di FRANCO BARTUCCI – Ha avuto sede nell’aula magna “Beniamino Andreatta” dell’Università della Calabria un convegno internazionale sulla terapia e riabilitazione della demenza, patrocinato dalle Società Italiana (SIF) e Giapponese (JSP) di Farmacologia, nonché dalla Società Italiana di Riabilitazione Neurologica (SIRN) e dalla World Federation of Neurologic Rehabilitation (WFNR).
Il Convegno, coordinato dal prof. Giacinto Bagetta, del Dipartimento di Farmacia e Scienze della Salute e della Nutrizione dell’Unical si è sviluppato attraverso la illustrazione di sessioni di ricerca di base, di trasferimento (traslazionale) e clinica con particolare attenzione agli aspetti di riabilitazione cognitiva, con relatori illustri, studiosi e ricercatori italiani, europei e giapponesi.
Un meeting che rientra tra le iniziative di rapporti internazionali creati nel 2004 dal prof. Giacinto Bagetta con delle Università Giapponesi che si sono caratterizzati per un rapporto collaborativo scientifico permanente e costante mediante la promozione biennale di seminari di alta valenza scientifica applicativa nel settore farmacologico.
Il meeting si è aperto, oltre che con i saluti dello stesso prof Bagetta, con gli interventi istituzionali della prof.ssa Maria Luisa Panno, direttrice del dipartimento di Farmacia e Scienze della Salute e Nutrizione; nonché del professore Emerito dell’Università della Calabria, prof. Sebastiano Andò, e del Rettore dell’Università “Magna Grecia” di Catanzaro, prof. Giovambattista De Sarro; del dott. Giorgio Recagni, Presidente della Società Italiana di Farmacologia.
Attesa ed apprezzata la relazione di apertura svolta dal prof. Pierluigi Nicotera, illustre neuroscienziato di chiara fama e Direttore Scientifico e Chairman del Consiglio di Amministrazione del Dzne, centro di ricerca tedesco per lo studio delle malattie neurodegenerative di Bonn. Il prof. Nicotera ha illustrato il modello organizzativo della ricerca sulle malattie neurodegenerative, malattia di Alzheimer in primis, in Germania attraverso la rete della Fondazione Helmholtz distribuita in tutto il paese e dotata delle più avanzate tecnologie per la diagnostica molecolare, l’analisi genetica associata all’analisi dei big data e la diagnostica clinica per immagini.
La demenza è particolarmente preoccupante per i grandi numeri del suo impatto sulla popolazione con più di 60 anni che, attualmente, per l’invecchiamento globale corrisponde a circa il 25% della popolazione e più del 90% dei pazienti nei paesi a basso o medio reddito non riceve una diagnosi. In Italia si contano 1.200.000 casi di cui 700.000 appartengo alla forma più frequente, detta malattia di Alzheimer. Purtroppo, difficoltà strutturali, economiche ed organizzative rendono le malattie neurodegenerative un’area medica di grande sperequazione per diagnosi e terapia tra le diverse regioni del nostro paese.
Solo 5 regioni su 20 hanno approvato il piano diagnostico terapeutico della demenza (Pdta); purtroppo la Calabria non è tra le 15 e questo contribuisce a ritardare la diagnosi; infatti, si arriva alla prima diagnosi quando il test cognitivo più accreditato, Mmse, è inferiore a 20 cioè indicativo di demenza da moderata a severa, oltre a fare diagnosi con una frequenza ridotta di 3,5 volte rispetto alla media nazionale. L’avvio con ritardo della terapia cognitiva non rallenta l’evoluzione della demenza, così come atteso in pazienti con diagnosi precoce, favorendo soltanto l’inutile dissipazione delle risorse e costruendo l’errato quanto pericoloso convincimento che nessun intervento è utile in questi pazienti. Al contrario, non sembra esserci argine alla prescrizione medica di psicofarmaci come neurolettici, benzodiazepine e antidepressivi ormai largamente dimostrata inappropriata, causa di istituzionalizzazione, frequente ricovero in ospedale per accidenti cardio-cerebrovascolari e morte con una frequenza due volte superiore rispetto ai soggetti non trattati.
Questo scenario è diametralmente opposto a quello descritto dal prof. Pierluigi Nicotera, fondatore del Centro per lo studio delle malattie neurodegenerative voluto dalla Merkel. Qui la dotazione strutturale per la ricerca di base, metabolomica, proteomica, di genetica molecolare ed analisi dei big data accanto alla strutturazione di ricerca clinica supportata da unità per lo studio dei farmaci di Fase I e non solo e la dotazione di risonanza magnetica strutturale (7 tesla) consente al DZNE di disporre di ampie coorti di pazienti con condizione clinica a rischio di demenza per disturbi comportamentali o cognitivi precoci su cui vengono studiati gli effetti di interventi terapeutici innovativi e riabilitativi precoci.
Ma vediamo ciò che è emerso dai lavori del meeting svoltosi nell’aula Magna “Beniamino Andrreatta” dell’UniCal. In parte i risultati delle ricerche consentite da tale modello organizzativo sono stati presentati dal Dr Daniele Bano che ha dimostrato come attraverso alterazioni specifiche e progressive dell’epigenoma possono contribuire non solo alla già nota riduzione delle capacità cognitive con l’avanzare dell’età ma anche alla capacità riparativa del danno neurodegenerativo a disposizione del Sistema Nervoso Centrale tramite le cellule staminali che sotto l’influenza dello stato funzionale del mitocondrio differenziano alternativamente in neuroni o cellule astrogliali.
Sebbene la demenza di Alzheimer sia indubbiamente una malattia multifattoriale che coinvolge diversi meccanismi patogenetici e che probabilmente richiede terapie combinatoriali, l’accumulo nel cervello di aggregati proteici di beta amiloide (Aβ) e di proteina Tau sono stati identificati ed approfonditamente studiati per il loro impatto sul funzionamento sinaptico.
La prof.ssa Monica Di Luca, Farmacologa e neuroscienziata dell’Università di Milano, ha descritto il ruolo della metalloproteasi Adam 10 nell’accumulo sinaptico di beta-amiloide in studi preclinici e campioni umani di pazienti affetti da demenza. L’accumulo di amiloide nel cervello dei pazienti con demenza da qualche decennio rappresenta il target più sfruttato per lo sviluppo dei farmaci.
Infatti, la Prof.ssa Daniela Galbiati del Centro per la Diagnosi e Cura delle Demenze (Cdcd) del Policlinico di Milano Ospedale Maggiore (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, Irccs) partendo dall’affermazione che diversi trial clinici di fase III con farmaci rivolti all’Aβ abbiano fallito l’obiettivo clinico, ha documentato un nuovo entusiasmo della ricerca clinica su farmaci biotecnologici basati sull’ipotesi amiloide della malattia. Infatti, la collaborazione tra Biogen americana ed Eisai giapponese ha avviato uno studio multicentrico internazionale di cui fa parte lo stesso Cdcd della Prof.ssa Galbiati con un nuovo anticorpo monoclonale, il Lecanumab, in grado di agire sulla fase precoce, proto fibrillare, dell’amiloide prima che diventi neurotossica; sulla base di dati non ancora definitivi (studio di fase 3 Clarity AD con risultati a 6 e 18 mesi) il Lecanumab è riportato rallentare significativamente il declino cognitivo e migliorare la tollerabilità sistemica del trattamento.
In attesa di un rapido sviluppo di tali studi, le terapie disponibili per la malattia di Alzheimer (inibitori delle colinesterasi e memantina) se somministrati precocemente hanno effetti misurabili sulla capacità di memoria e funzionale dei pazienti. Inoltre, come spiegato bene dalla dott.ssa Damiana Scuteri del Dipartimento di Farmacia Scienze della Salute e della Nutrizione, una buona aderenza alla terapia con i suddetti farmaci riduce la frequenza e ritarda l’insorgenza dei sintomi neuropsichiatrici (Nps) che colpiscono circa il 97% dei pazienti con demenza, normalmente curati con farmaci non specifici e potenzialmente tossici come gli antipsicotici, gli antidepressivi e le benzodiazepine. Inoltre, sulla base degli studi condotti dalla Dott.ssa Scuteri su una larga coorte di pazienti con demenza da moderata a severa, gli NPS sono legati, almeno in parte, al dolore non trattato che in questi pazienti non comunicativi sfocia in agitazione, un comportamento necessario per la richiesta di aiuto.
Pertanto, studi per il controllo degli Nps sono particolarmente necessari specialmente in quelle aree del paese dove diagnosi e terapia raggiungono il paziente con forte ritardo. In tale direzione si muove l’importante opportunità offerta dall’olio di bergamotto dotato di importante attività analgesica (Prof Tsukasa Sakurada, Fukuoka) ed ansiolitica (Prof. Luigi A. Morrone, Rende) e di cui è in corso un trial clinico in doppio cieco progettato dalla dott.ssa Scuteri ed autorizzato dal Comitato Etico Regionale; il trial (NCT04321889) e condotto in collaborazione con l’Istituto Sant’Anna di Crotone.
Allo stato attuale un grande ruolo nella cura delle demenza è assegnato alla riabilitazione cognitiva che, così come documentato dal Prof Stefano Cappa, neuroscienziato dell’Università Iuss di Pavia, ha delle possibilità formidabili in prevenzione se avviata molto precocemente ed accompagnata da sani stili di vita. Ma tale concetto è stato espresso anche dalla Prof.ssa Linda Clare del “Centre for Research in Ageing and Cognitive Health” della Medical School dell’Università di Exeter (UK). In particolare, la Prof.ssa Clare ha spinto i suoi programmi di riabilitazione cognitiva (che per natura sono personalizzati) a pazienti con demenza da lieve a moderata con l’obiettivo di ridare autonomia funzionale ai pazienti. I risultati presentati riguardano una coorte molto ampia e l’intervento è anche centrato sul care giver. (fb)