di BRUNO TUCCI – Questo ponte non s’ha da fare”, direbbero i bravi di Don Rodrigo a Matteo Salvini.
«State certi, se lo godranno i nostri figli e i nostri nipoti», risponde piccato e con la caparbietà di un terrone il segretario della Lega. Personalmente avendo i capelli bianchi, anzi bianchissimi, posso assicurare i lettori che di quest’opera ne sento parlare da almeno mezzo secolo. Ora il governo di centro destra ha deciso ed i lavori (così sembra) inizieranno alla fine di settembre. Ne siamo sicuri?
Non del tutto, perché dubbi e perplessità nascono giorno dopo giorno. L’unica certezza è quella che il ponte costerà 13 miliardi e mezzo di euro. Una cifra consistente sulla quale non mancano spesso e volentieri polemiche di cui l’Italia è piena.
In primo luogo, sostengono quelli che sono contro, la spesa aumenterà ancora visto che il cantiere dovrebbe chiudere i battenti nel lontano 2030. Sarà quello l’anno o si andrà ancora avanti, dati i tanti ostacoli che si incontreranno durante il cammino?
I soldi che si spenderanno sono tanti ed è su questo punto che si innesta il braccio di ferro tra i pro e i contro. Ne parlano anche (e forse sopratutto) gli amministratori locali, le cui casse sono spesso vuote e non riescono mai a migliorare la situazione. I problemi sono molteplici, alcuni assai urgenti. In Sicilia la linea ferroviaria è praticamente inesistente e spesso chi è costretto a prendere il treno deve sobbarcarsi a diverse ore di viaggio perché la velocità sui binari è quella delle tradotte dei primi del novecento.
Provate ad andare da Palermo a Trapani o a Ragusa. Si deve avere molta pazienza.
Ed è proprio su questo disagio che fioriscono le “battaglie dei poveri”.
Con quelle migliaia di euro non si potrebbe risanare questo disagio che martorizza coloro che non hanno una macchina o debbono prendere un pullman di linea?
Intervengono i sostenitori del ponte: «Non dovete preoccuparvi perché quando Calabria e Sicilia saranno unite il traffico commerciale aumenterà a vista d’occhio e risolverà molti problemi economici delle due regioni».
Promesse, solo promesse. Queste parole le sentono da molti anni i sindaci e i prefetti di Catanzaro e Palermo.
Non dimentichiamo: anche la Calabria soffre di queste forti difficoltà.
Se si pensa che sulla tratta jonica da Rocca Imperiale (paese che confina con la Basilicata) a Reggio con un rapido (?) si arriva in non meno di sei ore. Senza parlare dei pendolari e di quei poveri cristi che ogni mattina debbono raggiungere il posto di lavoro con quei convogli che sono spesso strapieni.
La sanità pubblica è un’altra grande tristezza (sic) delle due regioni. Quante volte si è letto sui giornali dei famosi viaggi della speranza che da Sud portano a Nord per curarsi di malattie gravi?
Gli ospedali sono pochi e vecchi, le infrastrutture anacronistiche, il personale scarseggia.
Ricordate? In un paese della Calabria sono dovuti arrivare medici cubani per il semplice motivo che nemmeno lavorando ventiquattro ore su ventiquattro, si poteva visitare i pazienti che correvano al pronto soccorso.
Pure in Sicilia, la situazione non cambia e sono decenni che si denunciano problemi che non hanno avuto finora la minima risposta.
È vero: i progetti sono tanti, ma tra il dire e il fare c’è proprio quel mare che divide Villa San Giovanni da Messina.
Un ultimo esempio: sono anni che si deve costruire a Sibari un nosocomio che renda meno angustiosa la situazione che va Policoro (in Lucania) a Rossano-Corigliano.
Dubbi e perplessità, dunque, che non si possono non prendere in considerazione.
Quei tredici miliardi e mezzo di euro potrebbero far rinascere due regioni che hanno estremo bisogno di aiuto. Il ponte? Risponde un sindaco del reggino che vuole mantenere l’incognito per paura di ritorsioni: «Preferiamo affacciarci sulla terrazza di Scilla per godere di uno dei panorami più suggestivi del mondo». (bt)