Il commissario straordinario Domenico Arcuri, in tv, ha ribadito ieri sera che non ci sono le condizioni per tornare al lockdown. Rassicurante, ma è palpabile la preoccupazione per i dati del contagio che, per fortuna, in Calabria, ancora sono a due cifre. Ma è evidente che non si può abbassare la guardia. Un dato significativo è il download (lo scaricare) dell’app “Immuni” sui telefonini: la Calabria si colloca penultima, prima della Sicilia, con una percentuale modesta, 8,2% quasi la metà della regione più virtuosa, la Toscana, dove la percentuale tocca il 15,7%.
Cosa significa che solo otto calabresi su cento hanno scaricato l’app che il Ministero della Salute raccomanda di utilizzare per monitorare il contagio e tenere sotto controllo i cosiddetti “positivi”? La prima considerazione riguarda la funzionalità dell’app: il suo funzionamento non convince molti potenziali utilizzatori (serve comunque un telefonino di nuova generazione) ma non per il rischio privacy, bensì per il meccanismo di mappatura previsto.
Come funziona Immuni? Secondo quanto riferisce il Ministero della Salute che ne sta promuovendo l’utilizzo massiccio «è un’app creata per aiutarci a combattere l’epidemia di Covid-19. Utilizza la tecnologia per avvertire gli utenti che hanno avuto un’esposizione a rischio, anche se asintomatici». Usiamo dei nomi di fantasia per spiegare meglio il funzionamento di Immuni: se Pippo è ha installato l’app Immuni e scopre di avere sintomi da covid, quindi è potenzialmente positivo, deve comunicare il suo status attraverso il telefono. In maniera anonima, nel pieno rispetto della privacy.
Succede che se Pasquale incontra Pippo che, appunto, è positivo e può averlo contagiato, qualora abbia installato l’app riceverà un messaggio di allerta che lo avverte di essere stato a contatto con una persona positiva al virus. Quindi gli segnala l’opportunità di isolarsi, mettendosi in quarantena per dieci giorni, contattare il proprio medico di base e fare subito il tampone. Tutto questo presuppone che Pippo, da buon cittadino, coscienziosamente, dichiari il suo status di positività al Covid attraverso il telefonino. Ma se non lo fa, la sua app Immuni, scaricata sul proprio smartphone, non avrà alcuna funzione di avvertimento nei confronti delle persone con cui verrà in contatto.
La tecnologia bluetooth invia dunque una notifica a chi è venuto a contato con un soggetto positivo al virus. Sempre che questi l’abbia comunicato. A oggi sono state scaricate sui telefonini degli italiani 8.316.353 copie di Immuni. Risultano inviate 8.887 notifiche e si sono registrati 499 utenti positivi. In buona sostanza uno su mille ha ricevuto la notifica del potenziale contagio subito e ciascun positivo registratosi regolarmente potrebbe aver contagiato circa 18 persone.
Il punto fondamentale è se chi scarica Immuni sul proprio telefonino ha la coscienza di comunicare la sua eventuale positività in modo che i contatti tracciati possano venire a conoscenza del rischio contagio. Quando due persone che hanno installato l’app Immuni si incontrano, l’app di entrambi i telefonini invia un codice che viene captato dai due dispositivi, registrando in maniera anonima, la durata del contatto e l’eventuale distanza tra le persone coinvolte. Se uno dei due scopre di essere positivo e comunica all’app di esserlo, permette a quest’ultima di inviare un messaggio a tutte le persone con cui è stato a contatto. Tecnicamente eccellente se solo si scaricassero 50milioni ai Immuni, diversamente – scusate la franchezza – è un terno al lotto per due motivi: il primo perché non è detto che il potenziale portatore di contagio registri la sua positività (dichiarando quasi pubblicamente di essere un “untore”, con tutte le conseguenze del caso: isolamento, quarantena, tampone, etc); il secondo è che se il positivo ha Immuni sul telefono ma frequenta persone che non hanno installata l’app, non riuscirà ad allertare alcuno.
E qui sorge subito una domanda: ma se qualcuno scopre di essere positivo come fa ad andare in giro a contagiare gli altri? Non dovrebbe, perché avrebbe il dovere di restare isolato e seguire le istruzioni del medico curante. Quindi la funzionalità di Immuni è limitata alla scoperta successiva di un incontro in cui si potrebbe essere rimasti contagiati o si ha potenzialmente contagiato qualcuno. E poiché l’app non usa – a quanto dicono – sistemi di tracciamento (la famosa geolocalizzazione che Google fa continuamente sul nostro smartphone) come fa ad avvisare i potenziali contagiati se non conosce l’eventuale area di rischio?
Senza contare che fare il tampone sta diventando un’impresa quasi impossibile: il test dà risposte in 12 ore, ma non ci sono macchine sufficienti a garantire l’analisi oltre un certo quantitativo di tamponi. Per fare un esempio, a Reggio l’Asp di via Willermin nell’apposita unità anticovid riesce a processare al massimo 40 tamponi l’ora. Valutando 8 ore di lavoro si ha l’esito per 320 tamponi al giorno; quelli che eccedono questo numero finiscono in frigorifero e non è detto che non perdano gli eventuali dati di positività al virus. Come si fa? Forse questo nessuno lo dice alla presidente Santelli che sta, giustamente, studiando nuovi provvedimenti per contenere il rischio di contagio: probabili chiusure di “frontiere” regionali, divieto – ahimé – di ballo e altri intrattenimenti di gruppo, etc). Probabilmente risulterebbe più utile controllare alla partenza i viaggiatori diretti in Calabria o chiedere l’esibizione di una certificazione medica che attesti il loro stato di salute: si eviterebbero i contagi d’importazione che sono gli unici che hanno provocato e provocano nuove prognosi di positività al virus.
Ma torniamo a Immuni: per quanto fondamentalmente ingegnosa, non funziona in termini di protezione individuale e non garantisce la correttezza di chi si scopre positivo e dovrebbe comunicarlo via telefono al server incaricato di memorizzare i dati. Si ritorna, inevitabilmente, a suggerire di adottare tutte le opportune precauzioni individuali per tenere lontano il contagio: sempre e immancabilmente la mascherina (e chi non la usa è un criminale), pulizia costante delle mani, evitare gli assembramenti. Impresa quest’ultima pressoché impossibile per chi deve prendere i mezzi pubblici per spostarsi (le immagini della Metro di Milano e di Roma sono fin troppo eloquenti) e per chi ha bambini o ragazzi che vanno a scuola.
Le cause maggiori di rischio contagio sono, purtroppo, la mobilità con i mezzi pubblici e gli istituti scolastici, dove, nonostante l’impegno e le mille precauzioni di presidi e personale, è praticamente impossibile controllare il contatto ravvicinato tra gli studenti. Ancora più difficile con i bambini delle materne e delle elementari, più complicato con i ragazzi del liceo che in classe rispettano il distanziamento imposto dagli insegnanti, ma fuori della scuola, incoscientemente, fanno capannelli alla vecchia maniera, come se nulla fosse accaduto. La miglior difesa è usare la testa: evitare contatti ravvicinati, disertare locali pubblici affollati, modificare, in altre parole, il modo di vita pre-covid. Se non faremo tutti così, difficilmente riusciremo a liberarcene in tempi brevi. (s)
la tabella è stata preparata dal farmacista dott. Domenico Polimeni