DAR MENO SOLDI AGLI INSEGNANTI AL SUD?
RIDUCIAMO I COMPENSI AI PARLAMENTARI

di PINO APRILE – Pagare meno gli insegnanti al Sud? Cominciamo dall’alto: riduciamo i compensi ai parlamentari meridionali: anche loro vivono nel Mezzogiorno. E se ci sono presunte ragioni obiettive per pagare meno dei lavoratori che sono già fra i peggio retribuiti d’Europa, figurati se quelle ragioni non sono buone per abbassare i compensi dei parlamentari più pagati d’Europa, pur se terroni.

Che però, facendo parte della maggioranza di governo (quando la maggioranza era un’altra non era diverso) hanno votato l’ordine del giorno proposto dalla Lega (il cui segretario nazionale ha una condanna per razzismo contro i meridionali), per chiedere che gli insegnanti siano pagati di più al Nord. La scusa è che a Sud la vita costa meno (ma se vai ad analizzare davvero le cose, scopri che è falso). In realtà, il lurido disegno della Lega (che sempre Lega-Nord è; pur se con il sostegno ascaro di kapò meridionali) è più sottile: si comincia con gli insegnanti, per poi estendere il criterio, “per giustizia, equità”, a tutti i dipendenti pubblici. E avrebbero così raggiunto lo scopo di un’Italia con diritti differenziati.

Questo hanno votato parlamentari eletti a Sud! Alcuni lo avranno fatto senza manco aver letto di cosa si trattava, per ottusa disciplina di partito. Ora che lo sanno, però, possono ritirare l’appoggio alla porcata, annunciando che non voteranno provvedimenti del genere, se saranno portati in aula. Ove, invece, lo avessero fatto consapevolmente, convinti, non possono limitarsi a questo, ma diano il buon esempio. Applichino lo stesso criterio ai loro emolumenti: se sei terrone, meno soldi. A cominciare da te.
Sono decenni che (con l’aiuto di ascari terroni e razzisti camuffati in ogni partito al Nord, sino al Pd) la Lega cerca di imporre una Costituzione con diritti disuguali, sul modello del Sudafrica prima della civilizzazione a opera di Nelson Mandela. Lì, diritti decrescenti con il colore della pelle dal bianco al nero, qui con la latitudine, da Nord a Sud. La scelta di iniziare dagli insegnanti è furbissima: al Nord scarseggiano e dal Sud, potendo, evitano di andarci, perché tocca far fronte a una serie di spese che non ha chi resta al paese suo e dove, quasi sempre, si lascia la famiglia. Quindi, due case, più i viaggi, costi doppi. La proposta di alzare i compensi al Nord, così, sembra andare incontro proprio alle difficoltà degli insegnanti meridionali fuori sede, nelle regioni più ricche, “dove la vita costa di più”. Davvero?
Vi ricordo che quelle statistiche son spesso fatte con trucchi indegni, per esempio non prendendo prodotti dello stesso prezzo e della stessa qualità a Nord e a Sud; considerando soglie di povertà più alte a Nord; oppure, valutando degli indici in modo ingannevole: qualche anno fa, un trio di docenti di qualche notorietà condusse “una ricerca” in base alla quale, a Crotone risultavano, “di fatto”, più ricchi che a Milano (peccato che l’emigrazione dica il contrario, ma questo è un dettaglio, cosa vuoi che importi ai prof). Poi si scoprì che avevano usato criteri come il prezzo dell’affitto di una casa di pari metratura a Crotone e Milano, dove le abitazioni hanno un costo imparagonabile. Trascurando che in Italia, almeno otto su dieci sono proprietari della casa in cui abitano o ci stanno gratis, perché ne hanno usufrutto, comodato d’uso (beni di famiglia).
Quindi, il valore vero da confrontare non era l’affitto che non pagano, salvo pochi, ma quello della casa che possiedono. E averne una di cento metri quadri a Crotone o a Milano fa una bella differenza, quanto a ricchezza. Al Nord, inoltre, grazie alla “spesa storica” con cui, dall’unificazione a mano armata a oggi, solo lì si investono fiumi di soldi pubblici (spesso sottratti al Sud), godono di servizi che al Sud non ci sono, dai trasporti alla sanità, all’istruzione. Vuol dire che se non c’è il treno per i pendolari, devi provvedere da solo, macchina e carburante. Se non hai trasporti pubblici urbani decenti, idem. E così per curarti, studiare, per l’asilo nido, la palestra. Quindi, a parte il fatto che le retribuzioni, in generale, sono già inferiori di quasi il venti per cento a Sud e, in alcuni settori, di circa il doppio, con quello che guadagni devi pagarti servizi che al Nord hanno buoni e quasi gratis. Il che significa avere, di fatto, una retribuzione ulteriormente decurtata.
Perché, se proprio si vogliono diversificare i compensi dei dipendenti pubblici, non legarli alla quantità e qualità di servizi che lo Stato dà o nega, direttamente o tramite enti delegati? (Trenitalia, ufficialmente, è una società privata. Ma con i soldi pubblici, cioè di tutti noi).
Non solo, ma il Mezzogiorno, per le scellerate e razziste politiche nazionali da oltre un secolo e mezzo, è la più vasta area europea con i più bassi redditi e i più alti indici di disoccupazione. Vuol dire che, con uno stipendio, a Sud, oltre a dover affrontare spese che a Nord non hanno, devono campare più persone che nelle regioni dove l’occupazione è più o meno il doppio e lavorano anche le donne (solo una ogni sette nel Mezzogiorno: la zona più depressa dell’intero mondo Occidentale, per questo). E invece di cercare di accrescere a Sud le opportunità di lavoro, specie femminile, assicurare quei servizi che mancano, mettere in condizioni di almeno sopravvivere chi non ha mezzi e occupazione, cosa votano questi parlamentari del Sud? Una richiesta per aumentare gli stipendi al Nord (dopo aver eliminato pure il reddito di cittadinanza. Tanto loro, i parlamentari, non sono interessati, perché satolli).
È stato un errore? Lo dicano. Sono convinti che questa sia la cura giusta? Allora facciano vedere come si fa: in quanto terroni, pur se senatori, deputati, si riducano i compensi e i privilegi. Mica solo in quelli vorremo essere alla pari con “i bianchi”! Forse è l’unico modo per far capire a questi le conseguenze delle loro azioni: che usino i treni su cui perdono tempo e pazienza tutti gli altri (se c’è il treno); si curino (vabbé, ci provino) negli ospedali e nei pronto soccorso in cui sono costretti a fare gli scongiuri tutti gli altri, i loro elettori; mandino i loro figli a studiare nelle scuole cadenti in cui rischiano i figli dei loro elettori, eccetera. Così, forse, maturano finalmente la sensibilità al differenziale di diritti Nord-Sud, a parità di legislazione e di tasse.
Oh, dimenticavo: aver approvato un ordine del giorno di quel genere è quasi niente. È una sorta di lettera di intenti al governo. Ma questo non può tranquillizzare, perché quel documento indica, appunto, l’intenzione della Lega Ku Klux Klan Nord, e complici di maggioranza, di volerlo fare e l’intenzione degli ascari terroni di farglielo fare. A frustare i neri nei campi di cotone erano altri neri; a tenere Etiopia e Somalia nella condizione di colonie italiane erano ascari somali ed etiopi al soldo dell’invasore; a condurre gli internati ai forni nei campi di sterminio erano altri internati.
«Caino», chiese il Signore, «dov’è Abele?». «Son forse io il custode di mio fratello?», rispose lui. (pa)

PNRR MISSIONE SALUTE: IL DIVARIO CRESCE
CON IL TARGET RIDOTTO SUD PENALIZZATO

di FRANCESCO COSTANTINO E RUBENS CURIALa rimodulazione della Missione 6 Salute approvata il 24 novembre dalla Commissione Europea desta preoccupazione per varie ragioni.

Innanzitutto perché bisognerebbe tenere in conto che l’obiettivo principale  e dichiarato del Pnrr Italia era quello della riduzione del divario territoriale in ogni settore d’intervento e, più in particolare, per quel che vogliamo evidenziare, nella erogazione dei servizi sanitari ai cittadini italiani.

A questo proposito, la rimodulazione approvata riduce significativamente i target per le Case della Comunità, le Centrali Operative Territoriali e gli Ospedali di Comunità senza alcuna specificazione sul come tale riduzione dovrà essere tradotta nella distribuzione territoriale tra le varie regioni.

Non vorremmo che si pensasse di agire per tagli lineari perché ciò non sarebbe sopportabile, e se si pensasse di poter trovare la giustificazione nei ritardi accumulati nell’attivazione delle procedure da parte delle aziende sanitarie calabresi o della Regione Calabria bisognerebbe reagire in quanto per ovviare, nella situazione data, potevano benissimo essere attivati i poteri sostitutivi dello Stato centrale.

Analoga considerazione va fatta per i tagli approvati ai target per le terapie intensive, sub-intensive e per i pronto soccorso perché, in questo caso, la riduzione sarebbe ancor più ingiustificata.

Basta pensare ai ritardi accumulati per gli interventi previsti dall’art. 2 del D.L. 34/2020 la cui programmazione prevedeva il superamento di un insopportabile gap storico attraverso la realizzazione di ben 134 posti aggiuntivi di TI (di cui realizzati solo 24 pari al 17,9%), di 136 posti aggiuntivi di SI (di cui realizzati solo 11 pari all’8%) e, infine, di 18 nuovi pronto soccorso (di cui realizzato solo 1 pari al 5%).

Ultima considerazione va riservata alla riduzione dei target per gli interventi di adeguamento antisismico per i quali la regione Calabria risulta esposta più che ogni altra regione italiana. 

Per concludere, va benissimo che si sia pensato di rimodulare incrementandoli i target per l’assistenza domiciliare e l’assistenza attraverso la telemedicina, soprattutto se si considera che l’80% del territorio calabrese è costituito da aree interne, ma ciò non dovrà avvenire a spese della riduzione degli altri target. 

Non accada infine, come già è stato prospettato, che si pensi di utilizzare per realizzare le opere non coperte dai target rimodulati  i fondi non spesi per gli interventi finanziati con i fondi dell’art. 20 della legge 67/88 perché i fondi del PNRR sono aggiuntivi e non sostitutivi.

Noi non possiamo permettercelo e la ratio del Pnrr non potrà essere stravolta.

La tabella allegata fotografa la sintesi della rimodulazione approvata dalla Commissione europea. (fc e rc)

AL SUD NON SERVONO ANALISI TECNICHE
SONO NECESSARIE POLITICHE DI SVILUPPO

di PIETRO MASSIMO BUSETTACinquant’anni di rapporti sono tanti e il video di Pasquale Saraceno da un lato emoziona dall’altro ci fa capire che non servono le analisi e le ricette tecniche, che sono rimaste sempre le stesse, ma la volontà politica di attuarle. 

Il Mezzogiorno sarà quello che la sua industria manifatturiera diventerà. E purtroppo ancora la dimensione di essa non è tale da trascinare la crescita del Pil. Nel 2022 il Sud cresce infatti come la media UE ma il contributo dell’industria é meno della metà che nelle altre aree. Se recupera lo stesso livello di crescita é per il contributo dei servizi e delle costruzioni. 

Chiarissimo il rapporto, ricco dei dati importanti, che vengono,  presentati, con una capacità di sintesi non comune, dal direttore Luca Bianchi

Ma il tema diventa le politiche per il futuro. La domanda che aleggia nella bella sede della Camera di Commercio di Roma, nella Sala del Tempio di Vibia Sabina e Adriano sita nella Piazza di Pietra é se quelle che sono in atto hanno forza sufficiente per superare, in un numero di anni contenuti, i grandi divari ancora esistenti nel reddito pro-capite, nel tasso di occupazione e disoccupazione, nell’export per addetto, nella infrastrutturazione di ferrovie, porti, autostrade, nei diritti di cittadinanza relativi alla sanità, alla scuola.  

E la presenza del ministro Raffaele Fitto diventa il momento più caratterizzante dell’incontro. E l’argomento principe è quello del Pnrr che dovrebbe essere lo strumento per quella rivoluzione necessaria per riequilibrare il Paese oltre che la Zes unica, soluzione per accrescere quella quota di manifatturiero ancora così contenuta. 

Il Ministro sta operando bene per l’Italia se è vero che è riuscito ad incassare tutte le rate in scadenza, primo Paese dell’Unione che lo ha  fatto. Ed anche nel senso di riorganizzare lo strumento per eliminare i finanziamenti che sono destinati ad opere che non potranno essere ultimate e collaudate entro la metà del 2026. Quindi sta operando certamente per il Paese. 

La domanda però può porsi anche in modo diverso è cioè se questa riorganizzazione del Pnrr, in parte dovuta agli errori commessi nell’impostazione dal Governo Draghi, non possa penalizzare il Sud e far perdere di vista l’obiettivo vero dello strumento, che non è quello di salvare il Paese Italia e di spendere tutte le risorse a fondo perduto e a credito, ma quello di eliminare i divari, recuperare alcuni diritti di cittadinanza, incrementare in modo decisivo la base manifatturiera dell’area. 

Se la Zes unica potrà, esempio innovativo in Europa, che riguarda un’area così vasta con 20 milioni di abitanti, attrarre investimenti importanti che in collegamento con la vocazione mediterranea della zona risponda alla domanda di proiettarsi verso l’Africa proveniente dall’Europa. 

Questa domanda rimane in sospeso e le conclusioni di Adriano Giannola non risolvono la questione. Anche il presidente di Svimez sembra essere perplesso di come possa essere gestita in modo virtuoso una Zes così ampia, e suggerisce  che in ogni caso bisognerà concentrare l’interesse sulle aree portuali alle quali facevano capo le otto Zes, come erano state concepite in una prima fase.  

Mentre per il Pnrr la critica ad alcuni sistemi  relativi agli asili nido che vengono, con il sistema adottato, dati a chi li ha già ed ha capacità di vincere i bandi  é dura. Quando si tratta di diritti il sistema dovrebbe essere quello dell’obbligo di portare avanti i progetti, di averli forniti dal Centro e di  sostituire  le amministrazioni locali nel caso di inadempienza o incapacità. E l’Italia non si può permettere di perdere anche questa occasione. 

I dati snocciolati sulla povertà, sullo spopolamento, sul lavoro femminile (sette donne su 10 che non lavorano), l’obiettivo di diventare la Rotterdam d’Europa difficile da raggiungere, fanno riflettere su una occasione unica da non perdere, senza voler ripetere luoghi comuni diffusi. 

Se il Sud e il Paese mancano quest’ultima occasione bisognerà rassegnarsi a perdere 8 milioni di abitanti da qui al 2080. Ma può un Paese come l’Italia competere con francesi e tedeschi non mettendo a regime il Mezzogiorno? Lasciando il 33% della popolazione non a regime senza scossoni sociali, come quello che si annuncia con l’autonomia differenziata, che facciano saltare le basi della coesione? 

Sono domande che sembrano di fantapolitica ma che sono assolutamente attuali, anche se sembra che le forze di maggioranza e di opposizione non si pongono. Nemmeno nelle parti più avvertite che in altre occasioni hanno dimostrato un senso dello Stato e delle Istituzione che ha salvato il Paese da derive semplicistiche e spesso anche populiste. 

Dire che il Paese sarà quello che il Sud sarà é una frase abusata, ma sempre assolutamente valida e condivisibile. E certamente il nostro Paese, dopo 162 anni dalla unificazione politica, non può aspettare ancora per quella economica. Ma nessuno regalerà nulla e il Mezzogiorno ancora non riesce a mobilitarsi sul principio “aiutati che Dio ti aiuta”. La scarsa presenza di movimenti meridionalisti alla presentazione del rapporto, tranne i vertici dell’associazione Guido Dorso, la dicono lunga sulla mancanza di un lavoro di squadra assolutamente indispensabile. 

Quando ci convinceremo in più che ormai non serve l’approfondimento tecnico per capire cosa bisogna fare quanto la forza politica per imporre le soluzioni dei tre drivers manifatturiero, turismo e logistica, il problema/opportunità del Mezzogiorno si avvierà verso la soluzione. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

LA CRISI DEI SINDACATI: PERDONO ISCRITTI
IN CALABRIA MANCA LA VISIONE DI FUTURO

di ETTORE JORIO – Una riflessione da fare, ma di quelle serie, riguarda due fenomeni, dei quali uno evidenziato da anni, ma liquidato tuttavia con cause essenzialmente giustificative, e l’altro sottaciuto.

Il primo inerisce alla caduta libera dell’affezione al voto, che fa registrare soglie di aderenti al ribasso, inimmaginabili qualche anno fa nel nostro Paese. Ciò in quanto la Nazione era tra le più politiche, perché tra le più interessate a scegliere i propri decisori, nonostante ahinoi indotta, specie nel Sud, al consenso dalla promessa privata prevalente sulle opzioni più propriamente ideali.

Da qualche anno accade che la percentuale dei votanti è in discesa irrefrenabile. È più consistente solo nel primo turno delle comunali, perché rappresenta il risultato della pressione sugli elettori dei numerosi candidati, molti dei quali non più presenti però nel ballottaggio. Una dimostrazione, questa, come la politica sia diventata più una res di interesse privato che una attività di servizio pubblico.

Il secondo preoccupante evento – che, visto il mio attaccamento storico al movimento di difesa dei diritti dei lavoratori e delle aspettative dei disoccupati, mi intristisce non poco – afferisce alla inarrestabile emorragia di iscritti ai sindacati confederali: Cgil, Cisl e Uil. Un dissanguamento preoccupante e doloroso per tutti i democratici, sempre più vicino al milione di iscritti persi in dieci anni.

Chi vuole bene al Paese – piuttosto che rendicontare le perdite sul campo di lettori e di sostenitori dei sindacati – dovrebbe affrontare l’analisi delle cause e cercare di individuare i rimedi giusti. Non servono le giustificazioni e le promesse, il dissanguamento è costante e voluminoso. Non affatto rimediabile con trasfusioni, seppure numericamente copiose e generosamente consistenti. In siffatte situazioni le chiacchiere e le urla servono a poco.

Ed è qui che occorre, così come si fa nel diritto, distinguere le cause dai motivi, meglio dalle motivazioni dei perché.

Al riguardo, si potrebbero far risalire entrambi a fattori sociologici e antropologici nettamente al di fuori della mia portata culturale, ma spesso incomprensibili ai più e comunque offerti senza la soluzione del male.

Seppure attento alle statistiche, propendo per una ricerca più semplice e sensibilmente dolorosa: la perdita di credibilità e, conseguente,  decremento della capacità attrattiva dei partiti e dei sindacati.

Ciò avviene perché manca un chiaro progetto del Paese, di quello che si desidera realizzare. Si è senza l’individuazione delle soluzioni alle diversità che lo compongono e lo dividono, senza la capacità di privilegiare le rispettive metodologie di governo e di lotta, senza la attenzione necessaria a selezionare le migliori rappresentazioni territoriali e le presenze nelle Istituzioni in genere.

Insomma, si constata una collezione di disattenzioni degli addetti ai lavori, così pretesi dalla Costituzione, che si traducono nell’anzidetto disastro che si concretizza con il deserto nelle urne e la disaffezione al tesseramento.

Poi ci sono i temi sui quali misurarsi. Ed è qui che casca l’asino. Specie in Calabria – ove nonostante una ottima compagine sindacale rappresentativa delle segreterie regionali Cgil, Cisl e Uil collaborate da due segretari generali di sangue e cultura autenticamente meridionalista (Bombardieri e Sbarra) – si continua a non esprimere politiche realistiche e produttive.

Quelle politiche finanziarie iscritte nella Costituzione (art. 119), quelle politiche industriali e quelle locali, quelle politiche di welfare assistenziale rispettose della Carta (art. 32), utili a conseguire due risultati: ritenere la Calabria culturalmente attaccata al Paese, al di là della saldatura che assicura il Pollino, e curare quel minus habens collettivo, nel senso di un insieme di persone, i calabresi, perennemente in posizione di svantaggio rispetto al resto della Nazione.

La nostra regione più delle altre deve offrire un ideale programmatico diverso e una pratica generativa di un nuovo modo di fare politica, che non può che essere di insieme. Scevro da contrasti inutili e contraddittori.

Quanto alle cose da fare e sostenere, al termine dell’amato Stivale non servono le belle ma superflue fibbie ornamentali. Il Ponto sullo Stretto è utile solo a chi a interesse a generarvi intorno business. A poco serve sia al suo imbocco che alla sua uscita. Prima dell’uno e dopo l’altra rimarrebbe il deserto che c’è, con l’unica neonata multinazionale che festeggiare l’evento: la ‘ndrangheta & mafia spa.

Alla Calabria, diversamente regione a statuto ordinario rispetto alla Sicilia, occorre un finanziamento che vi dia ragione nei suo esercizi annuali e una corretta valutazione se accedere o meno ad una maggiore competenza legislativa esclusiva. Due fenomeni che, unitamente a quella di definizione dei Lep, sono trattati dalla politica e dal sindacato così come se interessassero altri e non già come possibile rimedio a quella emarginazione e povertà che caratterizza la Calabria da sempre.

Scrissi nel 2010, sulla prestigiosa rivista (n. 10 di www.federalismi.it) del compianto prof. Beniamino Caravita del Toritto, che il federalismo fiscale sarebbe stata la soluzione per il Mezzogiorno. Oggi ne sono più convinto di allora. (ej)

ATTENTI A NON PERDERE IL TRENO: 13,4 MLD
LE FERROVIE INVESTONO SULLA CALABRIA

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Sono 13,4 miliardi di euro la somma che il Gruppo FS Italiane investirà per rendere la Calabria più connessa, moderna e competitiva. È questa la strada, infatti, che si deve percorrere se si vuole rendere la regione «la Porta dell’Europa», come detto dal presidente della Regione, Roberto Occhiuto, a colloquio nei giorni scorsi col Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Un obiettivo che si raggiunge con interventi che devono rendere la Calabria più europea e non più fanalino di coda come viene spesso dipinta nei rapporti e nei dati dei vari Istituti. Interventi che sono stati illustrati nella sede a Roma di Ferrovie dello Stato, alla presenza dell’amministratore delegato del Gruppo FS Italiane Luigi Ferraris, del Presidente della Regione, Roberto Occhiuto e, la partecipazione, in video collegamento, del vicepremier e Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini.

Gli investimenti previsti dal piano industriale del Gruppo ma anche grazie ai fondi del Pnrr, riguarderanno tutti i Poli di business del Gruppo FS: Infrastrutture, Passeggeri, Urbano e Logistica, e punteranno ad affermare il ruolo strategico per l’Italia e l’Europa di un territorio al centro dei collegamenti tra Mediterraneo e Continente, contribuendo a ridurre il gap infrastrutturale tra Sud e Nord.

Un «intervento molto intenso», l’ha definito il presidente Occhiuto, sottolineando che si tratta di «una cifra mai vista per la Calabria».

«Spesso gli investimenti sono stati annunciati e oggi sono in corso di realizzazione. Altri interventi sono stati immaginati in passato ma mai effettivamente avviati e in queste ultime settimane stanno diventando concreti», ha detto ancora Occhiuto, ricordando come «la rete di trasporto sul ferro in Calabria è vetusta mentre quella su strada è insufficiente».

«In Calabria ancora ci sono le littorine – ha detto ancora –. Da gennaio però possiamo contare su un treno ibrido intercity che collegherà Melito a Taranto, un treno degno di un Pese civile». Mentre si discute del Ponte sullo Stretto, molte delle stazioni ferroviarie in Calabria sono abbandonate, altre soggette ad incuria. «Penso alla stazione di Villa San Giovanni, con barriere architettoniche che impediscono l’accesso alla stazione stessa».

Il governatore, poi, ha evidenziato come «oggi ci sono i fondi complementari per realizzare la Av anche fino a Reggio Calabria. È importante, perché come ho detto al ministro Salvini il Ponte deve essere attrattore di infrastrutture, come fu l’autostrada nei decenni passati, ma il deve essere volano per altri investimenti, come l’Alta Velocità».

Occhiuto, poi, ha espresso il desiderio di «poter vedere completato il tracciato dell’Av in tempi rapidi, serve per sviluppare la Calabria che ha grandi driver di sviluppo».

«Con la Calabria e per la Calabria stiamo lavorando tanto», ha esordito il ministro Salvini nel suo intervento.

«Quando sono arrivato – ha detto il ministro – non c’era progettazione dell’Alta velocità fino a Reggio Calabria, adesso è in corso di progettazione. I progetti sono figli di scelte tecniche, infrastrutturali e non politiche. Voglio arrivare alla fine del mio mandato con una Calabria più moderna, più sicura, più infrastrutturata».

Salvini, poi, ha ricordato i 30 miliardi in Calabria e altrettanti in Sicilia per il Ponte sullo Stretto, che è «un anello di congiunzione», per poi passare ai 3 miliardi previsti per la Sibari-Crotone-Catanzaro con la gara di prossimo avvio, e i 521 milioni per la Trasversale delel Serre e la messa in sicurezza dell’ultimo tratto della A2 fra Cosenza e Altilia.

Un’attenzione «straordinaria» da parte dello Stato e delle sue articolazioni verso la Calabria, l’ha definita il presidente del Consiglio regionale, Filippo Mancuso, sottolineando come «si è davanti a risorse, impegni e risultati un tempo inimmaginabili».

«C’è chi si scandalizza per i divari Nord-Sud – ha evidenziato – dimenticando che quand’era forza di governo ha contribuito ad acutizzarli, e chi, come il ministro Salvini, per colmarne il deficit infrastrutturale, agisce a suon di provvedimenti, mettendo a disposizione della Calabria ingenti risorse: 30 miliardi  tra strade, autostrade e ferrovie».

«I fatti sono ostinati e vanno nella direzione indicata dal presidente Occhiuto e dal ministro Salvini. Ossia – ha concluso il presidente Mancuso – che a fine legislatura la Calabria colmerà i ritardi accumulati nei decenni scorsi e sarà più moderna, più competitiva e più sicura».

Infrastrutture

Le principali azioni toccheranno le infrastrutture e comprenderanno interventi per la linea ferroviaria Jonica, interessata da interventi volti all’elettrificazione, ad aumentarne l’affidabilità e la velocizzazione; la linea ferroviaria Salerno-Reggio Calabria, collegamento che consentirà di portare l’Alta Velocità in aree ad elevata valenza economica e turistica e di velocizzare gli itinerari verso le città già servite dall’AV e, per quanto riguarda le strade gestite da Anas, la SS106 Jonica, l’Autostrada A2 e il completamento della SS 182. Importante è la realizzazione della galleria “Santomarco”, che consentirà di collegare Cosenza alla rete AV, a prescindere dal tracciato che verrà seguito, nonché il completamento dell’iter autorizzativo, o della progettazione a seconda dei casi, dei diversi lotti della AV fino a Reggio Calabria.

Attenzione rivolta anche verso le stazioni ferroviarie, attraverso un piano dedicato con l’obiettivo di migliorarne la funzionalità e il decoro, abbattere le barriere architettoniche per il miglioramento dell’accessibilità al treno, potenziare l’informazione al pubblico.  Verrà inoltre realizzato il “Nuovo Posto Centrale di Reggio Calabria”, situando il Nuovo Controllo e Comando Circolazione Ferroviaria dell’intero meridione. Prosegue anche il piano di eliminazione dei passaggi a livello: ad oggi sono in corso lavori per la soppressione di 11 passaggi a livello, mentre per altri 21 sono in corso gli studi e le progettazioni.

Passeggeri

Entro il 2025, più del 50% dei treni regionali sarà rinnovato con un’età media che passerà dai 29 anni del 2018 ai 9 nel 2026. La Calabria è stata scelta come regione pilota nella sperimentazione dei carburanti alternativi: già dall’estate scorsa su alcune linee viaggiano cinque treni, tra cui il nuovissimo treno regionale ibrido Blues, alimentati con biocarburante HVO fornito da Eni. Per l’offerta di media e lunga percorrenza, sono attualmente 16 i collegamenti Frecce di Trenitalia da e per la Calabria con fermata in 10 stazioni, mentre sono 25 i collegamenti Intercity da e per la Calabria (di cui due periodici), oltre ai 4 collegamenti bus. Nei primi mesi del 2024, saranno presentati i treni Intercity ibridi per i collegamenti sulla linea Reggio Calabria-Taranto.

Urbano

La rigenerazione urbana delle aree ferroviarie dismesse e di futura dismissione vedrà protagonista il Polo Urbano di FS. I progetti mirano allo sviluppo delle città attorno alle stazioni e allo sviluppo di interventi per l’autoproduzione di energia da fotovoltaico. Di prossimo lancio il bando in partnership con il Comune di Paola per la realizzazione e la gestione del nuovo porto turistico per promuovere, anche l’interscambio ferro-acqua.

Logistica

Il Polo Logistica di FS si concentrerà sul potenziamento dei terminali per la creazione di nuovi hub intermodali. A inizio novembre è entrata a far parte del Polo anche Bluferries, società del Gruppo FS che si occupa del traghettamento dei passeggeri e dei mezzi di trasporto nello Stretto di Messina. Inoltre, il Polo Logistica è presente in Calabria con Mercitalia Rail, con oltre 1.100 treni l’anno da e verso i principali impianti calabresi e ulteriori 5.800 treni da/per Villa San Giovanni verso la Sicilia, e Mercitalia Shunting & Terminal, società specializzata nella gestione delle manovre ferroviarie di ingresso e uscita dai Porti e Terminal. (ams)

LA CALABRIA CRESCE, MA RESTA INDIETRO
TRA PIL BASSO, EMIGRAZIONE E CAROVITA

La Calabria ingrana per la ripartenza, ma a fatica. La regione, infatti, rispetto al resto d’Italia, è terribilmente indietro su tutti i fronti, col rischio di aumentare, ancora di più, quel divario già esistente. È la fotografia emersa dal Rapporto Svimez L’economia e la società del Mezzogiorno presentato a Roma.

Il rapporto, infatti, ha evidenziato come la Calabria è una delle regioni che cresce meno in termini di ricchezza generata sul territorio. La nostra regione, infatti, per quanto riguarda il Prodotto Interno Lordo, ha registrato tra il 2021 e il 2022 una crescita del 9%, recuperando il -8,6% registrato nel 2020. Un dato che non deve condurre in errore: rispetto alle altre regioni italiane, infatti, il Pil della Calabria è tra i più bassi, seguito dalla Sicilia. Questi due, insieme, sono i più bassi della media nazionale, che è del 10,9%. Un trend che, purtroppo, è rimasto anche nelle scorse elaborazioni: tra il 2015 e 2019, la Calabria aveva il Pil allo 0,4% che, assieme a Sicilia (0,1%), erano i più bassi rispetto alla media nazionale (5,3%). Il dato peggiore, probabilmente, è stato registrato tra il 2008 e il 2014: la regione aveva perso il -14,3% del Pil, più di quanto aveva perso il Sud intero (-12,6%). Preoccupa, poi, la timida crescita del Pil della regione stimata dalla Svimez per il 2023 e 2024: +0,2% e +0,3%.

Per la Svimez «la dinamica del PIL italiano nel biennio 2021-22 si è mostrata uniforme su base territoriale: complessivamente, l’economia del Mezzogiorno è cresciuta del 10,7%, più che compensando la perdita del 2020 (–8,5%). Nel Centro-Nord, la crescita è stata leggermente superiore (+11%), ma ha fatto seguito a una maggiore flessione nel 2020 (–9,1%). Sempre in termini cumulati, il Mezzogiorno è riuscito a far meglio del Nord-Ovest (+10,7% contro +9,9%)».

«La novità di una ripartenza allineata tra Sud e Nord – si legge – sconta però l’eccezionalità del contesto post-Covid per il tenore straordinariamente espansivo delle politiche di bilancio e la diversa composizione settoriale della ripresa. Fatto 100 il dato di crescita cumulata del valore aggiunto extra-agricolo nel biennio, i servizi hanno contribuito per 71,1 punti nel Mezzogiorno e 63,6 nel Centro-Nord. Il contributo delle costruzioni si è spinto 7 punti oltre la media del Centro-Nord (18,9 contro 11,9). Ha inciso l’impatto espansivo esercitato dal Superbonus 110%. Lo sconto in fattura e la trasformazione della detrazione in credito d’imposta cedibile hanno favorito i beneficiari a basso reddito, spingendo il grado di accesso del Mezzogiorno a circa il 30% (tre volte superiore a quello osservato per analoghi interventi nel settore edilizio)».

«Viceversa, il contributo dell’industria è stato limitato nel Mezzogiorno – continua il rapporto – 10 punti contro i 24,5 del Centro-Nord. Le difficoltà dell’industria meridionale sono anche legate al consistente assottigliamento di base produttiva subìto tra il 2007 e il 2022: quasi –30% di valore aggiunto, contro una flessione del 5,2% nelle regioni centro-settentrionali. Ma il confronto europeo rivela il ritardo accumulato anche dall’industria del Centro-Nord: negli stessi anni il valore aggiunto industriale dell’UE a 27 è aumentato di quasi il 14%, quello della Germania di oltre il 16. Lo scivolamento congiunto dei sistemi industriali del Nord e del Sud è spiegato dalle interdipendenze di filiera che li lega, portandoli inevitabilmente a condividere difficoltà e prospettive di rafforzamento».

La Calabria, in particolare, per quanto riguarda i servizi, ha dato un importante contributo alla crescita cumulata nel 2021-2022 del valore aggiunto extra agricolo, con un 78,3. Un ottimo risultato è stato raggiunto, anche, per quanto riguarda le costruzioni (26,3) ma, per quanto riguarda l’industria in senso stretto, è l’unica ad aver registrato un dato negativo: -4,6%.

Per la Svimez, poi, al Sud è stato doppo l’impatto dell’inflazione sui redditi delle famiglie: l’inflazione, infatti, ha determinato nel 2022 un calo del 2,9% al Sud, oltre il doppio rispetto al Centro-Nord (-1,2%). Per l’Associazione, nel 2023 il carovita continua a colpire soprattutto le famiglie del Sud: -2% contro il 1-,2% al Centro Nord.

La novità di una ripartenza allineata tra Sud e Nord sconta però l’eccezionalità del contesto post-Covid per il tenore straordinariamente espansivo delle politiche di bilancio e la diversa composizione settoriale della ripresa. Fatto 100 il dato di crescita cumulata del valore aggiunto extra-agricolo nel biennio, i servizi hanno contribuito per 71,1 punti nel Mezzogiorno e 63,6 nel Centro-Nord. Il contributo delle costruzioni si è spinto 7 punti oltre la media del Centro-Nord (18,9 contro 11,9).

Ha inciso l’impatto espansivo esercitato dal Superbonus 110%. Lo sconto in fattura e la trasformazione della detrazione in credito d’imposta cedibile hanno favorito i beneficiari a basso reddito, spingendo il grado di accesso del Mezzogiorno a circa il 30% (tre volte superiore a quello osservato per analoghi interventi nel settore edilizio). Viceversa, il contributo dell’industria è stato limitato nel Mezzogiorno: 10 punti contro i 24,5 del Centro-Nord. Le difficoltà dell’industria meridionale sono anche legate al consistente assottigliamento di base produttiva subìto tra il 2007 e il 2022: quasi –30% di valore aggiunto, contro una flessione del 5,2% nelle regioni centro-settentrionali.

Ma il confronto europeo rivela il ritardo accumulato anche dall’industria del Centro-Nord: negli stessi anni il valore aggiunto industriale dell’UE a 27 è aumentato di quasi il 14%, quello della Germania di oltre il 16. Lo scivolamento congiunto dei sistemi industriali del Nord e del Sud è spiegato dalle interdipendenze di filiera che li lega, portandoli inevitabilmente a condividere difficoltà e prospettive di rafforzamento.

Positivo, invece, il riscontro sul lavoro: «rispetto al pre-pandemia – si legge nel Rapporto – la ripresa dell’occupazione si è mostrata più accentuata nelle regioni meridionali: +188 mila nel Mezzogiorno (+3,1%), +219 mila nel Centro-Nord (+1,3%)».

In tema di precarietà del lavoro, nella ripresa post-Covid dopo il «rimbalzo» occupazionale è tornata a inasprirsi la precarietà. Dalla seconda metà del 2021, è cresciuta l’occupazione più stabile, ma la vulnerabilità nel mercato del lavoro meridionale resta su livelli patologici. Quasi quattro lavoratori su dieci (22,9%) nel Mezzogiorno hanno un’occupazione a termine, contro il 14% nel Centro-Nord. Il 23% dei lavoratori a temine al Sud lo è da almeno cinque anni (l’8,4% nel Centro-Nord).

Tra il 2020 e il 2022 è calata la quota involontaria sul totale dei contratti part time in tutto il Paese, ma il divario tra Mezzogiorno e CentroNord resta ancora molto pronunciato: il 75,1% dei rapporti di lavoro part time al Sud sono involontari contro il 49,4% del resto del Paese. L’incremento dell’occupazione non è in grado di alleviare il disagio sociale in un contesto di diffusa precarietà e bassi salari.

La povertà ha raggiunto livelli inediti. Nel 2022, sono 2,5 milioni le persone che vivono in famiglie in povertà assoluta al Sud: +250.000 in più rispetto al 2020 (–170.000 al Centro-Nord).

La crescita della povertà tra gli occupati conferma che il lavoro, se precario e mal retribuito, non garantisce la fuoriuscita dal disagio sociale. Nel Mezzogiorno, la povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata è salita di 1,7 punti percentuali tra il 2020 e il 2022 (dal 7,6 al 9,3%). Un incremento si osserva tra le famiglie di operai e assimilati: +3,3 punti percentuali. Questi incrementi sono addirittura superiori a quello osservato per il totale delle famiglie in condizioni di povertà assoluta.

Un altro dato preoccupante è il gelo demografico registrato: la Calabria tra il 2022 ed il 2050, 804mila abitanti, portando inoltre l’indice strutturale di dipendenza demografica (Ids) all’89,7% rispetto al 56,2 del 2022.

«Dal 2002 al 2021 – si legge – hanno lasciato il Mezzogiorno oltre 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il CentroNord (81%). Al netto dei rientri, il Mezzogiorno ha perso 1,1 milioni di residenti. Le migrazioni verso il 5 Centro-Nord hanno interessato soprattutto i più giovani: tra il 2002 e il 2021 il Mezzogiorno ha subìto un deflusso netto di 808 mila under 35, di cui 263 mila laureati. Al 2080 si stima una perdita di oltre 8 milioni di residenti nel Mezzogiorno, pari a poco meno dei due terzi del calo nazionale (–13 milioni). La popolazione del Sud, attualmente pari al 33,8% di quella italiana, si ridurrà ad appena il 25,8% nel 2080».

Preoccupa, poi, l’invecchiamento del Paese, che non si fermerà: tra il 2022 e il 2080, il Mezzogiorno dovrebbe perdere il 51% della popolazione più giovane (0–14 anni), pari a 1 milione e 276 mila unità, contro il –19,5% del Centro-Nord (–955 mila). Questo significa che la popolazione in età da lavoro nel Mezzogiorno si ridurrà di oltre la metà (-6,6 mln), rendendolo l’area più vecchia del Paese nel 2080. Per la Svimez, dunque, «per invertire la tendenza pluridecennale al calo delle nascite occorre mettere in campo politiche attive di conciliazione dei tempi di vita e lavoro e rafforzare i servizi di welfare».

Per l’Associazione, poi, è cruciale, per contrastare il declino demografico, potenziare l’occupazione femminile nel Mezzogiorno. Le regioni meridionali presentano il tasso più basso di occupazione femminile in confronto all’Europa (media UE 72,5): Campania (31%), Puglia (32%) e Sicilia (31%). Le restanti regioni del Centro-Nord si avvicinano alla media europea, ma restano lontane dal benchmark dei Paesi scandinavi e della Germania (78,6). La carenza di servizi di conciliazione tra lavoro e famiglia, specialmente nella prima infanzia, penalizza le donne nel mondo lavorativo. Una donna single nel Mezzogiorno ha un tasso di occupazione del 52,3%, nel caso di donna con figli di età compresa tra i 6 e i 17 anni scende al 41,5% per poi crollare al 37,8% per le madri con figli fino a 5 anni (65,1% al Centro-Nord), la metà rispetto ai padri (82,1%).

«Il Sud – registra la Svimez – affronta gravi ritardi nell’offerta di servizi per la prima infanzia, evidenziati dai dati sui posti nido autorizzati per 100 bambini tra 0-2 anni nel 2020: Campania (6,5), Sicilia (8,2), Calabria (9) e Molise (9,3). Queste sono le regioni meridionali più distanti dall’obiettivo del LEP dei posti autorizzati da raggiungere entro il 2027 (33%). Gli investimenti del Pnrr mirano a colmare queste disparità, ma non sono stati programmati a partire da una mappatura territoriale dei fabbisogni di investimento, bensì attraverso procedure a bando, con una capacità di risposta fortemente influenzata dalle capacità amministrative degli enti locali. I dati presentati nel Rapporto riguardo lo stato di attuazione del Piano Asili nido fanno emergere diverse criticità proprio sotto questo profilo: sono stati assegnati ai Comuni 3,4 Miliardi; 1,7 mld al Sud, di cui solo il 36% messe a gara (51% nel Centro-Nord)».

Per la Svimez «la recente riduzione degli obiettivi del PNRR per i nuovi posti asili nido (da 248 mila a 150 mila) solleva preoccupazioni sulla possibilità di raggiungere il target europeo. Dalla simulazione effettuata dalla SVIMEZ risulta che, anche se si superassero tutte le difficoltà attuative, le attuali ripartizioni delle risorse non consentirebbero di raggiungere il target europeo del 33% in tutte le regioni. In particolare, la riduzione del target PNRR non consentirebbe di raggiungere il LEP, ad esempio, in Sicilia (-17 mila posti), Campania (-13 mila)».

Gravi, poi, i dati sulla popolazione laureata. L’Italia, infatti, ha la percentuale più bassa in Europa: solo il 29% dei giovani tra i 25 e i 34 anni hanno conseguito un titolo di istruzione terziario nel 2022, 16 punti percentuali al di sotto della media europea. Nel Mezzogiorno, questa percentuale si riduce al 22%.

La crescita complessiva dell’occupazione in Italia nel periodo post-Covid è stata del 1,8% tra il 2019 e il 2023, con un aumento degli occupati diplomati del 3,6% e dei laureati dell’8,3%. Nel Mezzogiorno, la crescita è stata del 15,4% per gli occupati laureati (+203 mila occupati). A livello nazionale, il tasso di occupazione dei giovani laureati (74,6%) è significativamente superiore rispetto ai diplomati (56,5%). Nel Mezzogiorno, il differenziale è di 26 punti percentuali (61,6% contro 35,6%), mentre nel Centro-Nord è di 13 punti (80,6% contro 66,8%). Il premio per l’istruzione si riflette anche nelle retribuzioni, con un laureato al Sud che guadagna mediamente il 41% in più di un diplomato, mentre nel resto del Paese il vantaggio è del 37%.

La promozione di politiche che convergano la percentuale di laureati verso la media dell’UE appare opportuna, specialmente considerando le maggiori opportunità occupazionali, soprattutto nel Mezzogiorno, per i giovani laureati.

Spazio, poi, alle infrastrutture. Sono state rilevate, infatti, delle criticità sulle infrastrutture italiane, con una sottodotazione al Sud e una saturazione al Nord. In particolare, la rete ferroviaria del Sud presenta un notevole ritardo, con solo 181 km di alta velocità (12,3% del totale) concentrati in Campania. Il divario nell’elettrificazione ferroviaria è significativo, con il 58,2% al Sud e l’80% al Centro-Nord. La rete stradale meridionale è inferiore, con 1,87 km di autostrada per 100 km2 rispetto ai 3,29 al Nord e 2,23 al Centro.

Il Piano di infrastrutture prioritarie del MIT, con risorse di 131 miliardi (101 miliardi finanziati), assume un ruolo chiave. Nel Mezzogiorno, il 40% delle opere prioritarie è programmato (52,6 miliardi), con oltre l’85% di finanziamento acquisito. I fondi per il Sud salgono al 58,5% considerando PNRR e Piano Complementare. Tuttavia, persistono nodi legati alla spesa e alla minore maturità dei percorsi realizzativi nel Mezzogiorno, con solo il 13,3% delle opere in corso (contro il 33,5% al Centro-Nord). Interventi del PNRR risentono di difficoltà attuative, legate all’aumento dei costi dei materiali e alla reperibilità delle materie prime.

Per quanto riguarda il cambiamento climatico, per la Svimez il Sud è quello più esposto a rischi e costi. Per questo è fondamentale accelerare la produzione di energie rinnovabili in Italia, con particolare attenzione al Mezzogiorno che, per l’Associazione «ha il potenziale per diventare un polo produttivo strategico. Ma occorre superare l’idea del Mezzogiorno come mero hub energetico europeo, che è in contraddizione con il nuovo approccio europeo alle politiche industriali e soprattutto risulta miope rispetto agli obiettivi di autonomia energetica, competitività industriale e coesione territoriale».

«L’autonomia differenziata espone l’intero Paese ai rischi di una frammentazione insostenibile delle politiche pubbliche chiamate a definire una strategia nazionale per la crescita, l’inclusione sociale e il rafforzamento del sistema delle imprese», dice la Svimez, spiegando come «a questo quadro di frammentazione si aggiungono i rischi di un congelamento dei divari territoriali di spesa pro capite già presenti e di un indebolimento delle politiche nazionali redistributive tra individui e di riequilibrio territoriale».

La Svimez, poi, stima che «le funzioni delegate assorbirebbero larga parte dell’IRPEF regionale: il 90% circa nel caso del Veneto, quote tra il 70 e l’80% per Lombardia ed Emilia-Romagna. Rilevanti sarebbero gli effetti in termini di contrazione del bilancio nazionale, con la conseguente riduzione degli spazi di azione della finanza pubblica centrale. Il gettito IRPEF trattenuto dalle tre regioni risulterebbe pari a circa il 30% del gettito nazionale».

Per questo è necessario «valorizzare il coordinamento degli interventi del PNRR con le programmazioni europee, come previsto dalla riforma recentemente inserita nel Piano. Le risorse della programmazione 2021-2027 dei Fondi europei per la coesione, potendo essere sfruttate in un orizzonte temporale più ampio, possono rappresentare un utile strumento per “mettere in sicurezza” gli interventi del PNRR che potrebbero non raggiungere entro il 2026 i target previsti. Tale operazione potrebbe prevedere copertura temporanea a valere sul Fondo di rotazione nazionale».

Per la Svimez, poi, la Zes Unica «presenta quindi indubbi vantaggi potenziali, ma rischia di produrre effetti limitati se non sarà pienamente integrata nelle politiche industriali nazionali e regionali e nelle più ampie strategie di sviluppo del Paese».

«Saranno in particolare due aspetti a decretare il successo o il fallimento della Zes Unica – si legge – il primo riguarda la capacità della nuova governance di assicurare la semplificazione amministrativa alla base del disegno originario, cioè della Struttura di missione nazionale di svolgere per l’intero territorio meridionale la funzione di sportello unico delle autorizzazioni. Una funzione che, considerato il numero elevato di progetti di investimento che si prevedono, richiederà inevitabilmente un rapporto cooperativo con le Amministrazioni locali. Il secondo dipende dalla capacità di recuperarne la finalità di strumento di politica industriale e infrastrutturale dovendo, quindi, valorizzare le specificità produttive, economiche e sociali dei territori. Non meno importante sarà l’individuazione dei settori prioritari nei quali favorire l’attrazione dei grandi investimenti necessari ad accrescere la competitività del sistema economico meridionale. Senza tralasciare la realizzazione di legami funzionali e strategici con le principali infrastrutture, specialmente portuali, del Mezzogiorno». (ams)

SERVE UN PROGETTO DI TRASFORMAZIONE
EPOCALE PER UNIRE CALABRIA ALL’EUROPA

di MARCELLO FURRIOLO – Puntuale come sempre il 57mo Rapporto Censis sulla situazione della società italiana fotografa un Paese “inabissato in una ipertrofia emotiva, mosso da scosse emozionali che tramutano tutto in emergenza e conducono a spasmi apocalittici e fughe millenaristiche”. Mentre i problemi veri sono rimossi dall’agenda collettiva.

Un paese di“sonnambuli inabissati nel sonno del raziocinio. Ciechi dinanzi ai presagi. Gli italiani non sarebbero più alla ricerca dell’agiatezza, ma alla ricerca di uno spicchio di benessere quotidiano. Registriamo una siderale incomunicabilità generazionale e va in scena il dissenso senza conflitto dei giovani. Esuli in fuga. 36.000 ragazzi tra i 18 e i 34 anni hanno lasciato l’ Italia nell’ultimo anno. Come si vede un’immagine lacerante. Il rapporto, mai come quest’anno, si sofferma su aspetti di psicologia collettiva che hanno un riflesso socio-economico. In un paese invecchiato, sfiduciato e stressato da due guerre alle porte di casa e da una situazione economica e politica, complessa nella sua fragilità.

Un ritratto per molti versi sostanzialmente mutato rispetto agli ultimi anni. Non tanto cambiato nelle sue diversità e contrapposizioni territoriali ma pressoché omologato nelle sue preoccupazioni e nell’incapacità di guardare al futuro con fiducia e di mettere in campo azioni adeguate per modificarne il corso. I “sonnambuli” della lunga notte della politica. In un meraviglioso territorio privilegiato dalla natura, in cui si muore per  selvaggia violenza  di genere, ma anche per l’isolamento patologico dell’anoressia.E la Calabria che posto occupa in questa foto di gruppo, un po’ dagherrotipo e un po’ videoclip della società della fluidità dei pensieri e dei costumi? Sicuramente la Calabria fornisce il suo contributo decisivo nell’invecchiamento della popolazione, nella fuga esilio della sua meglio gioventù, nella paralisi sonnambula della sua vita sociale e soprattutto politica. Eppure in queste ore non mancano piccoli segnali, sia pure contraddittori, dell’emergere di una possibilità di riscrittura della vocazione della regione rispetto non solo al resto del Paese, ma anche dello stesso Mezzogiorno.

Appare evidente che il destino della Calabria debba ormai legarsi sempre di più non al resto del Mezzogiorno, prendendo atto del fallimento delle politiche dei vari Governi nazionali e locali in risposta alla letteratura querula della “Questione Meridionale”, ma all’Europa e al Mediterraneo. Il Presidente Roberto Occhiuto è stato ricevuto al Quirinale dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un colloquio definito “positivo e cordiale”.

A conclusione è stata diffusa alla stampa una foto che ritrae “i due Presidenti” in un atteggiamento di grande rispetto reciproco, che evocava quasi la conclusione di un incontro tra due rappresentanti di due paesi alleati.

Occhiuto a margine dell’incontro con Mattarella ha affermato che la Calabria deve diventare “la Porta dell’Europa sul Mediterraneo”. Come dire che, forse, finalmente si è individuata la strada che fa uscire la regione dall’isolamento e dalla sua storica marginalità. Ma per fare questo occorre con coraggio ripensare ad una nuova idea di Calabria, aggiornare il suo identikit socio economico, riscrivere il diario non dei sogni ma delle necessità strutturali per diventare “la Porta” dell’Europa, su cui si affacciano i territori e le popolazioni  più travagliati, ma anche più giovani e portatori di nuovi bisogni e nuove culture.

Fare questo significa dotare la Calabria di infrastrutture a livello europeo, significa impedire che si continui a morire su tratti ferroviari ottocenteschi per mancanza di elettrificazione, doppi binari e sicurezza nei passaggi a livello. Significa potenziare il Porto di Gioia Tauro e aprire nuove strutture portuali di primo livello anche sullo Jonio e realizzare una grande area metropolitana nell’area centrale della Calabria tra i due mari. Significa ancora alzare il livello dell’impegno e degli investimenti per l’ambiente, a partire dal nuovo rigassificatore. Significa rendere la sanità pubblica e privata in grado di dare le risposte più adeguate alla domanda di salute non solo dei cittadini calabresi, ma delle popolazioni che si affacciano sulle nostre coste. Ma  principalmente – sono sempre le parole di Marcello Furriolo – significa rendere le nostre tre Università autentici fari del sapere umanistico e scientifico, in grado di diffondere la storia e la visione avveniristica del futuro, in un confronto sempre più  pregnante con le popolazioni del Mediterraneo. E in un quadro di autentica e motivata autonomia amministrativa.

Ma, forse, pensare e realizzare tutto questo si traduce nella necessità di dotare questo territorio delle infrastrutture, porti, aeroporti, strade e ferrovie, in grado di unire realmente la Calabria all’Europa, all’Africa e all’est europeo. In questa nuova geografia il Ponte sullo Stretto rischierebbe di apparire del tutto fuori scala, anche se appartiene ai sogni di una generazione politica che ha vissuto di immagini simbolo e opere di regime di vago sapore “millenaristico”. Il futuro della Calabria non passa dalla Sicilia, ma dalla sua capacità di trasformarsi e farsi riconoscere nell’immagine inclusiva dell’Europa da parte di tutte le civiltà che guardano al Mediterraneo. Un sogno da “sonnambuli” o un grande progetto di trasformazione epocale. (mf)

[Marcello Furriolo è ex sindaco di Catanzaro, giornalista e scrittore]

PER RITORNARE A VIVERE LA CITTÀ SERVE
UN PENSIERO FORTE PER SUPERARE CRISI

di FRANCO ROSSI – Un fenomeno appare ormai consolidato. Siamo troppo distratti da quello che ci sta accadendo intorno che corriamo il rischio di disperdere un immenso patrimonio  culturale e sociale, attraverso il quale siamo riusciti, quasi  sempre, a dare risposte positive alle crisi in atto.

Oggi, molte parole hanno iniziato a tradirci. Prendiamone una, quasi per caso “Città”, una parola simbolo dei sogni, delle aspirazioni e delle speranze della società, una parola che ha contribuito a costruire culture, religioni, divisioni, unioni, e che è stata promotrice di pensieri e storie.

Chiusi negli spazi delle nostre abitazioni, rifiutiamo qualunque contatto con gli “altri”, non incontriamo più amici, parenti, non viviamo più la città. Quelle poche volte che usciamo per qualche ragione, ci affrettiamo a rientrare al più presto spinti a farlo da scenari inimmaginabili. Città vuote dove i colori che ci incantavano si trasformano in tristi sfumature di grigi, temiamo di incontrare conoscenti, vorremmo far scomparire i parchi.

Ma ciò che è più crudele è la rovinosa consapevolezza che implica l’annullamento di un patto, della fiducia che abbiamo affidato alla città e della condivisione che abbiamo avuto con essa –la città – verso un ideale in cui credevamo, verso la sua capacità di reagire alle crisi.
La pandemia da Coronavirus e il confinamento conseguente hanno cambiato il nostro modo di rapportarci alla città ed ai modi di viverla.

La città è diventata il nemico, la causa di tutti i nostri mali.

Le nostre risposte sono state di rifiuto nei suoi confronti accettando supinamente le restrizioni imposte al suo “uso”, al suo “consumo” e al suo “sviluppo”. La città ci ha tradito annullando una possibilità di futuro perché non ha avuto la forza, la capacità di reagire ad una crisi. Una città silenziosa, timorosa, cupa, solitaria, grigia e fredda, un luogo irriconoscibile.

Un tradimento che non ci aspettavamo, da cui nasce una questione socio-spaziale, accompagnata dalla crescita delle diseguaglianze tra la città dei ricchi e la città dei poveri, ma anche una questione ambientale ed ecologica di proporzioni mai conosciute fino a una questione di cittadinanza.

Abbiamo il dovere, nonostante il tradimento, di superarlo e riprendere un percorso, un ragionamento, smettendola di chiuderci in un silenzio assordante verso soluzioni scomposte dettate dalla scoperta del tradimento. Ecco cosa accade quando le parole ci tradiscono. Non possiamo permetterlo.

Ricominciamo a riflettere, ragionare, costruire possibili futuri delle nostre città anche e soprattutto in momenti di crisi.
Nel passato ci siamo riusciti.  In tale percorso Enzo Siviero è stato un protagonista attivo e spesso innovativo.

Faccio un appello a tutti ad uscire dai propri rifugi e iniziare una riflessione per la costruzione di un futuro possibile in tempi di pandemia.

La grande crisi pandemica mondiale determinata dal Covid-19 ha aperto, forse è meglio dire ha costretto ad aprire, una riflessione sul tema di come le città contemporanee sono state pensate e costruite. Una riflessione che investe i fondamenti delle discipline che si interessano di città e di costruire luoghi per la vita nelle città.

Tra le tante questioni l’etica della città, spesso affrontata da Siviero, sembra assumere un ruolo centrale. Un obiettivo volto a dare concretezza a una visione del futuro, ma allo stesso tempo attenta alle presenti esigenze della città. Sociale, ecosostenibile, solidale, moderna: questi i valori principali che caratterizzano il concetto di città. Una città che si prende cura delle sue periferie e delle sue ferite; della natura, del paesaggio e del valore del suolo; delle necessità di tutti i cittadini. Una città capace di immaginare un futuro valorizzando i punti di forza e “riparando” i punti deboli.

I governi locali e regionali, i sindaci sono in prima linea nella risposta al coronavirus. I loro servizi di base sono sotto pressione a causa della distanza sociale e l’assistenza ai malati e alle persone vulnerabili, mentre le loro fonti di reddito si riducono a causa del Coronavirus.

In buona sostanza si tratta di un fenomeno non conosciuto, percepito in termini di emotività e che richiede una profonda riflessione su come affrontarlo, razionalizzarlo nel tentativo di dare risposte efficaci.

Al fine di tentare di razionalizzare la questione ci si è sostanzialmente limitati nel fornire informazioni, tabelle e mappe relative alla diffusione del virus attribuendo ai diversi territori diversi parametri per descriverne la diffusione con colori dal rosso al giallo o bianco a secondo della pericolosità, il numero dei contagiati, dei guariti con indici e bollettini ed attribuendo regole a seconda della nuova mappa del colori.

Il tutto determina una situazione di concorrenza nella attribuzione dei valori e dei relativi benefici: orari di apertura, luoghi e locali frequentabili, dove la questione non è più come controllare o sconfiggere la pandemia ma come farsi attribuire il colore giallo per accedere ai benefici.

Il virus in questa euforia frenetica si gode i suoi colori continuando a diffondersi. In buona sostanza ci troviamo di fronte ad un nemico che non conosciamo e ci alleniamo a definirlo in vari modi nella illusione di fermarlo.

Dovremmo invece produrre un pensiero forte capace di prefigurare futuri possibili e capaci di delineare nuovi scenari capaci di riportare al centro delle risposte che siamo chiamati a produrre una nuova immagine di futuro in grado di salvaguardare la storie e le storie del nostro passato e dei nostri futuri con una mente libera e rivolta a costruire diversi e affascinanti domani. In tale prospettiva Enzo Siviero ha rappresentato un riferimento importante nelle nostre discipline.

Sarebbe utile riprendere alcune sue riflessioni per uscire dalla stagnazione nella quale ci troviamo. (fr)

[Franco Rossi è docente all’Università della Calabria e già assessore alla Regione Calabria]

BENI CONFISCATI, IN CALABRIA OLTRE 5.100
IMMOBILI: NE RESTANO INUTILIZZATI 2.000

di FRANCESCO CANGEMI – La Calabria è la terza regione italiana per numero di beni immobili confiscati alla criminalità ed è anche una delle prime regioni per numero di aziende confiscate.

Secondo i dati dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata aggiornati al 30 novembre 2023, sono 5.104 i beni immobili confiscati dal 1982 ad oggi in Calabria, di cui 3137 sono stati destinati dall’Agenzia nazionale per le finalità istituzionali e sociali e così distribuiti a livello provinciale: Catanzaro 372, Cosenza 254, Crotone 105, Reggio Calabria 2200, Vibo Valentia 206; mentre 1967 sono stati dati in gestione: Catanzaro 199, Cosenza 205, Crotone 259, Reggio Calabria 1097, Vibo Valentia 207. Il totale delle aziende confiscate è, invece, di 533 di cui 309 date in gestione e 227 destinate.

I dati sono stati diffusi durante la prima Conferenza nazionale sui beni confiscati: da problema ad opportunità” che si è svolta, per la prima volta in Calabria, nella sede della Cittadella a Catanzaro.

L’iniziativa, organizzata dalla Regione Calabria – Dipartimento transizione digitale, settore legalità e sicurezza, insieme al Forum italiano per la sicurezza urbana (Fisu) a cui la Regione aderisce, e ad Avviso pubblico, si è sviluppata in un confronto a più voci che ha visto coinvolte Regioni del Nord e del Sud e i principali attori istituzionali che operano nella filiera dei beni confiscati alla criminalità organizzata, incluso il Terzo settore.

«Abbiamo voluto rappresentare l’impegno della Regione Calabria e delle altre istituzioni, a vari livelli – ha detto l’assessore regionale Filippo Pietropaolo – a servizio della società civile, la quale deve riappropriarsi degli spazi illecitamente sottratti dalle mafie per trasformarli in opportunità di sviluppo e rigenerazione. In questo senso la Regione vuole dare un segnale forte, tant’è che, oltre a quelle su legalità e sicurezza, ha anche istituito un’apposita delega ‘valorizzazione ai fini sociali dei beni confiscati alla criminalità organizzata’, a me assegnata dal presidente Occhiuto, che ringrazio».

L’assessore regionale alla transizione digitale, sicurezza, legalità e valorizzazione ai fini sociali dei beni confiscati alla criminalità organizzata ha, poi, evidenziato le buone pratiche messe in campo fino ad oggi dalla Regione Calabria per la valorizzazione dei beni confiscati.

«Avvieremo una serie di iniziative – ha detto – attingendo sia ai fondi comunitari sia a quelli nazionali, che per la prima volta la Regione ha stanziato. Di questi, 32 milioni provengono dal Pr 2021-27 e 13 milioni dal Fondo di sviluppo e coesione. Complessivamente possiamo contare su una dotazione finanziaria di oltre 40 milioni di euro. Pertanto abbiamo la possibilità di intervenire concretamente sui beni confiscati muovendoci in sinergia con il Terzo settore, le Forze dell’ordine, i Comuni che andremo a sostenere anche nelle opere di demolizione dei beni che non possono essere riutilizzati come, ad esempio, l’ecomostro di Torre Melissa. Segno tangibile di tutto ciò è anche la delibera, approvata dalla Giunta, che ha approvato la “Strategia regionale per la valorizzazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata attraverso le politiche di coesione”, frutto di un complesso e articolato lavoro svolto dalla struttura regionale competente».

«La strategia della Regione Calabria – ha rimarcato infine l’assessore Pietropaolo -, che ha una struttura coerente con quella nazionale, si pone come fine primario quello di fluidificare le attività e le iniziative di competenza regionale, rafforzando la cooperazione tra le strutture amministrative regionali e tra queste e le istituzioni territoriali competenti. Sono previsti, tra gli altri, interventi per la realizzazione di presidi di sicurezza e legalità, destinati alle Forze di Polizia, che contribuiranno all’inclusione sociale e all’aumento della percezione di sicurezza tra i cittadini. Pertanto, L’approvazione di questo strumento programmatico ha consentito alla Regione Calabria di conseguire un ulteriore obiettivo nel percorso della valorizzazione di un patrimonio coì consistente e di colmare un gap, anche grazie al confronto con le altre regioni, sulla tematica. La delibera di Giunta n. 682 appena approvata rappresenta, dunque, una pietra miliare e l’avvio di una nuova fase nel processo di riuso dei beni confiscati».

In apertura dei lavori sono intervenuti il prefetto di Catanzaro, Enrico Ricci, il quale ha posto l’accento sulla difficoltà delle amministrazioni comunali di potere recuperare un bene confiscato e sull’importanza del protocollo sottoscritto con la Regione Calabria che tiene conto anche dei progetti di demolizione, e la sottosegretaria al Ministero dell’Interno, Wanda Ferro, che ha evidenziato come «la Calabria anche in questo settore ha dato dimostrazione di grande maturità e di forte volontà di combattere la criminalità riappropriandosi, grazie anche all’impegno di Comitati e Comuni, dei beni confiscati alla criminalità organizzata».

Il direttore dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, prefetto Bruno Corda, ha parlato «di un importantissimo salto di qualità sui beni confiscati da parte dell’Agenzia e della Regione Calabria, intanto perché con il protocollo che abbiamo sottoscritto pochi mesi fa, il primo tra l’altro a livello nazionale, è stato previsto un fatto decisivo, e cioè che l’amministrazione regionale sostenga effettivamente e fattivamente i Comuni, soprattutto quelli più piccoli, in cui sono ubicati i beni confiscati. Mettere assieme le forze di tutti gli enti pubblici, statali, regionali e locali e naturalmente i soggetti del Terzo settore, fa compiere un naturale salto di qualità alle attività che devono essere svolte. É già da un pezzo che stiamo assegnando i beni direttamente al Terzo settore. Abbiamo dato in consegna 260 dei circa mille beni che erano stati segnalati alle associazioni».

Il coordinatore nazionale di Avviso pubblico, Pierpaolo Romani ha osservato che «più dell’80% dei beni confiscati viene assegnato ai Comuni che possono farne un uso istituzionale o sociale perché sottrarre un bene ai mafiosi non significa solo impoverirli, ma anche depotenziarli».

Il coordinatore Fisu (Forum Italiano per la Sicurezza Urbana), Gian Guido Nobili, ha spiegato che «l’obiettivo del Forum è di supportare le amministrazioni di Regioni e città in un approccio orientato alla prevenzione, sia ambientale che sociale, che passa dal riutilizzo dei beni confiscati e anche dalla promozione della cultura alla legalità e dalla riqualificazione e dalla rigenerazione urbana di quartieri degradati».

Nel corso della conferenza ci si è confrontati sulle politiche di valorizzazione, sulla conversione delle ricchezze illecitamente accumulate, sul riutilizzo, sul ruolo delle Regioni, degli enti locali, delle Università, del Terzo settore, sulle esperienze delle altre Regioni, come la Lombardia e l’Emilia Romagna. Su questo sono intervenuti anche l’assessore alla legalità e alla sicurezza della Regione Campania, Mario Morcone, e il presidente della Commissione consiliare contro la ‘ndrangheta della Regione Calabria, Pietro Molinaro.

Tra gli altri, hanno preso parte all’iniziativa Ottavio Amaro e Marina Tornatora del Laboratorio di ricerca Landscape_inProgres, dipartimento dArTe, Università Mediterranea di Reggio Calabria, Gabriella Volpi, dirigente struttura legalità, Beni confiscati e Usura, Polizia locale – Regione Lombardia, Gian Guido Nobili, dirigente area sicurezza urbana, Legalità e Polizia Locale – Regione Emilia-Romagna, Luciano Squillaci, portavoce Forum del Terzo settore Calabria, e personalità delle Forze dell’Ordine.

Renato Natale, sindaco di Casal di Principe, ha raccontato l’’operazione di sgombero e la consegna al Comune di un villino confiscato a un esponente di spicco del clan dei Casalesi e occupato abusivamente da un familiare; nel suo comune su 78 beni confiscati e assegnati, 62 sono già utilizzati per finalità sociali o istituzionali.

Nella stessa occasione è stato presentato anche L’Atlante di Giano a cura del Consorzio Macramè, rete tra trena enti gestori di beni confiscati.

«Sono intervenuto alla prima conferenza nazionale sui “Beni Confiscati: da problema ad opportunità”, organizzata dalla Regione Calabria – Dipartimento transizione digitale – settore legalità e sicurezza durante la quale l’assessore Pietropaolo ha annunciato l’approvazione da parte della Giunta del piano strategico della valorizzazione dei beni confiscati. Un confronto – sottolinea Pietro Molinaro presidente della Commissione consiliare antindrangheta – con le principali istituzioni  che operano nella filiera dei beni confiscati alla criminalità organizzata, con il Terzo settore che in Calabria svolge un ruolo positivo con buone pratiche in atto che ha trovato la Regione Calabria all’altezza della situazione.  La Commissione antindrangheta è impegnata, in piena sinergia con le Istituzioni nazionali e regionali a contribuire affinché la gestione e la destinazione dei beni confiscati produca effetti benefici per la collettività. La destinazione dei beni confiscati a usi sociali genera frutti positivi nel territorio: dalla creazione di occupazione legale al valore pedagogico poiché la comunità si riappropria, di quanto le era stato sottratto con la violenza, coniugando obiettivi di deterrenza, riparazione del danno e rigenerazione urbana.  Vanno migliorate le complicazioni riguardo  la gestione dei beni confiscati, sia quelli singoli che i complessi aziendali,  riducendo drasticamente, ad esempio, i tempi delle procedure di destinazione».

«Questo – aggiunge Molinaro – è un obiettivo economico,  ma anche di credibilità e reputazione delle istituzioni.  Bisogna investire, e bene ha fatto la Regione, con risorse, sia umane che economiche».

«Questo sistema – ha affermato Molinaro – è parte fondamentale della lotta alla criminalità perché è un ambito nel quale i cittadini onesti possono riconoscersi, ritrovarsi e sentirsi orgogliosi delle istituzioni. I beni non vanno fatti marcire, perché si fa un favore alla criminalità. Molinaro ha ribadito la necessità di onorare la memoria di chi ha gettato le basi creando le condizioni normative per colpire la criminalità organizzata, attraverso lo spossessamento dei beni. Da Rognoni a Pio La Torre e a tutti quelli che hanno pagato con la vita la lotta alla criminalità organizzata. L’appartato giuridico che oggi è confluito nel Codice Antimafia è frutto del lavoro di uomini e donne che hanno compreso quanto fosse necessario sottrarre i patrimoni alle organizzazioni criminose. L’attuale dispositivo legislativo conclude – va protetto e migliorato salvaguardandolo da attacchi strumentali che mirano a delegittimarlo». (fc)

LA MACROREGIONE DEL MEDITERRANEO
UN’OPPORTUNITÀ PER LA CALABRIA E IL SUD

di ENRICO CATERINI ed ETTORE JORIO – Due pezzi in più per dare alle politiche UE un maggiore respiro per il Sud del Paese e del Mediterraneo intero, proiettato quest’ultimo su quaranta regioni subnazionali (11 italiane, ovviamente rivierasche ma non comprendenti il Molise e la Basilicata), delle quali tantissime extra europee. Il tutto funzionale a generare, in una prospettiva non di lungo periodo, una macroregione mediterranea avente l’obiettivo di proporre alle rispettive comunità sociali una sorta di cittadinanza mediterranea.

Una iniziativa domestica e un’altra internazionale organiche ad un diverso sviluppo delle politiche unionali

Sul piano interno la Zes Unica, che – se ben collaborata dagli interventi del PNRR e dei fondi ordinari UE – costituirà un strumento attuativo di politiche di crescita che rintraccino e realizzino iniziative di successo nelle regioni del Mezzogiorno.

Sul piano dell’UE, la Intermediterranean Commission (IMC), rappresentativa di uno dei sei ambiti di intervento della Conference of Peripheral Maritime Regions (CRPM), è finalizzata ad occuparsi dello sviluppo del dialogo euromediterraneo sui temi della cooperazione territoriale. Più esattamente, dei trasporti, della politica marittima integrata, della coesione socio-economica, dell’acqua ed energia, fattori determinanti per le economie e l’occupazione delle regioni coinvolte.

Un assist importante per le Regioni italiane, messe così in condizione di sviluppare le loro politiche territoriali di trasporto e di movimentazione dei loro porti, con un serio ingigantimento dell’indotto in favore anche degli enti locali, specie se messo direttamente in relazione con iniziative favorite dalla Zes Unica.

Gli atti negoziali dei quali non potere fare a meno

Quanto alla coesione – in linea con il regolamento interno di funzionamento, implementato di recente – essa la si potrà concretizzare attraverso una carta convenzionale dei diritti, dei doveri e delle libertà fondamentali.  Insomma, un trattato internazionale vero e proprio con cessioni di parziale sovranità nelle materie attribuite.

Relativamente alla cooperazione sono, invece, da distinguere:

quella per l’acqua e l’energia, da disciplinare verosimilmente attraverso un accordo che assicuri ai cittadini del Mediterraneo il minimo vitale pro-capite (equivalente ad un LEP) di acqua e di fonti energetiche;

quella afferente ai trasporti, attraverso l’individuazione di una area libera di circolazione (di capitali, merci, servizi e lavoratori) circummediterranea, di investimenti infrastrutturali stradali e portuali, di reti digitali e informative a gestione comune.

I migranti circolanti come risorsa

Tra le legittime aspettative dell’IMC c’è, ovviamente quella di incidere positivamente nelle politiche migratorie, promuovendo e monitorando le iniziative più utili a favore di una crescita strutturale – del tipo il progetto geo-politico Mattei – intese ad incidere direttamente sui tessuti di vita, produzione e consumo delle regioni più povere.

In un siffatto particolare momento, l’iniziativa istituzionale comprende anche l’analisi della contingenza e di rimozione dello stato di disagio di genere che caratterizza e penalizza il quotidiano femminile nell’esigere i diritti fondamentali, spesso segnatamente negati in una parte di quest’area geo-demografica.

Una guida che riconosce al Mezzogiorno un corretto protagonismo

A presiedere l’Assemblea Generale è stato chiamato il numero uno della Regione Calabria, il presidente Roberto Occhiuto, un modo per pretendere dall’estremo sud dell’Italia continentale la svolta di una geografia che metta insieme, l’una di fronte alle altre, Nazioni diverse, di sovente confliggenti in termini culturali, religiosi, di produttività e di ricchezza. In quanto tali, alcune di esse afflitte da gravi gap di uguaglianza sociale e di democrazia praticata. Difficile, quindi, il ruolo di dirigere i lavori e di mediare le decisioni, impossibili da assumere se non a seguito di percorsi formativi e di approfondimento delle politiche attive, da progettare e attuare, compatibilmente con le regole internazionali che dovranno stimolare cambiamenti regolativi interni dei singoli Paesi di appartenenza delle anzidette quaranta regioni.

Insomma, il «conoscere per deliberare» è il primo traguardo da raggiungere ovunque per divenire simili percettori dei diritti, così come a monte sarà difficile effettuare preventivamente il percorso correttamente ricognitivo dei singoli fabbisogni, perché estremamente differenziati.

Lo sviluppo delle politiche di crescita unitaria dovranno, pertanto, passare gradatamente dalla condizione di miraggio a quella di realtà seppure differita.

Una mission istituzionale da spendere in favore della pace

Guardando bene la circoscrizione geografica di competenza della Commissione Intermediterranea, identificativa del perimetro marittimo del Mare Nostrum, si arguisce un possibile interessante intervento “diplomatico”, invero, sino ad oggi trascurato.

Considerata l’estensione della condizione geofisica del Mediterraneo, tale da fare rientrare la competenza di esercizio anche entro le dodici miglia del Mare Nero (con rivieraschi Turchia, Iran e Iraq), l’IMC potrebbe proporsi come strumento di sviluppo esteso alla Crimea (Russia) e al territorio di Odessa (Ucraina), entrambe impegnate sul tema dei trasporti per mare. In quanto tali, destinatari di politiche di crescita di un Mediterraneo unitario, funzionale all’esercizio di politiche di pace reale. (ec-ej)

Vedi il documento finale dell’Assemblea della Commissione Intermediterranea votato lo scorso giugno a Villa San Giovanni