Salvatore Garbato, il make up artist calabrese amato dalle dive

di MARIA CONSIGLIA IZZO – Dalle dive del passato alle reginette di bellezza del presente, Salvatore Garbato è un punto di riferimento nel mondo del make-up. In questa intervista, racconta la sua esperienza come giudice e truccatore personale a Miss Italia Calabria, svelandoci i segreti di bellezza delle giovani concorrenti e dei personaggi famosi che ha avuto l’onore di truccare.

-Signor Garbato lei è famoso per essere il truccatore della mitica Maria Giovanna Elmi, della bellissima Brigitta Boccoli e di tante altre dive del grande e piccolo schermo, comprese star maschili come l’iconico attore Kaspar Capparoni.

«In effetti la lista delle mie clienti è molto più lunga… Ho iniziato con la splendida Maria Giovanna: seguirla mi ha insegnato tanto, facendomi perfezionare nella professione. Brigitta è meravigliosa, e sia lei che la Elmi sono non solo due professioniste, ma anche due donne di una bontà infinita. Kaspar è un caro amico e, anche se in generale l’uomo ne ha meno bisogno, ogni tanto ci sentiamo per qualche consiglio legato al mantenimento di una pelle più riposata».

-Nelle foto la vediamo accanto all’attuale Miss Italia in carica, Francesca Bergesio.

«Lei ha la bellezza della gioventù accompagnata da un’educazione d’altri tempi: riservata, umile, gentile… A mio avviso tra le Miss più belle degli ultimi tempi».

-È tornato felicemente “sul luogo del delitto”, a volerla ancora una volta giudice e truccatore personale, è stata l’organizzatrice e conduttrice delle tappe di Miss Italia Calabria 2024, Linda Suriano.

«Linda è una cosentina generosa, preziosa e attenta. Per me rimane un grande onore essere stato chiamato da lei in questa simpatica duplice veste. Linda, oltre ad essere la più giovane delle agenti di Miss Italia, esclusivista di Miss Italia Calabria, è anche una donna molto bella ed empatica. Riesce a comunicare la grande energia che la caratterizza a tutte le ragazze in gara, che infatti pendono dalle sue labbra».

-Cos’è per lei la bellezza, e quanto conta l’equilibrio tra essere naturale ed essere attenta al make-up?

Per quanto si continui a dire il contrario la bellezza non è oggettiva. I canoni estetici imposti dall’attuale società, differiscono enormemente da quelli del secolo scorso, e così – a ritroso – questo ci insegna che la bellezza è prima di tutto presa di coscienza di quello che si è esteriormente ed interiormente. Ognuno di noi, anche se potrà sembrare semplicistico affermarlo, parte dal bello per poi evolversi durante l’arco della sua vita. Per me la bellezza è di tutto il creato».

-Il make-up non è solo una questione di “sentirsi bella” quanto di “sentirsi bene” con sé stesse. Lei si rivolge anche a donne che subiscono gli effetti di cure invasive o malattie che incidono, sotto più aspetti. Quanto le aiuta a sentirsi belle?

«Molto. Il discorso potrebbe apparire complesso, ma è semplice nella sua naturale evoluzione. Qualunque accadimento deve spingerci a migliorarci, non ne possiamo essere intrappolati due volte, la prima proprio per il decorso della malattia, la seconda negando la nostra femminilità».

-I prodotti immancabili per una donna?

«La base, il mascara, il rossetto».

-Ci può rivelare se tra tutte le dive che ha truccato ne ricorda qualcuna perfetta anche senza trucco…

«Le dive hanno una pelle estremamente curata, tengono alla loro linea, conducono uno stile di vita sano, direi tutte».

-Con l’andare del tempo occorre alleggerire il make-up, molte donne però hanno paura che non si ottenga lo stesso effetto antietà. Si può con poco, ottenere ugualmente un buon effetto anti age?

«L’età non deve essere nascosta chi pensa di farlo impunemente se ne ritroverà dieci in più di anni. Qualunque difetto si creda di avere nascondendolo verrà amplificato. Se, ad esempio, c’è un neo che non piace (eppure alcuni volti ne hanno di bellissimi) e con i capelli lunghi si cerca di coprirlo, il momento in cui i capelli si taglieranno ai conoscenti sembrerà un “corpo estraneo”. Quante donne oggi colpiscono chiunque dichiarando la loro età e sentendosi riempire di complimenti? L’età non impone nessun cambiamento ed è per questo che non bisogna farsi cambiare dall’età. Il concetto del poco trucco vale per ogni donna».

-Una domanda “indiscreta”. Un trucco fatto bene, che caratteristiche dovrebbe avere?

«La resistenza. Il trucco migliore è quello che si applica prima di uscire e si leva quando si torna a casa. Ci sono prodotti in grado di truccare nutrendo la pelle. Anche bere molta acqua con limone aiuta il mantenimento».

-Nel make-up molte sono spinte a seguire la moda. Meglio seguire la tendenza. o sarebbe più appropriato cercare un trucco che ci vesta, che sia adatto alle proprie caratteristiche?

«Le mode cambiano, i volti sempre quelli sono. Una volta che si è scoperto il miglior trucco suggerisco sempre di non allontanarsene». (mci)

Addio a Maurizio D’Ettore, Garante nazionale dei Detenuti

Cordoglio, in Calabria, per la scomparsa di Maurizio D’Ettore, Garante nazionale dei detenuti ed ex parlamentare di origini calabresi di Fratelli d’Italia.

Cordoglio è stato espresso dal presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni: «Apprendo con dolore dell’improvvisa scomparsa del Garante delle persone detenute Felice Maurizio D’Ettore, di cui tutti abbiamo apprezzato la dedizione e la professionalità, in particolare in un momento così difficile per il mondo penitenziario. Sono sinceramente vicina, anche a nome dell’intero Governo, ai suoi familiari, che abbraccio nel ricordo di un uomo onesto e generoso».

Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, con tutti i suoi collaboratori, ha espresso il più profondo cordoglio per la perdita incolmabile di Felice Maurizio D’Ettore.

Ne ricorda con commozione l’integrità morale e la grande preparazione intellettuale, manifestata anche nella sua ultima funzione quale Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. Tutti ci stringiamo commossi attorno alla famiglia con l’affetto più profondo e la gratitudine per tutto quello che ci ha dato. Cordoglio è stato espresso dal presidente della Regione, Roberto Occhiuto, ricordando D’Ettore «un professionista di spessore, un accademico di valore, un politico acuto, e soprattutto una persona perbene. Ho conosciuto Maurizio ormai qualche anno fa in Parlamento, e ho avuto l’opportunità di apprezzare le sue doti».

«D’Ettore ha sempre dimostrato – ha concluso – grande attaccamento alla Calabria – sua amata Regione d’origine – pur non vivendoci più da tanti anni. Alla famiglia giunga il cordoglio della Giunta regionale».

Profondo dolore e sconcerto per l’improvvisa scomparsa del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Felice Maurizio D’Ettore, è stato espresso dal presidente del Consiglio regionale, Filippo Mancuso.

«Prima dell’ultimo prestigioso incarico – ha detto – ha dimostrato di essere un riconosciuto giurista, un politico sensibile e una persona di indubbia integrità morale legato alla Calabria e ai calabresi. A nome del Consiglio regionale esprimo profonda vicinanza alla famiglia e gratitudine per il suo contributo».

«Non eravamo nello stesso partito. Ma avevamo molte cose in comune. Innanzitutto la tutela dei diritti dei cittadini, a partire dalla presunzione d’innocenza. Insieme abbiamo fatto una straordinaria battaglia, per cambiare l’obbrobriosa legge sullo scioglimento dei comuni per mafia», ha detto Enza Bruno Bossio, ricordando come «mi considerava un’ amica. Come lui per me. Mi mancherai Maurizio». (rrm)

Addio a Mario Brunetti, giornalista e più volte parlamentare

Cordoglio in Calabria per la scomparsa di Mario Brunetti, giornalista professionista, scrittore e meridionalista di ispirazione gramsciana.

Cordoglio è stato espresso dal presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Calabria, Giuseppe Soluri e dal Consiglio regionale, per la scomparsa del collega, «che ha rappresentato un pezzo importante di storia del giornalismo e della politica calabrese. Ai familiari le sentite condoglianze dell’Ordine».

Profondo cordoglio è stato espresso dal sindaco di Cosenza, Franz Caruso, sottolineando come «con Mario Brunetti scompare una delle figure più rappresentative del mondo politico calabrese, che ha attraversato un pezzo importante della storia politica regionale e nazionale e che può, a giusta ragione, essere considerata una delle menti più illuminate espresse dal nostro territorio».

«Non va dimenticata – ha sottolineato Franz Caruso – la sua convinta e costante battaglia per la salvaguardia delle minoranze linguistiche e, in particolare, di quella arbëreshe e per la quale presentò alla Camera dei deputati una proposta di legge ad hoc. Con Mario Brunetti la Calabria perde un insostituibile punto di riferimento, ma anche una figura emblematica di politico d’altri tempi e di intellettuale raffinato e colto, pronto ad intraprendere ogni forma di battaglia necessaria alla tutela dei diritti dei più deboli e dei diritti umani».

Professionista dal 17 marzo 1965, Mario Brunetti era nato a Plataci il 20 ottobre 1932 e viveva a Cosenza. Protagonista della storia politica e sociale italiana e del Mezzogiorno dagli anni Cinquanta. Ha fondato, nella seconda metà degli anni cinquanta, il periodico “La sinistra”; successivamente, ha dato vita a “Prospettiva socialista”. Ha fondato ed è stato direttore di una delle poche riviste meridionaliste, “Sinistra Meridionale”. È stato presidente del Centro Studi di Politica ed Economia della Calabria (Cespe.Ca). Dirige l’Istituto Mezzogiorno Mediterraneo (MeMe), trasformato successivamente in “Fondazione Brunetti”.

Ha coordinato una ricerca sulle origini calabro-albanesi della famiglia di Antonio Gramsci (Plataci), documentando la provenienza dal comune italo-albanese dell’Alta Calabria. Ha fatto parte del Consiglio Generale della Cgil. Ha partecipato attivamente al movimento di lotta per le occupazioni delle terre. Nel 1964, con l’entrata al Governo di Pietro Nenni, è tra i fondatori del Partito Socialista di Unità Proletaria (Psiup) di cui è stato membro dell’Esecutivo Nazionale e responsabile del settore meridionale. Alla decisione della maggioranza autonomista di scioglimento del Partito, nel 1972, rifiutò la confluenza sia nel Psi che nel Pci e, con altri, organizzò la “resistenza” allo scioglimento con la costituzione “Nuovo Psiup”. Da lì a poco, fu tra i promotori del Partito di Unità Proletaria – DP, facendo parte del Gruppo Nazionale di Direzione Ristretto. Con Foa, Pintor, Rossanda, Magri, Ferraris, Miniati, Migone, Russo, Spena ed altri, ha dato origine al tentativo sfortunato di unificazione PdUP-Manifesto.

È stato eletto, giovanissimo, nel Consiglio Comunale di Plataci, paese arbëresh dell’Alta Calabria Jonica, ed è stato poi eletto consigliere Comunale nella città di Cosenza dal 1970 al 1980, determinando con il suo solo voto la costituzione della prima e unica giunta di sinistra. È stato Consigliere della Regione Calabria, dal 1975 all’1980, È stato eletto per la prima volta al Parlamento Italiano, col sistema proporzionale e le preferenze, nelle elezioni politiche del 5-6 aprile 1992 nella Circoscrizione Catanzaro – Cosenza – Reggio Calabria. Nella XI legislatura ha fatto parte della Commissione Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e dell’Interno, oltre che della Commissione Speciale per l’esame dei progetti di legge concernenti la riforma dell’immunità parlamentare; sostenne la necessità di dichiarare il patrimonio dei parlamentari all’entrata e al termine del mandato.

È stato relatore di minoranza contro la modifica della Legge elettorale proporzionale. È stato membro della Commissione interparlamentare, presieduta da Giulio Andreotti. È stato rieletto al Parlamento nelle elezioni politiche del 1994 nel Collegio uninominale nr.3 della circoscrizione calabrese (Corigliano Calabro), con 20.689 voti. Alle elezioni del 21 aprile 1996 è stato rieletto per la terza volta, come capolista del suo Partito, nella lista proporzionale di “Campania 2”.

Ha contribuito all’inserimento nello Statuto regionale della Calabria, del diritto alla tutela delle minoranze linguistiche regionali, formalizzato nell’art.56-lettera r. È stato presentatore della prima proposta di legge regionale, negli anni Settanta, di istituzione delle scuole prescolari per la salvaguardia della minoranza arbëreshe. Ha presentato, alla Camera dei Deputati, la proposta di legge sulla salvaguardia delle minoranze linguistiche (in occasione del dibattito sulla approvazione, ha parlato in Aula nella lingua arberesh). Alla fine del 1999 il Parlamento Italiano, unificando le proposte, ha approvato la Legge 482/99 di attuazione dell’art. 6 della Costituzione, che si attendeva dall’entrata in vigore della Carta Costituzionale, con la quale si introduce, tra l’altro, l’insegnamento della lingua albanese nelle scuole dell’obbligo dei paesi di origine arbëreshe. Nell’ultima legislatura cui ha partecipato, ha presentato alla Camera la proposta di legge per la ratifica della Carta Europea delle lingue regionali e minoritarie.

L’ADDIO / Alfonso Muleo, l’imprenditore “innamuratu pacciu e Catanzaru”

di FRANCO CIMINO –Stavo, come al solito del mio fervore politico e sentimentale, scrivendo d’altro, quando mi giunge la notizia della scomparsa di Alfonso Muleo, per familiari ed amici Fofò. È una notizia di quelle che non t’aspetti. Specialmente, quando, per motivi diversi, ci si perde di vista. È come se il tempo si sospendesse, si mettesse su una nuvola e ci guardasse dall’alto per vederci vivere senza. Senza quel tempo. Senza quel breve o lungo tratto di anni. Senza la fatica di averli vissuti.

Senza la paura che siano passati. E, allora, a una notizia come questa, la sorpresa precede il dolore. E dici: “è morto Alfonso? Alfonso Muleo? E come e quando…?” Sì, perché il tempo che si è fermato lascia in memoria tutto come prima. Oggi, infatti, mi ritorna alla mente, con Fofò, quella bella persona che ho conosciuto molto tempo fa. Persona bella in tutto. Dal cuore alla mente. E quel fisico delicato, quel viso rotondo e chiaro. E quegli occhi romantici. Persona buona delicata e dolce, generosa e mite, combattiva ma non guerreggiante. Uomo
elegante. In tutto, dall’abito al costume, dalla parola alle giacche. Specialmente quelle estive.

Quando ci siamo conosciuti ero giovanissimo io, era “giovane” adulto lui. Ero studente universitario, io, era imprenditore già affermato, lui. Ero marinoto, io. Era rigorosamente catanzarese del Centro, lui. Ero delegato dei giovani democristiani, io. Era un esponente della Democrazia Cristiana, lui. E fu proprio questa comune appartenenza e quella stessa bellissima sede in Galleria Mancuso che ci fece incontrare, anche se lui, per i numerosi impegni professionali, ci veniva solo nelle occasioni date. Sebbene, apparentemente così distanti, anche di carattere, quasi opposti(io un fuoco sempre acceso, lui pacatezza espressiva modulata su un equilibrio straordinario, istintualità giovanile in me, razionalità pensosa in lui) abbiamo subito simpatizzato. Da lì una stima crescente che mai é venuta meno, invece trasformandosi rapidamente in un affetto sincero.

Se ci fosse stata frequentazione, direi in amicizia profonda. Potrei dire lungamente di questa personalità straordinaria e tenere le dita incollate sulla dura tastiera del mio vecchio I Pad. Ma devo andare a salutarlo dove, con riconosciuta dignità da parte dell’Ente, la Camera di Commercio, della quale è stato a lungo presidente, si trova in questi due giorni del suo sonno mortale, prima dell’ultimo saluto nella Basilica dell’Immacolata. Pertanto, non posso dilungarmi. E, però, alcune cose mi sono necessarie. Al mio cuore verso di lui grato, lo sono. Alfonso era un imprenditore, come tale ha presieduto, quasi di sana pianta reinventandola, la Confcommercio, l’associazione che rappresenta i commercianti e gli artigiani dei prodotti commerciali. Quindi, era un commerciante e non un imprenditore, mi si obietterà.

La sua lunga attività nel campo del ristorazione, bar (lo storico Uno+Uno) e ristoranti, in quest’ambito lo includerebbe. Invece, no. A parte la resistente incertezza nella definizione di alcuni mestieri, Alfonso Muleo è stato un vero imprenditore. Per la sua intelligente lettura dei processi economici anche nelle piccole economie, come quella cittadina o provinciale, soprattutto. Lo era per l’ampia visione nell’impiego delle risorse disponibili con l’obiettivo di ricercarne di altre attraverso il sano utilizzo dei giusti guadagni. Investire, allargare ciò che si ha, migliorarne l’efficienza e la qualità. Questo il suo motto silenzioso. Migliorare l’estetica degli esercizi commerciali, intendendola, questa, come un doveroso investimento sulla bellezza della Città. Ché da questa derivano le migliori gratificazioni per “il commerciante”.

Negozi belli fanno la via su cui si affacciano bella. Illuminati, la strada più illuminata. E così la gente viene più contenta e più contenta spende. La Bellezza che genera ricchezza. Quella vera, fatta anche dalle persone sulle strade e sul Corso e sulle piazze e vie di tutta la Città. I quartieri, piccoli centri autonomi, pur se ancora dannosamente distanti, autentici protagonisti della crescita economica complessiva. Per queste qualità, riconosciute a tutti i livelli, fu nominato presidente dell’Ente Camerale, dal cui esempio e relativi insegnamenti hanno tratto beneficio tutti i presidenti che gli sono succeduti. “Innamoratu pacciu e Catanzaru”, lui era. Lo dico come mi viene, non come lui parlava, usando, invece, il dialetto dal suo italiano fine solo quando ne sentiva il bisogno.

Ovvero, per farsi capire meglio dai soliti “ scienziati” nostrani, che non volevano capire per mancata convenienza. Per questo suo immenso amore, manifestato sempre con umiltà e senza smancerie, con spirito di servizio davvero generoso, verso la Città aveva un atteggiamento sempre “ perdonista”, mi si lasci il temine. Non gridava contro chi non amava la Città e non “sgridava” quanti la maltrattavano con distrazioni, indolenza, errori, cattive amministrazioni. Cercava sempre di stimolare a fare di più, a fare meglio. E a trovare soluzioni migliori che potessero correggere anche gli errori. Soprattutto, a farlo insieme.

E a restare uniti, nei momenti più duri per il capoluogo. Per questa unità si impegnava a mediare, quasi sempre riuscendovi, tra assurde contese, incomprensibili rivalità, belligeranti invidie. Ecco, il capoluogo, per lui era la parola da ricostruire, riempiendola di sostanza e forza. È dalla forza che noi daremo a questo ruolo, significati nuovi. Sembra riascoltarlo. É da questo ruolo ritrovato che Catanzaro potrà rinascere fiera del suo passato, orgogliosa delle sue qualità naturali. Questo il fulcro del suo articolato fecondo pensiero.

La sua spiccata intelligenza, era arricchita da illuminate visioni. Dal problema non solo la soluzione, ma la visione. Il mare era uno degli spazi più stimolanti. Una risorsa per la ricchezza, nella quale si sarebbero potute valorizzare tante attività. Ma ci sarebbe voluto un porto vero. Piccolo ma utile ai cento scopi. Adesso il porto, questo porto così pensato, é quasi “arrivato in porto”. Finalmente, sta per essere completato. Tutti se ne prenderanno i meriti, ma pochi sanno che tra i maggiori protagonisti di questo risultato c’è proprio lui, il presidente Muleo. Che a questo obiettivo ha dato l’anima anche da assessore all’industria e al commercio.

Sua, quasi interamente, è stata la creazione del Comalca, il Consorzio del Mercato Agricolo Alimentare al servizio, dalla zona strategica di Germaneto, di tutta la Calabria. Una grande scommessa sul futuro. Da qualche tempo non lo si vedeva più, chiuso con dignità negli affanni e nei “malanni”. Accanto a lui, il figlio Luca dei frequenti ritorni da Bologna.

E sempre sempre sempre, la sua Donna per la vita, la bellissima signora Maria. Vederli insieme, al bar o a passaggi, era educativo per qualsiasi coppia volesse restare unita per sempre. Questo signore dal cuore antico, se n’è andato nel modo in cui è sempre vissuto. Con eleganza. E discrezione. Senza far rumore. Per insegnarci anche la serenità dell’andare. (fc)

Il dr. Mauro Campello, un uomo del Nord che ama il Sud

di ELENA POMO – Il  dr. Mauro Campello, responsabile della Neurochirurgia del Grande Ospedale Metropolitano (Gom) di Reggio Calabria, si distingue come una vera eccellenza. La sua umanità, competenza e professionalità hanno reso il reparto di neurochirurgia un simbolo di speranza e rinascita per molti pazienti.

Immaginiamo il dr. Campello come un artista che, con mano ferma e cuore aperto, dipinge ogni giorno nuovi scenari di vita e salute per i suoi pazienti. Originario del Nord Italia, Campello ha scelto di dedicare la sua vita e la sua carriera alla sanità del Sud, contribuendo con la sua esperienza e il suo amore per questa terra a migliorare il sistema sanitario di Reggio Calabria.

Il suo impegno va oltre la sala operatoria. Campello rappresenta una speranza per la sanità pubblica di Reggio Calabria, un simbolo di ciò che questa città può offrire quando i talenti vengono valorizzati e messi nelle condizioni di esprimere al meglio le proprie capacità. La sua presenza e il suo lavoro testimoniano che non è sempre necessario migrare verso altre strutture ospedaliere: eccellenza e umanità possono essere trovate anche nel nostro territorio.

Ippocrate una volta disse: «Dove c’è amore per l’arte della medicina, c’è anche amore per l’umanità». Questa frase incarna perfettamente lo spirito del Dr. Campello, il quale tratta ogni paziente con la stessa cura e attenzione che riserverebbe a un familiare. La sua equipe, composta da medici, anestesisti, caposala, infermieri e OSS, lavora in sinergia per offrire un servizio sanitario di altissima qualità, innovativo e centrato sul benessere del paziente.

In un’epoca in cui la fiducia nella sanità pubblica è spesso messa in discussione, figure come il dr. Campello sono di vitale importanza. Il medico, nella sua essenza più pura, è un custode della vita, un angelo in camice bianco che non solo cura i corpi, ma allevia anche le paure e le sofferenze delle anime che gli vengono affidate.

Riconoscere il valore del dr. Campello e della sua squadra non è solo un atto di giustizia, ma anche un dovere morale verso tutti coloro che beneficiano del loro straordinario lavoro. Raccontare le nostre esperienze positive e testimoniare la loro bravura è il minimo che possiamo fare per onorare chi dedica ogni minuto, ogni ora e ogni giorno della propria vita al servizio degli altri. (ep)

Addio a Papas Antonio Bellusci, testimone del mondo arbereshe

di PINO NANO – È lutto grande per la comunità arberëshe di Calabria, e non solo di Calabria. Nei giorni scorsi è morto a Cosenza, all’età di 90 anni, uno dei sacerdoti più conosciuti e più amati della comunità italoabanese d’Italia. Parliamo di Papas Antonio Bellusci, sacerdote, giornalista, antropologo e scrittore, «uno dei massimi punti di riferimento- – dice ai suoi funerali il Vescovo-Eparca di Lungro Mons. Donato Oliverio – che la comunità arberëshe abbia mai avuto».

Il suo mantra era: «L’Albania non muore perché ha radici culturali incise nel ferro». 

Di lui conservo ricordi bellissimi. Appena arrivato a Cosenza – ero stato appena assunto in Rai, era il 1982 – fu uno dei sacerdoti che più frequentavo, per via soprattutto della rivista che lui allora faceva, Lidhja / L’Unione, e che raccontava in maniera davvero superba le tante comunità italoalbanesi di Calabria. Era tutto un mondo che mi incuriosiva molto, mi interessava, mi affascinava. 

Ricordo che lo andavo a trovare nella sua chiesa, che era poi anche la sua casa, a San Salvatore, nella parte antica della città di Cosenza, alla confluenza dei due fiumi. «È la Chiesa – mi ricorda oggi Enzo Gabrieli, direttore di “Parola di Vita” – dove Mons Enea Selis, storico arcivescovo di Cosenza, volle che nascesse la parrocchia greco bizantina della, proprio accanto alla chiesa latina di San Francesco di Paola».

Papas Antonio Bellusci era nato nel 1934 a Frascineto, paese italo-albanese di rito bizantino-greco dell’Eparchia di Lungro, e dopo aver terminato a Roma gli studi in Filosofia e Teologia alla Pontificia Università Gregoriana, nel 1962 l’allora vescovo di Lungro lo incarica di svolgere azione pastorale nelle parrocchie di rito bizantino-greco di S. Sofia d’Epiro (1962-1965), S. Costantino Albanese e S. Paolo Albanese (1965-1973), Falconara Albanese (1973-1979), Cosenza (1979-2000), e dal 2001 in poi a Castrovillari.

Nel 1980 fonda a Cosenza la rivista “Lidhja”, che Antonio Bellusci ha praticamente diretto fino alla fine dei suoi giorni, e che usciva regolarmente ogni sei mesi, aggiornatissima e puntuale come nessun’altra testata del genere. Uom di grande cultura, aveva studiato Lingua e Letteratura Albanese all’Università di Prishtina (Kosova), e per parecchi anni, dal 1965, si è recato, per ricerche e studi di approfondimento, tra le comunità albanofone di Grecia e della Kosova, come pure tra gli emigrati albanesi in Canadà, Usa, Europa, Australia. Non c’era comunità albanese al mondo che lui non conoscesse, o che almeno una volta nella sua vita non avesse visitato e contattato.Non a caso il suo curriculum è pieno zeppo di appunti di viaggio di questo tipo, con conferenze e lezioni magistrali tenute nelle università straniere di Tirana, Skopje, Prishtina, New York, Melbourne.

Lascia oggi al suo popolo la sua famosissima Biblioteca Albanologica di Frascineto, suo paese natio, con circa 10.000 volumi e riviste, provenienti dal mondo culturale italo-albanese, nonchè dall’Albania, Kosova, Grecia e Diaspora. Professore Ordinario presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Cosenza, nell’Eparchia di Lungro è stato per anni responsabile per le Comunicazioni sociali e per l’Emigrazione in Europa. L’Accademia delle Scienze di Tirana, il 15 maggio 1995, gli conferisce la “Laurea Honoris Causa” in Etnologia. 

Vi dicevo della sua rivista. Nominato nel 1979, dal vescovo di Lungro, nuovo parroco della comunità italo – albanese cattolica, di rito bizantino-greco, a Cosenza, papas Antonio Bellusci, fonda nel 1980 nella città bruzia la rivista semestrale italo-greco-albanese “Lidhja/L’Unione“, che lui definiva «insostituibile strumento spirituale e culturale per comunicare agli altri il proprio patrimonio tradizionale, trasmesso soltanto oralmente per mancanza d’insegnamento scolastico, e per dialogare ed unire tutte le energie italo – albanesi sparse, per motivi d’emigrazione, nella diaspora in Europa ed altrove». E “Lidhja”, proprio a Cosenza, diventa un punto di riferimento per molti studiosi di albanologia, meravigliati del fatto che potesse sorgere una rivista albanese in un contesto territoriale tutto italiano.

I temi fondamentali di cui il giornale di papas Bellusci si occupa (giornale premiato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per gli articoli di “elevato valore culturale”) vanno dall’ antropologia all’etnologia, dalla spiritualità bizantina alla cultura orale, alle ricerche sul campo, alla storia e letteratura italo – albanese, ai tanti viaggi – studio tra gli albanesi sparsi in altri continenti, alla stessa Kosova, e agli albanesi di Grecia. I collaboratori della rivista-ricordo erano tutti esperti in albanologia e la caratteristica del giornale era l’editoriale scritto in albanese letterario con traduzione italiana acanto. Ma moltissimi testi sono scritti nelle varie parlate delle comunità albanofone da lui visitate o conosciute. Una miniera di dati documentari utilissimi per chi un giorno volesse tornare a scrivere di storia albanese.

Il suo nome rimarrà legato ormai per sempre ad uno dei suoi tanti libri scritti nel corso del suo magistero, il “Dizionario Fraseologico degli Albanesi d’Italia e di Grecia /”Fjalor fraseologjik të arbëreshëvet të Italisë dhe të arbërorëve të Helladhës” ( Testo originale nella parlata albanese – Traduzione in lingua italiana, inglese e francese) che nei fatti era una ricerca sul campo in 115 comunità albanofone, con un Indice analitico di oltre 3000 voci riguardanti proverbi, detti e modi di dire. 

Nella prima parte di questo libro troverete la Lista completa e l’ubicazione delle Comunità albanofone in Italia, dove lui ha raccolto i detti e i proverbi del suo popolo: Acquaformosa; Barile; Campomarino; Caraffa di CZ; Carfizzi; Casalvecchio di Puglia; Castroregio; Cavallerizzo; Cerzeto; Chieuti; Civita; Contessa Entellina; Ejanina, Falconara Albanese; Farneta; Firmo; Frascineto; Ginestra; Greci; Lungro; Macchia Albanese; Maschito; Montecilfone; Pallagorio; Piana degli Albanesi; Plataci; Portocannone; S. Basile; S. Benedetto Ullano; S. Caterina albanese; S. Costantino Albanese; S. Cosmo Albanese; S. Demetrio Corone; S. Giacomo di Cerzeto; S. Giorgio Albanese; S. Martino di Finita; S. Nicola dell’Alto; S. Sofia d’Epiro; S. Paolo Albanese; Spezzano Albanese; Ururi; Vaccarizzo Albanese; e Vena di Maida. Una vera e propria enciclopedia di questo mondo arberesche.

Uno dei suoi saggi più importanti è “Magia Miti e Credenze Popolari, Ricerca etnografica tra gli albanesi d’Italia” (Ediz. Centro Ricerche “G. Kastriota”, Cosenza, 1992) che è da considerarsi un best seller nel mondo delle scienze occulte, testi pubblicati con la traduzione italiana e con approfondite analisi comparative, che rispecchiano fedelmente le varie parlate arbëreshe di Frascineto, S. Sofia d’Epiro (Cosenza), S. Costantino Albanese e S. Paolo Albanese, (Potenza), con traduzione italiana accanto. Credenze in forze impersonali e sovramondane, come le chiamava lui. Pratiche, racconti e formule utilizzati nei rituali a carattere magico – terapeutico. “Addentellati con l’oltretomba, animismo, metempsicosi, mitologia, misticismo dei numeri e totemismo- diceva lo stesso autore- e per la prima volta questo argomento viene trattato in modo così compiuto e sistematico tra gli italo – albanesi.

Ma altrettanto indimenticabile l’altro suo saggio antropologico, precedente a questo, “Canti Sacri Tradizionali Albanesi raccolti a S. Costantino Albanese, S. Sofia d’Epiro e in alcune comunità albanesi di Grecia e trascritti in musica” ( Ed. Centro Ricerche “G. Kastriota”, Cosenza 1990). Le “Kalimere”, scriveva nell’introduzione l’allora Vescovo della Diocesi mons. Giovanni Stamati, sono come i testi di una «paraliturgia” popolare, di cui con squisito senso pastorale, particolarmente nel passato, si è servita la Chiesa italo-albanese per impartire la catechesi, alimentare la fede, inculcare la pietà religiosa e creare il clima festivo. Mi auguro che questo saggio di Papas Bellusci contribuisca alla conservazione nelle nostre Comunità della preziosa eredità tramandataci dai padri e che, soprattutto, nel canto di questi inni vetusti il nostro popolo ravvivi l sua fede ed alimenti la sua pietà».

Dentro ci sono i testi dei canti di Natale, della Settimana Santa, della festività in onore della Madre di Dio e dei Santi, quindici canti sacri in musica e nella parlata di S. Sofia d’Epiro, venti canti sacri in musica e nella parlata italo-albanese di S. Costantino Albanese (Potenza), e infine cinque canti sacri in musica e nella parlata greco-albanese di Kopanakjon Morea, Lutraqi Corinzia, Spata Attica, Markopulos Attica, Kranidhi Argolide (Grecia). Ma la rarità di questo libro è l’Appendice finale, interamente dedicata agli studiosi che hanno raccolto “Kalimere” nell’eparchia di Lungro dal 1946, agli autori storici delle “Kalimere”, alle stesse “Kalimere trascritte in musica da Antonio Lupinacci (S. Giorgio Albanese) e Rocco Laitano (Civita), co allegato l’elenco degli informatori di S. Costantino Albanese e S. Sofia d’Epiro, la bibliografia, e l’alfabeto albanese. Una perla antropologica e sociologica di quegli anni e di quelle terre.

Ma non posso non ricordare “Il nostro focolare /”Vatra Jonë“, periodico di cultura italo-greco-albanese, la prima rivista italo-albanese post-bellica nella Basilicata, dove dal secolo XV si trovano comunità albanofone, fondata dallo stesso Papas Antonio Bellusci, parroco di S. Costantino Aslbanese dal 1965 al 1973, e che nei fatti era il racconto della vita quotidiana di una comunità italo-albanese di rito bizantino greco. Con lui se va per sempre un testimone del nostro tempo, ma ancora di più, se ne va per sempre uno dei massimi esperti al mondo di cultura arberëreshe. (pn)

 

A Franco Bartucci il Premio alla Carriera dell’Associazione Amici dell’Unical

di PINO NANOL’uomo che era stato il primo portavoce di Beniamino Andreatta, Primo Rettore dell’Università della Calabria, all’età di 80 anni viene celebrato dall’Associazione Internazionale Amici dell’Unical, all’interno del Campus calabrese che lui stesso ha raccontato per mezzo secolo.

Alla manifestazione in programma per lunedì 11 giugno, nella storica Aula Caldora dell’Ateneo, faranno gli onori di casa Patrizia Piro, Prorettore del Campus calabrese, e la professoressa Silvia Mazzuca, Presidente dell’Associazione Amici dell’Unical. Una cerimonia in cui verrà ufficialmente presentato un libro sulle eccellenze del Campus,” Storie Luminose”, di Debora Colamino, ma che nei fatti sarà invece la celebrazione ufficiale del giornalista Franco Bartucci, per oltre 40 anni responsabile dell’Ufficio Stampa dell’Ateneo.

In realtà, quello che Franco Bartucci è stato per la storia dell’Università della Calabria non lo è stato nessun altro. Nessun Rettore, nessun capo dipartimento, nessun professore, per quanto illustre possa essere stato o possa ancora essere. Franco Bartucci per mezzo secolo è stato il vero angelo custode dell’Università della Calabria. È stato soprattutto il vero grande romanziere di questo Campus, che di americano ha ancora molto poco, ma che Franco ha esportato come immagine tale in tutto il mondo.

Giornalista e comunicatore come pochi. Cronista di grande educazione e di immenso garbo istituzionale. Impeccabile, sempre. Mai un errore, mai una notizia falsa, mai un’informazione fuorviante, mai un “dietro le quinte”. Franco era la precisione in senso assoluto. 

Se oggi esiste una Università della Calabria degna di questo nome il merito va anche a lui, e soprattutto a questa sua scuola di comunicazione che negli anni aveva saputo mettere in piedi, da solo e in assoluta solitudine. 

50 anni di comunicazione istituzionale sono bastati a fare grande la storia di questo ateneo, e senza di Franco Bartucci nulla sarebbe stato così come è stato. Nulla sarebbe stato così organico e così perfetto. Il suo ufficio era una sorta di portaerei americana. Non c’era notizia che lui non conoscesse. Non c’era angolo del territorio universitario che lui non vivesse in prima persona, non c’era dibattito o convegno che si tenesse all’interno del Campus che lui non avesse in qualche modo organizzato, o suggerito, o seguito.

Medaglia d’oro alla carriera, questo è il vero premio che l’Unical assegna oggi a Franco Bartucci, «per tutto quello che lui ha scritto sul campus, sugli studenti, sui professori del Campus». Non c’è dipartimento che lui non abbia raccontato nei minimi particolari, e non c’è ricercatore -giovane o vecchio che sia- di cui Franco Bartucci non abbia il curriculum completo o aggiornato.

Grazie Franco, per tutto quello che hai fatto. Glielo dirà meglio di chiunque altro lunedì prossimo la professoressa Patrizia Piro, Prorettore dell’Unical, e che per prima ha avuto l’idea di questo riconoscimento ufficiale.

Grazie Franco per non averci mai fatto pesare il solo fatto di averti spesso trattato male, a volte anche con estrema superficialità, ma nessuno di noi 50 anni fa avrebbe mai immaginato che prima o poi i conti si fanno con la storia, e che la storia dell’Unical in qualche modo l’avresti scritta solo tu.

Dopo di te sono venuti gli altri, ma a quel punto il più era già stato fatto.  

Spero solo che il rettore, il prof. Nicola Leone, che so essere un uomo profondamente illuminato, e di grande attenzione verso tutto ciò che si proietta nel futuro, si preoccupi ora di recuperare tutto il tuo archivio, di sistemarlo in un’unica sede fisica, dove possa essere facilmente consultato e consultabile da chi avesse voglia di scrivere di questo mondo accademico, e magari digitalizzarlo dalla prima all’ultima scartoffia, perché i 50 anni trascorsi restino per sempre nella memoria dei server digitali per le generazioni che verranno.

Il resto è vita, diceva Maurizio Costanzo, e chi vivrà vedrà. (pn)

All’attaccante del Cosenza Gennaro Tutino il Sigillo d’Oro della città

di MARIACHIARA MONACOHanno gridato il suo nome, lo hanno amato come uno di famiglia, e hanno gioito insieme a lui ogni domenica, sugli spalti del “Marulla”. Stiamo parlando di Gennaro Tutino, attaccante del Cosenza Calcio (ma di proprietà del Parma), autore di 20 gol nel campionato di Serie B che si è da poco concluso, il quale ha ricevuto presso il Palazzo dei Bruzi, dal primo cittadino Franz Caruso, il Sigillo d’Oro della Città di Cosenza.

Una benemerenza civica che si attribuisce a personalità di spicco, distintesi in campo civile, militare, sociale, sportivo, scientifico e culturale. 

Prima di Gennaro Tutino, come ha ricordato il Sindaco, l’alto riconoscimento era stato attribuito alla Madonna del Pilerio, patrona della città; al cardinale Ferdinando Filoni, Gran maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme e già Nunzio apostolico del Papa in Giordania, Iraq e Filippine, e ad Anthony Rota, primo presidente italo-canadese della Camera dei Comuni di Ottawa.

Alla cerimonia hanno preso parte il presidente del Cosenza Calcio, Eugenio Guarascio, ed il segretario generale del Comune, Virginia Milano, che ha letto la motivazione dell’alta onorificenza destinata questa volta, al numero 9 più amato dell’intero territorio.

«Questa – ha detto il primo cittadino, rivolgendosi a Tutino- è una delle occasioni più importanti per la città, certamente per quella città sportiva che segue da sempre le sorti della nostra squadra del cuore, insieme alla nostra provincia che, al pari della città capoluogo, ti ama, come ti ama Cosenza».

Sì, perché la storia del centravanti che sta facendo la Storia, parte dalle pendici del Vesuvio, da Napoli. La città che ha nelle vene le prodezze di Maradona, il Santo laico, e che spera nei miracoli, quelli di San Gennaro.

Sarà solo un caso, chissà.

Sta di fatto che Gennaro Tutino, ha rianimato un’intera comunità, e grazie alle sue prodezze ha riportato, insieme a tutta la squadra, anche i più piccoli allo stadio. Perché è bello vederlo giocare:  segna di testa, di destro e di sinistro, su calcio di punizione e in acrobazia. 

Un mix di talento e serietà fuori dal rettangolo di gioco, che hanno reso il campione napoletano, un simbolo pronto ad  unire diverse generazioni, e capace di affascinare anche, chi allo stadio non ci va mai.

Durante la cerimonia, con una sala gremita di tifosi e di giornalisti, Caruso ha ringraziato tutta la dirigenza e la squadra per aver raggiunto l’importante risultato della salvezza prima della fine del campionato.  Poi rivolgendosi al campione: «Noi speriamo di raggiungere un sogno e speriamo che questo sogno possa avverarsi insieme a te, Gennaro. Sono certo che il presidente saprà valutare tutte le occasioni e le opportunità che il mercato offre, mettendo in campo tutte le sue arti per fare in modo che si possa raggiungere questo obiettivo che tu hai già raggiunto, ma è importante che tu possa farlo insieme a noi e insieme a tutta Cosenza, che da oggi, con questo riconoscimento, è la tua seconda città».

Il sogno è la serie A, è inutile nasconderlo, perché sarebbe una pecca non sognare visto il passato glorioso che intere generazioni conservano gelosamente nei più cari ricordi.

Una passato, che ha un nome ed un cognome: Gigi Marulla, e un presente che si chiama Gennaro Tutino.

Quest’ultimo, molto emozionato, dopo aver ricevuto il sigillo della Città, ha voluto ringraziare tutti: «Siete stati la mia benzina, e la mia forza. Per me è davvero un onore essere qui».

E quando gli si chiede di sciogliere l’arcano sul suo futuro, risponde: «Sapete tutti come sono legato e innamorato della città. Ho espresso altre volte il mio pensiero. Cosenza è al primo posto nella mia testa, e nella testa della mia famiglia». (mm)

 

Antonio Bonfilio, l’emergente cantautore calabrese dell’animo in tumulto

di ITALO ARCURIDa inizio mese è disponibile su tutte le piattaforme digitali Un volo solo di Antonio Bonfilio, cantautore emergente calabrese (nativo di Sant’Agata d’Esaro), prodotto da Sweet Pepper Record.

Le tracce del suo lavoro discografico, con arrangiamenti musicali di Leo Caligiuri, sono estratti di narrativa messa in nota. Uno spaccato, generazionale prima ancora che sonoro, che unisce concretezza e idealità, suono e parola, penna e pentagramma. Trame di forma e di sostanza musicale meridionale. Versi in cui delicatezza e morbidezza, di struttura, di stile, di gradazione e di tonalità, rendono armonioso il suo cantare dal tumulto intimista. 

Nell’ascoltarlo ci si immerge nelle emozionanti vibrazioni dell’esistente quotidiano, fatto di ciclicità sempiterna, in cui armonia e simmetria di vita raccontata vanno a braccetto per non lasciarsi più. 

Le sue canzoni rimbalzano il sapore di un’antichità moderna scalfita dalle rimembranze del tempo nuovo, unite in croce con coraggio, idealità e passione. Con la cruda visione da illusionista, che evidentemente gli appartiene per diritto di parto. Cresciuto a pane e “bellezza” umana da genitori che la musica e i libri sanno quanto bene fanno.

Di lui, del suo essere uomo d’altri tempi, in un mondo di finzione a buon mercato, ne sentiremo parlare nel prossimo, imminente, futuro. Che è già presente. Perché, alla fine, dopo tutto, basta “un volo solo”. Quello che quando spicca in alto è già emozione. (ia)

Addio ad Angelo Donato, ex sindaco di Catanzaro, senatore ed ex vicepresidente della Regione

di PINO NANOAngelo Donato, ex sindaco di Catanzaro, ex Senatore della Repubblica, ex vice presidente della Giunta Regionale calabrese, e protagonista storico della vita della DC in Italia e in Calabria, ex avvocato, avrebbe compiuto 90 anni il prossimo 12 aprile.

Con lui se ne va davvero un pezzo fondamentale della storia politica calabrese. La notizia della sua scomparsa – è morto a Roma dove ormai viveva da tempo – è arrivata in Senato poco dopo le nove di ieri mattina, e immediatamente si è scatenata una ridda di reazioni e di commiati ufficiali per una personalità politica che lascia ancora in molti dei senatori presenti a Palazzo Madama il ricordo di un «signore d’altri tempo». 

Angelo Donato era, ed è rimasto, per tutti “un uomo buono”, un politico che non amava le guerre e le polemiche, e che per tutta la sua vita ha rincorso unità e mediazioni. Ricordo che un altro grande protagonista di quegli anni e del suo tempo, l’on Carmelino Puja, di lui diceva sempre “«Senza Angelo il partito non sarebbe diventato quello che è».

Era il riconoscimento più bello per un uomo che aveva dedicato la sua vita all’impegno politico e al servizio della terra di cui era figlio. Non so se posso scriverlo, ma per me rimarrà un amico indimenticabile.

Non poteva non ricordarlo meglio di così anche il sindaco di Catanzaro, Nicola Fiorita: «Angelo Donato è stato un uomo delle istituzioni, un servitore della collettività, un cattolico impegnato e colto. Nel governo regionale, nel Senato della Repubblica e nel ruolo di sindaco del Capoluogo ha sempre tenuto alto questo profilo istituzionale che gli ha guadagnato prestigio e rispetto anche da parte degli avversari. Lo ricordo con commozione poiché ha condiviso con mio padre Franco un lungo percorso nella Democrazia Cristiana. Angelo Donato non ha mai portato rancore e mai ha concepito la politica come scontro e conflitto. Catanzaro, che lui amava smisuratamente pur non essendovi nato, si china rispettosamente davanti alla sua figura». 

Uno degli amici più cari di Angelo Donato, il vibonese Nicola Barbuto, aggiunge: «Angelo era tutto questo insieme, ma era anche molto di più, e aveva continuato ad occuparsi dei problemi della sua terra fino all’ultimo istante della sua vita». 

La sua storia politica è tutta qui. Angelo Donato è nato a Chiaravalle Centrale il 12 aprile 1934. Ha conseguito la maturità classica il 1953 e la laurea in giurisprudenza il 1957. Ha aderito alla Democrazia Cristiana ed e stato eletto Consigliere Comunale di Chiaravalle Centrale. Nel 1960 ha ricoperto la carica di Vicesindaco sino al 1964. Rieletto Consigliere Comunale di Chiaravalle Centrale, è stato eletto sindaco, conservando la carica fino al 1970. Nel 1970 è stato eletto Consigliere Regionale della Calabria per la Provincia di Catanzaro.

È stato rieletto Consigliere Comunale di Chiaravalle Centrale nel 1972 e nel 1974. Dal 1976 al 1980 è stato Assessore Regionale all’industria, all’Artigianato ed alle Risorse del sottosuolo. Rieletto al Consiglio Regionale nel 1975, e stato Assessore al Turismo fine al 1976. Dal 1976 al 1980 6 stato Vice Capogruppo per la DC al Consiglio Regionale. Eletto ancora Consigliere Regionale nelle competizioni elettorali del 1980, per l’intero quinquennio ha ricoperto la carica di vicepresidente della Giunta Regionale, coprendo i seguenti Assessorati: dal 1980 al 1983 quello dell’industria-artigianato e commercio dal 1983 al 19 84 quello della Sanità; dall’84 a11’85 quello del lavori pubblici. Dal 1985 al 1987 è stato poi Sindaco di Catanzaro, carica che ha lasciato perchè chiamato alla candidatura al Senato della Repubblica per il Collegio di Catanzaro. 

È stato eletto senatore net 1987 e rieletto una seconda volta. È stato componente del Consiglio di Presidenza del Senato e Segretario del Senato stesso. Ha partecipato a varie commissioni parlamentari offrendo il sue apprezzato contributo su varie proposte di legge. Ha avuto incarichi notevoli anche nell’ambito del Partito della Democrazia Cristiana: dal 1964 al 1970 e stato componente del Comitato Provinciale della DC. Dal 1983 è stato permanentemente Consigliere Nazionale della DC e dal 1992 Componente della Direzione Nazionale della DC. Sempre attivo e sensibile per i problemi della Calabria, di Catanzaro e del suo paese, dovunque ha operato ha lasciato positive tracce del suo costante impegno politico, che è andato avanti fino a quando le forse glielo hanno consentito.

Da segnalare fra le tante altre cose realizzate, il suo corposo contributo per l’Ospedale Civile di Chiaravalle e quello per il finanziamento della trasversale delle Serre. Nell’anno 1995, dopo lo scioglimento della Democrazia Cristiana, insieme agli Onorevoli Flaminio Piccoli, Angelo Bernassola, Luciano Radi, Giorgio De Giuseppe, Ivo Butini ed altri parlamentari si era dedicato alla riorganizzazione del Partito Popolare Italiano fondato da Sturzo nel 1919. 

Successivamente, quando il PPI si era diviso, i rappresentanti della vecchia Sinistra democristiana da una parte, ed i rappresentanti del vecchio Centro moderato dall’altra, per questi ultimi aveva fondato assieme all’ On. Rocco Buttiglione il nuovo Partito denominato CDU come Centro Democratico Cristiano. Ne è stato il Presidente nazionale fino a quando vi è stata poi la confluenza nell’UDC. Il resto è negli atti parlamentari che rimarranno alla storia. (pn)