di MIMMO NUNNARI – Un po’ tardi ma meglio che mai. “La Calabria azzurra in rivolta contro lo spacca-Italia” titolava giorni fa un quotidiano nazionale per spiegare la posizione del presidente della Giunta regionale della Calabria Roberto Occhiuto che chiede al partito di cui è vicesegretario (Fi) di frenare ogni accordo Governo Regioni sull’Autonomia differenziata.
Un passo decisivo per bloccare la legge Calderoli in realtà andava fatto prima, ma Forza Italia e soprattutto il suo leader Tajani non hanno avuto il coraggio, o la volontà, o la convenienza a farlo e adesso trovare una soluzione dignitosa è difficile.
Un po’ ridicola francamente appare l’idea dell’Osservatorio regionale per vigilare proposta dallo stesso Tajani. Assomiglia al sale sulla coda degli uccelli per catturarli, come si diceva un tempo per prendere in giro i bambini. La verità è che il Governo Meloni – Tajani – Salvini passerà alla storia per aver abolito, con la sciagurata legge sull’Autonomia (“La scelta di rafforzare ancora il peso delle regioni è la seconda porcata di Calderoli dopo la legge elettorale” ha detto in un’intervista a Repubblica Claudio Martelli”) la “questione meridionale”, che da irrisolta diventa irrisolvibile, e perciò inesistente. Qualcosa del genere sia pure senza ricorrere a strumenti legislativi era accaduta al tempo di Mussolini, con un sonoro de profundis della “questione meridionale” che allora l’entourage del duce affidò all’Enciclopedia Treccani, pronta ad allinearsi alle direttive del regime con un aggiornamento della voce “Questione del Mezzogiorno”: «Di una questione meridionale non si può più oggi legittimamente parlare; e perché tante differenze sono scomparse e perché sono ormai in piena attuazione i provvedimenti del governo fascista che mirano intenzionalmente a elevare il tono dell’Italia agricola, specialmente meridionale».
Il problema del Sud nell’anno 1934 per il governo Mussolini non esisteva più.
Sarà la storia adesso o quando sarà a definire in che modo la legge Calderoli avrà risolto l’anomalia italiana delle due Italie, cioè il nodo irrisolto dell’unificazione nazionale che ha pesato su tutta la storia italiana del diciannovesimo e ventesimo secolo. Questo Governo, come tutti i precedenti fin dal tempo dell’unificazione, è nemico del Sud: è padre padrone, è occhiuto ma non governante, come nelle monarchie regna ma non governa. Storicamente il rapporto Governo Sud lo ha spiegato bene in Cristo si è fermato a Eboli Carlo Levi, l’intellettuale torinese perseguitato dal fascismo inviato al soggiorno obbligato in Lucania: «Per tutti i Governi il destino del Meridione è stato sempre di mera occupazione, talvolta di rapina. Nessuno ha toccato questa terra, se non come un conquistatore o un nemico o un visitatore incomprensivo».
Quale direzione prendessero le cose riguardo al Sud si capì sin dall’inizio della vicenda unitaria già nelle prime riunioni del primo Parlamento quando in una delle prime sedute si discuteva e si approvava il progetto di legge per rilanciare i porti di Livorno, Genova e Venezia, e contestualmente si respingeva un’analoga misura in favore dei porti di Napoli, Salerno e Palermo. È in quel periodo che nasce l’Italia “duale”, con la quale la nazione non ha mai fatto i conti; come non li hanno fatto i partiti, di destra, di centro e di sinistra, la cultura, i media, gli intellettuali. Nei rari tentativi di riunificazione del Paese l’unico esempio positivo viene dal dopoguerra quando dopo la parentesi infausta del fascismo è stato dato spazio al progetto degasperiano di ricostruzione, e l’Italia ha marciato unitamente per un lungo tratto di strada, con profondi cambiamenti sociali ed economici che hanno modificato la fisionomia ed il ruolo del Sud nell’ambito dello sviluppo del Paese. Poi basta; al posto della riconciliazione e integrazione dei territori si è fatta strada una contrapposizione odiosa, discriminatoria, razzista scatenata negli anni Novanta dalla Lega Nord che ha spinto sempre più indietro il Sud, rigettandolo in basso, fino a trasformare la questione meridionale in questione criminale.
Da allora il Sud è stato sempre più “crocifisso”: parola giusta e appropriata, usata in un passato non molto lontano da un prete del Nord, don Antonio Riboldi vescovo ad Acerra, in Campania, che mise in relazione di somiglianza il Sud con la crocefissione cristiana: «Cristo sulla croce rappresenta molto da vicino il dolore del Sud. Gesù inchiodato che non riesce a muovere braccia e piedi perché qualcuno lo ha messo in quei vincoli l’uomo del Sud lo sente come se stesso».
Che fare? Se fossimo in Francia la popolazione sarebbe scesa in piazza già da tanto, avrebbe fatto le barricate, la rivoluzione. Ma qui, al Sud, non è aria. C’è una secolare rassegnazione scambiata per pazienza: un’attesa infinita quanto inutile che qualcuno arrivi da fuori per risolvere i problemi. È questo il contesto. Contesto sul quale piove di tanto in tanto come un dono o un’elemosina qualcosa che tra l’altro al Sud non serve: «Gocce d’acqua in una terra assetata», scriveva Gaetano Afeltra, giornalista, protagonista in una bella stagione del giornalismo italiano nel secolo scorso. Afeltra era milanese d’adozione, ma col cuore che abitava ad Amalfi, dov’era nato: “Ci si accorge del Sud – diceva – quando succede un cataclisma: il terremoto, il colera, l’alluvione. Solo allora il problema del Mezzogiorno viene riproposto alla coscienza nazionale e subito dopo, a parte qualche rituale giaculatoria, risparisce dall’orizzonte dei politici e dell’opinione pubblica nazionale e si torna al punto di partenza, come nel gioco dell’oca”.
Ecco, questo Sud spinto sempre indietro va risarcito e non ulteriormente punito con l’Autonomia differenziata che altro non è che una reale secessione del grasso Nord. Lo vuole la storia il risarcimento. E bisogna far presto, perché può accadere che alle popolazioni meridionali prima o dopo saltino i nervi e in questi casi le conseguenze possono essere imprevedibili e nocive per tutti, al Sud come al Nord.
Al Sud serve lo Stato che da un secolo e mezzo c’è, ma è “differenziato”: pende verso Nord. Il risarcimento dev’essere morale ancor prima che economico. Molti anni fa sul Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia ha scritto che il Mezzogiorno è precipitato nell’irrilevanza nel momento in cui si è dissolto il complesso nodo storico al cui centro c’era lo “Stato nazionale”, e senza tanti giri di parole il più famoso politologo italiano ha affermato che innanzi tutto in Italia si è “dissolto lo Stato”. Ha spiegato che nell’ultimo quarto di secolo lo Stato è andato decomponendosi e la “questione meridionale” che fino ad un certo punto nel bene e nel male era stata una questione di Stato si è eclissata, è sparita: «La prima cosa da fare – diceva Galli della Loggia – è ricostruire la macchina amministrativa dello Stato, rafforzarla, ristabilire il significato politico dei suoi ambiti d’azione, la sua efficienza, la sua capacità d’intervento capillare».
Cioè tutto il contrario dell’Autonomia differenziata, che al tempo in cui Della Loggia scriveva era ancora un progetto lontano, poiché la Lega pensava alla secessione. Questi temi se si vuole essere credibili fino in fondo bisognerebbe inserirli nella “crociata” da combattere col referendum abrogativo della legge Calderoli per liberare definitivamente l’Italia da un destino malcerto e conflittuale, che è l’esatto contrario della riconciliazione che servirebbe a un Paese mai unito sul serio. (mn)