di MASSIMO MASTRUZZO – Alla base della interdipendenza economica, ci sono: il riconoscimento di diritti reciproci; il riconoscimento reciproco della legittimità degli obiettivi; la ricerca ed azione di politiche coordinate e concordate tra i territori e le Regioni.
Da qui la convinzione che serva lavorare ad una nuova visione di paese che guardi all’interdipendenza economica come ad una opportunità dalla quale trarre reciproci benefici.
Ad avvalorare questa tesi v’è uno studio, curato da Srm (Intesa San Paolo) in collaborazione con Prometeia su “L’interdipendenza economica e produttiva tra il Mezzogiorno e il Nord d’Italia – Un Paese più unito di quanto sembri – che mostra come le principali filiere produttive nazionali siano tra loro territorialmente interrelate e come il Mezzogiorno generi spesso spillover di attività per il resto del Paese oltre a contribuire in valore alla forza competitiva dei nostri prodotti all’estero.
Ad esempio il “ribaltamento” per ogni 100 euro di investimenti è diverso nelle due direzioni: se investiti nel Mezzogiorno produco un ritorno (ribaltamento) verso il centro nord del 40,9% (40,9 euro); se l’investimento avviene nel Centro-Nord il ritorno verso mezzogiorno vale il 4,7% (4,7 euro).
Chi crede e si ispira al criterio di equità: “dare a tutti le stesse opportunità”, dovrebbe lavorare affinché questa nuova visione di Paese sia il pilastro della democrazia, la molla che ne favorisca la diffusione e la base per una crescita morale ed economicamente equilibrata.
Attualmente invece assistiamo ad un sistema Italia con divisioni e contraddizioni che, in barba a quanto previsto dall’art. 3 della Costituzione, spende di più dove c’è già di più, e meno dove in realtà servirebbe.
Questo “Sistema Italia ” oltre ad essere moralmente inaccettabile, tantomeno costituzionalmente, non è più economicamente sostenibile.
Purtroppo non solo si insiste sul mantenimento dello status quo, ma addirittura su un percorso che con l’autonomia differenziata, e in barba alle indicazioni di maggiore coesione sociale dell’Ue, aggraverebbe inevitabilmente la disomogeneità territoriale e segnerebbe definitivamente la fine del Mezzogiorno, mettendo i cittadini del Sud nella condizione di non credere più all’unità stessa del Paese.
L’autonomia differenziata un male anche per le ricche regioni del Nord
L’eccessivo consumo del suolo nel territorio del Nord Italia, è solo uno dei sintomi dell’accentramento di ricchezza in una sola area della Penisola.
Nella sola Lombardia, infatti, viaggia al ritmo di 2 metri al secondo. Con circa 750 nuovi ettari cementificati, pari a 1.100 campi da calcio, la Lombardia è la prima regione d’Italia per consumo di suolo. Il Record nel Bresciano: la provincia di Brescia, con 214,5 ettari consumati in un anno (seconda in Italia dopo Roma), pari al 27% del totale regionale.
Confermando, quando ve ne fosse ancora bisogno, il nesso tra l’accumulo e la concentrazione di ricchezza con l’inevitabile conseguente danno ambientale.
È noto infatti che la Pianura Padana è la zona con l’aria più inquinata d’Europa.
Gli alti livelli di inquinamento atmosferico sono causati principalmente dalla forte industrializzazione, dalla concentrazione di allevamenti intensivi di animali, dall’alta densità di popolazione, con la conseguenza che quest’ultima si porta in dote: più automobili, più case che significano più impianti di riscaldamento, e così via. Ovvero altissime concentrazioni delle famigerate polveri sottili PM 2.5.
Senza contare che una delle voci più «pesanti» dell’inquinamento da particolato Pm 2,5, è data dagli allevamenti intensivi di animali. Basti ricordare che uno studio portato avanti da Greenpeace in collaborazione con l’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ha portato alla luce un risultato molto preoccupante: tra il 2007 e il 2018 gli allevamenti intensivi hanno inquinato come quasi otto milioni e mezzo di automobili.
La Lombardia è la prima regione per numero di suini allevati di tutta Italia. Qui vivono quasi 4,4 milioni di maiali — ovvero il 50% della produzione nazionale. La provincia di Brescia conta più maiali che abitanti. La Lombardia è anche la regione con il maggior numero di capi bovini allevati in Italia: quasi 1,5 milioni, il 27% del totale, concentrati, anche questi, soprattutto tra Bergamo e Brescia. Subito dopo si attesta il Piemonte, con 815 mila capi e il Veneto con 753 mila. L’Emilia Romagna è al quarto posto con 572 mila capi.
Per questi motivi, ma non solo, andrebbe sostenuta la corretta redistribuzione nazionale dell’economia, che grazie all’interdipendenza economica, non toglierebbe nulla ai territori già ricchi, che anzi ne avrebbero un giovamento dal punto di vista dell’ecosostenibilità e della salubrità, rendendo peraltro tutta la nazione economicamente più stabile. (mm)
[Massimo Mastruzzo è del Direttivo nazionale Movimento Equità Territoriale]