In una nota congiunta, il Centro Studio politico-sociale “Don Francesco Caporale”, l’Associazione Venti da Sud e l’Associazione Liberamente Calabria, hanno ribadito che «la trasformazione dell’area dell’ex polo chimico di Lamezia Terme in una struttura destinata ad essere sede di studi cinematografici è una opportunità costruita con coraggio, lungimiranza e determinazione da un visionario appassionato come il giornalista Giovanni Minoli».
«È la dimostrazione tangibile – hanno aggiunto – del fatto che le opportunità di cambiamento crescono direttamente su questo territorio come fiori tra il cemento, ma servono le persone giuste al posto giusto per fare spazio alla speranza tra le crepe».
«Avremo degli studios – continua la nota – in grado di ospitare grandi produzioni sia per il grande schermo che per la tv, avremo un sogno da regalare ai nostro giovani, e lo dobbiamo ad un uomo che non ha scelto la Calabria per arricchirsi sulle spalle dei calabresi. Basta avere un minimo di onestà intellettuale per riconoscere che le polemiche, non nuove, sui compensi, sono solo un modo per alzare una cortina di fumo volta a screditare il lavoro di una squadra su un progetto che potrebbe davvero creare economia e crescita sociale puntando sull’industria del terzo millennio. C’è una grande richiesta di contenuti a cui la Film Commission sta già cercando di rispondere, mettendo a bando milioni di euro che sono una opportunità per giovani talenti, registri, documentaristi, produttori calabresi».
«L’area interessata è la ex Sir di Lamezia – si legge ancora – una delle ‘cattedrali nel deserto’ che negli anni ’70 avrebbero dovuto garantire il boom industriale del Mezzogiorno ma oggi in stato di abbandono, allora perché non essere soddisfatti del fatto che la Regione ha colto l’opportunità di restituire uno scopo a quel contenitore vuoto? Una seconda possibilità concessa dalla storia, per la storia della nostra regione. Ma forse è più facile attivare la macchina del fango, come avevamo anticipato, parlando di sprechi, di loschi disegni, di assalto alla diligenza, magari con la speranza di dirottare quelle risorse altrove, o peggio ancora di spegnere quella speranza di rinnovamento e lasciare la Calabria e i calabresi chiusi, tagliati fuori da ogni nuovo orizzonte».
«Quelli che non si rassegnano al solito copione del “poteva essere fatto” – conclude la nota – ma tutto è sfumato in un altro progetto insabbiato, devono continuare a parlare di questa bella storia fatta di speranze e prospettive, e di un non calabrese che crede in questa terra più di noi». (rcz)