di GIACINTO NANCI – In Calabria si è riacceso il dibattito sulla sanità calabrese tra gli amministratori i sindacati e le forze politiche, ma è un dibattito che non potrà avere risultati perché è fatto all’interno di un “recinto” chiuso dove i veri problemi della sanità calabrese non hanno cittadinanza. In quel recinto non vi sono: il cronico sottofinanziamento della sanità calabrese, la maggiore prevalenza delle patologie croniche in Calabria rispetto al resto d’Italia e il fallimento (se non anche la causa di altri mali della sanità calabrese) sia del piano di rientro che del commissariamento.
La legge n.280 del 1996 per il riparto dei fondi sanitari alle regioni basata sul calcolo della popolazione pesata, applicata fin dai primi anni del 2000, ha fatto si che la Calabria (insieme a molte regioni meridionali) fosse agli ultimi posti del riparto dei fondi sanitari pro capite. Ed è per questo (non per incuria degli amministratori calabresi) che i pochi soldi ripartiti dove c’erano molti più malati non potevano bastare e quindi la Calabria è andata in deficit. Allora il governo senza valutazione approfondita nel 2009 ha imposto alla regione Calabria il piano di rientro che vuol dire risparmiare ulteriori soldi dove già ne arrivavano pochi e non bastavano.
E nel 2011 ha imposto anche il commissariamento escludendo la Calabria dalla gestione della sanità calabrese. Nel dibattito attuale che si è aperto ci si dovrebbe chiedere come mai un commissariamento che per sua natura è un istituto di breve durata (come ad esempio il commissario per la costruzione del grande ponte di Genova crollato e ricostruito in appena un anno) dura ininterrottamente da 14 anni. Questa durata è proprio l’antitesi di un commissariamento, tanto più che perfino una sentenza della Corte Costituzionale n. 168 del 23/07/2021 lo ha dichiarato parzialmente anticostituzionale e la Corte dei Conti Regione Calabria il 01/12/2022 ha sentenziato che con le procedure adottate il deficit sanitario calabrese è ingestibile e potrebbe durare all’infinito.
Infatti dove ci sono molti più malati (Calabria) e arrivano pochi fondi la situazione non potrà mai migliorare e di questo sono tutti al corrente perché già certificato dal Dca n. 103 del lontano 30/09/2015 firmato dall’allora commissario Scura e vidimato prima dal Ministero delle Finanze (sì perché i decreti del commissario al piano di rientro calabrese devono essere prima vidimati da questo ministero per valutare la “diminuzione” di spesa e poi da quello della Salute che ne valuta la validità per le cure dei calabresi) e poi da quello della salute. Ebbene, alla pagina 33 dell’allegato n. 1 a questo decreto il commissario Scura scriveva «si sottolineano valori di malattie croniche al di sopra della media nazionale intorno al 10%». Quindi tutti sono e sono stati al corrente che in Calabria ci sono molti più malati cronici che non in altre regioni d’Italia. E visto che il Dca n. 103 è fornito di precise tabelle è stato facile calcolare che in Calabria fin da allora c’erano ben 287.000 malati cronici in più che non in altri due milioni di altri italiani.
Il Dca certifica anche che in Calabria vi è più comorbilità, 159 verso 153 dell’Italia che vuol dire ulteriore aumento di spesa sanitaria. Il dibattito dovrebbe quindi vertere su una concordanza di tutti (amministratori, sindacati, operatori, politici ect…) nel richiedere alla Conferenza Stato Regioni che le sanità regionali vengano finanziate in base ai reali bisogni delle popolazioni cioè più fondi dove ci sono più malati cronici. Oggi sappiamo quanto costa curare una patologia cronica sappiamo quanti malati cronici ci sono nelle varie regioni e questo sarebbe il finanziamento più corretto che andrebbe incontro ai bisogni delle popolazioni, altrimenti l’aspettativa di vita (a differenza del resto d’Italia) alla nascita in Calabria continuerà a diminuire per come accade dall’inizio del piano di rientro ad oggi.
Paradossalmente una cosa simile è stata già fatta nel 2017 quando l’allora presidente della Conferenza Stato regioni on. Bonaccini ha annunciato una “parzialissima modifica” e basata oltre che sul calcolo della popolazione pesata anche sulla “deprivazione” (sono parole sue). Ebbene la Calabria nel 2017 ha avuto 29 milioni in più del 2016 e tutto il Sud ben 408 milioni in più rispetto al 2016. Questa modifica ovviamente non è stata ne ampliata ne riproposta. Considerando che la modifica è stata “parzialissima” è facile calcolare che la sottrazione di fondi sanitari alle regioni meridionali è stata negli anni dell’ordine di miliardi di euro.
Inoltre il piano di rientro per la Calabria è dannoso non solo per la sanità perché è fatto per risparmiare soldi ma deprime tutta l’economia calabrese, perché nel 2011 il governo ha fatto un prestito alla Calabria, per il risanamento del deficit, di 400 milioni che stiamo restituendo con 30 milioni circa all’anno fino al 2040, restituendo ben 922 milioni con un tasso del 5,85% che è molto vicino al tasso usuraio per questo tipo di prestiti che è del 6,03%. Per capirci se pagassimo il prestito ad un tasso del 1% dovremmo dare ogni anno non 30 ma 20 milioni.
E l’economia calabrese è danneggiata da questo prestito (vale la pena di ripeterlo) fino al 2040, e dal piano di rientro perché a causa loro i calabresi hanno avuto più ticket sanitari e ad un più alto costo, i calabresi pagano più Irpef, un lavoratore che guadagna 20000 euro lordi paga 423 euro in più di irpef di un lavoratore milanese e un imprenditore calabrese con un imponibile di un milione di euro paga ben 10.000 euro in più di Irap di qualsiasi altro imprenditore italiano, inoltre abbiamo aumento sulle accise dei carburanti. Infine a dimostrazione che quanto qui scritto è realta basta citare il fatto che la Campania, che è la regione più simile alla Calabria sia per sotto finanziamento che per maggiore presenza di malati cronici, ha fatto ricorso nel giugno 2022 al Tar specificatamente per il fatto che il criterio di riparto dei fondi sanitari alle regioni per come è fatto danneggia la Campania. Ma la cosa importante è che il governo di allora ha detto che avrebbe provveduto a modificare i criteri perché cosciente che il Tar darò ragione alla regione Campania.
Ma ancora pochissimo è cambiato. Infine quando al danno si aggiunge la beffa, l’Istituto Gimbe ha dichiarato che “l’autonomia differenziata sarebbe uno schiaffo per la sanità del Sud”. Quindi non sterili dibattiti e scontri ma unire le forze per battere i pugni sul tavolo della Conferenza Stato Regioni affinché i fondi sanitari alle regioni vengano fatti in base alla numerosità delle patologie ed è questo che renderà inutili i piani di rientro e i commissariamenti, altrimenti come dice la Corte dei Conti “debito infinito” e fatto tra l’altro da un commissariamento parzialmente incostituzionale per come decretato dalla Corte Costituzionale. (gn)
[Giacinto Nanci è medico in pensione dell’Associazione Medici di Famiglia Mediass]