di TOMMASO MARVASI – Il disastro. L’Aspromonte in fiamme. La mia amata montagna – la mamma che senza saperlo mi copriva amorosamente le spalle, mentre io guardavo il mare, dalla parte opposta, coi suoi orizzonti infiniti e la mia voglia giovanile di andare – brucia. Una sciagura di proporzioni bibliche, ma non un flagello: perché c’è la mano dell’uomo, non la punizione divina. Perché come hanno scritto le Guide dell’Aspromonte in una loro appassionata lettera «che tutti sappiano… Criminali e complici dei criminali, siate maledetti, voi che bruciate e voi che non avete fatto ciò che sarebbe servito a fermarli. È come se bruciassero i Bronzi di Riace… Sta bruciando l’Aspromonte. Non sterpaglie o erba secca, l’Aspromonte selvaggio e quasi intatto, quello dei boschi antichi, degli alberi millenari e dall’altissimo pregio. Bruciano la foresta di Acatti e la Valle Infernale, di recente divenuta patrimonio Unesco. Brucia lo Zomaro e i boschi di Roccaforte, nuovi focolai si segnalano nell’area grecanica».
Il primo impatto con l’incendio l’ho avuto, senza capirne la portata effettiva, nel pomeriggio di sabato 8 agosto. Ero a San Luca, all’inaugurazione della mostra fotografica Occhi di donna, una bella, colta e intelligente raccolta di più di un secolo di fotografie di donne di San Luca. Tutte bellissime. Anche quelle di donne dai tratti più arcigni, ma ispiranti dignità e forza; oppure quelle sprizzante la prepotente bellezza mediterranea ed i fieri lineamenti greci. Fino all’inaspettata donna dai capelli chiari e dagli occhi azzurri, forse una diretta discendente dorica. Oppure la sorpresa di scoprire la analfabeta, Settilia Palma Mammoliti, forse l’ultima poetessa solamente orale della storia (la notazione è di mio figlio Antonio, che mi accompagnava e che si occupa di letteratura a livello universitario), una “aeda” del XX secolo.
Ecco, quella cerimonia di apertura – presente anche Nino Spirlì, Presidente f.f. della Regione, vestito alla Salvini, con una polo della protezione civile – cominciò con un minuto di silenzio, un solidale raccoglimento che quella gente di montagna tributava in memoria delle ultime due vittime del fuoco, Antonino e Margherita Cilione, di Bagaladi, comune dell’area grecanica, dall’altra parte della montagna. Nelle parole del sindaco Bruno Bartolo – una mia recente conoscenza, ma col quale avverto una vicinanza come un amico antico – l’orgoglio per quello che le ragazzine del paese avevano saputo fare, senza fondi, senza aiuti esterni, con la loro determinazione e volontà.
Ma subito dopo eccolo esprimere la preoccupazione per l’incendio che saliva verso Montalto, che minacciava la distruzione non solo di un patrimonio naturale unico ed irripetibile, ma anche di una ricchezza culturale senza pari: che anche se espressa da incolti, come poteva essere l’aeda Settilia, era pur sempre il frutto di una tradizione plurimillenaria.
Nonostante le preoccupazioni del sindaco rimanevo lì incantato a sentire le storie delle ragazzine di San Luca. Scoprire una poco più che bambina, Miriam Giorgi, autrice di una trilogia di romanzi, nominata Alfiere della Repubblica. Ascoltare le aspirazioni, i sogni di queste giovani donne. Ma anche le loro paure, che non hanno nulla in comune con i problemi delle loro coetanee di altri posti.
Il loro chiedersi su dove potranno andare, su come potranno proporsi nel mondo, con quella loro origine di un paese meraviglioso come San Luca, che si è voluto fosse più conosciuto come capitale della ‘ndrangheta che come paese natale di Corrado Alvaro, gigante della letteratura del Novecento. Magari con un cognome di una delle famiglie più tristemente famose. O addirittura di queste parente, con la consapevolezza – esplicitamente espressa – che non potranno avere accesso a tante opportunità; che, ad esempio, non potranno mai pensare, con quel cognome e con quelle parentele, a costituire una impresa, stante la certezza della interdittiva antimafia, uno dei più discussi istituti giuridici della nostra epoca, soprattutto per come viene spesso abusato.
«Ma io», si chiedeva una di loro «che colpa ne ho se mio padre ha un parente mafioso; quale reato ho compiuto?».
La mostra Occhi di donna delle ragazze di San Luca era previsto si concludesse il 14 agosto. Perché la palestra della bella scuola media (che vanta un teatro ideato da Michele Placido) dovrà essere subito riadibita all’uso didattico. Non so come la mostra sia andata e se ha avuto il successo che meritava. Temo che le fiamme che dalla montagna incombevano su San Luca e che la preoccupazione per il Santuario della Madonna di Polsi, letteralmente circondato dal fuoco, abbiano tenuto lontani moltissimi.
Forza Don Tonino, resisti. Io so per certo che ci sarà Polsi Ambiente 2022; è poca cosa, Rettore, ma un passo alla volta si fa un cammino lungo.
E soprattutto: forza, ragazze di San Luca. Fatevi fotografare con la fiamma di vita che ho colto nei vostri occhi: l’unico incendio che dovrete consentire e che non dovrà mai essere spento: neppure dalle lacrime. ™
[Courtesy La Discussione]