SOTTO GIOCO DEL DECRETO CALABRIA BIS
I CALABRESI SOGNANO LA SANITÀ FUTURA

di GIACINTO NANCIIl governatore della Calabria, Roberto Occhiuto, nonché commissario al piano di rientro sanitario, chiede e ottiene dal governo la proroga del Decreto Calabria che manterrà i calabresi sotto il giogo del piano di rientro sanitario per altri sei mesi.

Per capire quanto il piano di rientro sanitario e i commissariamenti della sanità calabrese (oltre al commissariamento della sanità regionale la Calabria ha commissariate tutte le 5 Asp e i tre maggiori ospedali regionali) non solo sono inutili ma perfino dannosi per i calabresi, basti dire che esso è stato ideato nel lontano dicembre 2009 e da allora ad oggi per la prima volta nella storia della Calabria le aspettative di vita alla nascita invece di aumentare sono diminuite, ciò vuol dire che un bambino che nasce adesso in Calabria sa che vivrà meno dei suoi genitori. Lo ripetiamo è la prima volta che avviene nella storia della Calabria.

Inoltre dal 2009, anno di inizio del piano di rientro, chi si ammala in Calabria, a parità di patologia, e ancora di più di patologia oncologica, vive di meno che non nel resto dell’Italia. Ancora, dopo 14 anni di piano di rientro la spesa delle cure dei calabresi fuori regione è perfino triplicata, arrivando a circa 300 milioni di euro, spesa che aggrava ulteriormente il disavanzo della spesa sanitaria calabrese, senza contare il disagio di chi deve emigrare per potersi curare. Alla luce di quanto detto ci sembra che se dopo 14 anni di piano di rientro questi sono i risultati, chiedere un ulteriore sua proroga da parte del governatore-commissario Occhiuto ci sembra la peggiore decisione che poteva prendere che è lontanissima dai bisogni dei malati calabresi.

Il piano di rientro è stato imposto alla Calabria nel 2009 perché noi calabresi siamo stati considerarti cattivi amministratori perché spendevamo in sanità più di quanto ricevevamo dalla Conferenza Stato Regioni. Il piano di rientro e i commissariamenti dovevano rimettere i conti in ordine in breve tempo per come si conviene per ogni tipo di commissariamento. Se ciò dopo 14 anni non è avvenuto dovrebbe far sorgere anche nella testa del nostro governatore Occhiuto il dubbio che ci deve essere qualche altro motivo per il disavanzo della spesa sanitaria calabrese. E il motivo c’è, è conosciuto dal Governo e dalla Conferenza Stato-Regioni ed è il fatto che la Calabria è la regione che per la sua sanità riceve meno fondi pro capite rispetto alle altre regioni, specialmente del nord, nonostante che è la regione che ha più malati cronici che non nel resto d’Italia.

Da quasi 30 anni tutti sanno che il criterio di riparto dei fondi sanitari alle regioni è ingiusto e condiziona non soltanto le sanità regionali ma l’intera economia delle regioni in quanto la spesa sanitaria corrisponde al 70% del totale della spesa pubblica regionale. E sempre, da quasi 30 anni, tutti sanno che la Calabria insieme alle altre regioni del sud riceve meno fondi per la sua sanità mentre dovrebbe essere il contrario perché il criterio scelto dalla Conferenza Stato-Regioni in applicazione dell’art.1 comma 34 legge 23/12/1996 n. 662 è stata quella del calcolo della popolazione pesata.

Questo criterio che da pochi fondi pro capite per la giovane età (Sud) e molti più fondi per la popolazione anziana (Nord) ha favorito le regioni del nord che hanno avuto e hanno una popolazione più anziana. La Conferenza Stato-Regioni per ripartire i fondi sanitari alle regioni non ha mai tenuto in conto i criteri epidemiologici (cioè la numerosità delle malattie presenti nelle regioni) pur contenuti nella sopra citata legge. L’epidemiologia ci dice che nelle regioni del sud ci sono molti più malati cronici e che quindi è qui che si dovevano concentrare le maggiori risorse.

Prova di ciò è il Dca n. 103 del lontano 30/09/2015 a firma dell’allora Commissario al piano di rientro sanitario calabrese ing. Scura e vidimato per come prevede lo stesso piano di rientro prima dal Ministero dell’Economia e poi da quello della Salute, (della serie tutti sapevano e sanno) nel quale Dca alla pag. 33 dell’allegato n. 1 si legge: «Si sottolineano valori di prevalenza più elevati (almeno il 10%) rispetto al resto del paese per diverse patologie». E siccome il Dca è fornito di dettagliate tabelle è stato facile calcolare che nei circa due milioni di abitanti calabresi c’erano allora (e oggi ancor di più) ben 287.000 malati cronici in più rispetto ad altri due milioni circa di altri italiani. Nonostante ciò la Calabria è la regione che, da quasi 30 anni a questa parte, riceve in assoluto meno fondi pro capite per la sua sanità. Le altre regioni del Sud sono, anche se con meno criticità, nella stessa situazione della Calabria sia per la maggiore presenza di patologie che per il fatto di essere le regioni che ricevono meno fondi per la loro sanità.

Ma ancora più eloquente è ciò che avvenuto nel 2017 quando per bocca dell’allora presidente della Conferenza Stato-Regioni Bonaccini è stata annunciata una “parziale” (per come dichiarato dallo stesso Bonaccini) modifica dei criteri di riparto dei fondi sanitari non più solo sul calcolo della popolazione pesata che, a detta dello stesso Bonaccini “penalizza alcune regioni” (leggi Sud) bensì su quella della “deprivazione” in rispetto sempre della legge 662. Ebbene nel 2017 grazie a questa parziale modifica alle regioni del sud sono arrivati ben 408 milioni di euro in più rispetto al 2016, ovviamente la modifica fatta non è stata ne ampliata ne riproposta negli anni successivi. Se la modifica invece di parziale fosse stata intera e in rispetto della legge 662 la cifra di 408 milioni di euro si sarebbe dovuta moltiplicare per 4 e ogni anno da 30 anni a questa parte.

Per capire quanto il criterio di riparto fino ad ora seguito è “fuorilegge” basta ricordare che il 10/06/2022 la regione Campania tramite il suo governatore De Luca ha fatto un ricorso al Tar proprio perché ritiene ingiusti i metodi di riparto dei fondi sanitari alle regioni. Ma ancora più significativo è il fatto che il governo aveva promesso che sarebbero stati rivisti i metodi di riparto dei fondi e sarebbe stato applicato il criterio della deprivazione (bisogni reali delle popolazioni) e non quello demografico (popolazione pesata), e lo ha fatto ancor prima della pronuncia (ancora non avvenuta) del Tar immaginando che il ricorso è giusto e il Tar lo accetterà sicuramente.

Le regioni del Sud a questo punto devono far sì che nella prossima Conferenza Stato-Regioni sia applicato il criterio epidemiologico, cioè più fondi alle regioni che hanno più abitanti con patologie croniche e non come è stato fino ad adesso: meno fondi alle regioni con più malati. Allora il nostro governatore per difendere i malati calabresi invece di chiedere la proroga del piano di rientro dovrebbe prima di tutto fare anche Lui ricorso al Tar, attivarsi per riunire i governatore delle regioni del sud e i sindaci (che sono i massimi responsabili della sanità pubblica), delle grandi città meridionali per poter poi battere i pugni sul tavolo della Conferenza Stato-Regioni, che è l’organo che ripartisce i fondi sanitari alle regioni, per imporre che la ripartizione dei fondi sanitari alle regioni sia fatta in base ai reali bisogni dei malati presenti nelle varie regioni. La richiesta della proroga del Decreto Calabria è invece l’esatto contrario dei reali bisogni dei malati calabresi. Di Decreto Calabria e di pluricommissariamento si muore. (gn)

[Giacinto Nanci è medico dell’Associazione Mediass – Medici di Famiglia a Catanzaro]

SANITÀ IN CALABRIA: UFFICI PIENI, MA LE
CORSIE SONO IRRIMEDIABILMENTE VUOTE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Sono almeno 570, tra medici e infermieri, a essere stati sottratti in tutto, o in parte, alle corsie ospedaliere e destinate a ruoli amministrativi. È quanto è emerso dal report Uffici pieni, corsie vuote realizzato e presentato dal consigliere regionale del M5S Davide Tavernise.

Dal report è emerso che almeno 62 sono le unità di personale sanitario impiegato in attività rientranti nel ruolo amministrativo o comunque adibito a mansioni diverse da quelle per le quali è stato assunto. Almeno 508 invece le unità di personale sanitario con inidoneità  certificata o idoneità con prescrizioni limitanti per lo svolgimento delle mansioni per la quale è stato assunto.

«Come si diceva – ha spiegato il consigliere regionale – il dato cristallizzato è parziale poiché molte Asp, dopo 7 mesi dalla prima richiesta, non hanno ancora fornito le infomarzioni. Le risposte sono arrivate dal Pugliese-Ciaccio, dal Mater Domini, dal Gom di Reggio Calabria e dall’Annunziata di Cosenza come Aziende Ospedaliere. Ha risposto anche l’Asp di Crotone e sono incompleti i dati forniti dall’Asp di Catanzaro. Nel conteggio mancano tutti i dati relativi  all’Asp di Cosenza, salvo lo Spoke di Corigliano-Rossano, e non esistono dati riguardanti tutta l’Asp di Vibo Valentia e quella di Reggio Calabria».

«Ma perché mai le Asp, nonostante i formali richiami – si è chiesto Tavernise – non hanno fornito i dati richiesti? Senza voler pensare male, la sensazione è quella che le stesse Asp disconoscano il fenomeno nella sua reale portata».

Dal report, infatti, è emerso come all’Asp di Catanzaro, per quanto riguarda il personale adibito ad attività amministrativa, ci sono tre dirigenti medici e due collaboratori professionali sanitari, 1 collaboratore professionale sanitario e 1 tecnico sanitario di radiologia medica. Il personale con inidoneità certificata, invece, sono 18, tra cui 4 tecnici sanitari di radiologia medica, 5 operatori socio-sanitari, 2 operatori tecnici, 1 tecnico ausiliario, 1 dietista e 1 odontotecnico.

All’Asp di Cosenza, tra il personale adibito ad attività amministrativa rispetto al ruolo per cui si è stati assunti, si contanto 3 dirigenti medici e 24 collaboratori professionali sanitari-tecnici sanitari, 18 infermieri, 3 operatori socio sanitari, 2 operatori tecnici 1 e ostetrica. Il personale con idoneità certificata (con giudizio di idoneità con prescrizioni limitanti, tali da impedire
lo svolgimento delle mansioni per le quali si è assunti, i cui dati sono stati estrapolati dall’elaborazione della documentazione ricevuta), conta 18 dirigenti medici, 81 collabotatori professionai sanitari -tecnici sanitari, 46 infermieri, 16 Oss, 1 farmacista, 4 ostetriche, 3 tecnici di laboratorio, 1 tecnico di elettrofisiologia, 2 tecnici sanitari di radiologia medica, 1 impiegato, 3 operatori tecnici, 1 magazziniere, 2 commessi e 1 centralinista.

Sempre sull’Asp di Cosenza, poi, è stato fatto un focus sulle prescrizioni: su 623 visite effettuate in poco più di nove mesi dal medico competente, si riscontrano i seguenti risultati:  352 idonei alla mansione specifica; 138 idonei con prescrizioni che non influiscono sullo svolgimento delle mansioni; 129 con una o più prescrizioni di varia natura, anche tali da impedire lo svolgimento delle
mansioni previste all’atto dell’assunzione; 4 con giudizio di idoneità non previsto.

Per quanto riguarda le prescrizioni limitanti, è emerso che sono 27 da adibire ad attività di tipo prevalentemente amministrativa e sedentaria;  11 tra infermieri e Oss da adibire ad attività ambulatoriale (con esclusione delle attività assistenziali);  46 da non impiegare in turni notturni; 35 tra infermieri e Oss da non impiegare nella movimentazione dei pazienti e nel sollevamento di carichi; 8 inidonei all’assistenza sanitaria diretta con i pazienti, in reparti e/o ambulatoriale; 2 tecnici sanitari di radiologia medica con prescrizioni sull’attività di radioesposizione; 18 da non impiegare in turni di reperibilità, tra cui 12 medici e 1 ostetrica;  9 da non impiegare in mansioni comportanti stazione eretta prolungata; 3 medici e 2 infermieri non idonei ad attività di emergenza-urgenza;  3 medici da adibire ad attività medica solo nell’area dei codici bianchi; 1 medico da non impiegare in attività che prevedono l’utilizzo di taglienti o pungenti; 1 medico non idoneo all’attività in sala operatoria.

Focus poi sul Gom di Reggio Calabria, dove è emerso che, sono 4 dirigenti medici, 4 infermieri, 2 infermieri che lavorano presso l’Unità Operativa Semplice Dipartimentale (UOSD) Monitoraggio e Controllo Attività di Ricovero e 2 infermieri che infermieri lavorano presso l’Ufficio Formazione dell’Unità Organizzativa Complessa (UOC) Gestione Sviluppo Risorse Umane e Formazione sono impiegai in attività amministrativa, rispetto al ruolo per cui si è assunti. Il personale con inidoneità certificata, infine, conta 8 infermieri e 2 infermieri inidonei alle mansioni per 1 anno; 1 infermiere inidoneo alle mansioni per 3 mesi; 5 infermieri con giudizio “lavoratori fragili” per 1 anno.

All’Azienda Ospedaliero-Universitario “Mater Domini” di Catanzaro, è emerso come siano 5 i dipendenti che hanno avuto un cambio di profilo per inidoneità permanente e che rientrano tra il personale adibito ad attività amministrativa (o diversa dal ruolo per cui si è assunti), mentre sono 7 i dipendenti appartenenti al profilo sanitario che sono in possesso di relativa certificazione di inidoneità.

All’Asp di Crotone, 8 dipendenti sono stati interessati da atti di delibera/determina relativi a passaggi orizzontali. Inoltre, per quanto riguarda i giudizi di idoneità del personale sanitario, a livello Provinciale, all’Ospedale di Crotone su 763 ritenuti idonei, 157 lo sono con prescrizioni, 48 con limitazioni, 25 con limitazioni e prescrizioni e, infine, 66 non espresso.

Al Sub Distretto di Cirò Marina, 58 sono idonei, di cui 2 con prescrizioni, 4 con limitazioni e 10 non espresso. Al Sub Distretto di Crotone, 80 sono idonei, 3 con prescrizioni, 7 con limitazioni e 1 con limitazioni e prescrizioni, mentre 16 non espresso. Al Sub Distretto di Mesoraca, 48 sono idonei, mentre 2 con limitazioni e 7 non espresso. A Neuropsichiatria Infantile, solo 6 sono idonei, e 8 non espressi. Al Dipartimento di Prevenzione, 55 sono idionei, di cui 6 con prescrizioni, 1 con limitazioni e 6 non espressi.

Per il personale sanitario con rapporto convenzionato, alla data del 31/12/2022 la situazione è la seguente: Specialisti ambulatoriali e veterinari specialisti 34 con giudizio idoneo; 45 con giudizio non espresso. Medici continuità assistenziale (a tempo determinato e indeterminato) 47 con giudizio idoneo; 2 con giudizio idoneo con prescrizioni; 19 con giudizio non espresso.

Allo Spoke di Corigliano-Rossano, 3 collaboratori professionali sanitari, 1 tecnico di laboratorio all’Ospedale di Rossano e 2 infermieri dell’ospedale di Acri sono stati adibiti ad attività amministrativa, mentre 1 tecnico di laboratorio dell’Ospedale di Rossano è con inidoneità certificata.

Nel dossier, è emerso come a Corigliano ci sia una grave carenza di infermieri: sui 126 previsti, ce ne sono realmente 102. A Rossano più o meno la stessa situazione: sui 192 previsti, ne sono realmente presenti 164. Sommando i numeri, si ottiene che allo Spoke di Corigliano Rossano ci sono solo 266 medici contro i 318 previsti.

Facendo i conti, dunque (tenendo conto che la suddivisione delle categorie del personale è parziale) è emerso che il personale sanitario impiegato in attività rientranti nel ruolo amministrativo o comunque adibito a mansioni diverse da quelle per le quali è stato assunto in categoria e profilo professionale di appartenenza in totale sono 62, tra cui 10 medici, 25 infermieri, 3 Oss, 4 tecnici sanitari e 1 ostetrica. Tanti, troppi, il personale sanitario inidoneo: sono almeno 508, tra cui 18 medici, 105 infermieri, 21 Oss, l19 tecnici sanitari, 4 ostetriche e 1 farmacista.

«e pur parziale – ha detto Tavernise – comunque il dato manifesta tutta la sua importanza se si fa il confronto tra la dotazione organica della Calabria e quella in forza alla Liguria, regioni che presentano pressappoco la stessa popolazione: circa 14.832 è il personale impiegato nel 2020 in Liguria, 17.698 quello impiegato in Calabria. Al maggior personale impiegato in Calabria non corrisponde il servizio sanitario erogato in Liguria. Da cosa dipende, dunque, questo scostamento qualitativo rilevante nella prestazione sanitaria?».
«Il fenomeno dei medici imboscati – ha evidenziato – dà luogo primariamente a numeri fuorvianti: il personale sanitario “imboscato” risulta in pianta organica seppur esercita mansioni amministrative. E a nulla sono serviti ad oggi i proclami del presidente Occhiuto per cercare di risolvere il problema. Le sue buone intenzioni sono rimaste legate ad una sintetica dichiarazione verbale».
«Dal suo immobilismo, in qualità anche di commissario ad acta – ha continuato – prende forma la mia proposta di legge per iniziare a comprendere il fenomeno: proposta presentata nell’ottobre del 2022 che ad oggi non è stata neanche calendarizzata».
«Di quella legge – ha concluso – oggi voglio rilanciare tre proposte operative che spero Occhiuto voglia finalmente tenere in considerazione: Occorre una ricognizione completa del personale sanitario cosiddetto “imboscato”; le inidoneità siano valutate dall’Inps o comunque da un soggetto terzo; le inidoneità certificate portino ad una rivisitazione della pianta organica: chi non svolge la mansione di medico per inidoneità è necessario che venga conteggiato nel personale amministrativo e non quello medico». (rrm)

Sanità: prorogato di 6 mesi il Decreto Calabria

Nelle pieghe di un decreto “omnibus”, il Consiglio dei ministri ha approvato la proroga per altri sei mesi del cosiddetto “Decreto Calabria”, il provvedimento che contiene misure straordinarie per affrontare le perduranti gravi criticità del settore e per preparare il terreno al ritorno alla gestione ordinaria dell’Ssr.

Un provvedimento arrivato in “zona Cesarini” (sarebbe scaduto l’8 maggio, anche se ovviamente ora è una corsa contro il tempo per pubblicarlo entro lunedì sulla Gazzetta Ufficiale), un provvedimento che resiste ai cambi di governo (anche quelli regionali) e di colore politico delle maggioranze: nato nel 2019 con l’allora governo giallo-verde su input del Movimento 5 Stelle, il “Decreto Calabria” ora convince anche il centrodestra, che pure l’aveva a suo tempo avversato.

L’ulteriore proroga del commissariamento conferma sul piano politico l’asse tra la Giunta calabrese guidata da Roberto Occhiuto, uno dei big di Forza Italia, e il governo di Giorgia Meloni. Ma oltre che sul piano politico, anche su quello concreto questa ulteriore proroga del Decreto Calabria avrà degli effetti piuttosto significativi: i più importanti sono la permanenza in carica degli attuali commissari delle Asp e delle aziende ospedaliere (che comunque dovranno essere esplicitamente confermati entro due mesi dall’entrata in vigore del testo), e – spiegano i più attenti analisti politici – la possibilità per il governatore e commissario Occhiuto di poter godere di spazi di manovra più ampi e discrezionali nella scelta dei manager. Su un dato però in tanti osservatori concordano: con la proroga della legislazione speciale comunque viene cristallizzata ancora una volta la situazione di emergenza del settore in Calabria.

Emergenza del resto plasticamente resa ad agosto dalla decisione dello stesso Occhiuto di ricorrere all’ingaggio di medici da Cuba per sopperire alle gravissime carenze di personale sanitario. L’arrivo degli operatori caraibici – una prima tranche è entrata in servizio ad agosto negli ospedali maggiormente sofferenti della provincia di Reggio Calabria mentre altri ne sono attesi a breve – ha alimentato le sempre infuocate polemiche che caratterizzano storicamente la sanità calabrese, anche se Occhiuto ha sempre specificato che si tratta di una misura “tampone”, valida fino a quando non saranno espletati i concorsi, che sono in corso di svolgimento nell’ambito della cosiddetta “manovra d’autunno”, avviata a ottobre scorso per reclutare nuovo personale nell’ordine di complessive 3.600 nuove assunzioni.

Sono comunque ancora tanti i punti di estrema debolezza della sanità calabrese, come lo stentato start di “Azienda Zero”, il nuovo ente di governance del settore creato più di un anno fa ma ancora non del tutto operativo, anche se alcuni segnali di inversione di tendenza si stanno già materializzando.

Tra questi un primo step concreto nella ricognizione e nell’accertamento dell’enorme debito commerciale della sanità calabrese, che secondo un report della struttura commissariale guidata da Occhiuto e della Regione è stato almeno quantificato nella sua consistenza storica in oltre 860 milioni al 31 dicembre 2020. Altri segnali di inversione di tendenza messi in risalto dal commissario Occhiuto in questi ultimi mesi sono la copertura dei disavanzi delle aziende sanitarie e ospedaliere, lo sblocco delle procedure per la costruzione di tre nuovi ospedali (Sibaritide, Piana di Gioia Tauro e Vibo Valentia) ferme da anni, la nascita dell’azienda ospedaliera unica di Catanzaro Renato Dulbecco, un hub da oltre 800 posti letto che prende corpo dalla fusione del Policlinico universitario Mater Domini e dell’ospedale Pugliese Ciaccio del capoluogo, svolta anche questa attesa da anni.

Lo stesso Occhiuto ha avviato anche una campagna di “tolleranza zero” contro la disorganizzazione del settore aprendo una piattaforma online – www.sanibook.it – nella quale i cittadini possono segnalare quello che non va negli ospedali in modo da rendere più celeri (e verificabili) le soluzioni. Ora arriva questa nuova (e verosimilmente ultima) proroga del “Decreto Calabria” che è un altro strumento a disposizione di Occhiuto per accelerare la fine dell’emergenza e il ritorno alla normalità della sanità calabrese. (rrm)

PSICHIATRIA, SERVONO RISORSE E SERVIZI
BASTA INDIFFERENZA E FALSE PROMESSE

di GIUSEPPE FOTILa notizia della psichiatra uccisa da un paziente ha lasciato sgomenti tutti, creando nell’opinione pubblica un forte senso di angoscia e impotenza. Nel periodo attuale vince sempre più una visione riduttiva e poco chiara della complessità umana, conducendo la dolorosa vicenda in questione verso la ricerca spasmodica di un qualcosa che potesse giustificare l’utilizzo della giustizia e della legge come atto di vendetta o per lavarsi la coscienza.

Con questo, sia chiaro, non voglio giustificare chi deve essere punito per i suoi crimini, ma ritengo seriamente poco reale e inopportuno stigmatizzare, ulteriormente, i molti pazienti che soffrono di disagio psichico e che poco centrano con quanto successo. Il rischio di generalizzare e di confondere le idee per coprire le carenze strutturali di base e le responsabilità della politica sono evidenti. Il tutto si può ricondurre, se ricordano bene i nostri cari politici, alla famigerata e spasmodica ricerca del risparmio a tutti costi che ha reso la sanità un cumulo di macerie, a danno di cittadini e operatori che si sentono sempre più abbandonati a sé stessi.

La violenza, che non ha colore, ceto sociale o altra conformazione che la possa rinchiudere in un determinato involucro predefinito, è parte integrante e recondita dell’animo umano e in un passato lontano ci era anche servita per sopravvivere dagli attacchi delle belve feroci. Oggi, per scatenare le masse verso chi non centra o per trovare un alibi che distolga l’attenzione sui reali problemi, si usa la propaganda come richiamo nei vari incontri politici per incantare l’esiguo numero degli utili idioti presenti.

La verità è che sono anni che ripetiamo che il settore psichiatrico necessita di maggiori risorse e invece di ascoltarci lo si impoverisce sempre di più, fin quando, sulla pelle di un’onesta professionista, si è arrivati, miracolosamente, alla deduzione che bisogna interrogarsi nei tavoli istituzionali, non per capire la profondità del problema, ma per cercare sempre di demandare le proprie responsabilità su qualcosa o su qualcun altro. Si sono scomodati in tanti (solo ora e non si sa se concretamente) e tutti concordi che bisogna intervenire al più presto. Ma mi chiedo, e vi chiedo, ma prima dove eravate quando noi operatori denunciavamo pubblicamente che la situazione era critica e ingestibile?

 Noi operatori, quelli delle così infangate e denigrate strutture residenziali, quelli che si sono fatti carico da sempre di tutte le carenze sanitarie pubbliche e nello stesso tempo cercando di dare un servizio dignitoso ai nostri pazienti.

 Le lotte fatte, ancora oggi in atto, non hanno mai registrato la presenza di nessuno di quelli che, del settore e non, gridano alla vergogna e cercano di portare avanti degli argomenti senza senso, solo per proprio vantaggio. Siamo soli, consapevoli di esserlo da tempo, e nel leggere nelle testate nazionali che si chiedono, come volendoci prendere in giro, nuovi strumenti sia dal lato sanitario che della giustizia… La cosa mi lascia seriamente perplesso, amareggiato e tanto arrabbiato. 

Le parole scorrono come fiumi nella mia testa e si vorrebbero infrangere come onde di uno tsunami contro la parete della vostra indolenza e falso perbenismo che porta la psichiatria verso il baratro e hanno portato alla fine di una vita umana, che poteva essere salvata se solo fosse stati attenti ad ascoltarla. Affrontare le gravi criticità psichiatriche e permettersi di parlare della legge Basaglia vuol dire che almeno una volta nella vita, per capire in fondo la problematica, ci si è “sporcati le mani” scendendo dal vostro piedistallo e uscendo dalla sicurezza dai vostri patinati uffici per recarvi nelle trincee, dove quotidianamente si consuma il dolore oscuro dell’anima che affligge migliaia di utenti che cercano solo conforto e aiuto.

La nostra regione, nello specifico, è povera di servizi perché avete promesso tanto e mantenuto poco, anzi niente, perché il disagio mentale non interessa e non porta voti. Aspettiamo da tempo gli accreditamenti delle strutture residenziali del territorio, baluardo, nel bene e nel male, di chi cerca comprensione e riparo da una società che se produci vali e vai avanti, altrimenti verrai smaltito come spazzatura.

Il blocco dei ricoveri, altra prepotenza incostituzionale, ha creato ulteriori disagi a famiglie e utenti e il tutto nel silenzio assordante della politica che si distraeva per non sentire per poi piangere per chi perisce per la loro precedente incuria, promettendo mari e monti come da copione. Non cercheremo più di comprendere perché siamo seriamente stanchi e pretendiamo risposte celeri, non si gioca sulla pelle delle persone e sulla sofferenza e va ricordato che tra le malattie incurabili che l’uomo ha generato e che vanno debellate c’è… l’indifferenza. (gf)

[Giuseppe Foti è operatore psichiatrico a Reggio Calabria]

SANITÀ, DA 20 ANNI NEL RIPARTO DEI FONDI
ALLA CALABRIA TOCCANO SEMPRE DI MENO

di GIACINTO NANCII politici calabresi si stanno accapigliando perché ognuno vuole nella propria provincia la facoltà di medicina e chirurgia perdendo ancora una volta di vista i veri problemi della sanità calabrese che continua ad andare al macello.

Dopo 13 anni di piano di rientro infatti i conti della sanità calabrese continuano ad essere bocciati dalla Corte dei Conti, e siamo ultimi in Italia per applicazione dei Lea, ma la cosa più grave è che a parità di patologia, specialmente tumorale, in Calabria si muore prima che non nelle altre regioni.

Invece di accapigliarsi per avere ognuno la facoltà di medicina nella propria provincia che al massimo sforna laureati che poi emigrano, i politici calabresi dovrebbero battersi per modificare i criteri di riparto dei fondi sanitari alle regioni perché la Calabria è la regione che riceve pro capite, da più di 20 anni a questa parte, meno fondi per la sua sanità pur avendo tra i suoi circa due milioni di abitanti ben 287000 mila malati cronici in più che non in altri due milioni di altri italiani per come certificato anche dall’ormai lontano Dca N. 103 dell’ex commissario al piano di rientro sanitario calabrese Scura del 30/09/2015. Dca vidimato sia dal ministero dell’Economia che da quello della Salute, quindi tutti sanno.

A favorire questa necessaria battaglia dei politici calabresi per una migliore sanità è avvenuto che il governatore della regione Campania l’estate scorsa ha fatto un ricorso al TAR per contestare proprio i criteri di riparto dei fondi sanitari alle regioni che a suo dire penalizzano la Campania. Il ricorso ha una totale validità, tanto che prima che il Tar si sia pronunciato, la Conferenza Stato Regioni e il Governo hanno promesso e programmato per il prossimo anno la modifica dei criteri di riparto dei fondi sanitari alle regioni, comprendendo che il ricorso verrà sicuramente accolto. I politici calabresi avrebbero dovuto già da molto tempo fare loro il ricorso al Tar prima della regione Campania proprio perché la Calabria è molto più penalizzata non solo rispetto alla regione Campania ma rispetto a tutte le altre regioni.

Per rendere l’idea di quanto la Calabria e le regioni del sud sono penalizzate dall’attuale criterio di riparto dei fondi sanitari alle regioni basti dire che nel 2017 è stata fatta una modifica “parziale” (per come specificato dall’allora presidente delle Conferenza Stato-Regioni on. Bonaccini) dei criteri di riparto basati sulla “deprivazione” e non su quelli “demografici” correnti. Ebbene in base a questa parziale modifica (non riproposta ne tantomeno ampliata negli anni successivi e da qui il ricorso al Tar) alle regioni meridionali sono stati assegnati in più nel 2017 rispetto al 2016 ben 408 milioni di euro e se si considera che la modifica era solo parziale si potrebbe moltiplicare la cifra almeno per 4 e se questo riparto fosse stato fatto da 20 anni a questa parte in cui il riparto è stato fatto invece  con il criterio “demografico” la sanità del sud e quella calabrese, che è quella più penalizzata da questo criterio di riparto, avrebbero avuto molte più opportunità.

La sanità calabrese oltre a questo handicap del criterio di riparto è penalizzata anche dal piano di rientro stesso cui è sottoposta da oltre 13 anni perché esso fa ulteriori tagli alla sua spesa sanitaria, già insufficiente, proprio per ripianare il presunto deficit, e impone una maggiorazione delle tasse (Irap, Irpef, Accise etc..) ai calabresi, peggiorando oltre alla salute anche l’economia calabrese. Che fare allora?

Invece di litigare per la facoltà di medicina la Calabria si deve mettere alla testa delle regioni meridionali (così si ha più forza) perché il criterio di riparto dei fondi sanitari venga realmente e giustamente fatto non solo in base ai criteri della “deprivazione”, come vuole fare il governo e che ci darebbe certamente più fondi, ma  anche in base alla numerosità delle malattie presenti nella varie regioni in quanto essendo la regione con più  malattie croniche ci assegnerebbe i fondi giusti per poterle curare.

Con i fondi in più potremmo, invece di fare campanilismo per la facoltà di medicina nella propria provincia, pensare di creare dei centri di eccellenza per le varie patologie perché uno dei fenomeni che peggiorano i conti della sanità calabrese sono proprio le spese per le nostre cure fuori regione nei centri di eccellenza del nord, che nel 2021 sono giunte alla stratosferica cifra di 329 milioni di euro. Un esempio per capire.

La Calabria con una prevalenza di diabete mellito del 12% non ha un centro per la cura del piede diabetico, la regione Lombardia con una prevalenza di diabete del solo 4% ha più centri per la cura del piede diabetico, per cui i calabresi poi devono andare in questi centri al nord solo per l’amputazione del piede e non per la sua cura. Lo stesso vale per altre patologie.

E se si considera che la creazione di un centro di eccellenza costa pochissime decine di milioni di euro, con i fondi in più che dovremmo ricevere con la modifica dei criteri riparto, potremmo permetterci, oltre ai centri di eccellenza per le malattie croniche, perfino un centro di eccellenza “sullo studio della neurofisiopatolgia del canto del grillo”. Se vogliono fare un favore ai calabresi i nostri politici devono da subito iniziare la battaglia per la modifica del riparto dei fondi sanitari e oggi c’è l’opportunità di farlo visto sia il ricorso al Tar della regione Campania e sia gli ultimi gravi rilievi fatti dal Tavolo Adduce (organo ministeriale che ogni anno monitora le regioni in piano di rientro) al commissariamento della sanità calabrese, al commissario Occhiuto e al piano di rientro calabrese.

Altrimenti come i polli di Renzo, i nostri politici, faranno continuare a finire al macello i malati calabresi (che continueranno a morire prima degli altri italiani a parità di patologia). (gn)

1° GIORNO DEI MEDICI CUBANI IN CALABRIA
AIUTO IMPORTANTE ALLA SANITÀ MALATA

di MICHELANGELO TRIPODI – In questi giorni stanno prendendo servizio negli ospedali calabresi i primi 51 medici cubani (13 donne e 38 uomini) giunti in Calabria a fine dicembre 2022, in base ad un accordo voluto dal Presidente della Regione Roberto Occhiuto e firmato a fine luglio 2022 con la società a partecipazione statale cubana Comercializadora de servicios médicos cubanos (CSMC).

Il soccorso cubano alla Calabria, primo del genere nell’Unione Europea, è il frutto dell’Adpc (Accordo di Dialogo Politico e di Cooperazione) tra l’Unione europea e la Repubblica di Cuba (Decisione (Ue) 2016/2232 del Consiglio del 06 dicembre 2016). I cinquantuno medici sono il primo contingente di un gruppo più ampio: l’accordo riguarda, complessivamente, 497 professionisti e dovrebbe aiutare, per i prossimi tre anni, il servizio sanitario regionale a rispondere all’ormai cronica assenza di personale medico specializzato.

I 51 medici cubani, in queste settimane hanno svolto un corso intensivo di lingua italiana, presso l’Unical di Rende (CS). Da oggi 23 gennaio i medici cubani cominceranno la loro attività professionale nell’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria (10 nell’ospedale di Gioia Tauro, 16 in quello di Locri, 9 a Melito Porto Salvo e 16 nell’ospedale di Polistena).

L’avvio dell’operazione è stato battezzato dall’ambasciatrice di Cuba, Mirta Granda Averhoff, che è venuta in Calabria per incontrare i medici, insieme al Presidente Occhiuto. Ancora una volta, come Fidel Castro aveva più volte detto in passato, “Cuba non esporta bombe, ma medici che salvano le vite”.

La scelta difficile e coraggiosa assunta dal Presidente Roberto Occhiuto, che non dimentichiamolo è espressione di Forza Italia, è stata motivata dalla condizione disastrosa in cui versa la sanità calabrese, alla quale i 12 anni di commissariamento governativo, con la nomina di personaggi spesso totalmente incompetenti e inadeguati, hanno dato il colpo di grazia.

È una scelta che sosteniamo e condividiamo contro i tentativi di bloccare l’operazione, anche perché si muove controcorrente: in un mondo segnato da muri e barriere è assai importante che dalla Calabria parta un messaggio forte di apertura, dialogo e condivisione.
Oggi la Calabria è collocata all’ultimo posto della graduatoria nazionale per quanto riguarda i Lea (Livelli Essenziali di Assistenza), mentre ogni anno circa 300 milioni di euro del fondo sanitario regionale vengo trasferiti in altre regioni, per coprire la massiccia emigrazione sanitaria (circa il 20% dei ricoveri di cittadini calabresi viene effettuato presso strutture sanitarie del Nord o comunque fuori dalla regione).

Inoltre, una parte importante delle risorse pubbliche vanno verso la sanità privata, che continua ad ingrassare, mentre cala sempre più il livello di garanzia, di tutela e di assistenza sanitaria nel settore pubblico e il diritto alla salute continua ad essere negato. La presenza dei medici cubani servirà, quindi, ad affrontare l’emergenza di una situazione in cui è gravissima la mancanza di medici, visto che molti bandi sono andati deserti, e ad impedire la chiusura di interi reparti e di diversi ospedali, ma la soluzione definitiva dei problemi della sanità calabrese deve ancora arrivare e va ricercata ed individuata con la massima celerità.

In Calabria la sanità ha bisogno di una riforma strutturale, a partire dalla realizzazione di nuovi ospedali, dalla stabilizzazione del personale sanitario precario, dal reclutamento a tempo indeterminato dei medici e paramedici mancanti (si parla di una carenza di almeno 8.000 unità tra medici, infermieri, tecnici, Oss, ausiliari, ecc.), dall’aumento dei posti letto e delle terapie intensive, dal potenziamento della medicina sul territorio, garantendo i servizi sanitari fondamentali, erogando nuovi servizi e prestazioni ai cittadini, eliminando le lunghe liste d’attesa e bloccando l’emigrazione sanitaria per rendere effettivo ed efficace il diritto alla salute per i cittadini calabresi, con un’offerta sanitaria che possa essere soddisfacente.

Più in generale occorre finirla con la politica dei tagli sulla sanità, aumentando le risorse finanziarie investite nella sanità, garantendo una sanità pubblica, efficiente, di qualità e gratuita in tutte le regioni con un servizio universale, senza avere sanità di serie A al nord e di serie B al sud. Inoltre, occorre abolire il numero chiuso nelle Facoltà di Medicina che ha provocato danni enormi e una grave carenza di medici nella sanità italiana.

Una buona notizia, comunque, è arrivata recentemente in Calabria con l’attivazione, a partire dell’anno accademico 2023/24, presso l’Unical dei nuovi corsi di laurea in infermieristica e in Medicina e chirurgia: ciò, nel prossimo futuro, darà un contributo importante al sistema sanitario regionale, raddoppiando il numero dei laureati nelle professioni sanitarie che usciranno dalle università calabresi.

Rimane il fatto che la Regione Calabria, guidata da un Presidente che non è mai stato comunista, si vede costretta a “chiedere aiuto ai comunisti” (come, d’altronde, hanno scritto i giornali di destra per attaccare questa operazione), riconoscendo l’eccellenza di un modello sanitario di un paese come Cuba, che è bersaglio della destra neoliberista mondiale ed europea perché, nonostante l’embargo statunitense che dura dal 1962, è riuscita a costruire negli anni un sistema sanitario, educativo, sportivo e culturale di eccellenza, esempio per tutti i paesi in via di sviluppo.

Che i medici cubani aiutassero a salvare vite in ogni parte del mondo era una realtà conosciuta da tempo, ma non pensavamo mai che questa missione avrebbero dovuto compierla in una regione della ricca e potente Europa capitalista. Evidentemente il mondo sta cambiando e questi sono i segnali che sono possibili anche cambiamenti positivi. (mt)

[Michelangelo Tripodi già consigliere e assessore regionale]

L’IGNOBILE ACCISE AGGIUNTIVA SU BENZINA
CHE PAGHIAMO SOLTANTO NOI CALABRESI

di GIACINTO NANCIC’è un gran dibattito sul taglio, da parte del governo, degli sconti delle accise sulla benzina e sul suo conseguente aumento di prezzo. C’è una regione, la Calabria, che ha sulla benzina una accisa aggiuntiva che ha continuato a pagare anche negli anni passati (quando per le altre regioni erano scontate) infatti le paga fin dal 2009 (art. 2 comma 86 legge 191 del 2009) a causa dell’imposizione del piano di rientro sanitario cui è sottoposta fin da allora.

Adesso noi calabresi continuiamo a pagare sulla benzina accise aggiuntive alle altre per cui in Calabria la benzina costa di più. Ma, oltre alle accise sulla benzina, di tasse la Calabria, sempre a causa del piano di rientro, ne paga molte di più delle altre regioni. Noi calabresi paghiamo più ticket sulle prestazioni sanitarie, più Irpef e più Irap più tasse sulla tassa di circolazione etc…

Infatti un lavoratore calabrese con un imponibile di 20000 euro lordi paga, rispetto ad un lavoratore lombardo o piemontese, ben 408 euro di Irpef di più all’anno e sempre da 12 anni a questa parte. Un imprenditore calabrese con un imponibile lordo di un milione di euro paga, rispetto ad un imprenditore veneto e toscano, ben 10.700 euro in più.

Il tutto a causa della imposizione alla Calabria del piano di rientro sanitario nel dicembre 2009 per un presunto deficit della spesa sanitaria in quanto la Calabria spendeva più soldi per la sua sanità di quante ne riceveva nel riparto dei fondi sanitari alle regioni. Lo “sforamento” è dovuto al fatto che la Calabria è la regione che riceve da più di 20 anni per la sua sanità meno fondi pro capite delle altre regioni nonostante che nei suoi circa due milioni di abitanti ci sono ben 287000 malati cronici in più che in altri due milioni di altri italiani. Dato questo certificato, oltre che da tutti gli istituti che si interessano di statistica sanitaria, anche dal Dca n. 103 del lontano 30/09/2015 firmato dal commissario al piano di rientro sanitario calabrese ing. Scura e vidimato sia dal ministero dell’Economia che da quello della Salute, della serie tutti sanno.

Quindi alla regione con molti più malati cronici e quindi con una necessità di spesa maggiore, sono arrivati per tutti questi anni meno fondi in assoluto. Infine la Calabria sta pagando 30 milioni all’anno per 30 anni per un prestito di 424 milioni di euro, fatto alla Calabria dal Governo nel 2011, con un tasso di interesse del 5,89% che è un tasso che si avvicina a quello usuraio per questi tipi di prestiti che è del 6,34%, quindi il governo fa quasi l’usuraio nei confronti della Calabria.

Ed è per tutti questi motivi che i soldi non sono potuti bastare per curare i troppi malati cronici. Il piano di rientro sanitario ha peggiorato sia la salute dei calabresi che i conti della sua sanità. Infatti è facile comprendere che il malato cronico che non si può curare peggiora e poi per essere curato costa molto di più ed è per questo che dopo 12 anni di commissariamento il disavanzo non si è azzerato ma, quello annuo,  è raddoppiato nonostante il lunghissimo commissariamento (dal 2009) e nonostante che dal 2018 in Calabria sono state commissariate oltre la sanità regionale anche tutte e 5 le sue Asp e i tre ospedali principali: Annunziata di Cosenza, Pugliese di Catanzaro e Morelli di Reggio Calabria.

Ed è perfino triplicata la spesa annua dei calabresi per le cure fuori regione che è arrivata alla stratosferica cifra di 329 milioni di euro nel 2021. Anche un bambino si chiederebbe, a differenza dei governi nazionale e dei politici calabresi, come mai il deficit sanitario peggiora nonostante dodici anni di commissariamento totale di tutta la sanità calabrese e nonostante la super tassazione cui i calabresi sono sottoposti per ripianare il presunto deficit sanitario.

È evidente che la causa del presunto deficit è la sproporzione tra il sottofinanziamento a fronte di un alto numero di malati cronici per cui l’unica soluzione sarebbe quella di finanziare le sanità regionali non più come fatto fino ad adesso ma in base alla numerosità delle malattie presenti in ogni regione. Oggi sappiamo quanto costa curare una patologia cronica per un anno, sappiamo quali e quante malattie croniche ci sono in ogni regione e sarebbe possibile finanziare le sanità regionali in base ai reali bisogni delle popolazioni. Tutto ciò e talmente vero che la Campania ha fatto ricorso al Tar proprio perché ritiene ingiusto l’attuale criterio di riparto dei fondi sanitari alle regioni e che la Conferenza Stato Regioni ha dovuto prenderne atto e programmare la modifica del riparto dei fondi per l’anno venturo.

È, quindi, l’occasione perché si faccia un riparto che vada incontro ai reali bisogni dei malati e non riproporre quella parziale modifica (basata sulla “deprivazione” che continua a penalizzare la Calabria) fatta solo nel 2017 che ha modificato, ma solo pochissimo, l’attuale ingiusto criterio di riparto. La Calabria deve richiedere un riparto in base alla numerosità delle malattie non altro.

Adesso o mai più, altrimenti il piano di rientro sanitario calabrese non avrà mai fine e continueremo a non poterci curare nonostante le molte tasse che paghiamo in più delle altre regioni. (gn)

[Giacinto Nanci è dell’Associazione Mediass – Medici di Famiglia Catanzaro]

Debito sanità, Bevacqua (PD): Serve un cambio di passo e netto miglioramento dei Lea

Il capogruppo in Consiglio regionale del PD, Mimmo Bevacqua, è intervenuto in merito alle repliche e controreplice sui debiti della sanità calabrese, evidenziando come si «rischia di far perdere di vista il dato fondamentale: i Lea continuano tragicamente a peggiorare».

«E non sarà un’operazione di analisi finanziaria a farli migliorare; tantomeno una serie di mail inviate ai possibili creditori, alle quali sono pervenute risposte soltanto dalla metà dei destinatari» ha detto Bevacqua, aggiungendo che «nessuno mette in dubbio che la certificazione del debito sia una buona cosa, ma vorremo che fosse altrettanto chiaro che i crediti vantati erano già stati quantificati dal Tavolo Adduce e dalla Corte dei Conti».

«Ma non è ripetere le quantificazioni che cambierà la realtà – ha evidenziato –. Perché quel che più conta, è che i conteziosi sono tutti aperti; i bilanci Asp restano buchi neri; le ingiunzioni bloccate per un anno dal Decreto Calabria torneranno vive e vegete nel 2024, forse anche con gli interessi; c’è una montagna di risorse che nessuno spiega perché non siano state utilizzate e dove siano andate a finire; i calabresi non hanno servizi, non trovano ospedali attrezzati, non trovano personale, non trovano assistenza e permangono nella inaccettabile necessità della migrazione sanitaria».

«Lasciamo perdere – ha concluso Bevacqua – gli spot facili a autoassolutori e  anche questo tipo di contrapposizioni che non appassionano nessuno». (rrc)

SANITÀ, LA GRANDE INCOGNITA È IL DEBITO
SCOPRIRNE LE CAUSE E PAREGGIARE I CONTI

di SANTO GIOFFRÈ –  Ho letto con grande e dimessa attenzione quanto riportato dai giornali, intorno alla conferenza stampa del Presidente della Regione Calabria, Occhiuto, sulla repentina cognizione e accertamento del debito sanitario delle Asp e Ao della Calabria, che ammonterebbe a “soli” 1,2 miliardi.

Portandomi la sventura di capire e… vedere, oltre le parole, bisogna dar merito ad Occhiuto di aver detto tante cose vere ma, anche, molte cose lasciate, volutamente, mute. Occhiuto, fin dall’inizio e fino alle Europee, sa che si gioca il tutto intorno al disastro della sanità. All’inizio, e finché non si scottò con uscite improvvisate, maneggiò l’argomento con il tipico atteggiamento dei populisti qualunquisti di destra, simile agli attuali governanti, a caccia di facili applausi o incolpando chi vi era stato prima, compresi i suoi stessi di coalizione, e deliberando atti privi di efficacia, come, ad es. l ‘Azienda Zero, strumento efficace solo dove operano decennali culture consolidate di legalità e normalità.

Quando, poi, pur avuto, trionfalmente, pieni poteri e un governo per amico, incominciò a mettere le mani in pasta, si accorse che dentro la pentola c’era, solo, brodo bollente. Ma, poichè il collasso del sistema dell’emergenza-urgenza, in Calabria, è imminente, infrangendo e violentando qualsiasi postulato ideologico, fregandosene dei remissivi, indignati mugugni dei suoi alleati fascio-leghisti, ha fatto ciò che ad un qualsiasi Presidente di Sinistra della Regione Calabria sarebbe stato impedito con una feroce campagna di stampa nazionale e internazionale e da raggiri tipici nella guerra fredda.

Occhiuto, da navigato democristiano, allora chiama e mette a contratto dei bravissimi professionisti, Medici proveniente da una delle ultime Nazioni al mondo Comunista. Intendiamoci: come già sapete, fin dal principio, io ho appoggiato tale decisione di Occhiuto. Non per questioni ideologiche, ma perché conscio del disastro sanitario che sta arrivando.

Ma torniamo alla sua trionfale conferenza stampa sulla ricognizione del debito. Occhiuto dice che esso ammonta, fino al 2022, ad 1,2 miliardi e che è solo di poco superiore a quello delle altre Regioni. Sì, giusto, solo che nelle altre Regioni che sono dotate, da sempre, di sistemi di controllo della spesa e hanno bilanci consolidati, quel debito è di normale gestione. Quello calabrese, invece, è un debito tossico.

Mi spiego: se su 14 mila pec inviati ai fornitori che risultano di avere in portafoglio crediti delle Asp Calabresi, chiedendo i crediti vantati, rispondono solo in 1300, può, solo, significare o che tutti gli altri, i soldi, se li siano già presi senza che le Asp, o la Regione, lo sappiano o non lo vogliono dire perchè, possedendo decreti ingiuntivi, assegnazioni o altro, non vogliono farlo… In Italia, si può negare la proprietà derivante da un credito vantato verso altri? Potreste dirmi voi: come, le Asp non sanno che, in passato, hanno pagato? Ma come, dal 2000 al 2015, come hanno rubato, chissà quanti miliardi, per es, all’Asp di RC.? Le assegnazioni non regolarizzate, cos’erano?

Presidente Occhiuto, per ciò che è successo in passato, che facciamo, stendiamo un velo pietoso? Perchè non apriamo un grande dibattito su questo? Oppure, come ci rapportiamo con certi poteri che, causando questo sfacelo, hanno tenuto e tengono la Sanità Calabrese dentro i rigori, che è macelleria sociale, del Piano di Rientro? Glielo dico sa perchè? Perchè lei, con grande onestà intellettuale, ha citato l’Ing.Massimo Scura che tentò di fare quello che Lei ora ha fatto e, siccome, per mia sventura da coro greco, io fui testimone diretto di quell’epoca, essendo stato il più stretto collaboratore di Scura, finchè mi lasciarono Commissario dell’Asp di RC.

Quando, sia Scura che il Presidente Oliverio, mi ordinario di tirare fuori tutto il marcio che c’era in quell’Asp, perché, dopo 15 gg dal mio insediamento, mi apparve l’inferno del tranquillo sistema truffaldino che lì, da decenni, operava, facemmo ciò che si potette fare, ma ci mancò il supporto necessario, come Lei, ripeto, con grande onestà riconosce, perché lo Stato ci lasciò da soli, non dotandoci degli strumenti necessari, come nel caso di Reggio Calabria.

Infatti, già allora avevo chiesto il supporto della Guardia di Finanza, attraveso un’interrogazione parlamentare presentata dall’ottimo deputato Sabasiano Barbanti, e la collaborazione totale, e senza tentennamenti, della Banca d’Italia affinchè ordinasse alle varie Banche tesoriere dell’Asp di R.C. ,che si erano succeduti nel tempo, l’elenco completo delle singole fatture pagate attraverso i pignoramenti presso terzi, in modo tale da negativizzarli nel sistema in uso all’ufficio economico dell’Asp stessa. Cosa mai concessomi e sempre rifiutata a me ed ai miei predecessori. Certo, ora il debito è quello. Gran parte è stato pagato.

Sì, ma quante volte? E perche dovranno restare, i ladri, se mai fosse vero, impuniti? Vedo che lei usa il termine “mitologico” che, per anni ha aleggiato nelle stanze della Regione o sui giornali… parlando del debito dell’Asp di RC. che ammonterebbe, da solo, ad un miliardo in base ai decreti ingiuntivi esistenti, ma che sarebbero molti di meno perchè non contabilizzati i 6/700 milioni già pagati, all’interno di un bilancio dell’Asp non esistente fin dal 2013.

Bene, la lascio con due mie constatazioni: 1) È normale che, in un’Europa e nell’Italia del fare, dell’efficienza e di ogni lotta al malaffare, un’Asp si veda bocciato il bilancio, nel 2013, perchè dichiarato non supportato da documenti certi, e tale rimanga per 10 anni senza che nessun facesse nulla o intervenisse? Io, capendo, mi ero intestardito a ricostruire il bilancio, nel 2015, ed allora era ancora possibile farlo. Mi cacciarono prima! 2) Le sempre una cosa normale che, per pagare, forse (?) quei 6/700 milioni di debiti (da Lei citati), dal 2016 e tutt’ora, si siano insediati, presso la stessa Asp, ben 800 Commissari ad Acta, nominati dal Prefetto come effetto di ottemperanza presso i vari Tar perché solo così i tanti fornitori onesti sono riusciti ad avere ciò che era loro dovuto?

Il Commissario ad acta, figura eccezionale e quasi non esistente nelle Asp delle Regioni del Nord, non solo ha la prerogativa di poter prelevare le somme dovute da qualsiasi capitolo di spesa, quindi non dedicato, ma il suo onorario viene pagato dal bilancio, già asfittico dell’Asp. E se si moltiplica il numero dei Commissari per ciò che è dovuto loro, si capisce, ancora di più l’enormità del dramma. Ecco, allora, ben venga la sua azione, ma non facciamo di tutta l’erba un fascio o lasciamo che i furbi e i disonesti danzino intorno alla nostra fame di onestà di del fare.

Ci sono, possibili ed auspicabili, due modi di agire paralleli: risolvere l’effetto ma, anche, scoprire la causa. Altrimenti, grideremmo alla luna nel pazzo perchè l’effetto, se non si conosce e si estirpa la causa, permane e può causare il collasso definitivo. (sg)

SANITÀ CALABRIA, PER LA CORTE DEI CONTI
NON È CHIARO L’UTILIZZO DELLE RISORSE

di GIACINTO NANCILa sezione Corte dei Conti della regione Calabria nella seduta del 01 dicembre 2022 ha messo in evidenza le gravi criticità della sanità calabrese evidenziate sia dal suo ultimo posto nella graduatoria nazionale nell’applicazione dei Lea (Livelli Assistenziali di Assistenza) con miseri 125 punti ed anche  in regressione rispetto all’anno precedente, sia per la mancata approvazione del documento contabile che non pone alcuna certezza in ordine alla modalità di impiego delle risorse e sia per la stratosferica spesa di 242 milioni di euro per le cure dei calabresi fuori regione.

Ma come è possibile che possa accadere una cosa simile visto che la sanità calabrese è sotto piano di rientro dal 2009 e commissariata dal 2010 e visto che la regione Calabria da circa 4 anni ha commissariate sia tutte e 5 le sue aziende sanitarie che i tre più grandi ospedali regionali?

L’applicazione del piano di rientro sanitario e tutti gli altri commissariamenti sono stati imposti alla regione Calabria per un presunto deficit della sua spesa sanitaria causata dalla presunta cattiva amministrazione degli amministratori calabresi. Ma se dopo tredici anni di piano di rientro e di un totale commissariamento della sua sanità la Corte dei Conti registra l’ulteriore peggioramento dei Lea, l’ulteriore aumento della spesa sanitaria dei calabresi fuori regione e la mancanza di un documento contabile dobbiamo allora pensare che la causa di tutto ciò non sono stati ne i “cattivi” amministratori calabresi e neanche il fatto che siano stati mandati, dai governi nazionali, in Calabria in questi 13 anni dei commissari tutti incapaci, ma qualcos’altro.

Ed in effetti il vero problema del presunto deficit sanitario, dei Lea in caduta e della disastrosa situazione della sanità calabrese sta nel fatto che da più di 20 anni a questa parte alla Calabria vengono assegnati in assoluto, in confronto con le altre regioni,  meno fondi per la sua sanità nonostante la necessità di una maggiore sua spesa sanitaria per i molti malati cronici in più rispetto alla media nazionale per come è stato certificato perfino dal commissario al piano di rientro Scura già nel lontano 30/09/2015 con il dca N. 103 vidimato, per come prevede il piano di rientro, prima dal Ministero dell’Economia e poi da quello della Salute.

Quindi dal governo in giù tutti sanno che la Calabria riceve meno fondi pro capite in assoluto per la sua sanità nonostante abbia tra i suoi residenti moltissimi malati cronici in più (circa 300.000 per come è facile conteggiarli dalle dettagliate tabelle del Dca n. 103 del commissario Scura) e tutti sanno che è proprio questa la vera causa di quanto denunciato dalla Corte dei Conti. Anche un bambino sa che i pochi fondi arrivati in Calabria non hanno permesso che i suoi molti malati cronici si potessero curare bene e un malato cronico che non si cura peggiora e poi per potersi curare costa molto di più e peggiora a tal punto che poi per curarsi deve recarsi nei costosissimi centri di eccellenza fuori regione con ulteriore peggioramento della spesa sanitaria e del presunto deficit.

Ed è proprio ciò che è accaduto in Calabria, ed è per questo che 13 anni di piano di rientro e quattro di totale commissariamento hanno portato ad un ulteriore peggioramento dei livelli di assistenza e dei conti sanitari della Calabria. Allora si può perfino perseverare con il piano di rientro e i commissariamenti, nonostante che siano essi stessi a far peggiorare la sanità calabrese, ma bisogna assolutamente modificare il criterio di riparto dei fondi sanitari alle regioni basandolo sulla presenza della numerosità dei malati cronici che è il vero indicatore dei reali bisogni delle sanità regionali.

L’ultima conferenza delle regioni ha posto le basi per una modifica del riparto dei fondi per il prossimo anno basato sulla mortalità sotto i 75 anni e sulla “deprivazione” e ciò configura sicuramente  una prima presa di coscienza del problema di un corretto riparto, ma che sicuramente è poca cosa perché questa modifica di riparto dei fondi porta una variazione di pochissime decine di milioni di euro mentre con il criterio della differente numerosità delle malattie croniche nelle  varie regioni la modifica del riparto è dell’ordine di centinaia di milioni di euro. Ed è questa l’unica e vera soluzione per un corretto riparto dei fondi sanitari alle regioni.

Una ultima considerazione che denuncia l’aberrazione del piano di rientro sanitario è il fatto che, a causa di esso è stato imposto dal governo alla Calabria un prestito forzoso ed usuraio di 424 milioni euro per il quale noi calabresi restituiremo ben 924 milioni in 30 anni dal 2011. Stiamo pagando ben 30.7 milioni di euro all’anno invece di 16 perché su quel prestito forzoso ci è stato applicato dal governo un tasso quasi usuraio del 5.89% (tasso usuraio per le anticipazioni di cassa è del 6,3%).

Quindi ci è stato imposto non solo un ingiusto piano di rientro che ha ulteriormente ridotto gli insufficienti fondi alla sanità calabrese ma anche un altrettanto prestito usuraio e come se tutto ciò non bastasse noi calabresi stiamo pagando, sempre a causa del piano di rientro, più tasse degli altri italiani. Infatti per ripagare il presunto deficit sanitario un lavoratore calabrese con un imponibile di 20.000 euro paga da ormai 12 anni a questa parte ben 406 euro in piu’ di Irpef di ogni altro lavoratore italiano ( e lo dovrà continuare a farlo per i prossimi 28 anni) e un imprenditore calabrese con un imponibile di un milione di euro paga ben 10.700 euro in più di Irap degli altri imprenditori italiani così il piano di rientro oltre a far peggiorare la salute dei calabresi mette in rovina anche la sua economia.

Allora per porre fine alle ingiustizie verso i malati calabresi e la Calabria tutta: 1) fine del piano di rientro, 2) fine dei commissariamenti, 3) riparto dei fondi sanitari alle regioni basato sulla numerosità delle malattie presenti, 4) fine della super tassazione e 5) restituzione dei soldi sottratti con il prestito usuraio. (gn)

[Scritto insieme ai medici dell’Associazione Mediass – Medici di Famiglia Catanzaro, Fabiano Esterina, dott.ssa Greco Antonietta, dott. Muscolo Andrea e dott. Rossi Carmelo]