CALABRIA PRIMA PER CHI SI CURA FUORI
ORA STOP ALLE “MIGRAZIONI SANITARIE”

di GIOVANNI MACCARRONEPrenotare una prestazione sanitaria all’interno del nostro Paese è abbastanza semplice. Una volta ricevuta la prescrizione medica dal proprio medico di base, è possibile contattare telefonicamente il Centro Unico di Prenotazione (Cup) e verificare così la lista d’attesa. 

Per le visite specialistiche e gli esami diagnostici con la lettera D (differibile), gli esami o le visite specialistiche dovrebbero essere fatte tra i 30 e i 60 giorni, mentre per quelle con la lettera U (urgente) gli esami o visite specialistiche dovrebbero essere fatte entro le 72 ore.

Sta di fatto che frequentemente per queste ed altre categorie la lista d’attesa supera di gran lunga questi tempi.

Per cui, il cittadino, per ricevere il servizio con tempi più rapidi, ricorre spesso ai servizi intramoenia (o in regime “intramurario”): l’attività libero-professionale che avviene all’interno delle strutture sanitarie, senza dover pagare il medico come “privato”, corrispondendo solo il ticket.

Altre volte, invece, preferisce utilizzare le strutture private convenzionate che possano offrire lo stesso servizio nei tempi previsti o comunque di qualità superiore a quello fornito da istituzioni pubbliche (Asl, Ao ecc.).

Altre volte ancora si preferisce, invece, andare lontani da casa per curarsi, quasi sempre dal Sud in direzione Nord, nella speranza di ricevere le cure migliori per la propria malattia.

Si stima che i «viaggi della salute» interessino, in un anno, circa un milione di italiani. Nel 2022, solo i ricoveri effettuati fuori Regione sono stati quasi 630 mila (contro i 498 mila nel 2020, anno della pandemia) come rilevano i dati dell’Ufficio statistica e flussi informativi sanitari di Agenas, l’Agenzia nazionale dei servizi sanitari regionali.

Quindi, approssimando i conti, senza voler far delle vere stime, potremmo tranquillamente dire che le spese sanitarie per le famiglie sono annualmente molto elevate.

È vero che, per rispetto del dettato dell’articolo 32 della Costituzione, agli indigenti devono essere comunque in ogni caso garantite le prestazioni sanitarie gratuite, ma è anche vero però che, per quanto detto sopra, costantemente i cittadini sono tenuti ad affrontare ingenti spese per la salute.  

Le famiglie già finanziano il sistema sanitario italiano tramite il fisco e, in particolare, per il 36% dall’Iva e dalle accise sulle benzine, il 28% dall’Irap e dall’addizionale Irpef, il 14% dai pagamenti diretti (prezzi), il 3% dai ticket e un altro 5% da premi di assicurazioni e mutue integrative; il restante 11% da altri tipi di tributi.

Tra l’altro, a seguito della crisi finanziaria in atto e` molto probabile che le famiglie saranno chiamate in futuro a un maggiore sforzo fiscale per finanziare il Ssn, sia sotto forma di aumento dell’addizionale Irpef (prevista fino al 3% dal D. Lgs. 68/11 sul federalismo fiscale), sia di maggiori compartecipazioni alla spesa sanitaria (+2 miliardi di euro, secondo la L. 111/11).

Va poi considerato che, data la consistenza dell’evasione e dell’elusione fiscale che ancora permangono nel nostro sistema tributario, i costi della sanità sono sopportati essenzialmente dal mondo del lavoro, che – come si è appena potuto notare – è quello che fornisce essenzialmente gli utenti della sanità pubblica

Insomma, è come il “cane che si morde la coda”, che è un modo elegante per dire che è un circolo vizioso, una situazione senza via d’uscita.

A questo proposito, bisogna considerare che quasi venti milioni non fanno la denuncia dei redditi. Il 48 % non versa neppure un euro. Quasi il 90% dell’Irpef è pagato da lavoratori dipendenti e pensionati. Dal 2024 la no tax area salirà a 13 mila euro. Sarà un aiuto per i veri poveri ma un paradiso fiscale per i finti poveri. Viene tartassato chi guadagna 50 mila euro lordi (poco più di duemila euro netti), con una tassa del 43% più le varie addizionali comunali e regionali, mentre i ricchi portano all’estero la sede delle aziende e la loro residenza fiscale. Solo 35 mila persone dichiarano più di 300.000 euro all’anno. 

Quindi – stando a quanto sopra – attualmente il Servizio Sanitario Nazionale si regge grazie al finanziamento dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, i quali, tra l’altro, ricevono spesso un salario annuo lordo medio inferiore a 11.000 euro (secondo uno studio condotto dall’Ufficio Economia dell’Area Politiche per lo Sviluppo della Cgil Nazionale, più di 5,7 milioni di lavoratori si trovano in questa situazione).

Con questo salario devono pagare soprattutto tasse, luce e gas, spese di locazione, spese condominiali, spese per mantenere una macchina, spese per la benzina (il prezzo della benzina in Italia come in tutto il mondo ha subito fortissimi rialzi nel 2022 a causa della guerra in Ucraina, arrivando anche a sfondare il tetto dei 2 euro al litro), ecc.

Se a queste spese aggiungiamo anche le spese per curarsi, si capisce il vero motivo per cui frequentemente qualcuno rinuncia alle cure (l’aumento delle spese per la salute riguarda tutte le macro-aree del Paese: al Centro e al Sud si registrano aumenti di oltre 100 euro a famiglia).

Purtroppo, questo fenomeno è molto più frequente nelle Regioni del Mezzogiorno, proprio quelle dove l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza è inadeguata: di conseguenza, l’insufficiente offerta pubblica di servizi sanitari associata alla minore capacità di spesa delle famiglie del Sud condiziona negativamente lo stato di salute e l’aspettativa di vita alla nascita, un indicatore che vede tutte le Regioni del Mezzogiorno al di sotto della media nazionale.

Un indicatore che – come viene solitamente commentato sulla stampa – è il risultato del “monitoraggio Lea”; si tratta di una serie di indicatori (perlopiù di struttura e di processo) volti a cogliere il rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza nelle Regioni italiane (il monitoraggio viene effettuato dal c.d. Comitato Lea, Comitato permanente per l’erogazione dei Lea, istituito presso il Ministero della Salute).

L’indicatore non consente di tornare a vent’anni fa ma, dal 2012 al 2019 (l’anno pre-pandemia), il “punteggio Lea” è sensibilmente migliorato in tutte le Regioni a Statuto Ordinario, ad esclusione della Calabria (che ha avuto un calo da 133 a 125), ed in tutte le Regioni a Statuto Speciale, ad esclusione della Sardegna (per la quale i dati si raccolgono dal 2017 e che ha visto un calo da 140 a 111 in tre anni). 

Sulla base di questo indicatore non sarebbe quindi azzardato concludere che la qualità delle cure sia peggiorato, soprattutto nelle regioni sottoposte a piano di rientro e commissariamento (le procedure di commissariamento riguardano ben quattro regioni, tra cui la Calabria dal luglio 2010).

Ecco perché il 55% delle persone che negli ultimi anni hanno ricevuto una visita specialistica e il 40% di quelle che hanno avuto accesso a un trattamento riabilitativo abbiano coperto completamente a proprie spese il costo della prestazione. 

Questa è una situazione inaccettabile che può essere superata solo ed esclusivamente con una nuova governance delle aziende sanitarie, con maggiori assunzioni di responsabilità economica da parte di amministratori regionali e direttori aziendali e maggiore flessibilità nella sfera operativa. 

Inoltre, maggiori controlli sui manager delle Asl e delle Ao potrebbe in particolare agevolare l’attuazione delle misure di contenimento della spesa assunte ai vertici del governo centrale e regionale.

Senza dimenticare, infine, che il Pnrr ha destinato alla Missione Salute 15,63 miliardi, pari all’8,16% dell’importo totale, per sostenere importanti riforme e investimenti a beneficio del Servizio sanitario nazionale, da realizzare entro il 2026.

Poi “Tutto il resto è noia”, come dice Califano. 

Speriamo bene. (gm)

 

L’AUTONOMIA È LEGGE, “L’IRA” DI OCCHIUTO
È UN GRAVE ERRORE DEL CENTRODESTRA

di SANTO STRATI – Dice bene il Governatore Roberto Occhiuto che il centro destra nazionale ha commesso un grave errore di cui presto si renderà conto: ieri è stato un giorno cupo per la Repubblica e l’unità del Paese. Questa vittoria (simbolica, sia chiaro) della Lega indica quanto fragile sia la coalizione di Governo e come la Meloni sottovaluti – sbagliando – la reazione del Sud. Quel Sud che aveva appena espresso un voto chiaro per l’Europa, ma soprattutto col suo fortissimo tasso di astensionismo aveva indicato l’insofferenza non più nascosta del popolo calabrese. Preso in giro, irriso e verso il quale le attenzioni – come al solito quand’è ora del voto – si erano accentuate. Il voto di ieri non fa che confermare il divario sempre incolmabile di questo Paese che viaggia a due velocità.

L’autonomia differenziata non è il demonio assoluto, ma così come è stata concepita è un provvedimento spacca-Paese che, anche se non potrà essere realizzato in assenza dei fondi necessari a garantire i Livelli Essenziali di Prestazione – conditio sine qua non per l’attuazione della legge – lascerà una brutta scia di come sia lontano il Paese legale dal Paese reale.

Nonostante gli allarmi, i suggerimenti, le osservazioni utili a modificare un provvedimento stupido e divisivo, la Lega ne ha fatto una questione di bandiera, coinvolgendo in modo insolubile la coalizione. La gente comune ha capito bene il patto di scambio premierato-autonomia che i Fratelli di Giorgia e i federalisti (a parole) del Nord era un trappolone da cui era impossibile uscire. E bisogna dire che bene hanno fatto a esprimere il proprio dissenso i deputati calabresi di Forza Italia, Cannizzaro, Mangialavori e Arruzzolo, votando contro.

Ma la legge è passata, con un’aula dove mancavano 129 deputati e la cui maggioranza richiesta era di 136 voti. Ce ne sono stati altri 72 a far diventare legge un provvedimento che rischia di allargare il distacco del Sud, quando sarebbe invece necessaria una intesa coesa per le riforme di cui il paese ha un bisogno assoluto.

Ma quali riforme, se analizzando i provvedimenti di questo governo non si riesce a individuare almeno un provvedimento serio e costruttivo, utile a far crescere il Paese, garantendo diritti e lavoro, aiutando le fasce più deboli e contrastando le troppe fragilità di una buona parte di popolazione che è a rischio di povertà assoluta. La cancellazione del discutibile “reddito di cittadinanza” non ha trovato seguito in un sostegno consistente a chi è rimasto improvvisamente in brache di tela, con bambini, anziani e disabili improvvisamente privati di un aiuto vitale.

Ci sono stati abusi – questo è verissimo – ma la colpa è di chi non ha vigilato, non dei poveracci che con l’assegno di mantenimento portavano il pane a casa. Ma questa è solo la punta di un iceberg che potrebbe distruggere 100 Titanic e non si può pensare all’“obolo” di 500 euro destinato a settembre – una tantum – agli incapienti e ai sottosoglia dell’Isee. Il Paese chiede riforme vere, a cominciare da un fisco voracissimo con i lavoratori dipendenti, ma assai lascivo con gli evasori di professione.

Un fisco che punisce pesante-mente l’errore formale di chi paga regolarmente le tasse, ma ignora chi non ha mai denunciato un centesimo né tanto meno pagato tributi. Un Governo che abbuona introiti milionari alle banche e ne subisce il “ricatto” riducendo a briciole il contributo sociale che ne sarebbe potuto venire, che taglia la decontribuzione al Sud (ma quale imprenditore sarà più “attratto” a localizzare parti dell’azienda nelle aree depresse in assenza di incentivi) e favorisce i grandi investimenti, deprimendo la piccola impresa che è il tessuto connettivo del Paese.

La vittoria (di Pirro) della Lega e di quella parte di centrodestra (quasi tutta) che continua a vantare favolistici vantaggi derivanti dall’Autonomia, non ha prospettive rosee. Il Paese, ma soprattutto, il Mezzogiorno non ne può più di parole e buone intenzioni, richiede interventi e provvedimenti che, in nome della coesione sociale e dell’inclusione, possano mettere sullo stesso piano – per intenderci – i bambini degli asili di Reggio Emilia con quelli degli asili di Reggio Calabria. È una vana speranza, anzi, con l’attuazione improbabile, lo ripetiamo) dell’Autonomia grazie all’infame logica della spesa storica, ci sarà sempre di meno per le regioni più deboli. E la Calabria ne è la capofila.

Non succederà nulla nel Governo, l’opposizione è pressoché inesistente e la sinistra sta fallendo miseramente il suo ideale riformista, nutrendo gli ultimi seguaci di parole ad effetto, ma prive di qualsiasi risultato. Il Governo di Giorgia Meloni durerà tutta la legislatura per mancanza di avversari, ma cominci a guardare con occhio diverso il Sud e la sua lenta agonia che porterà solo disagi all’intero Paese.

Se non riparte il Sud, non riparte l’Italia: bellissima frase ad effetto, ribadita a 360 gradi, ma regolarmente disattesa. Si litiga sull’acqua sporca e la si butta via, senza accorgersi del bambini che c’è dentro: il messaggio è chiaro ed evidente: l’Europa guarda a destra e nessuna quaestio se si tengono lontane nostalgie antistoriche e autoritarismi insopportabili. L’Italia può svolgere un ruolo determinante nella nuova Europa che le urne ci hanno portato, ma deve decidere da che parte stare. Dalla parte di chi lavora e produce, o dalla parte di chi gattopardescamente spera che tutto cambi perché tutto rimanga come prima. (s)

OGGI INIZIA LA MATURITÀ: IN CALABRIA IL
96,4% DEGLI STUDENTI È STATO AMMESSO

di GUIDO LEONELe vacanze per tantissimi studenti calabresi sono, dunque, iniziate già da sabato 9 con l’ultimo suono di campanella. Ma non per tutti. A sospirare ancora fino al 29 giugno saranno i piccoli allievi della scuola dell’infanzia che termineranno la loro attività solo sabato 29 giugno.

Insieme a loro suderanno le proverbiali sette camicie gli allievi delle scuole media inferiori che, a termine del loro ciclo di studi, in questi giorni sono impegnati a conquistare la loro mini maturità. Gli esami per loro dovranno concludersi entro la fine del mese.

Mentre oggi inizia la maturità 2024 per gli studenti delle quinte superiori – in Calabria la percentuale di ammessi è del 96,4% – con la prima prova, quella d’italiano.

Quest’anno, infatti, sono 526.317 gli studenti coinvolti nelle prove (512.530 candidati interni e 13.787 esterni), mentre le commissioni sono 14.072, per un totale di 28.038 classi. La ripartizione dei candidati per tipologia di percorso di studio è la seguente: Licei: 266.057; Istituti Tecnici: 172.504; Istituti Professionali: 87.756

La direzione generale dell’Ufficio regionale, con il servizio ispettivo, ha allestito una task force di supporto e vigilanza che sarà operativa su tutti i territori provinciali. Prima dell’inizio degli esami, i presidenti delle Commissioni d’esame saranno convocati per il tradizionale incontro con gli ispettori tecnici  designati dalla Direzione dell’Usr con il compito di seguire l’andamento dei lavori. L’insediamento delle commissioni e la riunione 17 e 18 giugno.

Secondo quanto previsto dal Mim, la data d’inizio dell’esame orale deve essere decisa dal presidente della commissione durante la riunione plenaria. Considerando che a ogni commissione sono affidate due classi, l’ordine verrà stabilito in base a un sorteggio.
Una volta deciso l’ordine, gli studenti saranno tenuti a presentarsi di fronte alla commissione a seconda della lettera dell’alfabeto estratta a sorte.  Non potranno essere effettuati più di 5 colloqui al giorno salvo casi particolari o emergenze organizzative. 

Le commissioni operanti in Calabria saranno 49 per la provincia di Vibo Valentia, 189 per la provincia di Cosenza,97 per la provincia di Catanzaro e 51 per la provincia di Crotone. Nel Reggino, le commissioni sono in tutto 160, presiedute da altrettanti presidenti (tra  dirigenti e  docenti ordinari) e composte da 564  commissari esterni e da 480 interni.

Esamineranno in tutto 5.756 candidati interni, di cui esterni 279. 

La maxi maturità ha iniziato quest’anno il suo secondo secolo di vita. L’esame di Stato, infatti, compie 101 anni di vita, passando attraverso varie riforme e rifacimenti, non ultime quelle dettate dalle recente pandemia. Ma già dall’anno scorso si è tornati alla formula tradizionale.

E cioè: la commissione d’esame mista con tre membri interni e tre esterni, oltre al presidente anch’egli proveniente da altra scuola. Saranno due le prove scritte a carattere nazionale, decise cioè dal Ministero dell’Istruzione e un colloquio.

Come già previsto per lo scorso anno, infatti, lo svolgimento delle prove Invalsi è requisito di ammissione all’esame, sebbene i risultati delle prove standardizzate non influiranno sugli esiti dell’Esame di Stato. Lo svolgimento dei Pcto (Percorsi per le Competenze Trasversali e per L’orientamento), invece, in deroga alla norma, non costituirà requisito di ammissione all’esame, ma sarà comunque oggetto del colloquio.

Il calendario delle prove scritte

Si comincia oggi, mercoledì 19 giugno, alle 8.30 con la prima prova scritta. Serve ad accertare sia la padronanza della lingua italiana sia le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche degli studenti. Si svolge con modalità identiche in tutti gli istituti e ha una durata massima di sei ore.

I candidati possono scegliere tra tipologie e tematiche diverse: il Ministero mette a disposizione per tutti gli indirizzi di studio sette tracce che fanno riferimento agli ambiti artistico, letterario, storico, filosofico, scientifico, tecnologico, economico, sociale. Gli studenti possono scegliere, tra le sette tracce, quella che pensano sia più adatta alla loro preparazione e ai loro interessi.

La prova può essere strutturata in più parti. Ciò consente di verificare competenze diverse, in particolare la comprensione degli aspetti linguistici, espressivi e logico-argomentativi, oltre che la riflessione critica da parte del candidato.

Domani, giovedì 20 giugno, è prevista la seconda prova scritta. La seconda prova si svolge in forma scritta, grafica o scritto-grafica, pratica, compositivo/esecutiva musicale e coreutica. Essa ha per oggetto una disciplina caratterizzante il corso di studio e deve accertare le conoscenze, le abilità e le competenze riguardanti il profilo educativo culturale e professionale dello studente dello specifico indirizzo.

Il colloquio

Il colloquio si svolgerà dopo gli scritti e riguarderà anche l’insegnamento trasversale dell’educazione civica. Si tratterà di un colloquio pluri e interdisciplinare: la commissione valuterà sia la capacità del candidato di cogliere i collegamenti tra le conoscenze acquisite sia il profilo educativo, culturale e professionale dello studente. Prenderà il via da uno spunto iniziale scelto dalla Commissione.

Sarà la fase dell’esame in cui verrà valorizzato il percorso formativo e di crescita, le competenze, i talenti, la capacità dello studente di elaborare, in una prospettiva pluridisciplinare, i temi più significativi di ciascuna disciplina. Questi ultimi saranno indicati nel documento del Consiglio di Classe di ciascuno studente.

Nell’ambito del colloquio, il candidato esporrà, mediante una breve relazione e/o un elaborato multimediale, l’esperienza Pcto (percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento) svolta nel percorso degli studi. Il colloquio dell’esame di Stato assumerà un valore orientativo: data la sua dimensione pluridisciplinare, metterà il candidato in condizione di approfondire le discipline a lui più congeniali.

Per tale motivo, la commissione d’esame terrà conto delle informazioni inserite nel curriculum dello studente: da qui emergeranno, infatti, le esperienze formative del candidato nella scuola e nei vari contesti non formali e informali.

Nella parte del colloquio dedicata ai Pcto (percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento), lo studente potrà evidenziare il significato di tale esperienza in chiave orientativa e, quindi, potrà collegarla con le proprie scelte future (sia che comportino la prosecuzione degli studi sia che prevedano l’inserimento nel mondo del lavoro).

Come si può ben vedere non vi saranno particolari novità rispetto all’anno precedente. Se non una maggiore consapevolezza critica tra docenti e discenti che queste prove non devono essere una verifica delle nozioni conosciute o una prova della capacità di memoria, ma un momento in cui mettere alla prova le capacità sintetiche e quelle critiche. Questo ci si aspetta dall’esame di Stato e non la fiera del nozionismo, una ennesima e centellinata analisi di quanto uno ha appreso e su cui ha fatto interrogazioni e compiti a non finire.

Il punteggio nelle varie prove e votazione finale, sistema dei crediti

Durante lo scrutinio finale, il consiglio di classe attribuirà il punteggio per il credito maturato nel secondo biennio e nell’ultimo anno fino a un massimo di quaranta punti: dodici punti per il terzo anno, tredici per il quarto anno e quindici per il quinto anno.

La valutazione del comportamento contribuirà alla determinazione del credito scolastico. Massimo 40 punti per il credito scolastico; massimo 20 punti per il primo scritto; massimo 20 punti per il secondo scritto; massimo 20 punti per il colloquio

La commissione potrà assegnare fino a 5 punti di “bonus” per chi ne avrà diritto. Dalla somma di tutti questi punti si otterrà il voto finale dell’esame. Il punteggio massimo sarà di 100, con la possibilità di ottenere la lode, mentre il punteggio minimo per superare l’esame sarà di 60/100.

Distribuzione dei candidati tra le principali tipologie delle scuole reggine.

Prevalenti, come sempre,  risultano i candidati degli istituti tecnici:1.952; seguiti dai licei scientifici:1.444; dai professionali con 1017 interni. A seguire i licei scienze umane con 457, i licei classici con 426, i licei linguistici con 263, i licei artistici con 185 interni e 16 nei licei musicali.

I controlli

Il Ministero dell’Istruzione ha pubblicato una circolare per ribadire le regole da seguire per non rischiare di essere esclusi dalle prove e  di conseguenza bocciati. È vietato l’utilizzo di cellulari, apparecchiature elettroniche e calcolatrici nelle prove scritte, telefoni cellulari, smartphone e smartwatch di qualsiasi tipo, dispositivi di qualsiasi natura e tipologia in grado di consultare file, di inviare fotografie

Il tradizionale tam tam di illazioni sulle possibili tracce del tema

Il tormentone quest’anno è iniziato da un bel po’, soprattutto sulla rete. Pirandello, D’Annunzio Ungaretti, Montale restano come sempre i  favoriti della vigilia. Poi Italo Svevo Italo Calvino e Pascoli. Immancabili poi gli anniversari: dai 100 anni dal caso Matteotti, ai 110 anni dallo scoppio della prima guerra mondiale, ai 75 anni della Nato, ai 20 anni di Facebook. 

Con riferimento alla stringente attualità, poi,sono da considerare  argomenti come lo scontro israelo – palestinese, la guerra tra Ucraina e la Russia, gli effetti della intelligenza artificiale e le nuove frontiere digitali, la questione di genere e la violenza sulle donne. Ed ancora i diritti umani e i rifugiati, i diritti civili con la protesta delle donne in Iran, il bullismo e la violenza giovanili e la crisi climatica.

I precedenti sugli esiti della maturità 2023 in Calabria

La percentuale degli ammessi a sostenere gli esami di Stato nel 2023 è stata del 96,3%. Mentre dei diplomati è stata del 99,8%.

I diplomati  con voto 60 sono stati il 3,2%; con voto tra il 61 e il 70 il 19,8%; tra il 71 e l’80 il 25,4%; tra l’81 e il 90 il 19,6%; tra il 91 e il 99 il 14,6,%, con voto 100 l’11,9%. Il 5,6% dei candidati ha conseguito il 100 con la lode. Dal voto 91 in su la Calabria con i suoi candidati ha superato di gran lunga la media nazionale classificandosi al primo posto tra le altre regioni. Con buona pace degli esiti dei test Invalsi nella nostra regione. 

In tanta confusione gli esami paradossalmente restano l’unico punto fermo

Al netto della confusione di temi e rivendicazioni, è vero che sarebbe sano e per tutti molto rilassante imporre una moratoria al furore riformistico sulla maturità: una sorta di ossessione. Da oltre un trentennio ognuno propone la sua ricetta, chi la vuole togliere, chi ritoccarla, chi renderla più semplice, chi complicarla. Non c’è ministro dell’Istruzione che voglia  lasciare una sua impronta, sull’esame di Stato: Berlinguer cambiò quasi tutto:  commissioni,  prove, punteggi, e introdusse i crediti; Moratti volle solo membri interni e un presidente esterno; Fioroni tornò alle commissioni miste e ridimensionò i crediti; Gelmini volle per l’ammissione la sufficienza in tutte le materie; Profumo introdusse un sistema criptato per l’invio delle tracce; Giannini pretese che si valorizzasse l’alternanza scuola-lavoro; Fedeli tra l’altro impose le prove Invalsi come criterio di ammissione e corresse il punteggio. Bussetti ha cambiato il numero delle prove scritte e il sistema di voto. Poi arrivo il Covid ed è andata come è andata, e via dicendo. 

Insomma, la scuola è stata sempre una casa disordinata, un cantiere sempre aperto dove le riforme si succedono una dietro l’altra e l’idea di una scuola che raggiunga un livello di qualità divenendo un ascensore sociale per tutti gli allievi al momento resta un obiettivo lontano.

Pur non di meno è paradossale,  ma l’esame di stato resta l’unico punto fermo che riesce a dare alla scuola una illusione di efficienza, di funzione.

Allora è bene che questa “forma” rimanga rituale fino in fondo, nell’attesa che un nuovo ministro possa riempirla  di un serio contenuto oppure abolirla. (gl)

[Guido Leone è già Dirigente Tecnico USR Calabria]

 

I TANTI DUBBI SUL PONTE, TRA SI E NO E IL
RISCHIO CHE REGGIO SIA ISOLATA DALL’AV

di FRANCESCO COSTANTINOAl dibattito tenutosi nell’aula del Consiglio comunale di Reggio Calabria alla presenza di un vasto pubblico hanno partecipato i sindaci dei Comuni di Reggio, Villa San Giovanni e Campo Calabro e pochi consiglieri di opposizione, uno dei quali ha illustrato una propria mozione, un altro è intervenuto argomentando la propria posizione sul tema e un’altra non ha espresso alcuna posizione. 

Le rappresentanze politiche di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia erano assenti. Molti invece gli interventi delle varie associazioni presenti.  

A conclusione del dibattito ha prevalso nettamente la posizione dei contrari e/o dubbiosi rispetto ai favorevoli al Ponte.

Provo a dire la mia con alcune riflessioni.

Prima riflessione.

Penso che se sul tema Ponte si o no venisse indetta una consultazione referendaria con coinvolgimento dei cittadini di Reggio Calabria, Messina, Villa San Giovanni e Campo Calabro il risultato, verosimilmente, non sarebbe lontano, per ragioni variamente motivate, da una suddivisione a metà tra i favorevoli e i contrari.

Si tende invece a far passare l’idea che i contrari lo siano per motivi considerati astrattamente ed esclusivamente“ideologici” e che i favorevoli appartengano alla categoria di quelli più aperti e confidenti nei confronti del progresso scientifico e dello sviluppo.

Inutile dire  che non può valere né la prima né la seconda catalogazione e per questo, molto laicamente, vado al punto.

Provate voi ad immaginare che l’ipotetico  referendum venisse indetto su un altro tema riguardante la posizione dei cittadini degli stessi territori sulla volontà o meno di avviare, con adeguati strumenti amministrativi e finanziari, la costruzione dell’Area integrata dello Stretto.

Non credo che ci possano essere dubbi sul risultato di questa ipotetica consultazione che registrerebbe – è ragionevole pensarlo – un’amplissima maggioranza dei favorevoli.

E se questo è vero diventa lecito porsi la domanda se il “Ponte”, in fase di progettazione accelerata, che nella configurazione nota prevede il collegamento tra il territorio di Campo Calabro e l’area collinare di Messina, favorisca l’integrazione territoriale dei Comuni interessati o vada in direzione ostinata e contraria.

Seconda riflessione.

Sarebbe pure lecito domandarsi come potrebbe mai avvenire che una linea ad Alta velocità che imboccasse il “Ponte” a Campo Calabro potesse ridiscendere in pochi chilometri alla quota dell’attuale stazione di Reggio Calabria e, se ciò non si ritenesse possibile, domandarsi se il progetto del Ponte preveda o no la costruzione di una nuova stazione ferroviaria a monte di quella attuale collegata al “Ponte” stesso e da connettere con la ferrovia esistente sul versante ionico.

Perché se a ciò non si fosse pensato, come in effetti nessuno ci ha pensato, vorrebbe dire che la città di Reggio Calabria è stata esclusa definitivamente, senza nessuna consultazione dei territori, dal progetto dell’alta velocità, continuando a rimanere sostanzialmente e drammaticamente sconnessa il territorio del versante ionico calabrese con  accentuazione della sconnessione con il territorio del versante tirrenico

Terza riflessione.

Qualcuno, ad oggi, conosce la sezione della linea ferroviaria esistente, o di quella futura ad alta velocità se dovesse essere diversa, sulla quale verrà innestata la linea ferroviaria che risalga dalla quota attuale  alla quota d’imbocco del Ponte sul versante calabrese? 

È stata già progettata o ancora no la galleria di non meno di 25-30 km di lunghezza che si renderebbe necessaria per realizzare questo collegamento? 

Quarta riflessione.

Val la pena o no riflettere sulla circostanza, passata in second’ordine, che l’analisi costi-benefici che giustificherebbe la costruzione del “Ponte” preveda l’annullamento totale dei servizi di traghettamento di passeggeri e merci, che gli studi trasportistici non siano stati aggiornati e siano ancora gli stessi del 2011 e che, infine, non siano state considerate, come la legge prevede, alternative di progetto?

Conclusioni.

Non ho alcuna pregiudiziale ideologica ma penso che i ponti più utili siano quelli che nascono da un’idea ragionata, progettata e condivisa di sviluppo territoriale e non quelli che dividono i sentimenti delle persone che i territori hanno il diritto di vivere, così  come, comunque la si pensi, è accaduto negli ultimi 50 anni in ragione di un “Ponte” calato dall’alto.

E tutto questo al netto delle questioni procedurali adottate per il riaffidamento all’esecutore contrattuale e delle questioni che riguarderebbero la possibilità, mai sperimentata nella storia, di realizzare un ponte come quello in discussione di cui non esiste, ad oggi, dopo tantissimi anni di studi e tantissimi investimenti, un progetto esecutivo reso noto.

Progetto che si ritiene che possa essere pronto in brevissimo tempo. Galileo su quest’ultimo punto avrebbe molto da dire.

Io non ho titoli per dare giudizi, ma dubbi si e molto forti, e non amo il gioco d’azzardo. (fc)

PARTITI GLI INCENTIVI DELLA ZES UNICA
MA NON PER LA NASCITA DI NUOVE IMPRESE

di PIETRO MASSIMO BUSETTASembra che la massima del Vangelo “Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra” sia stata adottata anche dal nostro Governo.

Parlo del Credito d’imposta della Zes unica. Infatti scatta dal 12 giugno la possibilità di chiedere alle Entrate il bonus per gli investimenti in beni strumentali nelle aree del Mezzogiorno interessate dalla Zes Unica. Ci sarà un mese di tempo per le richieste, visto che la scadenza è fissata per il 12 luglio. 

Le modalità operative di tale provvedimento fanno capire come la Zes unica in realtà stia tradendo  la logica iniziale, trasformandosi in un beneficio per le aziende esistenti già sul territorio.      

Il motivo per il quale si immaginavano le otto zone del Mezzogiorno  é simile all’idea cinese delle Special Economic Zones (Sez). Il concetto è semplice, poiché l’economia cinese pensava di non potercela fare da sola ad innescare quel processo di sviluppo necessario per dare risposte adeguate al sistema economico, immagina delle aree nelle quali assicura una criminalità all’angolo, una adeguata infrastrutturazione che renda raggiungibile le aree  da qualunque parte del mondo, un costo del lavoro molto basso e, infine, una tassazione particolarmente favorevole degli utili di impresa. 

Tali  condizioni per attrarre investimenti dall’esterno dell’area, considerato che il sistema economico cinese non riesce da solo a creare quell’economia che possa far uscire il Paese dal suo sotto sviluppo. L’idea funzionò e in molti in Europa, a cominciare dalla Germania, immaginano che possa essere un sistema per far finanziare il proprio sviluppo dai capitali in giro per il mondo, in cerca di massimizzare i rendimenti. 

Le condizioni che devono soddisfare tali aree  per cui sono individuate in un territorio limitato sono quelle delle Sez. Con il cambiamento in corso d’opera ed il passaggio dalle otto Zes all’unica per tutto il Mezzogiorno, avevo manifestato il dubbio che si potesse perdere quell’appeal che dovrebbe far arrivare gli investimenti dall’esterno dell’area sul territorio meridionale. 

Necessari perché con 20 milioni di abitanti e 6.300.000 occupati compresi i sommersi, rimasti più o meno stabili da dieci anni a questa parte, pensare che il sistema imprenditoriale del Sud potesse riuscire a creare quei 3 milioni di posti di lavoro, che servono per avere un rapporto popolazione occupati simile a quello dell’Emilia-Romagna, era assolutamente impensabile. 

Le norme attuative emanate per una delle condizioni per l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area, riguardante il credito d’imposta e quindi la tassazione degli utili eventuali di impresa, ci fa capire come in realtà si sia snaturato lo strumento. 

Infatti quando le norme attuative dicono che  possono essere inviate dal 12 giugno al 12 luglio 2024 le comunicazioni all’Agenzia delle entrate relative alle spese sostenute dal 1° gennaio 2024 e a quelle che si prevede di sostenere entro il prossimo 15 novembre 2024, per accedere al credito d’imposta riconosciuto per investimenti realizzati nella Zes unica Mezzogiorno, si capisce che piuttosto che all’attrazione di investimenti si pensa a dare vantaggi competitivi alle realtà esistenti. E gli investimenti ammissibili sono quelli riguardanti l’acquisto, anche tramite locazione finanziaria, di nuovi macchinari, impianti e attrezzature varie destinati a strutture produttive già esistenti o che vengono impiantate nella Zes unica e che devono mantenere la loro attività nella Zes unica per almeno 5 anni.

E se anche Il credito è differenziato per Regioni, dimensioni dell’impresa ed entità dell’investimento con una diversa agevolazione  tra  Calabria, Campania, Puglia e Sicilia e Basilicata, Molise e Sardegna, che hanno un beneficio minore, si capisce che tali tempi così ridotti difficilmente potranno  far accedere a questi vantaggi investimenti importanti, che hanno bisogno di certezze diverse per stabilire di arrivare in un territorio sconosciuto. E che la Zes unica avrà la funzione di rendere più competitivo il sistema imprenditoriale esistente, tradendo in realtà il vero scopo dello strumento.       

Contemporaneamente invece viene posta a Cernusco la prima pietra della nuova giga factory dell’idrogeno verde, la più grande fabbrica italiana di elettrolizzatori, 25mila metri quadrati, che faranno del Naviglio una delle green valley lombarde.

La Gigafactory per l’idrogeno verde diventa realtà a Cernusco sul Naviglio, con una struttura da 25mila metri quadrati di De Nora, che darà lavoro a 200 persone direttamente e a 2.000 con l’indotto. Produrrà elettrolizzatori per ottenere idrogeno dall’acqua utilizzando energia rinnovabile.  

Bene questa è la dimostrazione plastica della schizofrenia del Paese, che da un lato finanzia praticamente l’esistente e dall’altro continua a implementare un sistema produttivo, che dovrebbe essere in qualche modo incoraggiato a spostarsi, considerata la mancanza di capitale umano esistente nell’area, in particolare di quello professionalmente formato, che dovrà essere trasferito dalle Regioni meridionali. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

CROTONE E SALINE SICURE OPPORTUNITÀ
DI RIGENERAZIONE AMBIENTALE E MARINA

di EMILIO ERRIGODalle previste, approvate, in parte finanziate e da molto tempo attese opere di completamento, riguardanti la realizzazione degli urgenti e non più rinviabili interventi di bonifica e riparazione del danno ambientale delle aree contaminate private e pubbliche, dalla riqualificazione e valorizzazione ambientale dei territori, delle acque di falda ora contaminate, dalla caratterizzazione delle aree e dei fondali marini da attualizzare accertando lo stato della reale contaminazione, dal completamento infrastrutturale delle banchine e delle due vasche di colmata situate interne al Porto, dall’adeguamento funzionale e  dalla realizzazione degli interventi di dragaggio dei sedimenti portuali, dalla messa in sicurezza permanente di alcune individuate aree Cic, fosforite e Cubilot ancora presenti in molti ambiti territoriali di Crotone, partirà la crescita economica imprenditoriale e industriale, sia della Provincia di Crotone che della compromessa realtà costiera marittima e portuale di Saline Joniche, rientrante nel Comune di Montebello Jonico della Città Metropolitana di Reggio Calabria.

Le azioni e gli interventi necessari e urgenti, pianificati, programmati e in parte assistiti da copertura finanziaria, da completare e realizzare, andranno a totale beneficio economico e occupazionale, non solo della Città di Crotone, ma anche di tutte le altre province della Regione Calabria e delle regioni del meridione d’Italia.

Prevedo un positivo riposizionamento strategico nel Sud Italia, con particolare riferimento alle due aree portuali e industriali di Crotone e Saline di Montebello Jonico in Calabria. 

Realtà territoriali costiere similari sotto diversi aspetti, da ritenersi uniche al mondo sotto il profilo storico, archeologico, architettonico e paesaggistico, ma anche con gli stessi punti di debolezza, che possono diventare sicure opportunità per la rigenerazione urbana e la riqualificazione economico – ambientale.

Senza addentrarci in fuorvianti analisi statistiche e volgendo lo sguardo con attenzione, direttamente ai due contesti ambientali similari, sento di poter affermare senza rischiare di essere smentito dai fatti, che, proprio il loro storico degrado ambientale e, a mio modo di interpretare gli scenari ambientali, a forte rilevanza economica, possa trasformarli in due centri di forza produttiva e di futuro benessere generale per il Meridione d’Italia.

Due aree industriali simili e con differenti complessità ambientali e urbanistiche, da gestire unitariamente, nel segno del cambiamento, con mirate azioni programmatorie rilevando in analisi di contesto, un reale potenziale di forza economica industriale, non ancora strategicamente espressa.

Si è convinti nel sostenere che in un prossimo e medio futuro, la crescita economica complessiva omnidirezionale delle due aree grecaniche joniche sarà intensa.

La realtà post industriale della antica Kroton, patria della Magna Grecia ed oggi città di Crotone, risulta positiva sotto ogni punto di vista economico, finanziario e sociale.

Osservando i dati espressi, in estrema sintesi, dell’area vasta peraltro ricadente nel perimetrato (Sin), Sito di Interesse Nazionale e contemporaneamente situato all’interno della Zona Economica Speciale Unica Meridionale, (Zes Unica Meridionale), si registrano dati significativi con molte opportunità da cogliere e valorizzare senza altri ritardi. 

Si legge nel commento della scheda di mercato una evidente bassa congiuntura economica, ingenti risorse di capitale umano in attesa della prima occupazione, un bassissimo reddito pro-capite, (ultimo o penultimo in Italia), una manodopera a basso costo, un eccesso di disponibilità di forza lavoro giovanile, qualificata e specializzata, una lievitazione crescente della base culturale individuale. 

La città di Crotone in particolare, oggi contesto ambientale degradato e deturpato, ma riparabile, recuperabile e riqualificabile, è da valorizzare a totale carico finanziario e in danno delle società multinazionali ora proprietarie delle aree, subentrate in ogni modo e a seguito di provvedimenti legislativi, giudiziari esecutivi, per volontà del Governo, al management delle società industriali storicamente presenti sul territorio crotonese. 

Realtà storiche, rivelatesi a posteriori pericolosamente insalubri e dannose, sia per la salute dei lavoratori impiegati nelle ex industrie metallurgiche e chimiche, che per i cittadini abitanti nei territori adiacenti alle industrie storiche, ex Pertusola, ex Agricoltura, ex Fosfotec ed ex Sasol. Tutte le società  fortemente impattanti per l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi terrestri e marittimi, risultati contaminati dai residui dei processi di produzione delle industrie metallurgiche dello zinco e suoi derivati, (Cic) e delle industrie chimiche sottoforma di prodotti dannosi residuali (Fosforite);  materie prime di base,  allora impiegate per la produzione di anticrittogamici, antiparassitari, diserbanti, detergenza e abrasivi, venduti sul mercato nazionale ed estero, che fino agli anni novanta del secolo scorso, cubavano una forza lavoro complessivamente intesa, tra ingegneri, chimici, amministrativi e manodopera qualificata e altamente specializzata, pari se non molto superiore alle 2500 unità di forza lavoro diretta e indiretta, creativa e produttiva.

L’ignoranza e l’errore umano, si dice che siano la madre e il padre dell’esperienza, così come l’intelligenza, possa essere definita come la capacità di risolvere nuove e complesse problematiche apparentemente irrisolvibili, in assenza di risorse culturali e tecnologiche.

Ora le azioni amministrative e le attività necessarie per la realizzazione e completamento degli interventi di bonifica e riparazione del danno ambientale delle aree allora industriali e oggi da decontaminare, sono in avanzato stato di risoluzione, grazie alla ferma volontà manifestata dallo Stato e dal Governo, che hanno cercato di favorire l’unione di intenti delle forze economiche industriali e imprenditoriali, con azioni propositive a Crotone e Provincia. Le attività legislative del Parlamento, la decretazione di urgenza del Governo Italiano e l’impegno costante dei Presidenti di Regione e di tutti i Presidenti e Consiglieri del Consiglio Regionale della Regione Calabria, hanno creato diritto nazionale e regionale idoneo per la crescita, ripartenza economica e lavorativa in Calabria, in aderenza e recepimento del diritto ambientale europeo e ratifica del diritto convenzionale internazionale.

Ora, a mia convinzione e analisi economica predittiva, ritengo che dobbiamo essere molto fiduciosi, in attesa di una vita in un ambiente migliore per tutti i Cittadini Calabresi, in particolare per quelli residenti e abitanti in quel centro economico industriale energetico di Crotone.

Non comprendere il vento economico – finanziario favorevole che è in rotazione sul territorio, mare e porto di Pitagora, seguendo la Rosa dei Venti, a favore del territorio, non credo sia un accettabile segno di ottimismo pro sviluppo e rigenerazione urbana.

Le risorse energetiche rinnovabili e non, petrolifere e gessifere, idriche, idroelettriche, ambientali, agricole, la presenza dell’ “Area Marina Nazionale Protetta” di Isola Capo Rizzuto, considerata una delle più grandi e ricche di biodiversità d’Europa, le reti viarie intermodali sostenibili su ferro, gomma, potenziabili per vie aerea e marittima, le crescenti capacità ricettive portuali e retroportuali, in corso di potenziamento infrastrutturale, faranno della Provincia di Crotone del 2030, una realtà economica anche industriale e imprenditoriale, potenzialmente pronta per competere sul mercato euro mediterraneo ed internazionale.

Occorre crederci e compartecipare per un prossimo futuro migliore, credete in fede e diritto; il benessere generalizzato è possibile e raggiungibile a Crotone, convincersi che esistano buone prospettive economiche, non costerà nulla e consentirà di affrontare le realtà della vita con la forza invincibile dell’ottimismo.

Partendo dalla Stazione Ferroviaria, dall’Aeroporto, dal Porto di Crotone, o dalle strade in ampliamento, rese ancora più sicure e percorribili velocemente, si potrà decidere se dirigere in latitudine nord verso Taranto e il Mare Adriatico, oppure orientare la propria libertà di scelta, convergendo in direzione jonica, verso Reggio Calabria.

Immagino un viaggio in treno di ultima generazione tecnologica, veloce, in alternativa al più lento viaggio a bordo della tradizionale “Littorina”, su una linea finalmente elettrificata, seguendo il mare dei Greci, ammirando i luoghi e i paesaggi costieri della Magna Grecia. 

Uno spettacolo unico, travolgente, colmo di bellezze paesaggistiche a cielo aperto, come fu nell’antichità per la Sicilia e la Calabria colonizzate dai Greci, con i loro mille e forse anche molti di più, tesori storici e architettonici, solo per citarne alcuni, simboli della colonizzazione grecanica e tanti altri dominazioni di civiltà antiche; Selinunte, la Valle dei Templi e Teatro Greco di Taormina in Sicilia,  Squillace, Caulonia, Gerace, Stilo, Locri, Bova, Roccaforte del Greco, Roghudi borgo antico, il borgo millenario di Pentidattilo, Saline di Montebello Jonico in Calabria.

Giunti a Reggio di Calabria, dopo aver camminato per pochi centinaia di metri, fissare in religioso silenzio gli immortali Eroi ritratti nei Bronzi di Riace rigenerandosi poi, con la vista incantevole del Lungomare Italo Falcomatà, un giardino storico liberamente e gratuitamente fruibile, ricco di storia e considerato da Gabriele D’Annunzio, come il kilometro il più bello d’Italia.

Un viaggio ricco di testimonianze storiche delle numerose civiltà, colonizzatori e spesso anche predatori di ogni provenienza, che inevitabilmente, per fortuna, lasciarono ai posteri i segni artistici e architettonici del loro passaggio dominante. 

Durante questo viaggio virtuale però, chiedo di soffermare la vostra attenzione sul territorio e sul mare di Saline Joniche, realtà SIC (Sito di Interesse Comunitario), area di studio e ricerche scientifiche universitarie, considerata dai botanici e ornitologi unica al mondo, per la ricchezza di biodiversità e la imponente nidificazione della avifauna migratoria Mediterranea, oggi in via di estinzione.

Camminando in quei luoghi ci si rende subito conto che questo territorio, che nelle sole buone intenzioni, si doveva industrializzare e rendere produttivo, si trova a vivere, con molte similitudini, con lo stesso stato di incuria e di contaminazione ambientale – industriale di Crotone.

Sono due simboli emblematici dello stesso stato di degrado ambientale, concepito e prodotto da insediamenti industriali insalubri. Sono le tristi conseguenze, dannose e pericolose, di scelte di politiche economiche industriali per il Sud Italia, risultate a posteriori economicamente e ambientalmente, fallimentari.

L’’industria “Liquichimica Biosintesi” di Saline Joniche, realizzata negli anni ’70, con tanto di porto industriale-commerciale, non è mai entrata in esercizio lasciando sul territorio le infrastrutture metalliche, ora vistosamente arrugginite e pericolanti, compresa l’altissima ciminiera colorata visibile ai naviganti del mar Jonio.

Il porto Industriale di Saline Joniche non è stato mai utilizzato ed oggi, la sua bocca d’entrata è insabbiata; un’opera infrastrutturale inqualificabile di pessima qualità ed errata progettualità di ingegnera marittima. Si tratta in argomento, di un ambito costiero bruttissimo a vedersi per come è ridotto a causa di una pluriennale assenza di alcuna manutenzione infrastrutturale marittima.

Tutte le aree e le falde acquifere dei territori ex industriali di Saline Joniche, andrebbero sottoposte ad interventi di caratterizzazione per accertare, sulla base dei risultati, quali e quanti interventi di rigenerazione urbana e messa in sicurezza di emergenza, bonifica dei contaminanti, ripristino-riparazione ambientale e attività di monitoraggio, dovrebbero essere necessari e urgenti da eseguire. 

A poca distanza da questo cimitero metallico, sono state realizzate le imponenti opere e infrastrutture delle Ferrovie dello Stato, le “Officine Grandi Riparazione” di Saline Joniche.

Le officine furono inaugurate nel 1989 e vi vennero affidate le riparazioni di locomotive elettriche, nonostante la linea non risultasse allora elettrificata; dopo 12 anni di attività l’impianto fu soppresso nel 2001 in conseguenza del processo nazionale di razionalizzazione degli impianti di manutenzione. L’impianto è dunque rimasto cosi, in stato di totale abbandono. Una impattante realtà infrastrutturale in ferro e cemento armato, fatta costruire espropriando ai proprietari terrieri, migliaia di ettari di aree agricole produttive pregiate che occorre al più presto, se tecnicamente possibile e prima che sia troppo tardi, proporre quale area da perimetrale e far rientrare in un Sito di Interesse Nazionale, (Sin), da bonificare, rigenerare e riparare dai danni ambientali arrecati al territorio grecanico costiero dello Jonio. 

Un’area che doveva essere protetta, vincolata paesaggisticamente e dichiarata area Sic per via dei vicini Laghetti di Saline Joniche più noti alla generalità delle persone, come i Pantani di Saline Joniche. (ee)

(Emilio Errigo, docente universitario di Diritto Internazionale del Mare ed Europeo dell’Ambiente, è Commissario Straordinario Delegato di Governo del Sito contaminato di Interesse Nazionale di Crotone – Cassano e Cerchiara di Calabria)

AL SUD L’ORA DELLA DISUBBIDIENZA CIVILE
PER CONTRASTARE L’AUTONOMIA PADANA

di MIMMO NUNNARINon è vero che non è successo niente in queste ultime  elezioni europee. Non è vero che i risultati rispecchiano i sondaggi, e che  tutti – come prassi italiana – hanno vinto, o meglio hanno detto di aver vinto, meno Conte e i 5 Stelle, per i quali è evidente che, insieme a candidature deboli, si è esaurita quella spinta propulsiva avente come riferimento ideologico il “Vaffa” di Beppe Grillo.

Il voto del Sud non è stato ben e attentamente analizzato da politici e analisti, ancor meno dai media nazionali, se si eccettua una  seria riflessione di Isaia Sales su la Repubblica, che considera il voto meridionale, ma soprattutto il non voto – la cosiddetta astensione – come un avvertimento per Meloni e un insieme di suggerimenti per Elly Schlein. Nel Sud e nelle isole il voto va detto con chiarezza che non premia la maggioranza di Governo.

Non lo premia perché questo Governo non ha un programma per il Sud. Continua a togliere risorse al Sud e assecondare progetti penalizzanti: mortali per il Meridione, come l’Autonomia differenziata. Che si potrebbe pure fare, ma solo il giorno in cui le disuguaglianze tra Nord e Sud saranno completamente eliminate, il gap colmato. 

C’è,  per la coalizione di centrodestra, solo il dato super positivo di Forza Italia in Calabria che, però, oltre che rafforzare la leadership del presidente della Giunta regionale Roberto Occhiuto, lo carica di responsabilità. 

Se Forza Italia non farà fallire il progetto dell’Autonomia differenziata, perché i tempi come detto non sono quelli giusti, il credito dell’elettorato meridionale, calabrese in particolare, sfumerà in un battibaleno e a Occhiuto alla prima occasione sarà presentato il conto, e anche ad Antonio Tajani che nel Sud ha trovato la sua roccaforte elettorale: il 17, 9 % mentre in Lombardia (casa madre Forza Italia) è al 9,3 %.

Quel che non è stato analizzato abbastanza o quantomeno lo si è fatto con vecchie consunte categorie interpretative è che il dato dell’astensionismo non può essere archiviato col solito refrain della disaffezione, dell’indifferenza, della nausea verso il sistema politico in declino, della mancanza di fiducia nei partiti. Merita, invece l’astensionismo meridionale, una specifica riflessione, se solo il 43,73% ha votato nel Sud continentale e il 37,31% nelle isole. 

Che significa? Bisogna chiederselo scendendo in profondità nel sentimento e nell’umore dell’elettorato, e tentare di capire. Più che astensione, intesa come atteggiamento tradizionale del partito del non voto, questa volta è altro. È reazione, non è passività. È disubbidienza: l’inizio di una disubbidienza civile al Sud che può assumere in prospettiva anche forme tra le più imprevedibili e disparate [esplosive] che possono portare a perdere la pazienza nella popolazione meridionale. Come auspicava nella sua ultima intervista, sul tema del Mezzogiorno, il sociologo Domenico De Masi: «Il Sud finora è stato fin troppo paziente, dovrebbe invece avere il coraggio di perderla la pazienza». 

L’astensione delle europee intesa come disubbidienza è forse l’inizio di una fase nuova in cui il Sud comincia a perdere la pazienza? Non lo sappiamo, ma i partiti debbono cominciare a tener conto che nel futuro del Sud potrà esserci la disobbedienza civile, come forma di difesa dei diritti da lungo tempo [un secolo e mezzo] negati. Obbedire, in una società democratica, è prima di tutto un dovere. Anche votare è un dovere, non un obbligo però, intendiamoci.

Tuttavia, ci sono situazioni in cui la disobbedienza diventa un valore anche se in qualche caso specifico va contro la legge. Disobbedire, contro il progetto padano di Autonomia differenziata in qualunque forma meno che violenta è un valore, una forma di rispetto per la Costituzione finora non ancora applicata alla stessa maniera in tutti i territori nazionali. Per ora la violenza, discutendo sul tema vitale dell’unità del Paese la usano in Parlamento: una cosa indecorosa, testimonianza del livello basso raggiunto dalla classe parlamentare. 

Se guardiamo alla storia troviamo casi di disobbedienza che sono diventati “legittimi”, agli occhi del mondo, per giuste cause. Si pensi alle “disubbidienze” di Gandhi o di Martin Luther King. O alle disubbidienze al nazifascismo, alle leggi razziali, ai regimi coloniali.  Sono tutti esempi fulgidi di chi ha disubbidito alle regole, e non si fa fatica a comprendere le ragioni di quelle disubbidienze. 

Rimane da stabilire, e non è cosa di poco conto, in che modo si possa valutare la consistenza e la bontà di una causa per cui disobbedire. Sembra ovvio che la cosa prioritaria sia verificare che la disobbedienza abbia una buona motivazione sostanziale: ovvero che sia fatta per una ragione valoriale significativa.

Domanda? Disubbidire per respingere il progetto di Autonomia differenziata ha una buona base di motivazione sostanziale? La risposta che viene dall’astensionismo meridionale sembrerebbe dire di sì. (mnu)

AL SUD IN TROPPI “DISERTANO” IL VOTO E
I PARTITI PENSANO SOLO A PERCENTUALI

di DOMENICO TALIAIn un anno particolare nel quale una parte significativa della popolazione mondiale – quasi tutta quella che vive nei paesi democratici – viene chiamata alle urne, un tema non secondario che sembra interessare pochi è quello dell’ampio fenomeno dell’astensione dal voto.

In Italia e in diverse altre nazioni, il partito degli astenuti è sempre più forte e la democrazia rappresentativa diventa così sempre più debole. Meno rappresentativa e dunque meno democratica. Infatti, il distacco tra i cittadini e il potere si dilata sempre più e assume valori numerici da disastro sociale. Per i latini abstinere significava “tenersi lontano” da qualcosa, oggi il verbo astenersi è sempre più sinonimo di “non voto”, del tenersi lontani dalla politica, dalla democrazia che non si avverte come una forma di governo che risolve i problemi delle persone.

Percentuali di popolazione molti grandi vivono da separati in casa con coloro che li governano e decidono molte cose che li riguardano. Le parole dei politici sono sempre meno ascoltate dai cittadini. La sfiducia cresce sempre più e l’inutilità dell’espressione del voto conquista sempre più ampi settori di elettori che non sono interessati ad eleggere nessuno.

Se misuriamo la credibilità della classe politica con il termometro delle astensioni dobbiamo necessariamente concludere che è molto bassa. Enzo Jannacci cinquanta anni fa prendeva in giro quelli che votavano scheda bianca “per non sporcare”, oggi abbiamo tantissimi (la maggioranza) che non vota forse per non sporcarsi, perché non vuole avere a che fare con la politica e con i suoi rappresentanti. Senza fiducia non c’è voto e senza voto una società democratica va in frantumi.

Quest’anno l’affluenza alle elezioni per il parlamento europeo è stata complessivamente del 51% e in Italia si è attestata al 49,7%, cinque punti percentuali in meno rispetto alla precedente tornata elettorale del 2019, quando la partecipazione italiana al voto era stata del 54,5%. In questo dato complessivo molto negativo si notano situazioni ancora più preoccupanti. Al Sud, ad esempio, l’astensionismo ha toccato livelli di allarme grave. In Sardegna e in Sicilia, ad esempio, si è registrato una percentuale di votanti inferiore al 40%, mentre in Calabria è stato appena superato quel valore. Una grande maggioranza dei cittadini, che va oltre il 60%, decide di disertare il voto. Diverse decine di milioni di persone si tengono lontano dalla politica e sono indifferenti a chi li amministrerà, tanta è profonda la sfiducia nelle èlite politiche.

Siamo di fronte a un diritto, quello del voto, che si considera inutile e lo si rifiuta esercitando un altro diritto, concesso in democrazia, che è il diritto di non votare. Sono questi due diritti che hanno valenze diverse ma che quando si esercitano in quantità equivalenti generano un conflitto difficile da sanare, uno stato di grave fragilità per i fondamenti della democrazia. Le ragioni di questo scenario sono diverse (sociali, ideologiche, economiche, di scarsa autorevolezza, di corruzione politica), ma tutte insieme hanno aperto una voragine nel meccanismo della rappresentatività. 

Chi ha veramente a cuore la tenuta dei sistemi democratici e ha la voglia di recuperare alla democrazia questa grande massa di astenuti?

I partiti sembra non siano realmente interessati a farlo. Ma viene anche da chiedersi nel caso lo volessero, se sono in grado di farlo. C’è da essere molto scettici quando la Premier, a chi le ha chiesto le possibili ragioni dell’ultimo dato degli astenuti alle elezioni europee che ha superato il 50%, ha risposto che la colpa è dell’Europa che i cittadini sentono lontana. In realtà i cittadini sentono lontana la politica e questo arrampicarsi sugli specchi con una retorica sempre “pro domo mea” acuirà il problema invece di risolverlo, così alle prossime elezioni gli astenuti aumenteranno.

Viviamo ormai nella democrazia della minoranza. Sarebbe il caso di prenderne atto, far suonare le sirene di allarme e correre ai ripari. Avviare iniziative di ascolto, discussioni pubbliche, progetti di reale coinvolgimento dei cittadini, ma i partiti sembrano non avvertire questa necessità, preferiscono preoccuparsi soltanto delle loro percentuali (valori asettici che nascondono la realtà dei valori assoluti dei votanti che diminuiscono sempre più anche per tanti partiti le cui percentuali sono aumentate) e proseguire nelle loro polemiche, come fosse tutto nella normalità.

La democrazia così indebolita si estenua e si espone facilmente ad attacchi esterni (ad esempio dai regimi totalitari come quello di Putin). La democrazia reale rischia di diventare un guscio vuoto, pur essendo la forma di governo tra le migliori che gli esseri umani hanno saputo inventare. (dt)

[Courtesy il Quotidiano del Sud]

INFRASTRUTTURE SÌ, MA RITARDI INFINITI
ASPETTANDO LE COMMISSIONI DI VIA E VAS

di ERCOLE INCALZA – La data dell’evento legato al Giubileo si conosceva da ben 25 (venticinque) anni eppure ci si è ridotti all’ultimo anno per dare inizio ad alcuni interventi; allo stato delle opere programmate sono in fase di realizzazione solo il 30% e di questo 30% l’avanzamento accettabile dei lavori, ad otto mesi dall’avvio delle attività del Giubileo, riguarda solo un 27%.

In realtà per il Giubileo si ripete una vera tradizione storica: si prevedono tante opere, se ne annunciano tante e alla fine non se ne fa nessuna o pochissime. I pellegrini saranno tanti, saranno accolti male e i cittadini romani soffriranno, per un arco temporale di due anni (un anno è infatti quello che precede l’evento perché si cerca di realizzare alcune opere); ripeto trattasi ormai di una abitudine consolidata.

Invece da anni sapevamo che il 24 maggio 2024 sarebbe scaduta la Commissione del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica preposta alla Verifica dell’Impatto Ambientale (Via) ed alla Valutazione Ambientale Strategica (Vas). Sì, scade fra un mese la Commissione cui spetta la valutazione dell’impatto ecosostenibile di tutte le opere infrastrutturali strategiche ed ordinarie; d’altra parte questa scadenza non avviene in un momento particolare della fase realizzativa delle infrastrutture del Paese; non è infatti in corso un Piano Nazionale di Riprese e Resilienza le cui opere vanno realizzate entro il 30 giugno del 2026; mica abbiamo dei ritardi sulle opere del Fondo di coesione della Unione Europea anzi dopo quasi quattro anni abbiamo già speso lo 0,7 (zero virgola sette) per cento; mica ci sono problemi autorizzativi di natura ambientale sull’impianto siderurgico dell’ex Ilva di Taranto o su altri impianti di produzione energetica. Il nostro Paese in fondo non ha scadenze, non ha emergenze e quindi il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, in particolare la Vice Ministra Vannia Gava può permettersi il lusso di dichiarare: «Non ci sono tempi risicati ci sono i tempi necessari al rinnovo di una Commissione che andava a scadenza naturale».

Allora entriamo nel merito, cercando di superare questa fase davvero kafkiana e cerchiamo di capire e di rispondere ad una serie di “perché” e, allo stesso tempo, sforziamoci di individuare la serie di interventi che vengono praticamente bloccati nell’avanzamento istruttorio a causa di questa stasi temporanea dei lavori della Commissione (una stasi che nel migliore dei casi supererà un arco temporale di almeno otto – nove mesi).

In merito ai “perché”, ne prospetto solo tre: Perché non si è fatto ricorso all’istituto della “proroga”? La passata Commissione era stata prorogata non ricordo se per dieci o, addirittura, dodici anni.

Perché un anno fa, sì questo Governo, non ha anticipato le operazioni mirate al cambiamento della Commissione in modo da disporre, già il 25 maggio 2024, della nuova Commissione evitando così un blocco che come ho detto prima supererà otto – nove mesi (a mio avviso oltre un anno).

Perché non si è fatto ricorso ad un provvedimento “ponte”, in cui per alcune opere, almeno quelle inserite nel Pnrr o quelle con scadenze obbligate, rimanesse in funzione l’attuale Commissione e le altre sarebbero state esaminate dalla nuova Commissione.

In merito alle emergenze ed ai danni, elenco solo le opere che subiranno praticamente una stasi e, in molti casi, rischieranno di perdere le risorse assegnate sia con il Pnrr che con il Fondo Coesione della Unione Europea: Il Ponte sullo Stretto di Messina; La diga foranea di Genova; Lotti dell’autostrada del Brennero, Il nodo autostradale di Bologna; L’asse ferroviario ad alta velocità Torino – Lione; L’asse ferroviario ad alta velocità Genova – Milano (Terzo Valico dei Giovi); La Gronda autostradale di Genova; L’asse ferroviario ad alta velocità Verona – Vicenza – Padova; L’Hub portuale di Ravenna; L’asse ferroviario Taranto – Potenza – Battipaglia; L’asse viario Taranto – Crotone – Reggio Calabria (106 Jonica); L’asse autostradale Pontina (tratto Cisterna – Valmontone).

Mi fermo qui, dopo la dodicesima ce ne sono almeno un altro centinaio meno importanti; tuttavia il blocco per alcune opere porta, addirittura, alla perdita dello stanziamento comunitario, per altre sicuramente produce un danno non di migliaia di euro ma sicuramente di milioni di euro. E tutto questo non è una eredità del passato Governo ma di questo Governo che ormai è operativo da oltre diciotto mesi e la responsabilità, in particolare, è solo di un Dicastero quello dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.

Mi soffermo un attimo sull’intervento relativo al Ponte sullo Stretto di Messina: e davvero grave che dopo aver rispettato scadenze inimmaginabili quali: la ricostituzione della Società dello Stretto nella Legge di Stabilità 2023, la approvazione di un apposito Decreto Legge per la realizzazione dell’opera e l’inserimento nella Legge di Stabilità 2024 della copertura finanziaria, tutto si fermi per la mancata nomina, nei tempi giusti, di una Commissione; dico solo che tutto questo è davvero strano e, a mio avviso, prende corpo un grande e incomprensibile paradosso: un Ministro delle infrastrutture e dei Trasporti della Lega, entusiasta della infrastrutturazione organica del Paese, viene ostacolato da una Vice Ministra dell’Ambiente, pure lei della Lega.

Un esempio classico di fuoco amico, quel fuoco amico che, da sempre, mette in crisi la crescita e lo sviluppo del Paese e, soprattutto, delude tutti coloro che ancora possiedono una coscienza dello Stato. (ei)

SCUOLA MEDIA, GLI ESAMI A DATE VARIABILI
E A BREVE ARRIVA IL TEST DELLA MATURITÀ

di GUIDO LEONECi siamo. Con la chiusura dell’anno  scolastico fissata per sabato 8 giugno arrivano le vacanze lunghe per i 73.300 e più allievi delle  scuole di ogni ordine e grado della provincia di Reggio Calabria . L’ultima campanella non suonerà, però, per i 9.800 piccoli allievi della scuola dell’infanzia, che termineranno le loro attività educative il prossimo sabato 29 giugno. 

Sarà vacanza per i più fino al 16 settembre 2024, inizio del nuovo anno scolastico, tre mesi pieni lontani da compiti, interrogazioni e libri, anzi no qualche buona lettura è sempre consigliata per arricchire il lessico dei nostri ragazzi che, come si sa, difetta alquanto secondo i risultati delle ultime prove Invalsi. Però, non per tutti sarà così. Per i ragazzi di terza media la fine delle lezioni di fatto è sinonimo di esami di Stato. Per i quattordicenni le vere vacanze scatteranno il 29 giugno, ultimo giorno utile fissato dal Ministero della P.I. per gli esami di Stato. I diciottenni, invece, saranno alle prese con gli esami almeno fino a metà luglio.

Intanto, ora è tempo di scrutini e i prossimi giorni saranno dedicati nelle scuole alle valutazioni finali:scrutini per le ammissioni alla classe successiva e agli esami di Stato.

L’anno scorso il totale degli alunni reggini ammessi a sostenere gli esami di licenza media fu del 98,8%. È presumibile che anche per il corrente anno il dato sarà eguagliato.

A cominciare, dunque, per primi saranno i cinquemila  alunni di terza della scuola secondaria di primo grado, cui si aggiungeranno un po’ di candidati esterni, che affronteranno la loro ultima fatica, il conseguimento della cosiddetta ‘minimaturità’. A seguire i quasi 5.300  e più maturandi circa delle scuole secondarie superiori che inizieranno i loro esami di stato mercoledì 19 giugno.

La minimaturità

La valutazione rappresenta da sempre un momento di particolare rilevanza, non solo perché conclude un ciclo scolastico, ma perché al tempo stesso dà l’avvio ad un nuovo percorso di formazione culturale e personale per ciascuno studente.

L’ammissione agli esami di terza media compete al Consiglio di classe con giudizio di idoneità (espresso in decimi) per gli alunni che hanno ottenuto, con decisione assunta a maggioranza dal consiglio di classe, un voto non inferiore a sei decimi in ogni disciplina, voto sul comportamento compreso.

I requisiti di ammissione all’esame finale di terza media sono i seguenti: avere frequentato almeno tre quarti del monte ore annuale personalizzato secondo regolare ordinamento della scuola. Fanno eccezione situazioni legate alle particolari condizioni epidemiologiche.

E poi non essere incorsi in sanzioni disciplinari molto pesanti.

Infine, avere partecipato alle prove nazionali di italiano, matematica e inglese predisposte dall’Invalsi, ma la valutazione delle prove non inciderà sul voto dell’esame di terza media. La votazione tiene conto del percorso scolastico compiuto. 

L’eventuale non ammissione è deliberata a maggioranza. Così come nel caso di parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline, il consiglio di classe può deliberare, con adeguata motivazione, la non ammissione all’esame conclusivo del primo ciclo.

Il calendario degli esami

Tutte le prove si devono sostenere nel periodo di tempo compreso tra l’ultimo giorno di scuola e il 29 giugno. Diversamente da come accade per l’esame di Stato conclusivo dell’ultimo ciclo di studi le date dell’esame di terza media 2024 non vengono stabilite dal MI, ma in autonomia da ogni singola scuola. Infatti abitualmente gli esami iniziano dopo gli scrutini ed è presumibile che la riunione preliminare di insediamento delle commissioni avvenga il giorno successivo.

Tre prove scritte e un colloquio

Per l’esame del primo ciclo sono previste tre prove scritte, una di italiano e una sulle competenze logico-matematiche; la terza di lingue articolata in due sezioni(una relativa all’inglese  e una alla seconda lingua straniera studiata). Le tracce delle prove verranno predisposte dalla commissione in sede di riunione preliminare.

La prova scritta di italiano dovrà accertare la padronanza della lingua, la capacità di espressione personale, il corretto uso della lingua e la coerente e organica esposizione del pensiero da parte dei candidati e fa riferimento alle seguenti tipologie: testo narrativo o descrittivo, testo argomentativo, comprensione e sintesi di un testo.

Per la prova di matematica ogni traccia preparata dai docenti prevede problemi su due diverse tipologie di compito: problemi matematici con una o più richieste e quesiti a risposta aperta. Gli argomenti del compito sono quelli trattati durante l’anno, come: numeri; spazio e figure; relazioni e funzioni; dati e previsioni. Le tracce potranno inoltre fare riferimento anche ai metodi di analisi, organizzazione e rappresentazione dei dati, caratteristici del pensiero computazionale.

Infine, la prova di lingue comprende domande ed esercizi di inglese e dell’altra lingua straniera studiata durante l’ultimo anno. Le tracce che la commissione può sottoporre ai candidati sono diverse:dalle lettera all’amico ad un questionario di comprensione del testo, dalla sintesi di un documento alla produzione di un dialogo.

L’ultimo step degli esami è la prova orale è quella più temuta dagli studenti che, in quest’ultima fase, verranno interrogati dall’intera sottocommissione d’esame che valuterà le competenze e le abilità acquisite dai candidati ponendo attenzione alle capacità di argomentazione, di risoluzione di problemi, di pensiero critico e riflessivo, di collegamento organico e significativo tra le varie discipline di studio. Gli alunni verranno poi interrogati sul programma svolto durante l’anno e sulle competenze acquisite nell’ambito degli studi di Educazione Civica.

La valutazione finale

Il punteggio dipenderà non solo dalle valutazioni ottenute nelle prove scritte e nell’orale, ma anche dal voto di ammissione allesame di terza media. I l punteggio finale sarà calcolato come la media tra il voto di ammissione e la somma delle valutazioni ottenute nelle prove, con l’arrotondamento per eccesso nei casi in cui i punteggi decimali siano pari o superiori a 0,5.

La lode è un riconoscimento speciale riservato solo a coloro che ottengono un punteggio perfetto, ovvero dieci su dieci, all’esame. Tuttavia, la decisione di assegnare la lode sarà presa dalla commissione d’esame, tenendo conto del merito dell’aspirante. Questa distinzione viene solitamente riservata agli studenti che si sono distinti durante i loro tre anni di scuola media. In generale, per superare con successo l’esame di terza media, gli studenti dovranno ottenere un punteggio pari o superiore a 6/10.

Inoltre, a tutti gli studenti candidati interni che supereranno l’esame di Stato verrà rilasciata la certificazione delle competenze.

Come è andata lo scorso anno

Stabile, invece, il numero dei ragazzi che hanno  superato l’esame: 99,8%.La distribuzione percentuale dei diplomati all’esame conclusivo del I ciclo per voto è stata la seguente:il 12,4 dei candidati ha avuto il sei, il 25,4% il sette, il 26,4% l’otto, il 21,4% il nove, il 9,6% il dieci e l’8,9% il dieci e lode. Da sottolineare che per quest’ultima votazione la distanza dalla media nazionale che è stata del 5,5% è di ben 3,4 punti percentuali.

Il gap della Scuola Media

Per l’Istat i ragazzi che frequentano l’ultimo anno delle scuole di primo grado il 35% di loro arriva alle superiori con gravi insufficienze. Infatti, non raggiunge la sufficienza nelle competenze alfabetiche, riportando gravi difficoltà nella comprensione dei testi, mentre il 40,1% ha seri problemi con la matematica.

Tutti i test, scientifici e oggettivi, nazionali e internazionali, lo certificano. Il rendimento degli alunni della scuola dell’obbligo crolla nel passaggio dalla primaria alla secondaria di I grado, con ripercussioni negative sul biennio delle scuole superiori.

Le due aree principali , perciò ,su cui lavorare nell’immediato futuro sono gli apprendimenti in  italiano e matematica; è un gap territoriale che parte sin dalla e si accentua nella scuola media, il ventre molle o se vogliamo l’anello debole del nostro sistema educativo. 

La scuola media, una terra di mezzo, è da molti anni alla ricerca di una sua identità, attratta dalla scuola superiore (il piano alto della “secondaria”), scuola primaria ma poi richiamata alla comune appartenenza alla scuola di base (il c.d. “primo ciclo” dell’istruzione). L’alternarsi di diverse denominazioni (scuola – di volta in volta – media, secondaria I grado, del primo ciclo, di base) da l’imprinting a questa vera e propria sindrome pirandelliana, nella non risolta ambiguità della sua secondarietà – di accesso ai saperi formali e al pensare per modelli – o di completamento della formazione primaria, quindi di consolidamento dell’alfabetizzazione strumentale.

Occorre affrontare presto e con energia questa profonda crisi della scuola media, che da molti anni ha smarrito la propria identità e il senso della sua missione. Occorre ridarle una missione chiara aggiornando le sua offerta pedagogica e didattica, attraverso  un forte orientamento alla personalizzazione dell’insegnamento da realizzarsi attraverso un’estensione del tempo scuola con una vera “scuola del pomeriggio”. (gl)

[Guido Leone è già dirigente tecnico Usr Calabria]