La disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile.(Corrado Alvaro)
di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Se si parla di “Rinascita” di Calabria, sorride il cuore. Ripartono i sentimenti di pancia e riaffiorano l’orgoglio e l’identità. Il senso preciso dell’appartenenza risorge e si mobilita persino la nobiltà del dialetto. Ma se si passa a “Rinascita Scott”, cambia il disco.
Il cuore piange, il dialetto stracangia e il sentimento che prende allo stomaco ammalatisce il pensiero e frammenta i santi lumi.
Una storia triste che ha la forza di avere sullo sfondo paesaggi da togliere il fiato. Un avvicendamento di tempi ed eventi che suffragati dalle lusinghe del bisogno, tumulano una terra forte e gloriosa. Dove la bellezza abdica, e al suo posto s’introna la bramosia del potere. Declassandola da Magna Grecia, a terra di nenti e di nuju.
Una crociata che va dalla Genesi all’Apocalisse. Con la polvere tra le ciglia, senza sapere se chi è vicino a te è un Dio o un diavolo.
Terra di briganti prima, terra di ‘ndranghetisti poi. Questione di vedute e mai di ravvedimenti.
Una Lectio viva che tratta di dignità e morale. Un nodo atavico che più il calabrese si divincola e scapiglia, più si stringe. E la fame d’aria è peggio della fame di pane.
Una stortura tragicomica e minchiona che getta tra gli inferi pure i lattanti. E sdegna il contadino, il muratore, l’artista e la maestra. Il primo che rivolta le zolle, l’altro che scuote la sabbia tra i mattoni, l’artista che mescola i colori e la maestra che legge sui libri i nomi dei bambini.
Una pena e una penale che rimbrotta i cuori. Pompa il sangue al cervello e lo risucchia come una ventosa. Annigrica le vesti. Mangia le teste pulite. Processa i santi e pure i lutti. I porci e pure i buoi. I criminali e i lavoratori. E con requiem aeternam, anche la gloria di una Calabria da sempre regia e magna per le sue antiche gesta e la sua mirabile storia. I suoi dolci vizi e le sue amabili virtù.
Il processo è alla ndrangheta, non alla Calabria. Il processo è alla categoria dei tinti, non ai Bruzi. Allo sfregio, non alla bellezza. Cosenza, Crotone, Vibo, Catanzaro e Reggio, Calabria Ultra e Calabria Citra, dispongono di ben altro che la ciotià della ‘ndrangheta. Ma da dietro gli schermi non passa, in prima serata e in primo piano sarebbe troppo. Così non si intravedono che appena i pochi scorci lontani, di una vita naturale e tranquilla, che quaggiù si vive a tutt’oggi. Laboriosa e impegnativa più che altrove.
Il processo è alla ndrangheta, non alla Calabria. La ‘ndrangheta è un sistema. La Calabria è una terra. Calabresi si nasce, uomini di ‘ndrangheta si diventa.
Il processo di dequalificazione a cui la Calabria, nel tempo, è stata sottoposta, affinché vi stesse comodo il proso di certuni, e quello dei calabresi onesti, finisse sfiancato di sacrifici e di lavoro, non è che un atto ignobile di cui tutto il paese è responsabile. E il nostro paese è l’Italia.
E in “Presa Diretta” se ne prenda il carico.
Dal 17 marzo 1861, l’affondo a questa terra non è mica finito.
I fatti e i misfatti della ‘ndrangheta, che coinvolgono il Sud, quasi sempre nella sua interezza, restano parte di una questione che nessuno profondamente ha mai voluto studiare. Che a nessuno è mai interessava. Che Milano, e tutto il Nord, hanno favorito. Volutamente indotto. Accettando compromessi, favoritismi, e inneggiando alla più spietata delle corruzioni.
Ma la Calabria non è la ‘ndrangheta. E ci sono uomini e donne che raccontano perfettamente questo spaccato di vita. Una verità che va urgentemente detta. E va chiamata con nomi e cognomi.
I calabresi sono uomini e donne d’Italia con “Credo” e con “Valori”, e come tali fermamente respingono i processi gratuiti fatti fuori dai tribunali, per mezzo dei quali si rischia di identificare come criminale tutta la società calabra civile.
Il processo è alla ‘ndrangheta non alla Calabria.
La Calabria è una terra viva che richiede apertamente di essere vissuta. Abitata. Perlustrata fin dentro la sua pancia. Con i metodi dello scandaglio, navigata. In andata e in ritorno, nelle acque aperte dei suoi due mari. I fondali blu dello Ionio, le secche pescose del Tirreno.
Non è sufficiente farsela piacere questa una terra così. Non basta esservi nati, per sentirvene parte. È necessario amarla. Svisceratamente. Dall’Aspromonte al Pollino. Come ognuno fa con la sua terra. Con trasporto sentimentale e sensuale. In presenza quotidiana. Con assidua frequenza di battiti, con precisi moventi e senza alibi. D’impulso anche, con la coscienza puntata sui sacrifici e le rinunce. L’offerta volontaria della propria vita.
Non basta dichiararle amore una sola volta. L’attestazione del sentimento che si prova, va obbligatoriamente ripetuta. Ogni giorno. Con fare ciclico e perpetuo. Con i gesti, gli esempi, il lavoro, la fatica, il senso di responsabilità, il coraggio, le opere, le prestazioni, la forza, ma soprattutto il tempo prezioso con cui ci si dedica a tutto questo.
La Calabria è un sentimento urgente. Uno stato d’animo che danna e rallegra. Ed è amara ed è bella.
E come l’amore, capita, non si sceglie. Ma va mantenuta. Come accade con le promesse.
È un destino dentro al cuore che ti prende e non lo sai lasciare.
Un destino prepotente che rischia di lasciarti senza niente.
Nessuno può amarla per obbligo o per capriccio, la Calabria. Giammai per gusto spicciolo o tornaconto personale. Si Perpetuerebbe l’ennesimo crimine.
E il processo della ‘ndrangheta diventerebbe, immediatamente, il processo della Calabria. (gsc)