di SERGIO DRAGONE – Ma siamo così sicuri che nel pensiero e nelle linee di Elly Schlein non ci siano tracce di socialismo? Siamo così sicuri che nel nuovo PD ellyano – che brutto neologismo, lo ammetto – non ci sia spazio per le componenti riformiste, libertarie e garantiste?
Io non ne sono così sicuro e anzi registro una significativa sovrapposizione tematica e ideologica su alcuni punti-chiave della mozione presentata (e vincente) della ragazza con lo zainetto: difesa dei diritti civili, lotta alle disuguaglianze, dignità del lavoro, difesa dell’ambiente. In altre parole, tutto il bagaglio ideologico del socialismo italiano.
Su questo tema ho discusso più volte in queste ultime settimane con due esponenti di rilievo del PD calabrese, entrambi di ispirazione socialista, che si sono schierati nelle primarie con Stefano Bonaccini ritenuto, a torto o a ragione, più vicino alle idee e ai valori del riformismo italiano: Giacomo Mancini, già deputato e nipote del leader del PSI, e Michele Drosi, presidente del PD della provincia di Catanzaro e autore di saggi politici, l’ultimo dei quali dedicato proprio al futuro del Partito Democratico.
Ma veniamo al nocciolo della questione. Proviamo un attimo a capire cosa ancora resta di vitale della cultura socialista nello Schlein-pensiero.
Non voglio ridurre il tutto ad una questione di dna, ricordando che il nonno materno di Elly, l’avvocato Agostino Viviani, è stato un partigiano e convinto antifascista, senatore del PSI per due legislature dal 1972 al 1979, amico e compagno di Lelio Basso. Anche se appare utile sottolineare che Viviani è stato una personalità di rilievo del socialismo e che durante la sua presidenza della Commissione Giustizia del Senato fu approvata la legge per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, nota come “la 194”.
Fu anche il primo a proporre un disegno di legge sulla responsabilità civile dei magistrati, sollevando all’epoca vivaci polemiche.
Lasciamo da parte il dna e tentiamo una comparazione, sia pure non facile, tra quello che la Schlein dice e alcuni pilastri del pensiero socialista contemporaneo.
Elly parla nel suo programma di lotta alle diseguaglianze che «in questi anni di crisi hanno raggiunto livelli spaventosi», di «fortissima concentrazione della ricchezza in poche mani», di «divari salariali, occupazionali e pensionistici che colpiscono le donne».
Ma sono gli stessi, identici concetti che animarono, ai primi del Novecento, i socialisti italiani che favorirono la nascita delle società di mutuo soccorso, delle casse mutue volontarie, delle leghe, delle mense popolari, per contrastare diseguaglianze, povertà, analfabetismo e malattie.
Elly parla, nella sua mozione, di un «grande investimento nella sanità pubblica e universalistica, difendendola dagli attacchi di chi la vuole tagliare e privatizzare» e di un «servizio sanitario nazionale a rischio».
E chi più dei socialisti ha difeso la sanità pubblica? Ricordiamo Giacomo Mancini che, da ministro della sanità, debellò la poliomielite con una straordinaria campagna di vaccinazione. O Aldo Aniasi, il ministro a cui si deve la creazione del Servizio Sanitario Nazionale e l’eliminazione del vecchio sistema mutualistico.
Elly parla di garantire a tutti «pari opportunità e diritti di accesso a un’istruzione di qualità» e dell’esigenza di «un grande investimento sull’educazione dell’infanzia che contrasti da principio le diseguaglianze e la povertà educativa e supporti le famiglie nella conciliazione tempi di vita e lavoro».
Nel 1904 furono o socialisti ad ottenere che l’obbligo scolastico fosse portato a 12 anni. Un esercito di maestri socialisti, come narra De Amicis, portò istruzione e cultura a milioni di ragazzi italiani. Nel 1962 venne istituita la scuola media unificata, una delle condizioni poste dal PSI per entrare a fare parte di un governo di centrosinistra con la Dc.
Elly parla di lotta al lavoro precario e dell’esigenza di alzare il salario medio annuale reale. «Non basta creare nuova occupazione – dice – bisogna che sia di qualità e che assicuri un’esistenza libera e dignitosa alle persone».
In campo di difesa dei lavoratori, non c’è partito che possa storicamente superare i socialisti, con riforme storiche come quella della sicurezza sociale varata da Giacomo Brodolini e lo Statuto dei lavoratori pensato dallo stesso Brodolini e da Gino Giugni.
Elly parla di diritti civili e a me viene in mente, da subito, la grande battaglia socialista per l’approvazione della legge sul divorzio firmata da Loris Fortuna, confermata nel referendum del 1974. Ma senza dimenticare le orgogliose battaglie condotte da Giacomo Mancini sul piano del garantismo e della difesa della libertà di pensiero ed espressione.
Infine, l’ambiente e la tutela del territorio e qui torna ancora in ballo Giacomo Mancini con le sue memorabili battaglie per difendere la valle dei Templi e l’Appia Antica dalla speculazione edilizia.
Elly si dichiara non una leader donna, ma una leader femminista. La storia del socialismo italiano è lastricata di donne che si sono battute per l’emancipazione femminile, da Anna Kuliscioff ad Anna Maria Mozzoni, dalla scrittrice Anna Franchi alla poetessa Ada Negri, da Argentina Altobelli ad Angelica Balabanoff, fino a Lina Merlin.
E allora, siamo davvero sicuri che di socialismo non ci sia nulla nella proposta politica di Elly Schlein?
Certo, oggi il socialismo classico è in forte declino, ma i suoi valori fondanti restano vitali e attuali. Tocca alle nuove generazioni rinvigorire questa “civiltà politica”, adeguarla alle sfide sempre più ardue e delicati che la crisi climatica, l’avvento di tecnologie sempre più sofisticate, le migrazioni, impongono.
Resto del parere che la leadership della ragazza con lo zainetto deve essere verificata sul campo e ammetto che esiste un rischio di marginalizzazione identitaria per il nuovo PD.
Ma vedo contemporaneamente grandi potenzialità, enormi margini di crescita di consenso e concrete possibilità di intercettare i bisogni di una larga parte dell’elettorato progressista. Il bagaglio socialista potrebbe tornarle molto utile. (sd)
[Sergio Dragone è giornalista e già fondatore del Circolo “Willy Brandt]