LA LEGALITÀ E LA SICUREZZA, QUESTIONE
DI CIVILTÀ: IL MODELLO DI CASTROLIBERO

di ORLANDINO GRECO – Fin dalla cosiddetta prima repubblica il tema della legalità ha coinvolto la sensibilità dei più: basti pensare alle stragi di Stato, al terrorismo estremista, a tangentopoli, fino ad arrivare ai giorni nostri, all’evasione fiscale, alla criminalità organizzata e al business dell’immigrazione. Quest’ultimo punto, in particolare, resta di stretta attualità ed è interconnesso al tema della sicurezza perché coinvolge anche i luoghi del degrado urbano, occupando un notevole spazio nel dibattito pubblico.

Riflettevo, allora, sulle stucchevoli polemiche sollevate dalle opposizioni di “sinistra” in merito al Ddl Sicurezza del Governo Meloni. La mia domanda, ovviamente retorica, sorge spontanea. La risposta sta nel fatto che la legalità, così come la sicurezza, non dovrebbe essere un tema né di destra né di sinistra ma una questione di civiltà. La legalità, infatti, è la precondizione dell’impegno politico e civile, così come la capacità di governo e controllo dei territori deve essere precondizione dell’amministrare bene, con senso civico e con rigore al fine di contrastare fenomeni criminosi e di illegalità.

Pensiamo a quello che sta avvenendo nelle grandi metropoli come Roma e Milano, nelle cui periferie, spesso lasciate al loro destino, gruppi sempre più organizzati di persone italianissime ma molte provenienti da altri paesi aggrediscono cittadini e turisti. Oppure ai quartieri popolari di Napoli, Bari o Palermo, spesso bellissimi ma sempre più palestre di criminalità organizzata e per questo poco accessibili ai visitatori.
La riqualificazione di queste aree, unitamente ad un impianto di legge più incisivo, devono essere gli elementi di rottura con un passato che sta stretto alle tante persone che hanno scelto di vivere la propria vita nella legalità.
Sono questi i motivi che mi inducono ad accogliere favorevolmente il nuovo DDL Sicurezza del Governo Meloni che prevede, tra le altre, pene più aspre per gli occupanti abusivi delle abitazioni, procedure più rapide per la liberazione delle stesse e la detenzione per le donne incinte che commettono reati.
La politica deve essere esemplare, avanguardia di un’etica che passi dalla diffusione dei valori della libertà e del rispetto del prossimo. È ciò a Castrolibero stiamo cercando di fare, con un controllo più capillare del territorio, grazie all’azione incisiva delle forze dell’ordine, mediante l’installazione di telecamere che monitorano eventuali atti vandalici o criminosi, ordinanze che tutelino l’ordine pubblico e controlli severi sul rispetto dei diritti e doveri del cittadino, dalla raccolta differenziata al pagamento delle imposte, dall’abusivismo edilizio all’equa assegnazione degli alloggi popolari.
La legalità e la sicurezza sono valori che non dovrebbero avere colori politici di parte e dunque mi chiedo amaramente perché ancora una certa sinistra, utilizzando questo appellativo solo per individuare una parte dell’arco costituzionale dei partiti ideologici che di fatto ritengo ormai filosofia pura, si opponga a tali provvedimenti di buon senso.
Il “De officiis” di Marco Tullio Cicerone ha offerto un contributo significativo sul concetto di dovere e sull’importanza che ciò assume nell’ambito del fenomeno giuridico in quanto, spesso, le norme vengono considerate solo nella loro manifestazione oggettiva, come se esse non fossero il frutto di un comune sentire che si manifesta traendo ispirazione dai principi generali del diritto: il nuovo DDL Sicurezza ne è la manifestazione concreta rispetto ad un problema ormai annoso e che attanaglia migliaia di innocenti.
Occorre aprire una nuova stagione nella quale gli interessi di bottega e i buoni propositi demagogici non prevarranno più sull’interesse generale, l’unica bussola che deve guidare l’azione politica delle classi dirigenti. Ma da sola l’azione repressiva non è certamente bastevole: ritorniamo a parlare di doveri garantendo i diritti ma lavorando molto sulla prevenzione attraverso la scuola, la cultura, l’educazione ed il lavoro. Una società nella quale il figlio non rispetta il padre, dove il giovane maltratta l’anziano, dove l’uomo non coltiva modi gentili verso le donne e addirittura le utilizza come oggetti, e dove l’alunno arriva a minacciare l’insegnante con il silenzio dei genitori, è una società senza futuro, fermiamoci prima che sia troppo tardi. (og)

PENALIZZATA ANCORA LA JONICA NELL’A.V.
NELLA TOTALE INDIFFERENZA DEI POLITICI

A seguito delle dichiarazioni del sottosegretario Ferrante circa le difficoltà di realizzazione del lotto 2 Praia-Tarsia, è tornato in auge il dibattito sulla nuova linea Alta velocità SA-RC.

Sul tema intervengono, con un comunicato congiunto, l’Associazione Ferrovie in Calabria, il gruppo Jonia-MagnaGraecia, l’Associazione Svimar e l’Unione delle Associazioni della Riviera dei Cedri e del Pollino.

Le entità del terzo settore — rappresentative non solo dell’intera Calabria ma anche della Basilicata, della Puglia e della Campania — hanno espresso forti perplessità su un dibattito che, a tratti, sembra assumere caratteristiche grottesche e soprattutto viziato dalle solite visioni centraliste che offendono e mortificano parti ben definite dell’intero Mezzogiorno.

“È bene ribadire che la scelta di tracciare un percorso vallivo alla futura linea — hanno detto le Associazioni — era stato dettato dalla necessità di conciliare le esigenze delle aree interne calabro-lucane-campane. Tale disegno, altresì, avrebbe salvaguardato le esigenze delle due aree di costa calabresi previo un sistema di ramificazioni ad albero dalla linea principale. Il raccordo previsto nell’area di Tarsia avrebbe rappresentato il giusto compromesso affinché l’Arco Jonico (area densamente popolata, ma lontana da qualsivoglia tipologia di collegamento) potesse connettersi alla linea AV in un tempo stimato di 1H dal punto di maggior distanza (Crotone). Al tempo stesso, il nodo ferroviario avrebbe favorito le esigenze delle Popolazioni del Pollino e dell’area valliva del Crati (Cosenza ed hinterland)».

«Tuttavia, almeno da quanto diramato a mezzo stampa — continuano le Associazioni — sembrerebbe che le esigenze dell’intero territorio calabrese, siano state posposte per favorire una visione sperequativa, iniqua ed, oggettivamente, svantaggiosa. Tale disegno vorrebbe un tracciato esclusivamente tirrenico in barba a qualsivoglia principio di coesione territoriale. Vieppiù, l’ipotesi di realizzare una nuova linea AV/AC parallelamente alla già esistente linea Tirrena Meridionale, allo stato appare del tutto irrealistica, irragionevole e scriteriata».

Quanto riferito, si esplica nella insindacabilità di utilizzare la solita politica dei due pesi e due misure.

«Sul Tirreno — incalzano le Associazioni — esiste già una linea adeguata al transito dei treni veloci, mentre sullo Jonio si viaggia ancora come ai tempi dei Borbone. L’ambito compreso tra il Pollino e l’Arco Jonico, inoltre, deteniene quasi un terzo dell’intera popolazione calabrese.” “Riteniamo irragionevole — ribadiscono — anche per motivi di mercato, che si decida di inibire la possibilità ad un vasto ambito di possibili utilizzatori, di fruire di un così importante servizio di sviluppo ed emancipazione».

«Appare, quindi, anacronistico favorire un tracciato che superata Praia prosegua lungo il litorale tirrenico – dicono ancora le Associazioni – poiché l’illustrato sarebbe la palese conferma di investire in processi diseconomici. Insomma, un vero e proprio sfregio alle esigenze del territorio calabrese tutto per soddisfare futili appetiti di pennacchio e campanile. Politiche che non trovano giustificazione alcuna se non quella di fare incetta di opere pubbliche in un territorio già saturo e storicamente caratterizzato da un impianto viziato e centralista. Quanto riferito, a danno esclusivo di un’area sempre più marginalizzata e resa larva di sé stessa che si estende nei circa 100 km compresi tra Sibari e Crotone».

L’idea con cui ci si è approcciati alla realizzazione di una linea Av in Calabria non è (o almeno non dovrebbe essere) quella di consentire a Reggio Calabria di risparmiare 15 minuti di tragitto verso Roma. Piuttosto, la possibilità di consentire a tutto il territorio regionale di raggiungere la Capitale e le mete del Nord in tempi europei.

«Colpisce, tuttavia, — continuano gli attivisti — che la politica calabrese (e jonica in particolare) si sia rintanata in un surreale mutismo. Non ci è parso di leggere alcuna posizione in merito alla sciagurata proposta di proseguire il tracciato ferroviario a sud di Praia lungo la dorsale tirrenica».

«Ci saremmo aspettati una reazione, un movimento, un’azione da parte delle Comunità locali – dicono ancora – dei Rappresentanti politici e delle Istituzioni. Tuttavia, si rimane immobili. Anche la Classe politica cosentina sembra essersi adagiata in una sorta di passività, nonostante potrebbe trarre oggettivi vantaggi da uno snodo come quello di Tarsia-Montalto. Forse sarebbe il momento che politica, società civile, intellettuali, sindacati, mondo dell’istruzione e della cultura, rappresentanti delle principali categorie e professioni la smettano di scontrarsi sul nulla, o su aspetti che concernono la cruda gestione del potere, e si siedano attorno a un tavolo permanente per affrontare la Questione Calabria e, soprattutto, l’iniquo Sistema Calabria. Non si può continuare a preferire sempre e solo un versante a danno di quello che economicamente potrebbe rappresentare la reale fonte di sviluppo per tutta la Regione».

«Preliminarmente — sollecitano —, sarebbe opportuno tenere conto della conformazione del Mezzogiorno, in gran parte non costituito da grandi metropoli, ma da piccoli e medi centri. Motivo per cui risulterebbe  fondamentale ragionare per aree vaste e per contesti urbani policentrici. Nella stesura dei piani di fattibilità e di costo-beneficio delle opere pubbliche, andrebbero valutati diversi parametri. Primo fra tutti, la giusta considerazione per le aree più popolate. Quanto su richiamato, non già per spirito di partigianeria, ma per esclusivo buon senso. Inoltre, tenendo conto del fatto che i territori italiani dovrebbero avere pari diritti e pari dignità nel trattamento riservato dallo Stato, appare stucchevole continuare a ragionare disconoscendo i basilari concetti di equità territoriale».

È oltremodo vergognoso che il vasto ambito compreso tra la Sibaritide ed il Crotonese, già penalizzato da un sistema di mobilità arcaico, debba spostarsi verso sud (Paola – Lamezia) per raggiungere nodi ferroviari atti a collegare i menzionati territori con il nord.

«È sbagliato vendere un sostanziale restiling della Battipaglia-Metaponto come AV – hanno concluso –. Solo reali processi di velocizzazione della linea potrebbero riverberare benessere diffuso arrecando migliorie ai territori impatti. La futura infrastruttura ferroviaria, quella che dovrebbe e potrebbe rappresentare una nuova declinazione per la coesione territoriale al Sud, dovrà essere funzionale a tutto il Mezzogiorno e non solo a parti di esso». (rmm)

 

IL MARE CALABRESE, UN BENE PREZIOSO
MA ANCORA TROPPO POCO VALORIZZATO

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Una risorsa economica e sociale che, fino a oggi, non è stata adeguatamente valorizzata. Si tratta del mare della Calabria, l’oro blu di una regione che ha tutte le carte in regola per ripartire, ma a cui mancano gli strumenti. Soprattutto in questo settore, dove necessitano una migliore infrastrutturazione, differenziazione dell’offerta e sulla destagionalizzazione.

Su questi aspetti se ne è parlato nel corso del convegno “il Mare e la Calabria. Aspetti economici, vocazione turistica ed opportunità imprenditoriali”, organizzato dai Rotary Club Catanzaro, Catanzaro Tre Colli, Cropani, Crotone, Santa Severina e Soverato.

Alla tavola rotonda hanno partecipato esperti del settore, che hanno contribuito a costruire una visione d’insieme delle opportunità offerte dal mare per la Calabria. A portare il proprio contributo al confronto: Marcello Malamisura, direttore della filiale di Catanzaro della Banca d’Italia; Ferruccio Alessandro Grassia, comandante in seconda della capitaneria di porto di Crotone; Fabio Primerano, presidente di Federalberghi Lombardia e imprenditore del settore Turistico Alberghiero. Presenti autorità rotariane del distretto Calabria 2102, rappresentanti di club Rotary e la vice sindaca del Comune di Catanzaro, Giusy Iemma.

Introdotto dal consigliere Vito Verrastro, i lavori sono stati aperti dal presidente Carlo Maletta, che ha portato i saluti istituzionali anche a nome di Carlo Maria Comito, presidente Rotary Club Catanzaro Tre Colli; Giancarlo Pitari, presidente Rotary Club Cropani; Gianluca Romanò, presidente Rotary Club Crotone; Antonella Nocita, presidente Rotary Club Santa Severina e Pietro Daniele, presidente Rotary Club Soverato.

«Abbiamo pensato di sollecitare un confronto con esperti del settore sull’economia del mare per cercare di capire meglio quelle che sono le problematiche e le opportunità che stanno alla base di questo contesto, ma anche per scandagliare un fenomeno preoccupante che va oltre la disoccupazione giovanile – ha affermato il presidente Carlo Maletta –. Parliamo proprio dell’emigrazione di ragazzi e ragazze che lasciano la nostra regione appena compiuta la maggiore età, depauperando il territorio di energie, creatività e futuro, quello che potrebbe essere messo al servizio della nostra comunità che invece si ritrova sempre più povera, dal punto di vista sociale oltre che economico».

«Il mare potrebbe essere una fonte inesauribile di sviluppo e benessere, ma anche di occupazione, invece la nostra regione non riesce a sfruttare questa risorsa – ha detto ancora Maletta –. Questo convegno, frutto del lavoro sinergico e solidale di sei Club, si propone anche di sensibilizzare le istituzioni ad attivare azioni concrete per innescare le opportunità offerte dalla risorsa mare».

La Calabria, per estensione della costa peninsulare, è la seconda regione italiana come numero di chilometri, e per quanto riguarda la “costa sabbiosa”, è addirittura la prima in Italia. Questo significa che il turismo, in Calabria, ha un potenziale enorme. Tuttavia, il settore turistico calabrese deve affrontare alcune criticità, come la carenza di infrastrutture, la bassa qualità dell’offerta ricettiva e la stagionalità. Secondo alcune stime infatti il comparto ha una incidenza che supera il 6%, quasi il doppio di quanto accade in altre nazioni.

Sono alcuni dei dati illustrati dal direttore della filiale di Catanzaro della Banca d’Italia, Marcello Malamisura, affiancato da Antonio Covelli che si occupa di attività e ricerca economica. «Siamo partiti dal mare per allargare la visione sulle ricadute che il Mare può avere sul comparto turistico della regione, e il settore turistico può avere sullo sviluppo regionale – ha spiegato Malamisura –. Parlare di mare e turismo, quindi, significa parlare di un asset importante che si interseca ad altri asset che vanno dalla rilevanza del patrimonio artistico a quello dell’ambiente in generale, ma anche dal punto di vista delle criticità, a partire dalle infrastrutture materiali e la tutela dalla legalità».

«Il turismo ha un ruolo rilevante anche sull’impatto delle economie provinciali – ha spiegato – come dimostra un altro studio che ha messo in relazione i vari tassi di sviluppo con la presenza turistica straniera».

Ferruccio Alessandro Grassia, comandante in seconda della capitaneria di porto di Crotone, si è soffermato sulla situazione dei traffici marittimi che attualmente attraversano la Calabria e quelli che potrebbero essere gli sbocchi futuri per la valorizzazione della regione: «Da non calabrese ritengo sia una regione meravigliosa, che ha delle forti, fortissime potenzialità».

«Quelle che possiamo definire le ‘autostrade del mare’  – ha aggiunto – possono essere intercettate per portare un indotto economico tutt’altro che irrilevante».

La “risorsa mare”, per Fabio Primerano, calabrese doc e presidente di Federalberghi Lombardia e imprenditore del settore Turistico Alberghiero, è «una miniera d’oro di diamanti e petrolio che non riusciamo a valorizzare. La Calabria – ha aggiunto – è una regione tra i due mari più belli d’Italia, attraversata da montagne con straordinari parchi naturali che non riusciamo a sfruttare quando parliamo di destagionalizzazione».

E proprio nella direzione di una migliore gestione del potenziale di questa straordinaria risorsa, Primerano ha posto l’accento sull’importanza di avere un assessore regionale delegato al Turismo, figura che in Calabria non è individuata poiché il presidente Occhiuto ha ritenuto di trattenere la gestione diretta del settore.

Oltre al problema di una infrastrutturazione inadeguata, basta pensare alla necessità di rafforzare e migliorare i collegamenti aeroportuali e ammodernare la Statale 106, per Primerano è fondamentale “aggiornare” la ricettività.

«Abbiamo una ricettività vecchia, orientata sulla fascia media e medio-bassa, manca quasi del tutto l’offerta medio, medio-alta – ha concluso –. Il turismo è un volano per creare un circolo virtuoso economico, reddito per tutto il territorio che significa anche un importante ritorno sociale».

Ma non è solo il mare a essere una risorsa dal potenziale inespresso. Su Calabria.Live, Aristide Bava, parlando dell’importante iniziativa dei Lions Club per ricoprire gli antichi borghi della Locride – e non solo –, ha posto l’accento sulla necessità  di come la stagione turistica potrebbe essere «notevolmente allungata e far vivere ulteriori periodi di presenze di forestieri se solo si sviluppassero iniziative finalizzate a promuovere meglio il territorio che, a parte, la sua riviera densa di spiagge è anche ricca di grandi potenzialità storiche, turistiche e culturali che proprio i borghi antichi possono dare, questi centri storici aspettano solo di essere maggiormente valorizzati e, soprattutto, ripopolati».

«La stessa Regione Calabria ad inizio della stagione passata– ha scritto ancora – si era occupata della necessità del ripopolamento degli splendidi borghi presenti nel territorio calabrese evidenziando quanto importante sia questo grande patrimonio dell’intera  Calabria e della Locride in particolare, dove lo sfruttamento ai fini turistici di questi siti è ancora latente. Eppure l’interesse dei forestieri per questi luoghi pieni di fascino continua ad aumentare e, adesso, nei centri interni del territorio calabrese si vedono continuamente piccole comitive di turisti e forestieri che confermano,  ancora una volta, anche se ormai questo è del tutto scontato, che i borghi antichi esistenti sono un patrimonio turistico di immenso valore».

«Se a ciò si aggiunge, appunto, che anche i mutamenti climatici consentono di avere giornate “estive” anche in questo periodo appare evidente che bisognerebbe programmare ipotesi progettuali che tengano conto anche di questo. Uno degli aspetti più importanti legato alla necessaria “valorizzazione” di questi luoghi è il fatto che il periodo estivo contrariamente a quanto si possa pensare , non è l’unico periodo ottimale per la “frequenza” di questi siti anche se, ovviamente, il periodo estivo garantisce, grazie alla presenza di più forestieri,  numeri maggiormente consistenti. Ma la verità è, però, che proprio una loro adeguata valorizzazione potrebbe garantire presenze altrettanto numerose, anche durante altri periodi dell’anno, bisogna insistere perchè ciò avvenga», ha concluso Bava. (ams)

(Immagine di copertina: Praia a Mare di Valter Cirillo – Pixabay)

MIGRANTI, NON PIACE IN CALABRIA L’INTESA
CON L’ALBANIA: È UNA VERA DEPORTAZIONE

di FRANCO BARTUCCI – Non piace ai calabresi l’intesa con l’Albania per il trasferimento dei migranti che arrivano nelle coste italiane (Lampedusa e Roccella, in primo luogo). Roccella è allo stremo, ma mostra tutta la grande solidarietà e la fratellanza del popolo calabrese nel soccorrere e accogliere i profughi che arrivano sulle sue coste. Non piace l’accordo (5 anni + 5) perché sa di vera e propria deportazione e non tiene conto delle opportunità che i migranti potrebbero offrire come risorsa lavoro. Manca manodopera, ma si tengono rinchiusi in centri di accoglienza centinaia di giovani (qualcuno persino con laurea) che andrebbero, invece, avviati al lavoro (anche attraverso strumenti di mediazione linguistica e formazione sul territorio). I vecchi – riusciti – progetti di inclusione dell’Unical (quando gli albanesi sbarcarono in massa nelle nostre coste) e di Mimmo Lucano a Riace dovrebbero costituire un modello virtuoso da seguire, ma il Governo preferisce buttare denaro per mantenere rinchiusi i disperati che arrivano dall’Africa e dall’Asia. L’operazione Albania ha un costo enorme: con le stesse cifre si potrebbe avviare un percorso di formazione e inclusione che dia speranza di vita migliore a chi ha dovuto abbandonare tutto, ovvero il niente di niente, nella propria terra.

Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il suo collega d’Albania Edi Rama hanno sottoscritto un accordo che consente di trasferire i migranti che vengono recuperati dalle navi italiane o dalla Guardia Costiera sui mari che circondano il nostro Paese direttamente in Albania ed in particolare in due centri ancora da costruire per essere identificati dalle autorità italiane nell’arco di trenta giorni. Due campi con una capienza di 1.500 posti cadauno per un totale complessivo di 36 mila migranti da controllare nell’arco di un anno per essere lasciati liberi dopo l’identificazione e ricondotti fuori dall’Albania o rinviati nei loro Paesi di origine e provenienza qualora non aventi diritto. Un accordo con validità di cinque anni rinnovabili.

«Un accordo che manda in frantumi – come ha dichiarato il Cardinale Arcivescovo di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale, Matteo Maria Zuppi – il diritto d’asilo»; mentre a giustificazione del protocollo d’intesa il Presidente Edi Rama ha dichiarato ch’era doveroso accogliere la richiesta di aiuto della Presidente Meloni quale risposta collaborativa per una forma di ringraziamento per l’accoglienza che l’Italia ha riservato all’inizio degli anni novanta ai tantissimi migranti albanesi fuoriusciti dalla loro terra.

La cronaca giornalistica di questi giorni ha riservato sull’accordo dubbi e critiche a livello nazionale con la riserva dell’Unione Europea; mentre i sostenitori della presidente Meloni hanno parlato di un accordo necessario in quanto può funzionare come deterrente a scoraggiare i migranti per avviarsi dai loro Paesi con la meta l’Italia per poi dirigersi verso gli altri Paesi europei.

Un comportamento che rasenta la disumanità di certe forze politiche che hanno dimenticato il valore dell’accoglienza umana nel rispetto di quei valori cristiani che il Vangelo ci descrive. Eppure abbiamo un Santo Padre, Papa Francesco, che fin dal suo insediamento ha affrontato questo delicato problema dell’accoglienza dei migranti ad evitare le stragi nel nostro Mediterraneo con azioni concrete di profonda umanità.

Nel 1992 dalla Calabria ed in particolare dall’Università della Calabria, come nel resto d’Italia, in soccorso di quanto stava accadendo in Albania, ci fu una grande mobilitazione predisponendo un programma di accoglienza nei vari paesi di origine arbëreshë, buona parte dei quali risultavano svuotati con molte abitazioni chiuse, che può essere d’insegnamento oggi al mondo della politica ed alla società stessa italiana per dare un senso umano ed accoglienza a questa nuova generazione di migranti che fuggono per ragioni di guerra e carestie dai loro paesi di origine.

Il Progetto Skanderbeg dell’UniCal  in soccorso degli albanesi migranti – Il Consiglio di amministrazione dell’Università della Calabria nella seduta del 3 febbraio 1992, presieduta dal Rettore, prof. Giuseppe Frega, approvava il progetto “Skanderbeg”, presentato da un Comitato scientifico, presieduto dal prof. Pietro Bucci, già rettore dello stesso Atene dal 1978 al 1987, che prevedeva una soluzione di inserimento ed insediamento, nel contesto del territorio regionale, delle migliaia di profughi albanesi che giungevano nel nostro Paese.

A sostenere il progetto oltre alla stessa Università della Calabria vi erano l’Amministrazione Provinciale di Cosenza e la Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania; mentre il Comitato scientifico era così composto: Pietro Bucci, Paolo Portoghesi, Renato Guzzardi, Francesco Altimari, Aldo Pugliese, Francesco Solano, Antonio Rossi, Cesare Pitto, Nino Russo, Cesare Marini, Giuseppe Roma, Pina Carso.

Il progetto fu presentato ed illustrato in una conferenza stampa che si svolse il 2 luglio 1992 all’Università della Calabria dal prof. Pietro Bucci e dal prof. Paolo Portoghesi, dell’Università “La Sapienza” di Roma. Parteciparono alla conferenza tutti i componenti del Comitato tecnico-scientifico dello stesso progetto di cui sopra ed una vasta rappresentanza dei cinquanta centri urbani di origine albanese distribuiti su tutto il territorio delle regioni meridionali, dei quali trentuno soltanto in Calabria.

Gli ideatori del progetto prevedevano un recupero urbano di tutti i centri di origine arbëreshë poco abitati, per farne oggetto di insediamento di nuove comunità albanesi, il cui fenomeno migratorio di massa ha assunto nel 1991 una fase drammatica, ben raccontata nel 1994 dal noto regista calabrese Gianni Amelio nel suo film “Lamerica”. La Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università della Calabria per questo film e la sua carriera gli conferì il 28 maggio 1996 la laurea “Honoris Causa” in Dams.

Per potere realizzare i nuovi modelli di assetto urbano, il progetto prevedeva un collegamento con le autorità governative dell’Albania, al fine di concordare interventi ed una programmazione mirata alla formazione delle persone ed all’insediamento delle nuove realtà urbane, come nello scambio delle politiche di rientro per una valorizzazione dell’economi e dello stato sociale del Paese di origine.

L’obiettivo dell’intervento era legato al processo di sviluppo delle naturali vocazioni del territorio e si articolava in un diverso assetto urbanistico del territorio, valorizzando, soprattutto, i settori dell’agricoltura, del turismo, del recupero delle strutture urbane, della selvicoltura, della zootecnia, ecc. Si puntava, inoltre, sulla possibilità di effettuare investimenti assistiti da contributi ed agevolazioni finanziarie statali, regionali e comunitarie; nonché sulla possibilità di utilizzare tecnologie che, contenendo i costi di produzione, rendevano economicamente valide le attività produttive da svolgere. Ancora una condizione essenziale del progetto era quella di puntare sulla possibilità di attivare l’imprenditorialità locale in forme capaci di mobilitare ed associare tutte le risorse umane esistenti in loco.

Era un progetto che dava valore al senso umano delle risorse in loco ed aveva, quale ideatore/Presidente del comitato scientifico, il prof. Pietro Bucci, già rettore dell’UniCal dal 1978 al 1987, un visionario ed un uomo di grande fede ed umanità.

Ma passata l’emergenza, come spesso succede qui in Calabria, non se ne fece nulla, essendo venuta meno a questa lungimirante idea progettuale dell’Università, che forse avrebbe cambiato prospettive non solo di ordine demografico alla società e alla economia calabrese, il dovuto sostegno concreto dalle istituzioni esterne coinvolte.

Una storia che parte dal Rettore Beniamino Andreatta  – Peraltro l’Università della Calabria con il Rettore Beniamino Andreatta fin dalle sue origini aveva impiantato delle radici di grande attenzione verso le minoranze linguistiche, inserendo nei piani di studio della Facoltà di Lettere e Filosofia, con il corso di laurea in lingue, i cui corsi partirono con l’anno accademico 1973/1974, una cattedra di lingua e letteratura albanese, con l’attivazione al suo interno dell’insegnamento di Dialetti albanesi dell’Italia meridionale ch’ebbe come primo docente ed in assoluto, come primo titolare di cattedra a livello accademico nazionale, il papas prof. Francesco Solano. Fu la prima Università italiana ad aprire questa importante pagina di storia per la tutela delle minoranze linguistiche, che aveva in Calabria una vasta comunità di popolazione con origine arbëreshë.

Da allora è stata avviata una sistematica ricerca sul campo che dalla Calabria si è estesa poi all’intero Mezzogiorno sul peculiare patrimonio linguistico, letterario e culturale arbëreshë (oltre 200 sono state le tesi di laurea e di dottorato ad esso collegate difese nell’ultimo quarantennio presso l’Unical!) poi proseguita nell’ultimo trentennio con importanti risultati scientifici, all’attenzione del mondo accademico nazionale e internazionale, da parte del suo allievo, il prof. Francesco Altimari, che dal 1991 è subentrato nella direzione della stessa cattedra fondata dal prof. Solano.

Vogliamo ricordare che alla memoria del fondatore di questa cattedra l’Unical ha intitolato nel 2009 l’apposita Fondazione universitaria “F. Solano”, voluta e sostenuta dalla sorella Nina Solano, che si occupa di valorizzare gli studi albanologici e di promuovere la lingua e la cultura degli albanesi d’Italia, ma anche di consolidare i rapporti scientifici e culturali tra comunità arbëreshë e comunità albanesi dell’ area balcanica.

Il Progetto Skanderbeg dell’UniCal sensibilizzò maggiormente la stessa Università  ad accogliere studenti provenienti dall’Albania per consentire loro di acquisire la laurea ed anche un gruppo di dottorandi e docenti, alcuni dei quali sono rimasti negli organici dell’Ateneo di Arcavacata e con il passare degli anni ad accrescere i rapporti istituzionali e di collaborazione con l’Università di Tirana e con quella kosovara di Prishitna.  Una esperienza che dopo otto anni si applicò anche con il Kosovo e la Serbia per effetto del conflitto bellico nei Balcani. Ma il progetto stimolò pure l’inserimento di molti albanesi in quei paesi e comuni di origine arberesce della Calabria e di altre regioni italiane. Ci fu una vera e propria integrazione.

Una nota particolare merita e va ricordata per il ruolo avuto dal Papas prof. Francesco Solano ch’ebbe l’ardire in quel momento drammatico per l’Albania di predisporre una “Guida alla conversazione italiana” che corrispondeva alla traduzione della “Guida alla conversazione albanese” (La prima in assoluto uscita in Italia), già pubblicata dal prof. Solano nel 1974 e ristampata dalla Regione Friuli Venezia Giulia con il sostegno della Fondazione del quotidiano “La Stampa” di Torino attraverso un’ edizione straordinaria fuori commercio.

Ed è quanto dovrebbe accadere nel nostro Paese nel rapporto di accoglienza dei tanti migranti che arrivano tutti i giorni sulle nostre coste anche in funzione di una migliore integrazione negli altri Paesi Europei sull’esempio di quanto è stato realizzato qualche anno dopo dal Sindaco Mimmo Lucano a Riace, terminato con un inquietante e ingiusto processo penale che va meditato per recuperarne il valore. (fba)

AUTONOMIA (ED EGOISMO) A TUTTI I COSTI
E IL SUD ASPETTA LA DEFINIZIONE DEI LEP

di PIETRO MASSIMO BUSETTA La domanda che sorge spontanea è come mai una riforma come quella dell’autonomia differenziata, contestata dalla maggioranza degli italiani, dalle parti sociali, dalla Banca d’Italia, dagli organi indipendenti, dai Governatori appartenenti anche alla maggioranza, vista l’ultima presa di posizione di Occhiuto, Governatore della Calabria, oltre che da gruppi organizzati di cittadini che hanno raccolto circa 100 mila firme per una legge di iniziativa popolare che correggesse il grande errore della modifica del titolo V, e perfino, con la sua “moral suasion”, dal Presidente della Repubblica, in tempi velocissimi, sta arrivando in Parlamento? 

Come mai Fratelli d’Italia che è portatrice di una logica opposta, vista la sua storia e il centralismo attuato in molti provvedimenti, compreso quello della Zes unica, e il Fondo Sviluppo e Coesione, che tante lamentele ha provocato in molti Governatori /Presidenti, consente un percorso che, se può essere positivo a breve per le Regioni del Nord, danneggia pesantemente il Sud e quindi tutto il Paese?

La ragione è molto semplice e deriva da una mancanza di rappresentanza parlamentare delle Regioni meridionali e da una sovra rappresentanza, dovuta alla legge elettorale vigente, di un movimento territoriale come la Lega. Tale partito  ha ormai piazzato nei posti chiave del Governo i suoi uomini, che ovviamente perseguono gli obiettivi propri di un movimento territoriale, che parte accusando Roma di essere ladrona, passa da un progetto di indipendenza/secessione e  nel tempo cambia strategia, visto l’insuccesso della prima, puntando all’autonomia differenziata. 

L’obiettivo rimane lo stesso  ma tenendosi  pure i vantaggi  di avere una realtà con il 40% del territorio da utilizzare per le esigenze contingenti. La squadra è di quelle di alto livello: Giorgetti all’economia, che, in passato, da Ministro dello sviluppo economico dirottò l’investimento della Intel a Vigasio, in provincia di Verona, malgrado in tale realtà vi è la piena occupazione e grande difficoltà a trovare ingegneri se non emigrano dal Sud, adesso  ha un ruolo fondamentale nel Governo Meloni. 

Il vice Presidente del Consiglio, Matteo Salvini, ha la stessa provenienza, anche se sembra avere una visione di Paese. In particolare  intestandosi una battaglia importante per valorizzare la posizione logistica dello Stivale con, l’avversata da molti,  costruzione del ponte sullo stretto di Messina. 

E poi Calderoli, noto per la sua preparazione e determinazione, che ha deciso, insieme a Luca Zaia e a tutto il partito, che l’autonomia dovrà essere lo scalpo da portare alle elezioni europee del 2024. Costi quel che costi. Anche una crisi di Governo nel caso in cui ciò non avvenga come ha dichiarato in maniera assolutamente esplicita alla Stampa, il 18 maggio 2023, il Governatore del Veneto Luca Zaia «se non passa la riforma, viene meno la maggioranza».

In parole povere si minaccia la crisi di Governo, e certo le parole sono pietre e vanno valutate adeguatamente. Poco importa al Governatore del servizio di bilancio, che dovrebbe essere un organismo neutrale, e con il solito garbo istituzionale afferma: «Mi piacerebbe sapere chi sia il signor Servizio di Bilancio che ha bocciato la proposta di Calderoli. Si tratta di giudizi politici più che tecnici».  

Anche Calderoli non ci va leggero ed a una precisa domanda di un cronista, il recente l’11 novembre, che sostiene che c’è un patto stretto con Forza Italia e che prima si debbano trovare le risorse per garantire i Lep e poi si può fare l’Autonomia, risponde in modo netto:
«Mi dispiace, ma sbagliano, non è così. Il patto è che la legge venga approvata e che non venga trasferita nessuna funzione prima che siano definiti i Lep e i relativi costi e fabbisogni standard. La garanzia delle risorse per i Lep è nella Costituzione».  

Definiti, notate la sottigliezza, non finanziati. Il finanziamento lo garantisce la Costituzione. Verrebbe da dire che infatti in vigenza di essa i livelli essenziali sono stati completamente diversi nelle due parti del Paese. Ma viene spontanea la domanda che ci si è posti all’inizio: come mai tutto questo può avvenire e non vi è alcuna reazione da parte del Sud che secondo molti sarebbe la vittima sacrificale di tale nuova legislazione? La risposta non è così complessa. In realtà il Sud manca di una sua rappresentanza politica.

Infatti malgrado vengano eletti deputati e senatori al Parlamento italiano in realtà essi fanno riferimento a partiti nazionali che, molte volte, hanno interessi diversi rispetto a quelli territoriali del Sud. E la disciplina di partito è tale per cui chiunque voglia ribellarsi a tale visione, con la legge elettorale esistente, non sarà nemmeno più non solo eletto ma nemmeno candidato.

E quindi la disciplina ferrea viene rispettata da tutti e la classe dominante estrattiva meridionale, spesso ascara rispetto a quella settentrionale, si accontenta dei piccoli vantaggi derivanti dal ruolo ricoperto disinteressandosi totalmente degli interessi dei propri territori.

È una dinamica antica che ha consentito che l’autostrada si fermasse a Napoli come anche che i diritti di cittadinanza fossero diversi nelle varie parti del Paese, come è stato rilevato in modo inoppugnabile dall’esigenza di finanziare i Lep, cosa ovviamente complicata considerata la mancanza permanente di risorse. 

Quindi ci si ritrova con una parte che porta avanti i propri interessi e la parte opposta, quella che dovrebbe difendersi, che   funziona da supporto, come si è visto peraltro in Conferenza Delle Regioni, nella quale i Presidenti  meridionali hanno perfino votato a favore. Tranne qualche pentimento dell’ultima ora forse strumentale a  presentarsi presso gli elettori da vittime piuttosto che da carnefici.

In tutto questo l’opposizione prima ha supportato il percorso, con Bonaccini che ha fatto la stessa richiesta di autonomia, per poi, fulminato sulla via di Damasco, rientrare nei ranghi di un PD che adesso è contro. Lo stesso movimento Cinque Stelle ha sottovalutato molto tale provvedimento è oggi si schiera contro, ma quando i buoi sono scappati. Evidentemente funziona sempre il meccanismo del vaso di coccio vicino  a quello di ferro, qualunque scossone finisce per rompere il coccio. Potrebbe accadere anche questa volta. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

IN CALABRIA A RISCHIO 626 MLN DEL PNRR
L’11% DELLE RISORSE ASSEGNATE A REGIONE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – In Calabria si rischia di perdere 626 milioni di euro per i progetti del Pnrr. È quanto emerso dal rapporto di Bankitalia sull’Economia della Calabria, in particolare nel paragrafo dedicato proprio alle risorse dei fondi europei e del Pnc – Piano nazionale per gli investimenti complementari al Pnrr. La perdita dei fondi sarebbe causata da una proposta di modifica del Pnrr presentata dal Governo lo scorso agosto, «per tenere conto sia del mutato contesto geopolitico, a cui sono connessi alcuni fattori di ostacolo alla realizzazione delle opere (come ad esempio l’aumento dei costi), sia delle criticità emerse durante la prima fase di attuazione». E, da qui, l’ipotesi di eliminare alcune misure la cui attuazione per tenere conto sia del mutato contesto geopolitico, a cui sono connessi alcuni fattori di ostacolo alla realizzazione delle opere (come ad esempio l’aumento dei costi), sia delle criticità emerse durante la prima fase di attuazione.

Nel paragrafo, infatti, viene ricordato che alla data del «10 ottobre risultavano assegnati 5,6 miliardi di euro a soggetti attuatori pubblici per progetti da realizzare sul territorio calabrese, pari a 3.044 euro per abitante (tav. a2.1). Tali fondi risultavano concentrati soprattutto negli interventi associati alle missioni dedicate alla “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo” e “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, che assorbono circa il 45 per cento delle risorse allocate. Per il 33 per cento dei fondi assegnati, la responsabilità di gestione fa capo a operatori nazionali (enti pubblici e società partecipate); tra le amministrazioni locali il ruolo di maggiore rilievo spetta ai Comuni, competenti per il 28 per cento degli importi».

«Con riguardo ai progetti del solo Pnrrper interventi da realizzare in Calabria – viene rilevato nel rapporto – a giugno 20232 i soggetti attuatori pubblici avevano bandito procedure per un importo stimato di 1,7 miliardi, pari a circa il 40 per cento del valore dei progetti che necessitano di una gara. In particolare, la percentuale di gare avviate per gli interventi relativi a “Rivoluzione verde e transizione ecologica” e “Inclusione e coesione” risultava più elevata, a fronte di un minor grado di avanzamento degli interventi rivolti a “Infrastrutture per una mobilità sostenibile” e “Salute”».

Ma non sono solo i fondi del Pnrr a preoccupare.

«Nella prima parte del 2023 la crescita dell’economia calabrese ha perso vigore, proseguendo nella tendenza che si era già manifestata a partire da metà dello scorso anno», ha rilevato Bankitalia, aggiungendo come «in base all’indicatore Iter elaborato dalla Banca d’Italia nel primo semestre l’attività economica in regione è aumentata dell’1,1 per cento, in linea con quanto osservato nel resto del Paese».

Per quanto riguarda le imprese, infatti, in un sondaggio condotto tra settembre e ottobre, «il fatturato delle imprese calabresi nei primi nove mesi dell’anno ha registrato in media un moderato incremento, ancora sostenuto dall’aumento dei prezzi di vendita. La situazione reddituale è migliorata, beneficiando anche della riduzione dei prezzi dei beni energetici, mentre gli investimenti sono rimasti su livelli contenuti, risentendo probabilmente del clima di incertezza sull’evoluzione del quadro macroeconomico e dell’innalzamento del costo del credito».

«A livello settoriale – si legge – il rallentamento ha riguardato maggiormente l’industria in senso stretto. Le costruzioni sono state ancora in parte sospinte dal completamento degli interventi di riqualificazione edilizia stimolati dal Superbonus, mentre in prospettiva potrebbe incidere di più il contributo dei lavori pubblici finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che è stato finora inferiore alle attese degli operatori. Nel terziario la congiuntura è rimasta positiva, pur risentendo della frenata delle vendite nel commercio e della debole crescita delle presenze turistiche».

«Tra i settori di specializzazione, la crescita è stata più accentuata nell’industria alimentare, che ha tratto vantaggio anche dal sostegno della domanda estera; le attività connesse all’edilizia hanno invece mostrato una dinamica peggiore», mentre il settore delle costruzione «sono emersi segnali di attenuazione della fase di espansione registrata nell’ultimo biennio. Nel primo semestre dell’anno, le ore lavorate denunciate alle Casse edili presenti in regione sono diminuite del 6 per cento, dopo il forte incremento avvenuto nello stesso periodo del 2022 (81 per cento)».

«Considerando le aziende con almeno 10 addetti, sulla base del sondaggio della Banca d’Italia condotto tra settembre e ottobre, poco meno di due terzi delle imprese si attende comunque un aumento del valore della produzione nel 2023, mentre il 14 per cento ne prevede un calo», continua il rapporto, evidenziando come invece il comparto residenziale ha registrato un andamento «ancora vivace» che ha tratto vantaggio dal completamento dei lavori stimolati dalle agevolazioni fiscali introdotte dal decreto rilancio.

Secondo i dati del monitoraggio congiunto di Enea e Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, in Calabria gli interventi riferiti al “Superbonus” al 30 settembre 2023 erano 13.783, per un importo complessivo di 2,7 miliardi di euro, ancora in aumento di oltre un quarto rispetto a fine 2022; i lavori risultavano conclusi all’81 per cento.

Il settore terziario, invece, «ha continuato a crescere, pur mostrando segnali di rallentamento. Secondo i risultati del sondaggio Sondtel su un campione di imprese dei servizi privati non finanziari, la quota di aziende con fatturato nominale in crescita nei primi nove mesi dell’anno è stata pari al 46 per cento, quella delle aziende con fatturato in calo al 15 per cento».

Nel commercio al dettaglio non alimentare, tale saldo scende però al 4 per cento. All’interno di quest’ultimo comparto, segnali più favorevoli provengono dal segmento degli autoveicoli: secondo i dati diffusi dall’Associazione nazionale filiera industria automobilistica (ANFIA), le immatricolazioni sono tornate a crescere, dopo il forte calo dell’anno scorso dovuto anche alle difficoltà di approvvigionamento delle aziende produttrici, sebbene in misura inferiore rispetto al resto del Paese (9,5 contro 20,6 per cento).

Turismo. Dopo il sensibile recupero dello scorso biennio seguito allo shock pandemico, la crescita dei flussi turistici in regione si è fortemente attenuata. Secondo le informazioni provvisorie sui primi otto mesi del 2023 fornite dall’Osservatorio sul turismo della Regione Calabria, le presenze nelle strutture ricettive in regione sono salite solo del 2 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2022 (tav. a2.3). In particolare, i turisti stranieri sono aumentati del 18 per cento, mentre quelli domestici sono lievemente diminuiti. I pernottamenti risultano ancora inferiori di circa il 20 per cento rispetto al 2019 (37 per la componente straniera).

Per quanto riguarda il settore dei trasporti, i passeggeri transitati per gli aeroporti regionali nei primi 8 mesi dell’anno sono cresciuti del 17 per cento, tornando sostanzialmente sui livelli pre-pandemia. In particolare, i voli sono aumentati in linea con i maggiori flussi di stranieri e con la ripresa degli spostamenti dei residenti in regione.

Segnali importanti arrivano dal porto di Gioia Tauro, in cui è continuata la fase di crescita in atto dalla seconda metà del 2019. La movimentazione di container nei primi nove mesi dell’anno è salita del 2,1 per cento rispetto al corrispondente periodo dell’anno scorso (era cresciuta di oltre il 7 per cento nel 2022).

Dopo la ripresa del biennio precedente, nella prima parte del 2023 l’occupazione ha iniziato a mostrare segnali di rallentamento. Secondo i dati della Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat, nel primo semestre dell’anno in corso il numero degli occupati in regione è cresciuto dello 0,9 per cento rispetto allo stesso periodo del 2022 (fig. 3.1.a e tav. a3.1), un aumento molto più contenuto di quello registrato nel Mezzogiorno e in Italia (rispettivamente 2,4 e 2,0 per cento).

Nella media dei primi sei mesi del 2023, il tasso di occupazione ha raggiunto il 43,5 per cento (5 decimi in più rispetto allo stesso periodo del 2022), sospinto anche dalla continua riduzione della popolazione in età da lavoro (15-64 anni) che, tra gennaio e giugno, è diminuita di circa lo 0,6 per cento; il divario del tasso di occupazione regionale dalla media nazionale si è tuttavia ampliato di quasi un punto percentuale. Anche il tasso di disoccupazione è tornato ad aumentare, raggiungendo il 16,8 per cento (14,6 nello stesso periodo del 2022). L’incremento è stato alimentato da una maggiore partecipazione al mercato del lavoro, con la conseguente crescita del tasso di attività di quasi due punti, al 52,4 per cento.

L’incremento tendenziale dell’occupazione ha riguardato esclusivamente gli uomini mentre il numero delle lavoratrici è leggermente diminuito, anche se − grazie alla crescita registrata nel biennio precedente − resta complessivamente superiore a quello del primo semestre 2019 – si legge nel rapporto –; il divario di genere nel tasso di occupazione è comunque tornato ad ampliarsi, arrivando a 24,9 punti percentuali (era 22,8 nello stesso periodo dell’anno precedente). Tra i settori, i servizi hanno fornito un contributo positivo alla crescita, a fronte di una sostanziale stabilità degli occupati nelle costruzioni; il numero di lavoratori è risultato in calo nell’agricoltura e, in minor misura, nell’industria.

L’aumento dell’occupazione è stato alimentato in particolare dal lavoro autonomo: nel primo semestre 2023 il numero dei lavoratori indipendenti calabresi è infatti cresciuto di quasi il 7 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (fig. 3.1.b) pur rimanendo al di sotto dei livelli pre-pandemia. Il lavoro alle dipendenze, invece, dopo l’espansione che ha caratterizzato gli ultimi due anni, ha fatto registrare una lieve riduzione (-0,9 per cento).

I consumi delle famiglie calabresi hanno risentito del forte calo del potere di acquisto, accompagnato da un deterioramento del clima di fiducia. L’inflazione, dopo aver raggiunto un picco a fine 2022, ha iniziato gradualmente a ridursi nei primi mesi dell’anno in corso, pur restando ancora su livelli elevati. Le famiglie in difficoltà economica hanno continuato a beneficiare di misure straordinarie volte a limitare l’impatto dei rincari dei prezzi di energia e gas. Al contempo, a seguito delle recenti modifiche normative, ha iniziato a ridursi la quota di famiglie beneficiarie del Reddito di cittadinanza, che sarà totalmente sostituito a partire dagli inizi del 2024 dall’Assegno di inclusione, destinato a una platea più ristretta di nuclei familiari.

La crescita dei prestiti bancari alla clientela privata si è indebolita, riflettendo principalmente il calo della domanda connesso con il rialzo dei tassi. La dinamica dei prestiti è risultata peggiore per le imprese, soprattutto per quelle di minore dimensione; per le famiglie il ricorso al credito al consumo è rimasto sostenuto, mentre le nuove erogazioni di mutui residenziali sono scese. Nonostante il peggioramento congiunturale, il tasso di deterioramento del credito si è mantenuto contenuto. I depositi bancari delle famiglie e delle imprese si sono lievemente ridotti, anche in conseguenza della ricomposizione del risparmio verso strumenti con rendimenti più elevati. (ams)

TANTE COMUNITÀ CALABRESI ALL’ESTERO
A PARTIRE SONO SOPRATTUTTO I GIOVANI

di GIUSEPPE DE BARTOLO –  L’Italia, a partire dall’Unità, ha conosciuto due grandi periodi di emigrazione. Il primo è stato caratterizzato per l’alta intensità degli espatri e per gli spostamenti in prevalenza oltre oceano.

Il secondo, a partire dalla metà degli anni ’50, si è distinto invece per una più contenuta intensità degli espatri e con prevalenza dei flussi verso l’Europa. Agli inizi degli anni ’70, l’Italia, per la prima volta nella sua storia, registra un saldo migratorio positivo che aumenta nel tempo, trasformandosi così da paese di emigrazione in paese di accoglienza, anche se i trasferimenti di residenza degli italiani all’estero non si esauriscono del tutto, anzi crescono via via superando le 100 mila unità annue dal 2015 al 2020 e oggi le 82mila unità.

Nello stesso tempo però si osservano importanti cambiamenti nel profilo di coloro che trasferiscono la loro residenza all’estero. I nuovi emigranti hanno infatti un livello d’istruzione sempre più elevato e compaiono nuove tipologie di emigrazione, come per esempio la mobilità previdenziale. La pandemia che aveva azzerato la mobilità dei pensionati, in quest’ultimo anno – rivela il Report-  registra una ripresa: infatti, nel 2023 le iscrizioni all’AIRE degli over 65, per la sola motivazione di espatrio, sono state 4.300 per coloro che hanno 65-74 anni, con un incremento rispetto al 2022 del 17,8%; l’incremento è stato di +15,1% per coloro che hanno 75-84 anni e di +5,3% per gli over 85. Tra le motivazioni ricordiamo ragioni climatiche e la preferenza per i paesi con politiche di defiscalizzazione. Ma la motivazione più importante è che gli anziani vanno dove si sono trasferiti figli e nipoti, un vero e proprio processo di ricongiungimento familiare.

È ripreso anche il flusso dei rientri: dopo il blocco della mobilità internazionale imposto dal Covid, il 2021 è stato l’anno in cui sono aumentati i rientri grazie alle agevolazioni fiscali per l’attrazione del capitale umano a seguito del Dl 34/2019. Infatti, il numero dei rientri da 2000-3000 annuo è salito a 6.500 e oltre. Il Report evidenzia l’aumento relativo della quota dei rientri nelle regioni meridionali a scapito di quelle del Nord. La leva fiscale per i lavoratori che si trasferiscono nelle regioni del Sud è stata determinante per Sicilia, Sardegna, Puglia, Campania, Calabria e Basilicata. Il successo in termini numerici dei rientri di molti lavoratori è da attribuire anche alla possibilità di poter tornare nelle regioni di origine utilizzando il lavoro da remoto. Com’è noto, molte aree interne del nostro Paese si caratterizzano ormai da tempo lo spopolamento e declino economico.

In queste aree negli ultimi anni si registrano fenomeni di “restanza” (termine coniato dall’antropologo Vito Teti), ovvero la decisione di individui e famiglie di rimanere o tornare nella loro comunità di origine. Questa scelta, motivata da un forte legame con il territorio, si sta traducendo in molti casi in iniziative imprenditoriali e progetti culturali e sociali che se sostenute da adeguate politiche pubbliche possono trasformarsi in volano di sviluppo di territori fino ad oggi caratterizzati da forte malessere demografico e economico. Un’altra tipologia di rientro molto interessante è quella degli italo discendenti o oriundi italiani che rientrano per conoscere i luoghi di partenza dei loro genitori o avi, tema che si lega al turismo delle radici che verrà celebrato nel prossimo anno.

Tutti questi processi migratori ci hanno consegnato uno stock di italiani residenti all’estero importante dal punto di vista numerico, sociale ed economico, la cui conoscenza però resta ancora parziale perché le fonti statistiche e amministrative di riferimento sono lacunose e disomogenee fra di loro. Ricordiamo quelle principali: l’Archivio delle Anagrafi consolari (titolarità Ministero Affari Esteri); la rivelazione degli italiani all’estero (titolarità Ministero Affari Esteri); l’Archivio centrale dell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero- AIRE (titolarità Ministero dell’interno). Quest’ultima è la fonte statistica a cui hanno fatto riferimento  tutti i Rapporti Italiani nel Mondo elaborati dalla Fondazione Migrantes, l’ultimo dei quali, il XVIII, è stato presentato al pubblico proprio in questo mese di novembre.

Il Rapporto 2023 mette in evidenza che alla data di oggi gli italiani residenti all’estero iscritti all’Aire sono 5 milioni 933 (10,1% dei 58,8 milioni di italiani residenti in Italia), valore in costante crescita (+ 91%) dal 2006 (Figura1). 

Il dato interessante è che nello stesso intervallo di tempo i nati all’estero sono aumentati del 175% e le acquisizioni di cittadinanza del 144%, a dimostrazione del rafforzamento del legame con l’Italia degli emigrati di vecchia e nuova generazione. Un altro dato che si coglie dal Report è che le partenze per espatrio sono aumentate del 44,9%. Il 46,5% degli italiani residenti all’estero iscritti all’Aire è di origine meridionale, il 37,8% del Settentrione (il 19,1% del Nord Ovest) e il 15,8% del Centro Italia. Negli ultimi 20 anni – sottolinea ancora il  Report – si è osservato un drastico cambiamento delle provenienze. Oggi la mobilità degli italiani ha origine dal Centro–Nord, anche se in molti casi dopo un periodo più o meno lungo di mobilità interna Sud-Nord, a dimostrazione che in fondo non cambia il dato storico che a emigrare in definitiva sono sempre i meridionali.

L’Italia che risiede fuori dai confini, colta dagli iscritti all’Aire, è sempre più giovane: il 23,% (oltre 1,3 milioni) ha tra 35-49 anni, il 21,7% (+ di 1,2 milioni) tra i 50 e i 64 anni, mentre gli over 65 sono il 21,1%. Il 51% è all’estero da più di 15 anni, il 19,3% da meno di 5 anni. Vivono in Europa 3,2 milioni di italiani iscritti all’Aire, 2,3 milioni nel continente americano (40,1%). Le comunità più numerose sono in Argentina (oltre 921 mila, il 15,5% del totale), in Germania (oltre 822 mila, il 13,9%), in Svizzera (oltre 639 mila), seguono Brasile, Francia, Regno Unito e Stati Uniti d’America. Le regioni da dove vi sono state più partenze nell’ultimo anno (nel 2022 sono state registrate 82.014 partenze) sono state Lombardia (18,8%), Veneto (11,4%), seguono Sicilia (8,9%), Emilia – Romagna (8,2%), Piemonte (7,4%) e Calabria (4%).

Nel corso del 2022 il 75,63% di chi ha lasciato l’Italia per espatrio è andato in Europa, il 17,1% nelle Americhe (il 10,5% in America latina) mentre il restante 7,4% si è diviso tra continente asiatico, Africa e Oceania. Il 16,4% delle iscrizioni per espatrio ha riguardato il Regno Unito, il 13,8% la Germania, il 10,4% la Francia e il 9,1% la Svizzera. Questi quattro paesi raccolgono il 50% del totale delle partenze.

Se l’esame ora si sposta a livello regionale (Tavola 1) constatiamo che la Calabria è una tra le regioni con un’importante comunità di residenti all’estero (441.209 iscritti all’AIRE al 31/12/2022) e, anche se ciò deriva in parte dalla sua storia migratoria, su questo dato ha inciso anche la nuova mobilità che è cresciuta nel tempo, interessando soprattutto la fascia giovanile. Confrontando le strutture delle popolazioni regionali residenti all’estero si osserva che quella calabrese è la più matura per i flussi emigratori avvenuti dopo la fine della Seconda guerra mondiale, mentre non è trascurabile il peso dei giovani. La Calabria, inoltre, occupa il terzo posto nella graduatoria delle regioni per incidenza del fenomeno (24,0%, rapporto tra gli iscritti all’AIRE e la popolazione residente) preceduta solo da Basilicata (26,4%) e Molise (33,0%). (gdb)

VENERDÌ 17 I SINDACATI VANNO IN PIAZZA
«DATECI UN MOTIVO PER NON SCIOPERARE»

di ALESSANDRA BALDARI, WALTER BLOISE e LOREDANA LARIA –  Nel percorso di mobilitazione e scioperi proclamati da Cgil e Uil lo scorso 27 ottobre per cambiare la proposta di Legge di Bilancio e le politiche  economiche e sociali messe in campo dal Governo, a sostegno delle piattaforme  sindacali, la prima data che vedrà le lavoratrici e i lavoratori astenersi dal lavoro e  manifestare è quella di venerdì 17 novembre per 8 ore, o intero turno di lavoro su  tutto il territorio nazionale.

Insieme ad altre categorie, trasporti, scuola, poste, tutti i lavoratori che svolgono  attività di pubblica utilità, non compresi nelle categorie menzionate, ma soggetti alle  limitazioni della legge 146, si asterranno dal lavoro anche i dipendenti che erogano  servizi pubblici direttamente o indirettamente.

Infatti, è facile rilevare che quanto previsto dal Governo, non solo non stanzia risorse  sufficienti per i rinnovi dei contratti dei dipendenti pubblici delle Funzioni Centrali,  Funzioni locali, Sanità, ma addirittura definanzia i fondi necessari alle autonomie locali  per sostenere i servizi sociali, i servizi in appalto o in convenzione (Igiene ambientale, Sanità privata, Terzo settore), che erogano prestazioni ormai fondamentali per i  cittadini, con un taglio di 600 milioni di euro che riguarderà Regioni, Province, Città  Metropolitane e Comuni. 

In merito ai rinnovi dei contratti, le cifre previste sono totalmente insufficienti al  recupero del potere d’acquisto dei salari eroso dall’inflazione a doppia cifra di questi  anni; non solo, non bastano a rifinanziare le risorse necessarie al completamento della  riforma dell’ordinamento professionale per portare a regime il sistema di  classificazione, non bastano a rifinanziare i fondi per la contrattazione decentrata,  lasciando inalterato il tetto di spesa che blocca gli incrementi di salario accessorio ed  inoltre il Governo prevede un anticipo nel 2023 solo per i lavoratori a tempo  indeterminato e solo per il personale dipendente dalle amministrazioni centrali e per  i lavoratori della sanità con risorse vincolate del FSN, escludendo, quindi, i dipendenti 

delle Funzioni locali che dovrebbero sperare nella salute finanziaria dei bilanci dei  propri enti di appartenenza per poter godere del famoso anticipo.  

Un anticipo comunque irrisorio (IVC rivalutata del 6,7%), che creerà un effetto  paradossale, in primis farà aumentare la tassazione e, poi, chi percepirà gli anticipi  contrattuali in una unica soluzione a dicembre, a gennaio non vedrà effetti sulla busta  paga in positivo ma anzi un segno meno perdendo l’emolumento accessorio una  tantum erogato fino al 2023 che sarà assorbito.  

Inoltre, non vi è alcun finanziamento per un piano straordinario di assunzioni al fine  di sviluppare, innovare e rendere efficienti i servizi pubblici, ma vi è di più, non ci sono  risposte per la stabilizzazione dei precari storici nel settore pubblico e neanche quelli  del PNRR e dei PON che sono una risorsa importante ormai formata per modernizzare  la P.A. e, ancora, non si danno risposte ai tanti idonei delle graduatorie che sin da  subito potrebbero ridare fiato ai nostri Enti. 

L’attacco ai pubblici continua, non dando attuazione alla sentenza della Corte  Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale il differimento del TFR/TFS dei  lavoratori pubblici dai 5 ai 7 anni e non estendendo i benefici fiscali per la  contrattazione di secondo livello come avviene per i dipendenti privati. 

Sulla Sanità, il finanziamento del Fsn è totalmente insufficiente a salvaguardare il Ssn, non solo, le risorse stanziate sono sul capitolo contratti e prestazioni/orario  aggiuntive, ovvero, invece di assumere per far funzionare i servizi e smaltire le liste  d’attesa, si fa lavorare di più chi è già in servizio, certo pagandolo di più, ci  mancherebbe! Ma i lavoratori della sanità scappano dal Ssn non solo perché mal  retribuiti, ma molto di più perché stanchi e in una condizione di lavoro insostenibile. Inoltre, le risorse stanziate per il Fsn non coprono le maggiori spese dei servizi sanitari  regionali, né finanziano a regime la riforma della sanità territoriale che ha pure subito  un taglio consistente dei fondi del Pnrr. 

Ancora, dal punto di vista previdenziale, i 9 mesi aggiuntivi a quota 103 per i lavoratori  pubblici che vogliono andare in pensione suonano come una beffa ed è una vergogna  il ricalcolo contributivo di tutti i versamenti che taglia l’assegno pensionistico fino al  20%. Perché la pensione di chi se l’è guadagnata non può superare quattro volte il  minimo? Si colpiscono ancora una volta le donne con l’aumento a 61 anni per  accedere a “opzione donna”. 

Ma la cosa più vergognosa in tema di previdenza, è la revisione delle aliquote del  calcolo delle pensioni liquidate a partire dal 1° gennaio 2024 che penalizza per cifre  significative i lavoratori degli enti locali, gli insegnanti di scuola comunale e parificate,  degli ufficiali, aiutanti e coadiutori giudiziari e della sanità, intervenendo ai limiti della 

costituzionalità su diritti acquisiti, quindi innescando una fuga senza precedenti dal  servizio pubblico già in sofferenza, per evitare le pesanti penalizzazioni, di personale  essenziale ancor di più a fronte di nessuna prospettiva assunzionale, la tempesta  perfetta!  

Giorno 17, inoltre, anche i lavoratori privati che si occupano di servizi alle persone si  asterranno dal lavoro perché rivendichiamo anche per loro la tutela di un salario  dignitoso, finanziamenti adeguati per tutti i servizi tali da evitare il dumping  contrattuale e garantire la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, maggiori fondi per la  disabilità in luogo del taglio di 350 milioni di euro, risorse per l’internalizzazione dei  servizi di inclusione scolastica, infine, non ci sono risorse per i contratti collettivi del  terzo settore ormai scaduti. 

E, a questo punto, dateci una ragione per non scioperare. (ab, wb e ll)

[Alessandra Baldari, Walter Bloise e Loredana Laria sono rispettivamente segretari generale di Fp Cgil Calabria, Uil Fpl Calabria e Uilpa Calabria]

IL MODELLO ZES FA BENE AL MEZZOGIORNO
MA SERVE ATTENZIONE AL CAMBIAMENTO

di PIETRO MASSIMO BUSETTAL’idea delle Zes sembra essere quella vincente. Il report, presentato da The European House Ambrosetti a Roma, e incentrato su Campania e Calabria, dimostra che, rispetto all’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area e alla creazione di posti di lavoro nel manifatturiero, lo strumento funziona. 

Il commissario straordinario Giosy Romano della Zes Campania conferma che in un anno sono stati dati via libera a circa 1 miliardo di investimenti con l’autorizzazione unica e sono stati creati oltre 3500 posti di lavoro. Da gennaio si passerà alla Zes unica ma l’esigenza che gli  investimenti si attivino collegandoli alla logistica, utilizzando al meglio la portualità meridionale, rimane  sempre valida. Così come dovrà essere cura del Governo, inteso come unità centrale che si occupa degli investimenti, far si che le aree scelte siano molto più controllate che il resto del territorio per quanto attiene alla criminalità organizzata. 

Da sempre uno degli elementi che ha scoraggiato gli investitori internazionali a localizzare le proprie attività nel Mezzogiorno ha riguardato la presenza della criminalità  che ha condizionato, spesso con le sue infiltrazioni nella politica, nei permessi, nei finanziamenti, e quindi negli insediamenti, la volontà di scendere al Sud. La storia di ciò che è accaduto con il porto di Gioia Tauro la dice lunga sui blocchi  possibili e sul danno che può provocare la presenza di cosche criminali.  

Nelle aree prescelte perché, per quanto possa la Zes essere unica per tutto il Mezzogiorno, immagino che bisognerà  individuare aree che forniscano elementi di attrazione maggiore, bisognerà intervenire  con forme di controllo del territorio, possibilmente aiutandosi con la le più moderne tecnologie, per avere aree “criminal free”, cosa estremamente complessa ma certamente indispensabile. Concentrarsi poi sui collegamenti di tali aree con porti, aeroporti, alta velocità ferroviaria e autostrade è un modo per accrescere la loro attrattività. 

Un’attenzione particolare va dedicata al cambiamento prossimo per evitare che il passaggio da otto Zes, gestite localmente, ad una unica gestita centralmente porti a un blocco delle autorizzazioni, che significherebbe ritardi e in alcuni casi addirittura perdita degli eventuali investimenti in itinere. 

Uno dei grandi vantaggi dello strumento è proprio quello dell’autorizzazione unica che elimina una serie di passaggi che significano accorciamento  dei tempi. Perdere la tempistica ridotta e ricominciare con tempi non più certi significa abbandonare uno dei vantaggi che ha fatto funzionare l’idea.  

In tale logica lo studio dell’Ambrosetti suggerisce che «dovrà mantenere un approccio radicato al territorio, fungendo da cabina di regia per identificare una strategia di sviluppo armonica in tutto il Sud» e poi propendere per Zes miste superando l’attuale impostazione “generalista” dell’Italia. 

Cosa voglia dire una strategia di sviluppo armonico non è sufficientemente chiaro, se si parla di manifatturiero scegliere quali attività debbano insediarsi e quali invece vanno scoraggiate potrebbe essere estremamente pericoloso, considerato che il tipo di investimento è giusto che venga scelto dall’imprenditore, che sarà punito dal mercato nel caso in cui dovesse fare delle scelte inopportune. 

Voler indirizzare con un’azione programmatoria che assomiglia molto a una pianificazione è estremamente rischioso. Ma l’analisi di Ambrosetti è una dimostrazione della bontà dello strumento, e che quindi ’idea della zona economica speciale, che Svimez portò avanti sollecitando la legge del 2017, avendo chiaro che il potenziamento del manifatturiero dovesse essere la strada maestra per raggiungere gli obiettivi di occupazione che esistono nel Mezzogiorno, era corretta. 

Che seguire la strada tracciata da Pasquale Saraceno rimaneva un percorso virtuoso anche dopo mezzo secolo. Mentre la migliore dimostrazione di quanto possa far bene alle regioni meridionali l’utilizzo di questo strumento, che fa della sburocratizzazione (lo sportello unico digitale) e del credito d’imposta i suoi pilastri, sono i risultati conseguiti, al netto di alcuni difetti riguardanti la perimetrazione precedente, spesso clientelare. 

Il report citato dimostra che la Campania é stata di gran lunga la Regione che ha saputo sfruttare meglio questa opportunità. Infatti lo studio rileva che gli investimenti attratti dalla Zes attiveranno 23 miliardi di euro in termini di Valore Aggiunto e oltre 20.000 posti di lavoro. La Calabria  non ha avuto lo stesso brillante andamento (l’impiego di fondi e investimenti sfiora i 20 milioni di euro per 11 autorizzazioni) ma come sottolinea il governatore Roberto Occhiuto «l’esperienza della Zes risponde ad una visione di politica industriale che va sostenuta e che anche con la Zes unica dovrà riguardare da vicino la logistica e la portualità delle regioni meridionali».   

Per questo bisogna lavorare in continuità rispetto al processo che ha riguardato le otto zone economiche speciali, che, con l’inizio del 2024, confluiranno nell’unica struttura che nel corso dell’esame in prima lettura alla Camera è stata disciplinata, attraverso l’ istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri di una cabina di regia Zes con compiti di indirizzo, coordinamento, vigilanza e monitoraggio e di una struttura di missione per la Zes che, probabilmente, andrà in giro per il mondo per cercare investitori interessati a localizzare le proprie attività nel Sud Italia. 

Anche le procedure per la cessazione delle attività dei commissari straordinari delle attuali otto realtà Regionali sono state normate  con l’approvazione del decreto Sud, che ha già ottenuto il via libera definitivo del Senato con il voto di fiducia. Quindi aspettiamo i risultati del cambiamento non dimenticando che i tre milioni di posti lavoro che mancano nel Sud, oltre che dalla logistica e dal turismo, in Misuraca consistente dovranno provenire dal manifatturiero, branca che potrà aiutare anche il capitale umano formato di livello a non emigrare. (pmb)

[Corutesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

SUI LEP OCCHIUTO È CONTRO CALDEROLI
«DISATTENDE QUELLO CHE ERA PATTUITO»

di SANTO STRATI Non è una dichiarazione di guerra, ma poco ci manca: il Presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto sferra un pesante attacco al ministro Roberto Calderoli a proposito dell’autonomia differenziata che sta procedendo a passo svelto verso l’approvazione. «Non era quello che avevamo pattuito – ha detto Occhiuto in un’intervista al quotidiano La Stampa –: il ministro leghista vorrebbe prima approvare la legge sull’Autonomia e poi garantire le risorse necessarie per finanziare i Livelli Essenziali di Prestazione (LEP). Secondo Occhiuto «l’approccio è sbagliato: le due cose devono viaggiare insieme, altrimenti per il Sud l’Autonomia rischia di diventare una trappola».

Forse il Presidente Occhiuto ha aperto gli occhi (finalmente!) sul trappolone leghista che si basa su un concetto semplice ed egoisticamente impeccabile: vale la spesa storica, ovvero chi ha avuto tanto (da spendere) continuerà ad averne in eguale quantità, chi ha avuto meno (ovvero non aveva risorse per investimenti di natura sociale) si arrangi con la stessa cifra di prima. Con buona pace della perequazione e del divario sociale che la Costituzione proibisce di avere. Ma il fatto è sotto gli occhi di tutti: sono stati approvati nove articoli su 10 e la legge che istituisce e regola la cosiddetta autonomia differenziata è a un passo dall’approvazione. Nonostante le dimissioni di autorevoli esponenti chiamati nel Comitati sui Lep e la grande confusione che regna sovrana intorno all’argomento.

Occhiuto reagisce con veemenza, infischiandosene  (complimenti, Presidente!) della tenuta della maggioranza che scricchiola continuamente tra gaffes e imperdonabili sciocchezze legislative che, di sicuro, non aiutano il popolo, ma soddisfano inconfessabili appetiti di lobbies. Il Governatore ci va pesante: «Temo – ha detto a La Stampa – che il primo vagone del treno, quello con la legge sull’Autonomia, arrivi puntuale in stazione mentre gli altri vagoni, che contengono il finanziamento dei Lep e il meccanismo di perequazione, finiscano su un binario morto.

«Senza il finanziamento dei Lep e senza il fondo perequativo (destinato ai territori con minore capacità fiscale pro-capite), i vantaggi per il Mezzogiorno sarebbero pochi. L’effetto finale, in altre parole, sarebbe quello di avere un aumento del divario tra Sud e Nord. Esattamente il contrario di quello che potremmo ottenere».

Occhiuto chiarisce di non essere contrario all’Autonomia differenziata, se vengono rispettati i patti che ridanno al Mezzogiorno le risorse necessarie per superare le insopportabili sperequazioni che colpiscono pesantemente, tra l’altro, gli asili nido e la formazione scolastica.  Secondo il Governatore, «L’Autonomia può essere una grande opportunità per il Sud, ma solo se quei vagoni di cui parlavamo arrivano nello stesso momento in stazione. Per la Calabria sarebbe un’occasione avere l’autonomia sulla gestione dell’energia o dei porti. Non ho quindi alcun pregiudizio, purché si rispettino gli accordi iniziali. Adesso si può anche approvare la legge al Senato, ma prima dell’ok definitivo bisogna finanziare i Lep. Confido nell’equilibrio e nella saggezza di Giorgia Meloni».

Il giornalista de La Stampa fa notare che Calderoli sostiene che è già in Costituzione la garanzia del finanziamento dei Lep. La replica di Occhiuto è lineare: «È vero, eppure non sono mai state garantite risorse per i pochi Lep finora stabiliti, nonostante l’obbligo costituzionale. L’Autonomia, invece, viene prevista dalla Costituzione solo come una ‘possibilità’, non come un obbligo.

«Trovo quindi assurdo che per la possibilità dell’Autonomia si vada di corsa e ci sia un’attenzione spasmodica, mentre per ottemperare a due obblighi costituzionali non ci sia alcuna fretta. Anche l’idea di permettere delle pre-intese è una fuga in avanti, se non sono finanziati i Lep. Questo modo di procedere non va bene a me e penso non vada bene nemmeno a Forza Italia.

«Ne abbiamo discusso con Tajani in mattinata. Ringrazio lui e i ministri di FI perché è grazie a loro che si era raggiunto quell’accordo, che ora va rispettato. Credo – ha detto Occhiuto – di non parlare a titolo personale. I governatori del Sud hanno le mie stesse preoccupazioni. Anche il gruppo parlamentare ha molti deputati e senatori meridionali che come me non hanno pregiudizi verso l’Autonomia, ma vogliono garanzie sulle risorse per i servizi da fornire ai cittadini. Altrimenti la conclusione è chiara a tutti: l’Autonomia non sarebbe più un’opportunità per il Mezzogiorno».

La posizione critica di Occhiuto merita l’apprezzamento di tutto il Sud: il criterio della spesa storica è la stortura che sta alla base del provevdimento e che verrebbe sanata solo con la parificazione per livelli essenziali di prestazione, ma il problema è che non ci sono le risorse e quindi i LEP costituiscono un serio ostacolo per la riforma ideata da Calderoli. Ma il rischio di far passare il provevdimento rinviando a data successiva il reperimento delle risorse finanziarie per i Lep ci sta tutto.

Sia ben chiaro: il Governo senza i voti di Forza Italia, che si sta mostrando decisamente critica nei confronti del provvedimento, non avrebbe i numeri per imporre una legge che divide ancor più in due l’Italia: Il Nord opulento e ricco, il Meridione povero e destinato a perpetuare una condizione di sottosviluppo, soprattutto nell’ambito del welfare e dell’assistenza.

Inoltre, il progetto di Autonomia differenziata va a scontrarsi con la pacata indifferenza di troppi attori politici del Mezzogiorno che avrebbero dovuto (e dovrebbero) issare muri e paletti contro una legge penalizzante e discriminatoria (c’è da chiedersi, ove passasse, se il Presidente Mattarella la firmerebbe).

Un invito a Occhiuto “a guidare le regioni del Sud alla ribellione pacifica” è venuto da Orlandino Greco, leader dell’Italia del Meridione. «È stata una bella notizia – ha detto il sindaco di Castrolibero – l’aver letto sulla stampa le ultime dichiarazioni del Presidente della Regione Calabria, il quale, svestendo i panni di alleato in coalizione ed indossando la casacca dei calabresi, ha lanciato un monito al Governo ed al Ministro Calderoli sull’autonomia differenziata.

«Quello, infatti, del mancato calcolo e  finanziamento dei Livelli Essenziali delle Prestazioni e dell’istituzione di un fondo perequativo per i territori più poveri, prima dell’approvazione della riforma è uno dei temi cari all’Italia del Meridione: sono mesi, infatti, che lo diciamo in giro per il Sud, nelle piazze e nelle istituzioni.

«Oggi anche il Presidente Occhiuto ha preso consapevolezza dei rigurgiti nordisti della Lega, consapevole della sua autorevolezza istituzionale. Ritengo, infatti, che il momento sia propizio affinché egli guidi la ribellione pacifica delle regioni del Sud. D’altronde è da tempo che molti amministratori del Sud, come il sottoscritto, hanno proseguito il loro impegno politico e civile al di fuori dei partiti tradizionali, in quanto consapevoli degli egoismi trasversali e di parte che hanno connotato lo scenario nazionale fin oggi.

«Questo è il tempo di fare rete tra le migliori energie del Sud per curare gli interessi di tutto il Paese: noi siamo orgogliosamente meridionali, siamo una forza politica autenticamente costituzionale che lotta per abbattere i divari e proprio per questo abbiamo a cuore le sorti di tutti gli italiani, da Bolzano a Siracusa, perché agganciare il vagone dello sviluppo meridionale al resto del Paese significherebbe sconfiggere il nordismo trasversale che attraversa tutti i partiti e costruire un treno ad alta velocità che proietterebbe l’Italia in una nuova dimensione nazionale di mercato e di diritti, rimettendoci al passo dei grandi paesi occidentali».

Diversa la posizione del PD calabrese che beffardamente sostiene che «Sull’autonomia differenziata Roberto Occhiuto recita a soggetto a danno dei calabresi. Si avvicinano le elezioni europee e il presidente della Regione Calabria si affida al teatro». Ricordano i dem della Calabria che Occhiuto «ha già votato a favore dell’autonomia differenziata in Conferenza Stato-Regioni e che nello scorso gennaio tenne con Calderoli una conferenza stampa a Catanzaro, al termine della quale lo stesso Occhiuto disse che “l’autonomia differenziata può determinare occasioni positive per la Calabria”, precisò di “conoscere e apprezzare Calderoli” e sottolineò che, “se c’è uno che può realizzarla, è proprio lui”. Allora Occhiuto aggiunse, con riferimento al disegno di legge in questione del ministro leghista, che è “evidente che si fa carico in qualche modo delle ragioni delle Regioni del Sud”».

«Ormai – sostengono i dem della Calabria – i calabresi conoscono bene il vizio insanabile del presidente Occhiuto, che dice tutto e l’esatto contrario per alimentare il proprio consenso virtuale. L’ambiguità di Occhiuto fa perdere credibilità alle istituzioni. Dunque, il governo Meloni continuerà a prendere decisioni inaccettabili sulla testa dei calabresi, proprio grazie a questo atteggiamento del presidente Occhiuto, politicamente pilatesco, opportunistico e bipolare».

Il presidente del  Gruppo Misto in Consiglio regionale Antonio Lo Schiavo a questo proposito sostiene che la presa di posizione di Occhiuto «arriva tardi e rischia di restare uno sfogo del tutto vano». La Lega – ha detto Lo Schiavo – è finalmente uscita allo scoperto, tradendo gli impegni sui Lep e confermando che i nostri timori erano e sono più che fondati. Dimostrando, qualora ce ne fosse bisogno, che l’operazione in atto mira solo ad aumentare il divario tra Nord e Sud del Paese».

E siamo di nuovo alla “rissa”: se al posto di mantenere una status di conflittualità permanente in Consiglio regionale, ci fosse uno sforzo comune per una risposta chiara e decisa contro l’attuale progetto dell’Autonomia, forse si farebbero gli interessi dei calabresi, mettendo da parte quelli di bottega (e di partito). In Calabria – dev’essere chiaro – serve una forza trasversale e unitaria che alzi unitariamente la voce e pretenda soluzioni immediate e concrete. Diversamente, il divario crescerà ancora e sarà il freno a qualsiasi ipotesi di sviluppo. (s)