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Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte

La crisi di Governo sfiora appena la Calabria: lunedì la resa dei conti

Questa improvvida crisi di Governo, lanciata nel bel mezzo della pandemia da un Matteo Renzi in cerca della visibilità perduta, troverà probabilmente la sua resa dei conti tra lunedì e martedì, quando il presidente Giuseppe Conte si presenterà prima a Montecitorio e poi in Senato.  L’esito non è per niente scontato, anche se siamo pronti a scommettere che il Governo sarà salvo grazie a una “emergenziale” (o provvidenziale?) truppa di “responsabili” col compito di sorreggere e tenere in piedi un governo da troppo tempo traballante. La verità è che in questa situazione di pandemia non si può pensare di tornare al voto, quindi andrà individuata una soluzione parlamentare per superare la grave situazione di stallo in cui rischia di impantanarsi Conte con il suo Esecutivo.

Lo stesso Conte ha espresso al Presidente Sergio Mattarella la «volontà di promuovere in Parlamento l’indispensabile chiarimento politico mediante comunicazioni alle Camere». Il Capo dello Stato ne ha preso atto, dopo aver firmato il decreto con il quale vengono accettate le dimissioni rassegnate dalla sen. Teresa Bellanova dalla carica di Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali – il relativo interim è stato assunto dal Presidente del Consiglio dei Ministri -, dalla prof. Elena Bonetti dalla carica di Ministro senza portafoglio e dall’on. Ivan Scalfarotto, Sottosegretario di Stato. Quindi la parola ora passa al Parlamento.

Con quale scenario? La soluzione più probabile della crisi è, dopo il voto che mantiene a galla il Conte 2, un Conte 3, con un rimpasto che preveda l’assenza della compagine di Italia Viva e qualche “premio”ai “responsabili costruttori” (così sono stati definiti da Enrico Franceschini, sprezzante del ridicolo) che salveranno l’esecutivo. Ma Conte non potrà far finta che non sia successo nulla: la sconfitta di Renzi (probabile, anche se non è ancora chiara la finalità della sua insensata battaglia) non annulla le questioni poste sul tavolo dallo stesso capo di Italia Viva. Una serie di problemi irrisolti dal Governo in carica, cui è necessario dare immediate risposte. I temi sono la sanità (dove è necessario individuare una équipe di personalità capaci e competenti che in maniera univoca decidano una strategia risolutiva della crisi pandemica), l’economia, il lavoro, i giovani. Il Mezzogiorno non è nell’agenda e, anzi, qualcuno (i Cinque Stelle tanto per fare qualche nome) vorrebbe sostituire il buon Peppe Provenzano come ministro per il Sud con un pentastellato di fiducia (il messinese Francesco D’Uva?). Sarebbe una bestemmia nei confronti di tutto il Mezzogiorno, visto che finalmente la gente del Sud aveva trovato una persona competente e capace a capo del dicastero.

La scelta di Italia Viva, in Calabria, ha trovato sponda solo in uno dei due suoi rappresentanti regionali (sindaco di Diamante, il sen. Ernesto Magorno: «Ancora una volta – ha detto Magorno di Renzi –, ha dimostrato di pensare al bene dell’Italia e non agli interessi di una parte politica». Ma se le dimissioni «dei componenti della delegazione di Italia Viva dal Governo sono un atto di straordinario coraggio», non si capisce a quale obiettivo si voglia puntare. Le dimissioni di Conte? Un rimpasto? O un clamoroso “abbiamo scherzato” che si tradurrà in un’ulteriore caduta libera di Italia Viva, la cui ripartenza sarebbe a serio rischio. O il fine ultimo è un governo del Presidente con una personalità che scelga un assortito gruppo di tecnici cui affidare il traghettamento verso il voto (dopo l’elezione del Capo dello Stato, la prossima primavera) e affrontare (e qui sono dolori!) l’emergenza covid che non lascia più spazio all’improvvisazione. D’altra parte lo scioglimento delle Camera – extrema ratio – non alletta nessuno: col nuovo Parlamento saranno tantissimi che diranno addio a Montecitorio o a Palazzo Madama, quindi giustificabile (?) qualsiasi tentativo di salvarsi dal disastro. Tutti a casa è una formula che atterisce già chi può contare su un buon serbatoio di consensi, figurarsi per i precari dei Cinque Stelle che già profilano il futuro risultato a una sola cifra (se gli va bene) inferiore a 6: ovvero un voto equivalente a una insufficienza, sintomo di probabile bocciatura, senza possibilità di recupero.

Si parla di crisi, in Parlamento e nei Palazzi del potere, ma si trascura il futuro prossimo vicino più che mai. Il Recovery Plan – lo abbiamo scritto ieri – riserva alla Calabria un’elemosina da poco più di 500 milioni a fronte dei 229 miliardi che l’Europa mette a disposizione dell’Italia e nessun parlamentare calabrese ha avuto il buon gusto di saltare sulla sedia e mettersi a battere magari con la scarpa (emulando Krusciov all’assemblea dell’Onu) sul proprio scranno per attirare l’attenzione. Già, perché, a quanto pare, della Calabria non interessa niente a nessuno, nemmeno ai parlamentari che dovrebbero rappresentarla. E dire che l’opposizione aveva mostrato qualche anelito di speranza: il vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani a SkyTG24 il 9 gennaio aveva detto a proposito del Recovery Plan «puntare su Meridione, occupazione, infrastrutture e Ponte sullo Stretto». Si vada a leggere, attentamente, il documento presentato dal Consiglio dei Ministri e trovi le parole per spiegare ai calabresi cosa significa la vergognosa assenza di provvedimenti di cui la Calabria non può fare a meno. L’indignazione è gratis, ma non garantita, ormai prevalgono disillusione, amarezza e sconforto.

In Consiglio regionale, del resto, s’è levata ieri solo la voce di Raffaele Sainato (FI): «Un Governo dimissionario, confuso, che ha dato uno spettacolo non positivo del suo operato, anche in questa fase. E adesso non c’è tempo da perdere, Conte deve andare in Parlamento e illustrare la situazione. Se si trovano i numeri che vadano avanti, ma in maniera credibile. Altrimenti si facciano da parte. Insomma non possiamo permetterci di perdere un attimo. Le priorità per gli italiani non sono le liti tra Renzi e Conte, le priorità sono la crisi sanitaria, quella economica e sociale, il Piano del Recovery Fund. Un testo che finora ha presentato linee molto deboli e lacunose, dove le risorse per il Sud, contrariamente a quanto indicato dai criteri dell’UE basati sul principio di coesione, sono del tutto insufficienti. E alla Calabria, in particolare, è destinato poco o niente. La fascia jonica calabrese è tagliata fuori completamente da tutti gli investimenti, infatti non sono previsti quelli significativi per le Infrastrutture che determinano il ritardo economico, ormai cronico, di questa parte d’Italia. Il Governo del Paese ha perso solo tempo prezioso, con commissione speciali e stati generali. È necessario investire per superare le fragilità della nostra regione. Al nostro territorio serve un cambio di passo, soprattutto dopo il periodo che stiamo vivendo e per superare la grave crisi economico-sociale che ne è scaturita. Il Paese ha bisogno di un Governo che sviluppi anche il Sud, come richiesto dall’Europa. Conte ne prenda atto». Sarà un fine settimana all’inseguimento di eventuali “traditori” di Italia Viva pronti a rinnegare Renzi (l’esempio dei dieci repubblicani contro Trump è recentissimo) e di altri senatori in grado di garantire il quorum richiesto per superare lo scoglio dell’Aula.

Il guaio è che, comunque vadano le cose, non cambierà nulla per i calabresi, i quali, peraltro, hanno già preso nota del nuovo periodo d’emergenza esteso fino al 30 aprile: questo significa che l’11 aprile non si possono aprire i seggi elettorali. E l’unica data utile per rinnovare il Consiglio regionale rimane il 9 giugno. Lo ripetiamo da un po’, non potete dire che non l’avevamo previsto. (s)