di ROBERTO DI MARIA – Le vicende legate alla scelta del tracciato per la linea ferroviaria Salerno-Reggio Calabria ad AV pongono all’attenzione dell’opinione pubblica interrogativi inquietanti sul ruolo della tecnica in scelte fondamentali per lo sviluppo dei territori e dell’intero Paese. Senza dimenticare che il tracciato da scegliere, ricadendo nella Rete Ten-T, riveste importanza su scala continentale.
Già la scelta del tracciato per la tratta più settentrionale, da Battipaglia-a Praia a Mare, aveva suscitato le proteste, non certo ingiustificate, degli abitanti del Cilento, che da almeno 150 anni ospita il principale corridoio di collegamento tra l’estremo Sud d’Italia, Sicilia inclusa, e l’Europa. Come sappiamo, ha prevalso l’itinerario che percorre il Vallo di Diano, e già si lavora, anche se le polemiche non sono ancora del tutto sopite, su uno dei tre lotti che lo compongono.
Continua, invece a tenere banco la scelta del tracciato che da Praia condurrà a Reggio Calabria, dividendo chi preferirebbe un percorso “a monte”, lungo la valle del Crati fino a Cosenza per poi riscendere sulla costa, verso Lamezia Terme, e chi vuole percorrere la costa tirrenica, in prossimità della vecchia linea. Soluzione, quest’ultima, che sembra prevalere, e che, peraltro, non taglia completamente fuori la città di Cosenza: prevede infatti il completo rifacimento e raddoppio della linea che la collega a Paola, attraverso la lunga galleria Santomarco, rendendo accessibile la futura linea costiera AV in pochi minuti.
A costo di essere impopolari, bisogna ammettere che è difficile, con ragionamenti squisitamente tecnici, preferire il tracciato “cosentino”, più lungo di ben 40 km e che implica maggiori costi e tempi di percorrenza. Oltre a incontrare rilevanti problemi geomorfologici quali il doppio attraversamento della catena costiera calabrese che si frappone tra la valle del Crati e il Tirreno.
Perché questo percorso fosse stato preferito ai tempi della ministra De Micheli e fino a un anno fa è un mistero. È impossibile, infatti, che non fossero già noti i gravi inconvenienti geomorfologici messi in evidenza, dal Sottosegretario Ferrante lo scorso anno, quando venne ufficializzata la preferenza per il corridoio costiero; d’altronde ogni scelta porta inevitabilmente con sé inconvenienti, anche dolorosi.
Come è altrettanto vero che ognuno dei due percorsi è sostenuto dai cittadini e dai politici che ne trarrebbero giovamento in quanto rispondente ad interessi concreti comprensibilissimi. Preoccupa non poco, però, che tale diversa visione divenga causa di contrapposizioni partitiche a livello nazionale, in quanto sottintende una subordinazione del modello di sviluppo complessivo a particolarismi che mal si conciliano con lo sviluppo equilibrato di un Paese. Se è vero che la tecnica non può sostituirsi alla politica, è altrettanto vero che la seconda non può ignorare la prima, correndo il rischio non solo di sprecare le risorse dei cittadini ma, soprattutto, di imporre soluzioni impraticabili
In questa polemica può essere d’aiuto la visione emersa dal Libro Bianco dei Trasporti europei del 2011, nel quale si spiegava come i grandi Assi di collegamento (Core Network) dovessero “accorciare” il più possibile le distanze tra i territori, riservando alle connessioni successiva (Comprehensive Network) il compito di “avvicinare” i centri che non ricadono sull’Asse. Non per niente la prima andrebbe completata entro il 2030 e la seconda entro il 2050. Indicazioni che derivano da scelte improvvisate ma da approfonditi studi di Economia dei Trasporti, stante anche il fatto che i singoli collegamenti secondari “secondari” costano molto meno dei grandi Assi e vengono alimentati da questi ultimi.
In altre parole, allungare il percorso dell’AV Sa-Rc e renderlo molto più costoso per passare da Cosenza favorisce certamente i cosentini ma tradisce la visione europea. Le linee guida suggerite dall’Ue sono chiare, derogare è certamente nella facoltà dei governi ma finisce per tradire i criteri ispiratori.
L’importante è, però, non perdere tempo ed evitare di prolungare ancora per chissà quanti anni l’agonia di territori che non possono più permettersi di aspettare i ritardi della politica. (rdm)
[Roberto Di Maria è dottore di ricerca in Infrastrutture dei Trasporti e amministratore di “Sicilia in Progress”]