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IL RICORDO / Franco Cimino: Otello Profazio, il rivoluzionario che canta l'amore

IL RICORDO / Franco Cimino: Otello Profazio, il rivoluzionario che canta l’amore

di FRANCO CIMINO – “E mo’ Calabria sua bella, comu fai? Cu parrà chiù e tia? Cui lotta chiù pe’tia? Cui ti canta e cui ti cunta i doluri toi. Cui ti caccia i curtedri da schiena e t’imbita a la lotta e alla ribelliona? Cui ti dicia chiù “Azati e camina, c’a vittoria è vicina”. E cui ti parrà chiù d’amuri e poesia?».

Sono le prime parole che mi vengono alla notizia della morte di Otello Profazio, il cantore di ogni bellezza della sua Calabria. Una bellezza in cui c’è tutto, anche il dolore e l’umiliazione, perché da essi più forti e belli si diventa se si prende coscienza, come singoli calabresi prima e come popolo dopo, di essere belli e forti già. Da sempre, perché il calabrese è bello di suo. Come la terra in cui nasce. Pochi “indigeni” al mondo possiedono la qualità innata, la più straordinaria, di essere pienamente simili alla propria terra. Davvero in questo caso madre e figli si è.

Somiglianti in tutto. Come la Calabria, il calabrese è aspro e dolce. Duro e gentile. Cafone( nel significato originario, etimologico) e nobile. Ingenuo e furbo. Genio e sregolato. Ostinato e comprensivo. Emozionale e razionale. Istinto e ragione. Cuore e mente. Braccia e libro, anche quelli non letti, ma scritti col sudore della fatica e le lacrime del dolore. Come la terra, il calabrese è disperazione e ottimismo. Pensiero e sentimento. Cercatore d’oro e pigrizia. Come la Calabria, è amore allo stato puro. È, quindi, romantico. Pur senza sguardi languidi.

È sognatore, pur se messianico. Ribelle, pur se vittimistico. Disciplinato, pur se disobbediente. Rivoltoso, pur se calmo. Dominato e liberatore. Come la Calabria, il calabrese è mare e monti. Mare e monti a distanza di un solo abbraccio. Vicinissimi, quindi, però “lontanissimi”. Mare e monti, che si guardano ma non si “incontrano”. Mare, che si ribella, e monti che si sfarinano. Come protesta, ambedue, per i maltrattamenti subiti. Mare, anzi mari, e monti, sotto un cielo bellissimo. Il cielo di Calabria, quasi sempre celeste, per quei venti calabresi che lo puliscono rimuovendo le nuvole, dopo averle fatte piovere quel che una volta bastava. E per donargli l’aria buona. Quella sana, che altre regioni non hanno. Sì, quella aria del “cà si campa d’aria”, che è fresca e riposante. Quei venti belli e buoni, che scompigliano i capelli delle donne, tutte bellissime le calabresi. Quei venti che fanno i riccioli al mare. E i pensieri muovono. Fino a farli volare. Volare veramente. Ma non per perdersi come i palloncini dei bambini.

Al contrario, per innalzarsi verso la purezza e discendere, come forza travolgente, nella lotta per il riscatto dei calabresi. Riscatto che si compone di un elemento imprescindibile, la Libertà. La Libertà come liberazione da ogni forma di oppressione e da ogni dominazione. Dall’ignoranza. Dalla sudditanza, che l’ignoranza favorisce. Dalla pigrizia, che la dominazione consente. Dall’egoismo, che le divisioni, arma migliore del nemico, procurano. I calabresi sono come la loro terra, anche in questo. Terra divisa, rotta in più parti, fisicamente intesa. Ma terra paradossalmente unica, compatta, per quella sua caratteristica di avere ogni elemento complementare all’altro. Ogni qualità naturale dipendente dall’altra. Come i monti e il mare, di cui dicevo. Pochi territori hanno quella bellezza, di scendere, i primi, direttamente e armoniosamente sull’immensa discesa azzurra.

La sua Calabria, perché di Calabria davvero ce ne sono due. Una è quella dominata e che ancora si lascia dominare, quella che vuol restare indietro perché non vuole avanzare. Quella ingenua, che crede ancora, per volerlo credere ora, che arriverà sempre un buon papà, che quest’altra volta manterrà le promesse, che i cento padri di prima hanno disatteso. La Calabria, che non vuol sognare, forse perché anche stanca di aspettare. E pigra perché non vuole muoversi oltre il proprio cortile, quello scomparso cinquant’anni fa. Come le viuzze dei borghi antichi. Come i rioni di mille anni fa, cancellati da una bugiarda modernità.

E, poi, c’è la Calabria di Otello Profazio, quella che il grande narratore ci ha descritto in centinaia di canzoni. Tutte belle. Struggenti. Memorabili, di cui tante sono autentici capolavori della musica mondiale. Questa Calabria è la Calabria bellissima. Quella dei contrasti naturali che stanno insieme armoniosamente. Quel bianco e nero, che non sono l’uno il contrario dell’altro, ma il completamento di quell’unità straordinaria che fa unica la nostra terra. La Calabria di Profazio è la casa dei calabresi, che finalmente diventeranno popolo. Popolo, che si riconosce e che in quanto popolo riconosce e “serve” ciascun calabrese. Popolo che vuole riappropriarsi del bene della propria terra, quale bene non per sé ma per tutti. Di quelli che c’erano nei tempi passati. E di quelli che verranno nei tempi futuri. È la Calabria, quella di Otello, che lotta e sogna. Sogna e lotta. E i sogni realizza. La Calabria del coraggio che sconfigge disperazione e rassegnazione. Che va incontro al futuro vivendo il presente. È la Calabria dell’Amore.

Quello universale. Oserei dire politico, nel significato che ne ha dato e nuovamente ne darebbe lui, il maestro. Amore per la giustizia e per l’eguaglianza. Per la Pace. Amore per la Libertà, che tutti questi valori comprende. Otello Profazio, che molti correnti politiche e artistiche hanno cercato di catalogare, talune appropriandosene, per la robustezza della sua intelligenza, la profondità del suo pensiero, la genialità della sua forma artistica (nessuno come lui in Calabria, pochi come lui in Sicilia, pochissimi come lui nel mondo) sfugge a qualsiasi definizione. Non è di destra. Non è di sinistra. Non è un cantautore, non è un cantastorie, non è un teatrante, non è un musicista, non è un attore. Ovvero, è tutto questo insieme in una figura artistica direi unica. Irripetibile. Se potessi agevolmente dire, ma me ne guaderei bene, mi piacerebbe definirlo Poeta. Un poeta grandissimo, perché ha accostato alla poesia delle parole( straordinari i suoi testi) la poesia delle note( le sue musiche potrebbero anche da sole essere musicate).

L’armonia che ne è venuta fuori, faranno per sempre parte della storia della letteratura e della musica mondiale. Da studiare nelle scuole di tutto il Paese. Poeta della Bellezza, è Otello. Non altro. Per questo non lascia eredi. Ma solo allievi, che potranno onorarlo nel modo migliore se ne seguiranno le tracce artistiche e quelle politiche, nella narrazione di una Calabria diversa. La Calabria di Otello Profazio. Quella che si ribella per Amore. E con l’Amore vince. Quella di una canzone tra le sue meno note. E che fa così, nella sua penna di oppositore del potere e dei potenti di qualsiasi natura e colore: “cunnuti cà serviti lu guvernu c’u i giacchi russi (si riferiva simbolicamente ai soldati del re Borbone) e li robbì di pannu, si voli Diu ma cangi lu guvernu li robbì vi li tagghiu parmu a parmu”. Grazia Otello di farci restare sempre con te. (fc)