate da commissari senza dover attingere dalle graduatorie per direttori generali. Se non è una bocciatura politica e generale della gestione della sanità calabrese questa, davvero non sapremmo come altro interpretare l’emendamento Lotito. E vi è pure di più: l’ammissione di un gravissimo errore per quanto riguarda l’impignorabilità per Asp e Aziende ospedaliere sommerse dai debiti. Pesantemente ripresi anche dall’Unione europea – conclude la nota del gruppo del Pd – governo centrale e regionale altro non hanno potuto fare che correggere ed eliminare l’impignorabilità “fraudolenta” fin qui mantenuta in vita per le  Asp. A conti fatti l’emendamento Lotito, utilizzando termini calcistici a lui cari, è un “gol a porta vuota” per l’allungamento sine die del commissariamento della sanità calabrese».

Dal canto suo, il Presidente Occhiuto sbandiera come un grande successo il maxi bando di concorso per la selezione di 263 medici da destinare all’area dell’emergenza di urgenza intra ed extra ospedaliera in tutte le aziende sanitarie e ospedaliere della Calabria: per la prima volta in Calabria – a quanto pare – ci sono più domande che posti a disposizione (i concorsi prima andavano quasi deserti). In effetti, sono pervenute 443 domande, a dimostrazione della forte attrattività del bando e della capacità del territorio – dice Occhiuto – e della sanità calabrese di richiamare l’attenzione di tanti giovani medici, abituati oggi a percorsi lavorativi troppo incerti, e pertanto alla ricerca di contratti stabili.

Secondo il Presidnete Occhiuto, il successo del concorso – uno die più grandi del Paese – è anche merito della chiarezza del percorso del bando», le cui prove indizieranno tra una ventina di giorni.  Sono disponibili 53 posti per anestesisti (90 le domande pervenute), 1 posto in neuro radiologia (12 domande pervenute), 9 in cardiologia (77 domande pervenute), 39 in ortopedia (24 domande), 16 in neurologia pe ril trattamento degli ictus (41), 145 per medicina d’urgenza (189). (rrm)

LA SANITÀ MALATA: I TAGLI DEL GOVERNO
PENALIZZANO ANCORA DI PIÙ I CALABRESI

di MIMMO NUNNARISe nasci in provincia di Treviso la speranza di vita è 84,1 anni, se nasci in provincia di Crotone devi accontentarti di 80,8 anni, e poco cambia nelle altre province calabresi, o a Messina ed Enna, in Sicilia, dove la speranza è vivere qualche mese in più rispetto ai calabresi, per arrivare a 81 anni tondi. E’ chiaro che sono statistiche tanto poi, in ogni angolo del mondo, c’è chi arriva a cent’anni con tutti i denti sani e c’è chi muore giovane, pure negli Stati o nelle città metropoli dove ci sono presidi sanitari all’avanguardia e in grado di fare diagnosi precise, garantendo le migliori terapie possibili, per curarsi.

Questa è la vita e vivere, o morire, non dipende certo da noi. Ma dietro quei circa quattro anni di vita persi tra Treviso e Crotone, tra il Nord e il Sud, c’è la questione grave è intollerabile della disuguaglianza nella sanità, che non è come l’Alta velocità ferroviaria, o l’Autostrada, o l’economia, perché nella sanità la differenza è tra la vita o la morte, piuttosto che nell’arrivare prima o dopo viaggiando su una ferrovia moderna, che anche quello è comunque un divario intollerabile.

A incidere sull’aspettativa di vita, e non poco, è  il servizio sanitario nettamente più carente a Sud, dove, pure, l’alimentazione e il clima giocano a favore della longevità, che poi è invece minacciata dalla disuguaglianza. Il tema sanità in questi giorni è sotto la lente d’ingrandimento della politica, o almeno di quel che resta di questa lente, dato che ormai si guarda di più a cose futili, perdendo tempo prezioso in conflitti e litigi. Il Governo – chiaramente in affanno – taglia i fondi per la Sanità, quando invece ci sarebbe bisogno di maggiori risorse, quantomeno per poter raggiungere gli stessi livelli d’investimento dei maggiori paesi europei, e per aumentare gli stipendi di medici e infermieri, che ormai scappano verso il privato o all’estero.

Quel galantuomo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che le cose le percepisce come farebbe un buon padre di famiglia ha avvertito: «Il servizio sanitario del nostro Paese è un patrimonio prezioso da difendere e adeguare». Cioè, altro che tagli. C’è da difendere un servizio che è assolutamente insostituibile e prezioso, per la salute pubblica e quella di ognuno di noi. Fondato nel 1978, con ministro della Sanità Tina Anselmi (prima donna ad essere nominata ministro in Italia) è diventato in pochi anni uno dei migliori sistemi al mondo,  in grado di assicurare un eccellente livello di assistenza sanitaria per tutti, ricchi e poveri. Ma questo servizio, in questi ultimi anni, ha subito un lento ma continuo declino, a cui non è estraneo il passaggio di molte competenze dallo Stato alle Regioni, che in alcuni casi lo hanno massacrato. Ora i tempi sono quelli che sono e la situazione è quella che è.

Il Governo, che ancora ha molte competenze in materia di sanità e soprattutto il compito di vigilare, non sembra all’altezza della situazione, che è grave, soprattutto nella Regioni del Sud, Calabria in primo piano: regione dove spese inutili e corruzione hanno compiuto danni irreversibili. Ma quali che siano le responsabilità, sullo scempio della Sanità e sui colpevoli, che non è che è emerso molto in verità, neppure dalle poche, timide, inchieste giudiziarie che ci sono state, c’è poco da scherzare, o continuare a sottacere sulla qualità e sui livelli essenziali di assistenza che sono un diritto dei cittadini, e sono quelli che provocano la differenza insopportabile sull’aspettativa di vita differenziata tra Nord e Sud.

Qualcuno ha fatto una battuta, dicendo che percorrendo l’autostrada da Nord a Sud, tracciata dagli ultimi dati Istat sulla sanità pubblica, si vede che anche sul tema della salute ci sono ritardi e si viaggia a due o più velocità. E se il premio Nobel 2015 per l’economia Angus Deaton, dice da sempre che la disuguaglianza nella sanità è la più intollerabile e avverte: «La vita di molte persone messe ai margini sta cadendo a pezzi, dobbiamo agire», l’Oms (l’Organizzazione mondiale per la Sanità) fa sapere: «Le disuguaglianze uccidono, su larga scala» e sarebbe un crimine non agire, per eliminare le disuguaglianze.

Ergo, in regioni come la Calabria che si trova agli ultimi posti della graduatoria in quanto a qualità e offerta chi ha il dovere di fare e non fa, commette un crimine. L’impressione è che non ci sia consapevolezza sul grave possibile disastro che è alle porte, e mentre si lavora (in Calabria) sulle macerie del recente passato, si stenta a comprendere che serve un intervento rivoluzionario capace di sottrarre intanto la Sanità al sistema corruttivo e alle burocrazie parassitarie. Servono interventi agili e rapidi, serve attenzione e gratitudine a medici e personale sanitario, ma soprattutto serve controllo rigoroso nella regione delle doppie fatturazioni e dei bilanci scritti su pizzini di carta, come nelle vecchie botteghe di alimentari di un tempo.

Forse il presidente della Giunta regionale Roberto Occhiuto ce la sta mettendo tutta, forse l’opposizione in Consiglio regionale qualche idea ce l’ha, di sicuro associazione volontarie, come Comunità competente presieduta da Rubens  Curia, stanno offrendo contributi fondamentali, sarebbe il caso dunque che si facesse fronte comune perché il sogno di una sanità uguale, efficace, efficiente, possa diventare realtà. Sarebbe il primo passo verso il cambiamento, nella regione che sembra abbia un destino pessimo, irreversibile, al quale però non ci si può, e non ci si deve, rassegnare. (mnu)

SOS INFERMIERI: ANCHE LORO SCAPPANO
DALLA CALABRIA PER CONDIZIONI MIGLIORI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Sos infermieri. In Calabria, ma come in tutta Italia, non c’è solo una grave mancanza di medici. Mancano, anche, gli infermieri.

Quella dell’infermiere, infatti, è una figura fondamentale che, purtroppo, spesso viene messa in secondo piano, non valorizzando davvero l’importante e fondamentale lavoro che svolge all’interno delle strutture ospedaliere.

Infatti, come fuggono i medici dall’Italia, lo fanno anche gli infermieri. Come riportato nel mese di agosto da LaCNews, ci sono circa 500 professionisti che, negli ultimi tre mesi, hanno chiesto di essere trasferiti  Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar. Tra questi, ci sono tanti medici e infermieri calabresi che cercano un futuro migliore, attrattati, come la maggior parte, dagli stipendi d’oro e dai benefit previsti.

I Paesi del Golfo – sembrerà assurdo – hanno una grave carenza di medici. Come spiegato da Foad Aodi, presidente Amsi e componente della Commissione Salute globale della Federazione degli Ordini dei medici e degli odontoiatri, «hanno pochi laureati in medicina perché i ragazzi preferiscono optare per facoltà economiche o tecnologiche. Il 90% dei laureati dei paesi del Golfo Persico arriva dalla Palestina, Egitto, Siria, Giordania e Marocco. Ma non bastano».

Sembra di leggere della Calabria, ma in realtà si tratta di un Paese avanzato, che offre stipendi e una vita dignitosa.

Un fenomeno, quello della fuga dei medici, che per Aodi non va trascurato: «Da una parte incrementa la fuga all’estero dei professionisti della sanità italiani alla ricerca di valorizzazione, salari alti, serenità, esperienze all’estero sia professionale che di vita (la media della permanenza è di 4 anni). Contestualmente peggiora la situazione della carenza dei professionisti della sanità in Italia, in particolare la sanità pubblica (visto che la maggioranza dei professionisti disponibili sono nel pubblico e dalla Lombardia, Veneto, Lazio, Emilia-Romagna, Piemonte, Sardegna e Sicilia e Calabria)».

Stefano Sisinni, responsabile  regionale del sindacato di categoria Nursing Up, sempre nel mese di agosto denunciava le condizioni i lavoro ormai insostenibili degli operatori sanitari della provincia di Cosenza.

Intervistato sempre dalla giornalista Mariassunta Veneziano di LaCNews, Sisinni parlava di una situazione drammatica, della mancanza di confronto col presidente della Regione e commissario ad acta, Roberto Occhiuto.

A lui sono stati chiesti e sollecitati incontri, ma nulla da fare.

«Il contratto nazionale – ha spiegato – prevede un’indennità per chi lavora nell’area dell’emergenza-urgenza: si tratta di una quota minima, 40 euro. Da marzo era stata prevista la possibilità di incrementarla demandando la cosa alle Regioni, alle quali sono state destinate delle risorse: per la Calabria 1. 153. 000 euro».

«Il 7 marzo scorso ho mandato una pec – ha detto ancora – chiedendo la convocazione di un tavolo per discutere di queste indennità, ma non ho avuto risposta. A maggio ho sollecitato, anche stavolta niente. Bastava chiamare a raccolta i sindacati e vedere come distribuire queste risorse. Dai nostri pronto soccorso stanno scappando tutti, per una volta che c’era un incentivo non è stato neanche preso in considerazione, l’attenzione è nulla. Ho chiesto anche un incontro a Occhiuto per parlare della situazione sanitaria calabrese in generale: era il 3 luglio, ancora sto aspettando una risposta».

Anche Sisinni parla della fuga degli infermieri, che «già decennio stanno scappando dal pubblico e vanno all’estero. Noi in Italia formiano quelli più preparati d’Europa, sono ricercatissimi, così altri Paesi – come Germania, Regno Unito e Svizzera – mettono sul piatto offerte molto più appetibili delle nostre. Il problema è generalizzato: o si mettono più risorse o il sistema salta».

«Lo abbiamo già visto con la fuga dei medici – ha detto ancora – con gli infermieri sta succedendo la stessa cosa. Dal pubblico scappano tutti e il privato, dal canto suo, logicamente ne approfitta, offrendo condizioni lavorative ed economiche migliori: gli infermieri vanno lì perché guadagnano di più e rischiano di meno, dato che non lavorano sull’emergenza».

Una situazione insostenibile, tanto da spingere il sindacato Nursing Up a suggerire al Governo quelle manovre affinché infermieri, ostetriche e altri professionisti del settore vengano valorizzati in maniera adeguata.

«Siamo decisamente stanchi di applausi e di elogi, se poi, seppur stremati dalla fatica, su quel podio di fatto, noi non ci saliamo mai, perché ci chiedono di accontentarci di una medaglia di legno che non ha alcun valore», ha detto Antonio De Palma, presidente nazionale del Nursing Up.

«Il Ministro della Salute Schillaci pensa bene, di chiedere al Governo lo stanziamento di 4 miliardi per ricreare attrattiva nella sanità italiana – ha ricordato – mentre siamo all’acme del calo degli iscritti ai test di infermieristica (storicamente non abbiamo mai toccato e superato il -10% di calo per infermieristica, mentre ostetricia è arrivata al -20%)), con una professione con sempre meno appeal agli occhi della collettività».

«Come se non bastasse – ha aggiunto – le nostre eccellenze fuggono all’estero in paesi come gli Emirati Arabi che offrono anche stipendi base di 5mila euro, oltre tutto esentasse, con assicurazioni sanitarie e addirittura alloggi pagati. E ancora i nostri operatori sanitari si dimettono volontariamente dalla sanità pubblica o decidono, nella migliore della ipotesi, di tornare a lavorare, laddove è possibile, fuggendo dalle città del Nord, in quei paesi di origine del Sud dove, poco più di 1400 euro al mese, sono sufficienti a sopravvivere ma non certo ad andare avanti dignitosamente».

«Lo stesso Schillaci annuncia l’accordo imminente per portare in Italia infermieri indiani e coprire così la falla strutturale di 65-80mila unità di professionisti (quando ne servirebbero almeno 100mila per avvicinarsi agli standard minimi degli altri paesi europei)», ha detto ancora De Palma, aggiungendo che «qui quattro domande sorgono legittime: chi garantisce ai cittadini, da parte dei colleghi indiani, con tutto il rispetto, la qualità delle attività sanitarie frutto del medesimo percorso di studi o almeno vicino a quello dei nostri professionisti, oltre che il dover fare i conti con il deficit linguistico di difficilmente parlano in italiano?».

«Quale reale considerazione politica, sulla professione e sulla professionalità infermieristica esiste in Italia?», ha chiesto De Palma, domandandosi se «ha provato, per caso, il Ministro Schillaci, a proporre , per coprire la carenza di alcuni specialisti medici, la medesima soluzione ideata per gli infermieri, con professionisti indiani ad esempio? Ha immaginato quale sarebbe la reazione delle istanze rappresentative del mondo medico?».

«Non accada, come in passato – ha tuonato – come tra le nebbie di un triste film già visto e rivisto, che agli infermieri arrivino le briciole di quelle risorse che la nostra politica destina alla sanità».

«Insomma, plauso per tutti i tipi di miglioramento possibili – ha detto – a qualunque professionista destinati, ma sarebbe tempo di arginare “antichi e pericolosi” squilibri economici e disparità nel mondo delle professioni sanitarie, come quelli tra dirigenza medica e tutti gli altri professionisti, considerati da troppo tempo fanalino di coda. Giovi solo ricordare che, in pieno periodo Covid, i primi hanno chiesto e ottenuto un cospicuo aumento della loro indennità di esclusività pari al  27%, cosa di non poco conto».

Da qui, infine, le proposte al ministro Schillaci, che chiedono un aumento del valore orario della paga base degli infermieri e professionisti sanitari ex legge 43/2006 e sua detassazione; aumento del valore orario del lavoro straordinario dei professionisti dell’assistenza, e sua detassazione; aumento dell’indennità di specificità infermieristica, partendo almeno dal raddoppio di quella esistente, e sua estensione alle ostetriche.

Individuazione di un congedo ordinario di professionalità, finalizzato all’indispensabile ristoro psico fisico di infermieri ed ostetriche. Si tratta di un periodo aggiuntivo di assenza dal servizio per quelle professionalità su cui ricadono elevate responsabilità assistenziali; riconoscimento di una indennità mensile ai giovani che intraprendono percorsi universitari caratterizzati da attività di studio e tirocinio in ambito assistenziale.

Un punto di inizio che, sicuramente, potranno contribuire a fermare questa emorragia di professionisti – quali sono i medici, gli infermieri, le ostriche e tutti coloro che fanno parte di questo settore – che fuggono per cercare una vita migliore. (ams)

LA CALABRIA L’ETERNA COMMISSARIATA
TRA I LEA INSUFFICIENTI E MENO DIRITTI

di GIACINTO NANCIIl Governo ha reso noti nei giorni scorsi i dati del monitoraggio dei Lea (Livelli Essenziali di Assistenza). I Lea sono calcolati con degli indicatori di qualità dell’assistenza sanitaria nelle varie regioni e si quantificano con un punteggio. Ebbene la Calabria è la sola regione (insieme alla Valle D’Aosta che però lo è per la prima volta) che continua ad essere insufficiente in tutte e tre le macroaree Lea (Distrettuale, Prevenzione e Ospedaliera) con un punteggio inferiore a 60, quello della sufficienza.

Ebbene come è possibile non chiedersi, da parte dei politici, degli amministratori, dei sindacati medici, del ministro della salute, come mai, dopo 14 anni di commissariamento e di piano di rientro sanitario cui è sottoposta la Calabria, la condizione della sanità calabrese è ancora così disastrosa?

Tra l’altro la Calabria ha com Dmissariate da ormai 4 anni tutte e 5 le sue Aziende Sanitarie e i tre maggiori ospedali regionali. Il commissariamento per definizione è un intervento EI LIV efficienza e di breve durata per cui o gli innumerevoli commissari mandati in Calabria sono stati tutti degli incompetenti (e non ci pare il caso) oppure c’è qualche altro motivo per il quale dopo 14 anni di pluricommissariamento siamo ancora con tutti i Lea sempre insufficienti che tradotto in soldoni vuol dire che in Calabria l’aspettativa di vita in questi ultimi anni, per la prima volta nella sua storia, invece di aumentare e diminuita e un bambino che nasce oggi in Calabria vivrà sicuramente meno dei suoi genitori.

È questa è una cosa molto grave che dovrebbe indurre tutti i citati interlocutori a farsi la giusta domanda. La cosa ancora più grave è che tutti gli interlocutori sopra citati conoscono il motivo per cui i Lea sono e saranno insufficienti. Il motivo è che la Calabria è la regione che ha il suo sistema sanitario gravemente sotto finanziato fin dal 1996 anno di introduzione del nuovo sistema di riparto dei fondi sanitari alle regioni. Anzi è stato proprio l’effetto di questo sotto finanziamento che ha messo in ginocchio la sanità calabrese tanto che nel dicembre 2009 a causa di un suo presunto deficit sanitario (leggi conseguenza del grave sottofinanziamento) alla Calabria è stato imposto il piano di rientro sanitario e il commissariamento, che invece di risolvere il problema, stante il perdurare del sottofinanziamento, lo ha aggravato per come possiamo constatare in questi giorni.

Tutti gli interlocutori lo sanno perché la Conferenza Stato-Regioni già nel 2017 ha parzialissimamente (per come dichiarato dall’allora suo presidente Bonaccini) modificato il criterio di riparto dei fondi sanitari alle regioni introducendo il concetto della “deprivazione”. Ebbene a causa di questa parzialissima modifica alla Calabria sono arrivati nel 2017 ben 29 milioni in più rispetto al 2016 e a tutto il Sud (le cui regioni sono, anche se molto di meno, nelle stesse condizioni della Calabria) ben 408 milioni in più. Per capire di quali cifre si tratta bisognerebbe moltiplicare per 4 le quelle appena citate e dal 1996 ad oggi.

Ma a rendere ancora più grave la situazione della sanità calabrese è il fatto che la Calabria è la regione che riceve meno fondi pro capite per la sua sanità pur essendo quella con il più alto numero di malati cronici, e quindi di fondi ne dovrebbe ricevere di più delle altre regioni e non di meno. E anche di questo tutti sono a conoscenza perché il tutto è certificato dal Dca N. 103 del lontano 30/09/2015 in cui l’allora commissario Scura nell’allegato n. 1 alla pagina 33 scriveva che in Calabria ci sono almeno il 10% di malati cronici più che non nel resto d’Italia.

Il decreto per come prevede il piano di rientro prima di essere pubblicato è stato vidimato prima dal Ministero dell’Economia e poi da quello della Salute, ecco perché tutti sanno che la Calabria è la regione che riceve meno fondi pur avendo molti più malati cronici. La modifica fatta ai criteri di riparto dei fondi fatta nel 2017 non è stata ne ripetuta ne ampliata, ma oggi c’è una nuova opportunità perché il governatore della Campania, che ha la situazione sanitaria più simile a quella della Calabria, nell’estate del 2022 ha fatto ricorso al Tar proprio per impugnare il criteri di riparto dei fondi sanitari alle regioni fatte dalla Conferenza Stato-Regioni.

La novità è che il governo e la Conferenza Stato-Regioni hanno concordato di modificare per il 2023 i criteri del riparto dei fondi sanitari alle regioni, e lo hanno fatto ancor prima della sentenza del Tar sapendo che il ricorso è giusto e verrà accettato. Il nuovo accordo di modifica del riparto dei fondi sanitari è simile a quello fatto nel 2017, quello della deprivazione, che ricordiamo è stato “parzialissimo” con pochi benefici economici per la Calabria e il Sud.

Per cui questa è l’occasione di superare anche questo accordo e di battersi, specialmente da parte dell’attuale commissario alla sanità regionale nonché governatore della Calabria Occhiuto, perché finalmente ci sia un riparto basato sui veri bisogni delle popolazioni nelle varie regioni. Per fare questo è indispensabile chiedere che la Conferenza Stato-Regioni finanzi le sanità regionali in base alla numerosità delle malattie croniche presenti nella varie regioni. Oggi sappiamo quanti malati cronici ci sono nelle varie regioni, sappiamo quanto costa curare ogni anno le singole malattie croniche e quindi è possibile e necessario dare i fondi alle regioni in base alla presenza delle varie malattie.

Altrimenti i Lea in Calabria la sufficienza non la raggiungeranno mai e cosa ancora più grave i calabresi continueranno a morire prima, a parità di malattia specialmente tumorale, che non nel resto d’Italia e aumenterà ancora la spesa dei calabresi per le cure fuori regione, nei centri di eccellenza del Nord, che è arrivata alla iperbolica cifra di 300 milioni annui senza contare il disagio di chi deve emigrare per curarsi fuori regione. Il governatore Occhiuto dovrebbe dimettersi da commissario chiedere la chiusura del piano di rientro e che la sanità calabrese venga finanziata in base alla numerosità dei malati cronici presenti in Calabria. (gn)

[Giacinto Nanci è medico dell’Associazione Medici di Famiglia a Catanzaro]

SANITÀ, LA CALABRIA FANALINO DI CODA
MENTRE I NOSTRI OSPEDALI ARRANCANO

di FRANCESCO CANGEMI – Sanità calabrese ancora da bollino rosso. Stavolta i dati negativi degli ospedali calabresi arrivano dall’Agenas, l’Agenzia nazionale sanitaria per i servizi sanitari regionali.

Per la prima volta l’Agenas ha valutato, nell’ambito delle Aziende ospedaliere, la capacità di conseguire obiettivi assistenziali – esiti delle cure e accessibilità ai servizi – coerentemente con le risorse disponibili siano esse di tipo finanziario, professionale e tecnologiche. Successivamente la valutazione interesserà anche le Aziende sanitarie territoriali. In estrema sintesi meno di un‘Azienda ospedaliera su 5 conquista, nel 2021, alti livelli di performance (17%), più della metà si attesta su un livello medio (60%), mentre più di una su 5 non supera l’asticella degli obiettivi da raggiungere (23%).

La metodologia dell’analisi di Agenas vede l’individuazione di cinque aree di performance e la suddivisione delle 53 Aziende ospedaliere in due tipologie: Aziende ospedaliere universitarie (30) e Aziende ospedaliere (23). Inoltre, per entrambe le categorie, è stata prevista una differenziazione secondo il numero di posti letto disponibili, ovvero maggiore/minore di 700 posti letto.

Le cinque aree di performance riguardano: l’accessibilità; la governance dei processi organizzativi; la sostenibilità economico-patrimoniale; il personale; gli investimenti. L’analisi – che riguarda il triennio 2019, 2020 e 2021 – è disponibile sia per gli stakeholder del settore, sia per i cittadini che potranno così accedere ai dati attraverso il portale Agenas della performance.

Nello specifico il rapporto, come detto, analizza le singole Aziende ospedaliere italiane e, quindi, anche quelle calabresi.

L’Azienda ospedaliera Pugliese-Ciaccio di Catanzaro raggiunge un risultato “medio-alto” per ciò che concerne la sostenibilità economica e il personale, “medio” in merito alla governance dell’organizzazione. Mentre le voci Accessibilità e Investimenti segnano bassi livelli performativi.

Alla voce Accessibilità sono calcolati i tempi d’attesa in Pronto soccorso e i relativi abbandoni da parte degli utenti oltre ai tempi d’attesa per la protesi all’anca e il tumore alla mammella. In questa categoria il Pugliese-Ciaccio segna un tasso di crescita media dal saldo negativo: -9,48%, una variazione nel periodo 2021-2019 del -18,06% e una variazione 2021-220 del 3,64%.

L’azienda ospedaliero-universitaria Mater domini di Catanzaro, segna livelli medio-alti per ciò che concerne la governance dei processi organizzativi mentre tutti gli altri indicatori segnano un livello medio-basso. L’accessibilità anche per il Mater domini è il tasto più dolente: il tasso medio di crescita è infatti pari al -18,95%.

Il presidio ospedaliero Annunziata di Cosenza raggiunge un livello medio-alto solo per quanto riguarda il personale. Di livello medio risulta invece la sostenibilità economica. Tutti gli altri indicatori segnano livelli medio bassi o bassi.

Accessibilità e investimenti rappresentano le voci più critiche anche per l’ospedale Bianchi-Melacrino-Morelli di Reggio Calabria che raggiunge livelli tra il medio e l’alto solo per ciò che concerne il personale e la sostenibilità economica. (fc)

SOTTO GIOCO DEL DECRETO CALABRIA BIS
I CALABRESI SOGNANO LA SANITÀ FUTURA

di GIACINTO NANCIIl governatore della Calabria, Roberto Occhiuto, nonché commissario al piano di rientro sanitario, chiede e ottiene dal governo la proroga del Decreto Calabria che manterrà i calabresi sotto il giogo del piano di rientro sanitario per altri sei mesi.

Per capire quanto il piano di rientro sanitario e i commissariamenti della sanità calabrese (oltre al commissariamento della sanità regionale la Calabria ha commissariate tutte le 5 Asp e i tre maggiori ospedali regionali) non solo sono inutili ma perfino dannosi per i calabresi, basti dire che esso è stato ideato nel lontano dicembre 2009 e da allora ad oggi per la prima volta nella storia della Calabria le aspettative di vita alla nascita invece di aumentare sono diminuite, ciò vuol dire che un bambino che nasce adesso in Calabria sa che vivrà meno dei suoi genitori. Lo ripetiamo è la prima volta che avviene nella storia della Calabria.

Inoltre dal 2009, anno di inizio del piano di rientro, chi si ammala in Calabria, a parità di patologia, e ancora di più di patologia oncologica, vive di meno che non nel resto dell’Italia. Ancora, dopo 14 anni di piano di rientro la spesa delle cure dei calabresi fuori regione è perfino triplicata, arrivando a circa 300 milioni di euro, spesa che aggrava ulteriormente il disavanzo della spesa sanitaria calabrese, senza contare il disagio di chi deve emigrare per potersi curare. Alla luce di quanto detto ci sembra che se dopo 14 anni di piano di rientro questi sono i risultati, chiedere un ulteriore sua proroga da parte del governatore-commissario Occhiuto ci sembra la peggiore decisione che poteva prendere che è lontanissima dai bisogni dei malati calabresi.

Il piano di rientro è stato imposto alla Calabria nel 2009 perché noi calabresi siamo stati considerarti cattivi amministratori perché spendevamo in sanità più di quanto ricevevamo dalla Conferenza Stato Regioni. Il piano di rientro e i commissariamenti dovevano rimettere i conti in ordine in breve tempo per come si conviene per ogni tipo di commissariamento. Se ciò dopo 14 anni non è avvenuto dovrebbe far sorgere anche nella testa del nostro governatore Occhiuto il dubbio che ci deve essere qualche altro motivo per il disavanzo della spesa sanitaria calabrese. E il motivo c’è, è conosciuto dal Governo e dalla Conferenza Stato-Regioni ed è il fatto che la Calabria è la regione che per la sua sanità riceve meno fondi pro capite rispetto alle altre regioni, specialmente del nord, nonostante che è la regione che ha più malati cronici che non nel resto d’Italia.

Da quasi 30 anni tutti sanno che il criterio di riparto dei fondi sanitari alle regioni è ingiusto e condiziona non soltanto le sanità regionali ma l’intera economia delle regioni in quanto la spesa sanitaria corrisponde al 70% del totale della spesa pubblica regionale. E sempre, da quasi 30 anni, tutti sanno che la Calabria insieme alle altre regioni del sud riceve meno fondi per la sua sanità mentre dovrebbe essere il contrario perché il criterio scelto dalla Conferenza Stato-Regioni in applicazione dell’art.1 comma 34 legge 23/12/1996 n. 662 è stata quella del calcolo della popolazione pesata.

Questo criterio che da pochi fondi pro capite per la giovane età (Sud) e molti più fondi per la popolazione anziana (Nord) ha favorito le regioni del nord che hanno avuto e hanno una popolazione più anziana. La Conferenza Stato-Regioni per ripartire i fondi sanitari alle regioni non ha mai tenuto in conto i criteri epidemiologici (cioè la numerosità delle malattie presenti nelle regioni) pur contenuti nella sopra citata legge. L’epidemiologia ci dice che nelle regioni del sud ci sono molti più malati cronici e che quindi è qui che si dovevano concentrare le maggiori risorse.

Prova di ciò è il Dca n. 103 del lontano 30/09/2015 a firma dell’allora Commissario al piano di rientro sanitario calabrese ing. Scura e vidimato per come prevede lo stesso piano di rientro prima dal Ministero dell’Economia e poi da quello della Salute, (della serie tutti sapevano e sanno) nel quale Dca alla pag. 33 dell’allegato n. 1 si legge: «Si sottolineano valori di prevalenza più elevati (almeno il 10%) rispetto al resto del paese per diverse patologie». E siccome il Dca è fornito di dettagliate tabelle è stato facile calcolare che nei circa due milioni di abitanti calabresi c’erano allora (e oggi ancor di più) ben 287.000 malati cronici in più rispetto ad altri due milioni circa di altri italiani. Nonostante ciò la Calabria è la regione che, da quasi 30 anni a questa parte, riceve in assoluto meno fondi pro capite per la sua sanità. Le altre regioni del Sud sono, anche se con meno criticità, nella stessa situazione della Calabria sia per la maggiore presenza di patologie che per il fatto di essere le regioni che ricevono meno fondi per la loro sanità.

Ma ancora più eloquente è ciò che avvenuto nel 2017 quando per bocca dell’allora presidente della Conferenza Stato-Regioni Bonaccini è stata annunciata una “parziale” (per come dichiarato dallo stesso Bonaccini) modifica dei criteri di riparto dei fondi sanitari non più solo sul calcolo della popolazione pesata che, a detta dello stesso Bonaccini “penalizza alcune regioni” (leggi Sud) bensì su quella della “deprivazione” in rispetto sempre della legge 662. Ebbene nel 2017 grazie a questa parziale modifica alle regioni del sud sono arrivati ben 408 milioni di euro in più rispetto al 2016, ovviamente la modifica fatta non è stata ne ampliata ne riproposta negli anni successivi. Se la modifica invece di parziale fosse stata intera e in rispetto della legge 662 la cifra di 408 milioni di euro si sarebbe dovuta moltiplicare per 4 e ogni anno da 30 anni a questa parte.

Per capire quanto il criterio di riparto fino ad ora seguito è “fuorilegge” basta ricordare che il 10/06/2022 la regione Campania tramite il suo governatore De Luca ha fatto un ricorso al Tar proprio perché ritiene ingiusti i metodi di riparto dei fondi sanitari alle regioni. Ma ancora più significativo è il fatto che il governo aveva promesso che sarebbero stati rivisti i metodi di riparto dei fondi e sarebbe stato applicato il criterio della deprivazione (bisogni reali delle popolazioni) e non quello demografico (popolazione pesata), e lo ha fatto ancor prima della pronuncia (ancora non avvenuta) del Tar immaginando che il ricorso è giusto e il Tar lo accetterà sicuramente.

Le regioni del Sud a questo punto devono far sì che nella prossima Conferenza Stato-Regioni sia applicato il criterio epidemiologico, cioè più fondi alle regioni che hanno più abitanti con patologie croniche e non come è stato fino ad adesso: meno fondi alle regioni con più malati. Allora il nostro governatore per difendere i malati calabresi invece di chiedere la proroga del piano di rientro dovrebbe prima di tutto fare anche Lui ricorso al Tar, attivarsi per riunire i governatore delle regioni del sud e i sindaci (che sono i massimi responsabili della sanità pubblica), delle grandi città meridionali per poter poi battere i pugni sul tavolo della Conferenza Stato-Regioni, che è l’organo che ripartisce i fondi sanitari alle regioni, per imporre che la ripartizione dei fondi sanitari alle regioni sia fatta in base ai reali bisogni dei malati presenti nelle varie regioni. La richiesta della proroga del Decreto Calabria è invece l’esatto contrario dei reali bisogni dei malati calabresi. Di Decreto Calabria e di pluricommissariamento si muore. (gn)

[Giacinto Nanci è medico dell’Associazione Mediass – Medici di Famiglia a Catanzaro]

SANITÀ IN CALABRIA: UFFICI PIENI, MA LE
CORSIE SONO IRRIMEDIABILMENTE VUOTE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Sono almeno 570, tra medici e infermieri, a essere stati sottratti in tutto, o in parte, alle corsie ospedaliere e destinate a ruoli amministrativi. È quanto è emerso dal report Uffici pieni, corsie vuote realizzato e presentato dal consigliere regionale del M5S Davide Tavernise.

Dal report è emerso che almeno 62 sono le unità di personale sanitario impiegato in attività rientranti nel ruolo amministrativo o comunque adibito a mansioni diverse da quelle per le quali è stato assunto. Almeno 508 invece le unità di personale sanitario con inidoneità  certificata o idoneità con prescrizioni limitanti per lo svolgimento delle mansioni per la quale è stato assunto.

«Come si diceva – ha spiegato il consigliere regionale – il dato cristallizzato è parziale poiché molte Asp, dopo 7 mesi dalla prima richiesta, non hanno ancora fornito le infomarzioni. Le risposte sono arrivate dal Pugliese-Ciaccio, dal Mater Domini, dal Gom di Reggio Calabria e dall’Annunziata di Cosenza come Aziende Ospedaliere. Ha risposto anche l’Asp di Crotone e sono incompleti i dati forniti dall’Asp di Catanzaro. Nel conteggio mancano tutti i dati relativi  all’Asp di Cosenza, salvo lo Spoke di Corigliano-Rossano, e non esistono dati riguardanti tutta l’Asp di Vibo Valentia e quella di Reggio Calabria».

«Ma perché mai le Asp, nonostante i formali richiami – si è chiesto Tavernise – non hanno fornito i dati richiesti? Senza voler pensare male, la sensazione è quella che le stesse Asp disconoscano il fenomeno nella sua reale portata».

Dal report, infatti, è emerso come all’Asp di Catanzaro, per quanto riguarda il personale adibito ad attività amministrativa, ci sono tre dirigenti medici e due collaboratori professionali sanitari, 1 collaboratore professionale sanitario e 1 tecnico sanitario di radiologia medica. Il personale con inidoneità certificata, invece, sono 18, tra cui 4 tecnici sanitari di radiologia medica, 5 operatori socio-sanitari, 2 operatori tecnici, 1 tecnico ausiliario, 1 dietista e 1 odontotecnico.

All’Asp di Cosenza, tra il personale adibito ad attività amministrativa rispetto al ruolo per cui si è stati assunti, si contanto 3 dirigenti medici e 24 collaboratori professionali sanitari-tecnici sanitari, 18 infermieri, 3 operatori socio sanitari, 2 operatori tecnici 1 e ostetrica. Il personale con idoneità certificata (con giudizio di idoneità con prescrizioni limitanti, tali da impedire
lo svolgimento delle mansioni per le quali si è assunti, i cui dati sono stati estrapolati dall’elaborazione della documentazione ricevuta), conta 18 dirigenti medici, 81 collabotatori professionai sanitari -tecnici sanitari, 46 infermieri, 16 Oss, 1 farmacista, 4 ostetriche, 3 tecnici di laboratorio, 1 tecnico di elettrofisiologia, 2 tecnici sanitari di radiologia medica, 1 impiegato, 3 operatori tecnici, 1 magazziniere, 2 commessi e 1 centralinista.

Sempre sull’Asp di Cosenza, poi, è stato fatto un focus sulle prescrizioni: su 623 visite effettuate in poco più di nove mesi dal medico competente, si riscontrano i seguenti risultati:  352 idonei alla mansione specifica; 138 idonei con prescrizioni che non influiscono sullo svolgimento delle mansioni; 129 con una o più prescrizioni di varia natura, anche tali da impedire lo svolgimento delle
mansioni previste all’atto dell’assunzione; 4 con giudizio di idoneità non previsto.

Per quanto riguarda le prescrizioni limitanti, è emerso che sono 27 da adibire ad attività di tipo prevalentemente amministrativa e sedentaria;  11 tra infermieri e Oss da adibire ad attività ambulatoriale (con esclusione delle attività assistenziali);  46 da non impiegare in turni notturni; 35 tra infermieri e Oss da non impiegare nella movimentazione dei pazienti e nel sollevamento di carichi; 8 inidonei all’assistenza sanitaria diretta con i pazienti, in reparti e/o ambulatoriale; 2 tecnici sanitari di radiologia medica con prescrizioni sull’attività di radioesposizione; 18 da non impiegare in turni di reperibilità, tra cui 12 medici e 1 ostetrica;  9 da non impiegare in mansioni comportanti stazione eretta prolungata; 3 medici e 2 infermieri non idonei ad attività di emergenza-urgenza;  3 medici da adibire ad attività medica solo nell’area dei codici bianchi; 1 medico da non impiegare in attività che prevedono l’utilizzo di taglienti o pungenti; 1 medico non idoneo all’attività in sala operatoria.

Focus poi sul Gom di Reggio Calabria, dove è emerso che, sono 4 dirigenti medici, 4 infermieri, 2 infermieri che lavorano presso l’Unità Operativa Semplice Dipartimentale (UOSD) Monitoraggio e Controllo Attività di Ricovero e 2 infermieri che infermieri lavorano presso l’Ufficio Formazione dell’Unità Organizzativa Complessa (UOC) Gestione Sviluppo Risorse Umane e Formazione sono impiegai in attività amministrativa, rispetto al ruolo per cui si è assunti. Il personale con inidoneità certificata, infine, conta 8 infermieri e 2 infermieri inidonei alle mansioni per 1 anno; 1 infermiere inidoneo alle mansioni per 3 mesi; 5 infermieri con giudizio “lavoratori fragili” per 1 anno.

All’Azienda Ospedaliero-Universitario “Mater Domini” di Catanzaro, è emerso come siano 5 i dipendenti che hanno avuto un cambio di profilo per inidoneità permanente e che rientrano tra il personale adibito ad attività amministrativa (o diversa dal ruolo per cui si è assunti), mentre sono 7 i dipendenti appartenenti al profilo sanitario che sono in possesso di relativa certificazione di inidoneità.

All’Asp di Crotone, 8 dipendenti sono stati interessati da atti di delibera/determina relativi a passaggi orizzontali. Inoltre, per quanto riguarda i giudizi di idoneità del personale sanitario, a livello Provinciale, all’Ospedale di Crotone su 763 ritenuti idonei, 157 lo sono con prescrizioni, 48 con limitazioni, 25 con limitazioni e prescrizioni e, infine, 66 non espresso.

Al Sub Distretto di Cirò Marina, 58 sono idonei, di cui 2 con prescrizioni, 4 con limitazioni e 10 non espresso. Al Sub Distretto di Crotone, 80 sono idonei, 3 con prescrizioni, 7 con limitazioni e 1 con limitazioni e prescrizioni, mentre 16 non espresso. Al Sub Distretto di Mesoraca, 48 sono idonei, mentre 2 con limitazioni e 7 non espresso. A Neuropsichiatria Infantile, solo 6 sono idonei, e 8 non espressi. Al Dipartimento di Prevenzione, 55 sono idionei, di cui 6 con prescrizioni, 1 con limitazioni e 6 non espressi.

Per il personale sanitario con rapporto convenzionato, alla data del 31/12/2022 la situazione è la seguente: Specialisti ambulatoriali e veterinari specialisti 34 con giudizio idoneo; 45 con giudizio non espresso. Medici continuità assistenziale (a tempo determinato e indeterminato) 47 con giudizio idoneo; 2 con giudizio idoneo con prescrizioni; 19 con giudizio non espresso.

Allo Spoke di Corigliano-Rossano, 3 collaboratori professionali sanitari, 1 tecnico di laboratorio all’Ospedale di Rossano e 2 infermieri dell’ospedale di Acri sono stati adibiti ad attività amministrativa, mentre 1 tecnico di laboratorio dell’Ospedale di Rossano è con inidoneità certificata.

Nel dossier, è emerso come a Corigliano ci sia una grave carenza di infermieri: sui 126 previsti, ce ne sono realmente 102. A Rossano più o meno la stessa situazione: sui 192 previsti, ne sono realmente presenti 164. Sommando i numeri, si ottiene che allo Spoke di Corigliano Rossano ci sono solo 266 medici contro i 318 previsti.

Facendo i conti, dunque (tenendo conto che la suddivisione delle categorie del personale è parziale) è emerso che il personale sanitario impiegato in attività rientranti nel ruolo amministrativo o comunque adibito a mansioni diverse da quelle per le quali è stato assunto in categoria e profilo professionale di appartenenza in totale sono 62, tra cui 10 medici, 25 infermieri, 3 Oss, 4 tecnici sanitari e 1 ostetrica. Tanti, troppi, il personale sanitario inidoneo: sono almeno 508, tra cui 18 medici, 105 infermieri, 21 Oss, l19 tecnici sanitari, 4 ostetriche e 1 farmacista.

«e pur parziale – ha detto Tavernise – comunque il dato manifesta tutta la sua importanza se si fa il confronto tra la dotazione organica della Calabria e quella in forza alla Liguria, regioni che presentano pressappoco la stessa popolazione: circa 14.832 è il personale impiegato nel 2020 in Liguria, 17.698 quello impiegato in Calabria. Al maggior personale impiegato in Calabria non corrisponde il servizio sanitario erogato in Liguria. Da cosa dipende, dunque, questo scostamento qualitativo rilevante nella prestazione sanitaria?».
«Il fenomeno dei medici imboscati – ha evidenziato – dà luogo primariamente a numeri fuorvianti: il personale sanitario “imboscato” risulta in pianta organica seppur esercita mansioni amministrative. E a nulla sono serviti ad oggi i proclami del presidente Occhiuto per cercare di risolvere il problema. Le sue buone intenzioni sono rimaste legate ad una sintetica dichiarazione verbale».
«Dal suo immobilismo, in qualità anche di commissario ad acta – ha continuato – prende forma la mia proposta di legge per iniziare a comprendere il fenomeno: proposta presentata nell’ottobre del 2022 che ad oggi non è stata neanche calendarizzata».
«Di quella legge – ha concluso – oggi voglio rilanciare tre proposte operative che spero Occhiuto voglia finalmente tenere in considerazione: Occorre una ricognizione completa del personale sanitario cosiddetto “imboscato”; le inidoneità siano valutate dall’Inps o comunque da un soggetto terzo; le inidoneità certificate portino ad una rivisitazione della pianta organica: chi non svolge la mansione di medico per inidoneità è necessario che venga conteggiato nel personale amministrativo e non quello medico». (rrm)

Sanità: prorogato di 6 mesi il Decreto Calabria

Nelle pieghe di un decreto “omnibus”, il Consiglio dei ministri ha approvato la proroga per altri sei mesi del cosiddetto “Decreto Calabria”, il provvedimento che contiene misure straordinarie per affrontare le perduranti gravi criticità del settore e per preparare il terreno al ritorno alla gestione ordinaria dell’Ssr.

Un provvedimento arrivato in “zona Cesarini” (sarebbe scaduto l’8 maggio, anche se ovviamente ora è una corsa contro il tempo per pubblicarlo entro lunedì sulla Gazzetta Ufficiale), un provvedimento che resiste ai cambi di governo (anche quelli regionali) e di colore politico delle maggioranze: nato nel 2019 con l’allora governo giallo-verde su input del Movimento 5 Stelle, il “Decreto Calabria” ora convince anche il centrodestra, che pure l’aveva a suo tempo avversato.

L’ulteriore proroga del commissariamento conferma sul piano politico l’asse tra la Giunta calabrese guidata da Roberto Occhiuto, uno dei big di Forza Italia, e il governo di Giorgia Meloni. Ma oltre che sul piano politico, anche su quello concreto questa ulteriore proroga del Decreto Calabria avrà degli effetti piuttosto significativi: i più importanti sono la permanenza in carica degli attuali commissari delle Asp e delle aziende ospedaliere (che comunque dovranno essere esplicitamente confermati entro due mesi dall’entrata in vigore del testo), e – spiegano i più attenti analisti politici – la possibilità per il governatore e commissario Occhiuto di poter godere di spazi di manovra più ampi e discrezionali nella scelta dei manager. Su un dato però in tanti osservatori concordano: con la proroga della legislazione speciale comunque viene cristallizzata ancora una volta la situazione di emergenza del settore in Calabria.

Emergenza del resto plasticamente resa ad agosto dalla decisione dello stesso Occhiuto di ricorrere all’ingaggio di medici da Cuba per sopperire alle gravissime carenze di personale sanitario. L’arrivo degli operatori caraibici – una prima tranche è entrata in servizio ad agosto negli ospedali maggiormente sofferenti della provincia di Reggio Calabria mentre altri ne sono attesi a breve – ha alimentato le sempre infuocate polemiche che caratterizzano storicamente la sanità calabrese, anche se Occhiuto ha sempre specificato che si tratta di una misura “tampone”, valida fino a quando non saranno espletati i concorsi, che sono in corso di svolgimento nell’ambito della cosiddetta “manovra d’autunno”, avviata a ottobre scorso per reclutare nuovo personale nell’ordine di complessive 3.600 nuove assunzioni.

Sono comunque ancora tanti i punti di estrema debolezza della sanità calabrese, come lo stentato start di “Azienda Zero”, il nuovo ente di governance del settore creato più di un anno fa ma ancora non del tutto operativo, anche se alcuni segnali di inversione di tendenza si stanno già materializzando.

Tra questi un primo step concreto nella ricognizione e nell’accertamento dell’enorme debito commerciale della sanità calabrese, che secondo un report della struttura commissariale guidata da Occhiuto e della Regione è stato almeno quantificato nella sua consistenza storica in oltre 860 milioni al 31 dicembre 2020. Altri segnali di inversione di tendenza messi in risalto dal commissario Occhiuto in questi ultimi mesi sono la copertura dei disavanzi delle aziende sanitarie e ospedaliere, lo sblocco delle procedure per la costruzione di tre nuovi ospedali (Sibaritide, Piana di Gioia Tauro e Vibo Valentia) ferme da anni, la nascita dell’azienda ospedaliera unica di Catanzaro Renato Dulbecco, un hub da oltre 800 posti letto che prende corpo dalla fusione del Policlinico universitario Mater Domini e dell’ospedale Pugliese Ciaccio del capoluogo, svolta anche questa attesa da anni.

Lo stesso Occhiuto ha avviato anche una campagna di “tolleranza zero” contro la disorganizzazione del settore aprendo una piattaforma online – www.sanibook.it – nella quale i cittadini possono segnalare quello che non va negli ospedali in modo da rendere più celeri (e verificabili) le soluzioni. Ora arriva questa nuova (e verosimilmente ultima) proroga del “Decreto Calabria” che è un altro strumento a disposizione di Occhiuto per accelerare la fine dell’emergenza e il ritorno alla normalità della sanità calabrese. (rrm)