L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA, A SCUOLA
SI RIVELERÀ UN VERO E PROPRIO DISASTRO

di SERGIO DRAGONE – A subire in Calabria gli effetti devastanti dal progetto di autonomia differenziata sarebbe, più di altri, il sistema scolastico. Se passasse nell’attuale stesura il progetto Calderoli, la nostra regione non potrebbe, per via di una spesa storica molto elevata in materia di istruzione, chiedere ulteriori risorse e dovrebbe perfino pensare di ridurre quelle esistenti per adeguarsi alla media nazionale. All’orizzonte ci sarebbero tagli, accorpamenti ulteriori e inevitabili chiusure di istituti ritenuti poco “produttivi”. Un disastro, insomma.

Un freddo ragionamento tecnico porterà a dire che il sistema scolastico calabrese costa già troppo, ci sono troppe scuole e pochi alunni, ci sono troppi docenti e peraltro con anzianità di servizio che determina maggiori costi in fatto di stipendi. Mentre, ad esempio in Lombardia, con una spesa storica pro capite inferiore alla media nazionale e con una maggiore efficienza del sistema (un numero maggiore di studenti per classe, docenti più giovani e meno costosi) il sistema potrebbe essere ulteriormente potenziato con un allineamento delle risorse.

La comparazione sugli effetti che l’autonomia differenziata potrebbe avere in Calabria e Lombardia in materia di istruzione è contenuta nell’interessante tesi di laurea brillantemente discussa all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza dal catanzarese Giuseppe Tallini, dal titolo “Autonomia differenziata: evoluzione normativa, implicazioni pratiche e focus sull’istruzione”, nell’ambito del corso di laurea in Gestione d’Azienda.

Si parte da un dato fondamentale, la spesa storica in materia di istruzione che in Calabria è di 949,07 euro per abitante, mentre in Lombardia è di 653,70 euro/abitante. Ecco come lo spiega Giuseppe Tallini.

Potrebbe ravvisarsi quale primaria motivazione la diversa conformazione orografica dei due territori che, in Calabria, è tale per cui maggiore è la dispersione geografica degli abitanti residenti sul territorio. Riprendendo qualche concetto già espresso in precedenza, infatti, un già basso valore di densità della popolazione della Calabria, contro quello della Lombardia, più di tre volte alto rispetto a quest’ultima, promuove seppur non da solo la crescita della spesa storica; stante la necessità di garantire un adeguato accesso all’istruzione in una regione dove non sempre ampie distanze sono colmate da un servizio di trasporto adeguato, è necessario accrescere le scuole esistenti che, quindi, per quanto troppo numerose rispetto alla popolazione studentesca e, per tale motivo di minori dimensioni, comunque impatteranno sul fabbisogno finanziario della Regione in materia di istruzione.

Nello studio si evidenzia che il numero medio di studenti per scuola è 999,48 in Lombardia, mentre in Calabria è di 708,41, più basso della media nazionale che è di 889,45. Il numero di studenti per classe è di 21 per la Lombardia, mentre in Calabria è di 17 a fronte di una media nazionale di 20. Sintomi di scarsa efficienza, dunque.

Una considerazione che è possibile trarre dalle risultanze di cui sopra è che, avendo la Calabria un numero medio di studenti per scuola inferiore rispetto alla Lombardia, il cui KPI è maggiore alla media nazionale, per garantire alla popolazione studentesca calabrese l’accesso all’istruzione sarebbero sufficienti in Calabria un minor numero di scuole rispetto a quelle esistenti ove, però, venissero raggiunti maggiori livelli di efficienza che alla luce delle caratteristiche orografiche del territorio sarebbe possibile perseguire adottando misure quali, per esempio, accorpamenti e miglioramento del servizio di trasporto.

A conferma delle considerazioni alle quali si è giunti, conseguono in Calabria, dunque, rispetto alla Regione Lombardia, ma anche alla media nazionale italiana, un maggior numero di scuole con un esiguo numero di iscritti e, conseguentemente classi numerose nella quantità ma non nel numero di frequentanti, come dimostra anche il numero medio di classi per istituto che in Calabria è nettamente inferiore alla Lombardia e alla media nazionale. Tale frammentazione, laddove maggiore, implica necessariamente, sebbene con una minore incidenza, un aggravio di spese strutturali per la manutenzione e, non solo, di ciascun edificio e di costi strettamente correlati al personale scolastico, docente e non docente, necessario al funzionamento di ciascuna scuola, come accade per la Calabria. Se, dunque, preponderante è la spesa per il personale sul complessivo fabbisogno finanziario in materia di istruzione è evidente come, un “obbligata” numerosità delle strutture scolastiche, a cui corrisponde, prima di ogni altra cosa, un maggior fabbisogno di risorse umane, contribuisca ad una sostenuta spesa storica rispetto alla Lombardia.”

Un altro elemento che emerge dalla ricerca è l’impatto sugli stipendi del personale.

Oltre quanto appena concluso, non può essere tralasciato un altro aspetto che impatta sulla spesa storica, ovvero l’età anagrafica dei docenti. A tal proposito giova attenzionare la situazione economica e sociale attuale che vede i giovani emigrare per ragioni professionali verso il nord e, i lavoratori più anziani a rimanere al sud; se, dunque, l’anzianità di servizio implica un maggior stipendio per i docenti è evidente come inevitabile sia, anche a parità di personale, una maggiore spesa per le regioni meridionali e, quindi, anche per la Calabria.

Esiste anche un notevole divario dal punto di vista qualitativo e dei risultati in questa comparazione Calabria-Lombardia.

Se, dal punto di vista quantitativo quindi, si rileva in Lombardia un minor fabbisogno necessario a finanziare la funzione istruzione, ovvero una minore spesa storica pro capite, dal punto di vista qualitativo una minore dotazione di risorse non preclude migliori risultati rispetto alla Calabria in cui, da una valutazione dei risultati scolastici perseguiti dagli studenti si è rilevata una minore qualità dell’istruzione. Il divario, se poco significativo, emerge nei primi anni di scuola e, dunque, nella scuola dell’infanzia, segue un trend crescente man mano che gli studenti avanzano nel grado e ordine di scuola, divenendo particolarmente significativo negli ultimi anni del percorso scolastico. Tra le motivazioni sottostanti, pertanto, rilevano senz’altro le diverse dotazioni strutturali delle scuole a beneficio degli studenti (in Calabria, per esempio, solo il 20% delle scuole ha in dotazione una mensa e, addirittura, solo il 17% una palestra) oltre che un contesto economico e sociale differente e fenomeni diffusi quali la dispersione scolastica e una minore offerta di attività extra scolastiche da parte delle istituzioni.

E dunque cosa potrebbe accadere se l’impianto di Calderoli restasse immutato?

Ritornando all’istruzione, a parità di età i ragazzi del sud sono di qualche anno indietro rispetto a quelli del nord, il che rappresenta una seria problematica nell’ambito di una stessa comunità nazionale; si pensi, a tal proposito, a cosa potrebbe accadere se ogni Regione potesse gestire autonomamente e, sulla base del proprio gettito, l’ordinamento scolastico e, più in generale, l’intero comparto. Ne conviene, dunque, un problema non solo economico e finanziario; sebbene le Regioni che ad oggi detengono nella spesa storica di alcune funzioni un trend maggiormente crescente rispetto ad altre, alla luce dell’autonomia differenziata potrebbero subire tagli nella dotazione di risorse tali da peggiorare ulteriormente la qualità e quantità dei servizi offerti, a scapito della popolazione in essa residente. La questione diviene, per tale ragione, anche e soprattutto sociale al punto da suscitare l’interesse della Chiesa che, fin dalla fine degli anni novanta sostiene un’idea di sviluppo che metta al centro le persone, le risorse e le peculiarità dei territori e non solo indicatori economici.”

L’analisi di Tallini arriva a giudicare “insostenibile” il progetto di autonomia differenziata nell’attuale stesura.

Viene ritenuto insostenibile il progetto di autonomia differenziata attualmente proposto poiché nella sostanza distante da una crescita unitaria coerente con i principi di solidarietà, sussidiarietà e coesione sociale stante una serie di peculiarità che, piuttosto, promuovono l’individualismo e una crescita difforme; basti pensare alla volontà di procedere alla determinazione dei costi e fabbisogni standard che rendono impossibile la valorizzazione delle potenzialità di un territorio o, ancora, all’impossibilità di sovraccaricare il bilancio dello Stato di ulteriori costi e oneri che, implicitamente, rende impossibile il perseguimento dei livelli essenziali delle prestazione. A distanza di anni, quindi, dall’introduzione di una tale riforma sarebbe, dunque, opportuno pensare ad interventi che, prima di ogni cosa, possano colmare le differenze attualmente esistenti tra le regioni, tra nord e sud in particolare e, poi, coerentemente con quanto sancito dalla Costituzione della Repubblica italiana, riconoscere maggiori e ulteriori forme di autonomia alle Regioni. Se opportunamente applicato e gestito, infatti, tale progetto potrebbe rivelarsi un adeguato volano ad una maggiore crescita e sviluppo, uniformi, del paese tutto”. (sda)

L’OPINIONE / Carlo Ranieri: «Autonomia differenziata, i diritti non possono essere negoziabili»

Autonomia differenziata i diritti non sono negoziabili, creano diseguaglianze e dumping sociale che affosseranno l’intera economia italiana, dove il Sud è il primo mercato del Nord. In Germania il costo della riunificazione (mettere quasi alla stesso livello i Lander) è stato stimato intorno ai 1.500 miliardi di euro. In Italia la devolution alla Calderoli viene fatta a costo zero.

Un appello ai deputati del centro-desta calabresi non votate il C. 1665 ddl Calderoli, come hanno fatto i 45 senatori meridionali di cui 4 calabresi, sarà un disastro per la salute e la coesione sociale della nostra regione fonte di ulteriore spopolamento, con diminuzione della rappresentanza. Non sarete più rieletti.

La Repubblica è Parlamentare ma per la maggioranza di Centro-destra è Presidenziale. Le Commissioni e il Parlamento sono di fatto esautorati dalle loro prerogative, conta solo la volontà del leader e dei Presidenti di Regione, magari dello stesso colore politico. Il Sud tenuto volutamente nel sottosviluppo non è una zavorra ma una risorsa.

Il contratto c.d. “intesa” prevede che, per recedere o modificare devono essere d’accordo entrambi le parti “Governo e Regioni” come nelle Regioni a Statuto Speciale, la leggi italiane vengono disapplicate (art. 7 c. 3). Questa disposizione limita l’indirizzo politico delle future maggioranze.

L’ufficio parlamentare di bilancio (organo terzo), scrive che la quantificazione del costo dei Lep deve essere fatto prima dell’Autonomia Differenziata: si quantificano le risorse, si sottraggono le spese per i Lep e il residuo si usa per le funzioni da devolvere alle regioni che vogliono acquisirle (aggiungo con una clausola di recessione come in Germania). Certamente non si possono togliere asili, infrastrutture… a chi c’è l’ha già ma si devono dare a chi non c’è l’ha. Enorme è il gap infrastrutturale tra il Mezzogiorno e il Centro – Nord dell’Italia.

Sui Lep il Parlamento deve dire la sua è una precisa prerogativa costituzionale, perché i diritti non sono uguali in tutto il territorio nazionale. Io sono calabrese, cittadino italiano come quello lombardo e voglio gli stessi diritti e quindi gli stessi Lep dei lombardi, le diseguaglianze non vanno bene è anche se costano devono cessare. I diritti costano e quindi bisogna individuare le risorse e attuare dei Lep equi e non essenziali.
Fare subito in vigore le intese (art. 4, c.2) su materie cosi definiti No Lep da una commissione di esperti (Cleps) che non ha spiegato il perché queste materie non sono Lep, non va bene, lo deve dire il Parlamento.

Questo regionalismo concorrenziale cosi come congegnato «accentuerà il dumping sociale» se non si mettono tutte le Regioni sullo stesso piano, gli imprenditori continueranno a localizzare le proprie attività in quelle più infrastrutturate, dove avranno maggiore redditività.

Se lo Stato si tiene il sud come una zavorra e lo Stato stesso affonda, nel Mezzogiorno vive un terzo della popolazione italiana ed è il principale mercato del Nord.

Si deve evitare il dumping sociale, la nostra Costituzione non è la carta dei diritti mercantili europei. L’Italia ha puntato sui diritti fondamentali, i diritti sociali che vengono prima del denaro e questa graduazione, questa gerarchia deve essere mantenuta. Non è più possibile tornare indietro dopo le intese la trasformazione dello Stato diventa irreversibile perché cosi voluta dal Pd nel 2001, una riforma fatta per scopi politici e questi sono gli effetti. Il centro-destra non deve proseguire negli errori, perché se ci sono degli errori si deve avere la capacità di rendersene conto e di emendare l’errore.

La concessioni di particolari forme di autonomia è una deroga al principio di uguaglianza e non solo occorre che sia palesato, ma comprovato che l’interesse territoriale giustifica la migliore gestione nel territorio e che la Regione sia meglio dello Stato, questo è il punto perché è meglio dello Stato? Va detto e comprovato, nel campo dei diritti non si possono attribuire patenti di primi della classe, servono le prove.

Questo testo normativo non può in alcun modo, trascurare o rappresentare una deroga ai principi contenuti nella Parte Prima della costituzione. Il 116 .3 è chiaro parla di ulteriori forme e concessioni di particolari autonomie, “concernenti le materie” e cioè non tutte le materie è possibile concederle e come un menù di 23 portate come risulta nelle intese già sottoscritte delle 3 Regioni del Nord-Est, si deve scegliere, non si prendono tutte?

E’ vero che il presidente del Consiglio ha la possibilità di selezionare mettendo o togliendo alcune materie o funzioni, ma non è bene che lo faccia il presidente, lo deve fare il Parlamento con legge, se è il presidente a negoziare, potrebbe essere oggetto di un favore politico verso una regione dello stesso colore.

I diritti degli italiani non sono negoziabili, le materie non si possono trasferire a scatola chiusa, serve la dimostrazione fondamentale da parte della regione dell’interesse ad avere una materia.

Il legislatore non può dire cedo queste materie o funzioni ad una Regione senza una spiegazione documentata, ci vuole un interesse particolare che giustifichi la deroga al principio di riparto della giurisdizione e dimostrare la ricaduta dei benefici sulle altre regioni.

Altro elemento essenziale è la forma, con questo Ddl il Parlamento deputato alla legislazione viene di fatto esautorato per ben cinque volte interviene il Governo, ma l’Italia è una Repubblica parlamentare, la sovranità è del popolo che la esercita attraverso il parlamento si deve seguire il dettato costituzionale (Sezione II – La formazione delle leggi).

La Germania ha fatto una piccola riforma nel 2006 intelligente è sostanziosa ma solo su sei materie marginali. Se lo Stato Tedesco ci dovesse ripensare, perché è cambiata la maggioranza e dice mi voglio riprendere quello che avevo concesso lo può fare, in Italia non lo può fare è un punto inemendabile perché è l’art. 116 a vietarlo, non a caso è stata presentata una proposta di revisione costituzionale prima firma Villone al Senato, che prevedeva la modifica del 116 ma è ferma. (rrc)

Autonomia, il Pd Calabria chiede spiegazioni a Mancuso su autonomia

I consiglieri regionali del Pd hanno chiesto al presidente del Consiglio regionale, Filippo Mancuso, delle spiegazioni in merito alle dichiarazioni rilasciate alla stampa sul documento approvato in Aula che «era stato nascosto a parte della stessa maggioranza “per una precisa strategia d’Aula”».

«L’ultima seduta del Consiglio regionale – hanno detto i dem – che ha evidenziato profonde spaccature nella maggioranza con due consiglieri della Lega che hanno votato contro il documento del centrodestra sull’autonomia differenziata, era già stata archiviata come l’ennesima brutta pagina della storia del regionalismo calabrese. Neanche davanti alla riforma Calderoli, che penalizza pesantemente la Calabria e il Sud, il centrodestra aveva avuto un sussulto di orgoglio e dignità decidendo di sottostare agli ordini delle scuderie romane. Adesso, dopo i retroscena svelati dal presidente dell’Assemblea Filippo Mancuso, il quadro diventa ancora peggiore e inquietante».

«Su un tema così delicato la maggioranza invece di confrontarsi e condividere i contenuti con tutti i consiglieri ha provato il “colpo a sorpresa” con l’obiettivo di mettere in difficoltà la minoranza? –  hanno chiesto i consiglieri del Pd –. Inaudito che la massima Assemblea elettiva calabrese diventi teatro di giochi e buffonate messe in atto da un centrodestra che continua a farsi beffe delle Istituzioni a tutti i livelli. Mentre le opposizioni chiedevano la condivisione di un documento unitario per bloccare l’iter dello spacca Italia e alimentavano il dibattito con interventi documentati e articolati, il centrodestra giocava a nascondino con un documento fantasma che ha finito con il prendere in giro i suoi stessi componenti».

«Un “non documento” che non ha nessun effetto giuridico e politico, mentre la minoranza già il 26 marzo scorso aveva depositato una regolare mozione che non è stata ammessa alla discussione. Con l’aggravante – hanno specificato i dem – che il presidente dell’Aula, per l’ennesima volta, invece di essere garante dei diritti di tutti si è prestato a un sotterfugio  di infima qualità. Chiederemo nelle sedi opportune che il presidente chiarisca quanto avvenuto e ci appelliamo al residuo senso del pudore del centrodestra per fare in modo che venga garantito il minimo del rispetto e del decoro delle Istituzioni calabresi». (rrc)

 

L’OPINIONE / Ernesto Alecci: Autonomia una riforma che reputo «vera e propria porcheria»

di ERNESTO ALECCI – All’interno del dibattito sull’Autonomia Differenziata proposta dal Ministro Roberto Calderoli della Lega ho voluto, insieme a tutto il Gruppo del Pd, esprimere con chiarezza il mio totale dissenso verso una riforma che reputo, senza giochi di parole, una vera e propria “porcheria”.

Una proposta di legge che penalizza, come detto più volte, le regioni meridionali e le condanna ad un graduale impoverimento e spopolamento. Una riforma fuori dal tempo, proprio in un periodo storico in cui si sta provando a lavorare a livello europeo ad una risposta comune e unitaria rispetto ai tanti pericoli che derivano da due conflitti a noi vicinissimi. Già la pandemia di Covid, solo qualche anno fa, ci aveva già dimostrato quanto sia stato importante essere tutti uniti sotto una stessa bandiera.

Durante quei mesi difficili tanti malati del Nord Italia sono stati ospitati e curati nelle strutture delle regioni centrali e meridionali, così come tanti medici e infermieri di origine meridionale si sono sacrificati negli ospedali delle città del Nord, in alcuni casi perdendo anche la vita. Noi immaginiamo non una Italia competitiva tra Regioni, ma solidale, dove gli uni possano stare vicino e supportare gli altri. Questa proposta di legge va nella direzione opposta e rappresenta, a mio avviso, una mero baratto elettorale tra le forze di Governo, laddove in un accordo tutt’altro che tacito, la Lega avrà il suo vessillo con l’Autonomia Differenziata, la riforma della Giustizia per Forza Italia, il Premierato per Fratelli d’Italia.

Anche il famigerato finanziamento dei Lep (Livelli Essenziali delle Prestazioni) che secondo la maggioranza in Consiglio dovrebbe garantire alle regioni meridionali un’equiparazione con le regioni più sviluppateè una grande menzogna. Infatti, anche immaginando che per qualche “miracolo” (stando ai conti dello Stato chiaramente impossibile o forse inimmaginabile) già dai prossimi anni venissero reperiti i fondi per garantire questi Lep in tutta Italia (Lepche tra l’altro devono essere ancora definiti per ogni materia) ci vorrebbero decenni prima che la Calabria riesca a raggiungerli in ambiti come la scuola, la sanità, i trasporti etc. Intanto, le altre regioni potrebbero trattenere da subito il surplus fiscale continuando ad aumentare anno dopo anno il gap sui servizi che le separa dalle regioni più arretrate.

È così, sarà sempre più accentuato il divario tra Nord e Sud sulla qualità dei servizi, sugli stipendi, sulla qualità della vita, che porterà ad un continuo e progressivo spopolamento del Mezzogiorno. Chi vorrà rimanere a vivere e crescere i propri figli in regioni che avranno già difficoltà a raggiungere questi famosi Lep? Non c’è più tempo! Siamo al limite, è arrivato il momento di gettare la maschera e affermare con chiarezza se si sta dalla parte dei cittadini calabresi oppure no!

In conclusione del mio intervento, ho voluto anche donare “simbolicamente” un salvadanaio a forma di porcellino al Ministro Calderoli, da utilizzare sulla propria scrivania per inserire i pochi “spiccioli” che intende evidentemente dare al Sud attraverso la sua riforma scellerata. Una riforma che non dà garanzie alla Calabria e ai calabresi, e che per noi non può essere assolutamente presa in considerazione. (ea)

[Ernesto Alecci è consigliere regionale del PD]

 

Il dibattito sull’autonomia differenziata in Consiglio regionale

È stato un dibattito molto acceso, quello avvenuto in Consiglio regionale sull’autonomia differenziata. Un confronto che si è concluso con l’approvazione del documento proposto dalla maggioranza di centrodestra – e a cui la minoranza ha votato contro – in cui viene rilevata la necessità di una «preventiva analisi d’impatto anche sulle materie escluse dalla determinazione dei Lep. Senza questo indispensabile approfondimento nessuna intesa Stato-Regioni potrà essere formalizzata sull’Autonomia differenziata».

Ad aprire il dibattito il vicepresidente del Consiglio regionale, Franco Iacucci: «state firmando una cambiale mortale per la Calabria e di questo ne dovrete dare conto prima o poi», ha detto, rimproverando il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, di aver fatto credere ai calabresi che sarebbe stato lui a condurre le trattative per strappare le migliori condizioni per la Calabria.

«Con la complicità di certa stampa – ha detto – ci ha fatto credere che c’era persino una contromossa di Forza Italia a difesa del Sud e della Calabria Tutto inutile, tutto, in ogni caso politicamente senza alcun senso, perché la Lega ed il ministro Calderoli andranno all’incasso sull’autonomia differenziata e ci andranno consentendo a Salvini di esibire in campagna elettorale europea lo scalpo del Sud al tavolo del grande Nord».

«Inutile prendere ancora in giro tutti noi – ha concluso – lei il totale dei Lep finanziati alla Calabria non li avrà mai in mano, prima dell’approvazione della riforma, per la semplice ragione che non ci sono i soldi assegnati alla legge e alla Calabria. Esattamente il contrario di quello che va dicendo. Presidente ci risparmi la sua ennesima lezione di populismo e supponenza. Non ne sentiamo il bisogno».

Giacomo Crinò, di Forza Azzurri, ha rilevato come «persiste ancora in certa opposizione una posizione ancora ideologica», ricordando come la riforma è stata avviata nel 2018 dal Governo Gentiloni, «oggi migliorata anche per il lavoro svolto dalle opposizioni che conteneva vincoli pregiudiziali per il Mezzogiorno, che sono stati affinati».

Davide Tavernise, del M5S, calcolando l’ammontare dei fondi messi a disposizione a bilancio dallo Stato e quanti soldi servono per finanziare i Lep, ha evidenziato come «il finanziamento dei Lep costerebbe almeno 82 miliardi di euro, il totale delle ultime quattro manovre di bilancio del governo. I soldi dunque non ci sono e ogni discussione è solo un distrattore dell’opinione pubblica».

Giuseppe Gelardi, della Lega, ha definito il dibattito sull’autonomia differenziata una grande opportunità di cambiamento per il Sud e la Calabria. Il consigliere ha ricordato che il Ddl stabilisce che gli accordi tra lo Stato e le regioni possono avere un massimo di durata di dieci anni e che al termine l’intesa si rinnova autonomamente, a meno che la regione faccia una diversa richiesta.

Gelardi, poi, ha sottolineato «il ruolo determinante ed unico che sarà affidato a questa Amministrazione nello stabilire l’intesa con lo Stato. L’autonomia differenziata può produrre effetti benefici nella riduzione dei divari; basti esaminare l’esempio della Spagna, in cui sono presenti forme di regionalismo asimmetrico o differenziato tra le Comunità autonome, da cui è derivata una significativa riduzione delle sperequazioni in precedenza esistenti».

Il consigliere Antonio Lo Schiavo (Misto), ha rilevato come «quando vengono assegnate 23 nuove funzioni alle Regioni ed il 30% del Bilancio dello Stato viene sottratto per darlo alle Autonomie locali, si determina un cambio radicale del sistema istituzionale di questo Paese».

Michele Comito (Fi) ha detto: «noi ci siamo resi conto che non era più possibile stare fermi, perché finora il nostro Stato che era a gestione centralista ha dimostrato di avere cittadini di serie A e di serie B. C’è dunque necessità di cambiare, rispetto alla quale il presidente Occhiuto non è affatto in difficoltà. Ha invece dimostrato una posizione netta e precisa che ha consentito di stravolgere in positivo il testo in discussione in parlamento».

Ferdinando Laghi (Lista De Magistris) si è soffermato sul tema dell’istruzione, «cardine fondamentale di uno Stato unitario, uguale e paritario in tutto il Paese», ma anche sul sistema sanitario e sull’ambiente: «sulla sanità esistono, e lo sappiamo benissimo, diversi livelli e bisogna lavorare per renderli omogenei, mentre l’autonomia differenziata renderebbe strutturali queste priorità».

Giuseppe Neri (FdI) ha chiesto chiarezza rispetto alle posizioni emerse nella minoranza, tra chi ritiene che l’autonomia differenziata così come è stata costruita non si può fare e tra chi ritiene che comunque sia costruita non va fatta.

Per Domenico Giannetta (FI), «è ovvio che nessuno di noi – ha affermato – è un fan del decreto Calderoli, nemmeno, in quest’Aula, coloro che sono della Lega. E dunque dobbiamo cercare di esercitare quello che è il nostro legittimo mandato guardando a quello che può dare il Ddl sull’autonomia differenziata».

 

Pd Calabria: Seduta in Consiglio ha fatto chiarezza sulle posizioni dei partiti su autonomia

I consiglieri del PD Calabria ha rilevato come «la seduta del Consiglio regionale di oggi è servita a fare chiarezza sulle posizioni dei partiti in ordine al Ddl di Calderoli e della Lega sull’autonomia differenziata».

«Il centrodestra, obbedendo al suo governatore, ha votato un documento miope in pieno sostegno – hanno detto i dem – al percorso già avviato in Parlamento per l’approvazione della “secessione dei ricchi”, così come è stata definita dai Vescovi della Calabria. Le opposizioni hanno provato, invano, a chiedere una presa di posizione chiara e contraria alla riforma, ma il loro documento unitario è stato bocciato. Un documento che invitava a esprimere biasimo per le parole espresse dal ministro Calderoli nei confronti dei meridionali, a dare impulso a un’iniziativa legislativa volta a un regionalismo solidale e a diffidare il governo nazionale dall’approvare l’autonomia differenziata».

«Non abbiamo mai visto così in difficoltà il presidente Occhiuto – hanno proseguito – che si è limitato a dire “non sono un Masaniello” per difendere la sua posizione di ambiguità totale su una riforma che cancella il futuro della Calabria. Dietro al solito slogan “no money no party” Occhiuto, con la sponda della sua maggioranza, ha provato a tenersi in bilico con la speranza che la riforma non venga mai applicata proprio per l’impossibilità di finanziare i Lep».

«Si tratta evidentemente di irresponsabilità pura –  hanno detto ancora i consiglieri –. La Calabria non può permettersi di correre un rischio simile soltanto per interessi elettorali e per l’accordo raggiunto a Roma per tenere insieme la riforma del premierato, dell’autonomia e della giustizia, così come ha evidenziato Ernesto Alecci nel corso del suo intervento».

«Il Consiglio regionale – hanno concluso i dem – ha perso un’occasione importante sacrificando la possibilità di difendere i diritti fondamentali dei calabresi, dalla sanità all’istruzione, soltanto per regalare uno spot elettorale a Salvini. E Occhiuto ha dimostrato in pieno il suo atteggiamento pilatesco convinto che i calabresi abbiano l’anello al naso e non capiscano quanto stia succedendo, così come aveva preannunciato nel corso del suo intervento il vicepresidente Iacucci». (rrc)

Irto (PD): Autonomia comincia a dividere maggioranza in Consiglio regionale

Il senatore del PD, Nicola Irto, ha evidenziato come «l’autonomia differenziata comincia a dividere la maggioranza di centrodestra nel Consiglio regionale della Calabria».

«Finalmente, grazie al lavoro di informazione e opposizione – ha spiegato – che stiamo conducendo nelle istituzioni e nelle piazze, così come all’incessante battaglia politica del gruppo consiliare del Pd, il centrodestra in Consiglio regionale inizia vacillare sul sostegno al ddl Calderoli, che appare come puro baratto tra le forze del governo nazionale, a discapito dell’unità del Paese e dell’eguaglianza dei cittadini».

«Noi continueremo a contestare e contrastare l’autonomia differenziata. Vedremo –  ha concluso il senatore Irto – se il centrodestra avrà il coraggio, a Roma come a Reggio Calabria, di ignorare i richiami della coscienza, che stanno emergendo con estrema chiarezza». (rp)

Il consigliere Lo Schiavo: Netta contrarietà a legge truffa che condanna la Calabria

Il consigliere regionale Antonio Lo Schiavo ha evidenziato come nel dibattito sull’autonomia in Consiglio regionale siano emerse «ontraddizioni tutte interne ad una maggioranza nella quale sono in molti a vivere con disagio il processo di approvazione del Disegno di legge Calderoli».

«A cominciare dallo stesso presidente, Roberto Occhiuto, che si è sforzato, in questi mesi – ha detto – di assumere una terza posizione tra chi, come gli alleati del partito di cui è vice coordinatore nazionale, è assolutamente favorevole e chi invece è nettamente contrario. Ma una posizione terza è difficilmente sostenibile in questo caso: l’Autonomia differenziata è un danno, è una legge truffa, è una partita truccata in partenza dalla quale non può derivare nulla di buono per i territori che sono rimasti indietro in questo Paese. E in molti l’hanno ormai capito anche nel centrodestra».

«Qui c’è solo una posizione da sostenere – ha proseguito – quella di netta contrarietà rispetto ad un disegno che cristallizzerà le disuguaglianze tra le regioni ricche e quelle più svantaggiate del Paese. È ovvio che in ballo c’è il sistema istituzionale del Paese e i diritti stessi dei cittadini. Commercio estero, fiscalità sulle attività produttive, sistemi scolastici differenti: sono solo alcune delle 33 funzioni che si pensa di poter assegnare alle Regioni e di finanziarle con i gettiti fiscali che ciascuna di esse produce. Ancora più grave è però pensare di minare alle basi il principio che questa non sia più una Nazione solidale ma bensì un Paese in cui ciascuno utilizza i gettiti fiscali che produce. Rompere l’unità nazionale, in una fase in cui gli Stati nazionali sono minacciati dal capitalismo delle big company, è assolutamente pericoloso e rende ancor più debole lo Stato unitario».

«Quando ci sono gravi emergenze, com’è accaduto con la pandemia – ha ribadito –, lo Stato è più forte se è unito, compatto e solidale. Ho quindi chiesto al presidente Occhiuto di volare alto, di prescindere dall’indirizzo dei partiti nazionali e di difendere gli interessi dei cittadini della nostra regione».

«Interessi che vanno in solo senso: quello di dire “No” alla secessione delle regioni ricche – ha concluso – di dire “No” ad una riforma che porterà a 20 sistemi scolastici, a 20 sistemi sanitari e ad un sistema in cui le Regioni più povere, come la nostra, non potranno competere e soccomberanno». (rrc)

SE PURE LE TASSE FOSSERO DIFFERENZIATE
PER IL SUD CI SAREBBE MAGGIORE EQUITÀ

di PINO APRILE – E se la tassazione fosse inversamente proporzionale alla quantità e qualità di servizi che si riceve dallo Stato? In questo modo, chi viene privato di diritti ad altri riconosciuti, avrebbe, come minimo, più risorse per procurarsi privatamente quanto lo Stato promette a tutti ma dà ad alcuni. Un tale correttivo indurrebbe a gestire le risorse pubbliche con più equità e frenerebbe la desertificazione del Sud e delle altre aree marginali, per la fuga di chi è messo in condizione di cercar altrove quello che gli viene negato soltanto a causa della zona di residenza.

E l’assurdo è che chi non ha la strada, l’ospedale, la scuola, il treno, l’aeroporto debba con le sue tasse e nella stessa misura degli altri, contribuire alla crescita dei benefici pubblici in favore di chi ne è già dotato.

Così, di fatto, si spostano risorse verso chi più ha, da parte di chi meno ha, costretto a finanziare un divario che può solo continuare a crescere e a pesare due volte su chi deve pagare per dare ad alcuni, a spese di tutti, i servizi che lui potrà avere solo a spese proprie. E se non può permetterselo, deve farne a meno: più di due milioni di italiani, per dirne una, hanno smesso di curarsi e l’attesa media di vita, al Sud, è crollata. Detto così, sembra il mondo freddo delle statistiche, in altre parole: è lo stesso diritto alla vita che ne risulta intaccato, indebolito, ridotto.

Un tale iniquo sistema riproduce, all’interno di uno stesso Paese, il rapporto coloniale fra chi sfrutta e chi è derubato di quello che è suo o gli spetta. E magari, ce la raccontano pure al contrario: sapete la storiella del Mezzogiorno popolato di ladri e fannulloni che drena ricchezza prodotta al Nord? Peccato la storiella non spieghi come mai il ladro sia sempre più povero e il derubato sempre più ricco (soprattutto di infrastrutture, allocazione di aziende pubbliche il cui fatturato appare come frutto della laboriosità nordica, eccetera).

Tacendo che mentre i meridionali versano nelle casse statali un quarto delle entrate annue, la spesa pubblica al Sud è inferiore, anche di sei punti percentuali. Una differenza che viene spesa altrove. Quindi: chi finanzia chi? E questo vale non soltanto per il Mezzogiorno, ma pure per le aree interne (si pensi alla Dorsale appenninica) e marginali.In totale è circa il 70 per cento del territorio nazionale, con oltre metà della popolazione.

Così, mentre nelle zone del Paese “di ricezione” si è ormai a investimenti pubblici a perdere, pur di far circolare soldi (e mazzette, visti gli scandali), persino per infrastrutture inutili o dannose, quali certe autostrade che per aver un po’ di traffico premiano gli automobilisti, nelle zone “di estrazione” delle risorse, interi paesi sono svuotati, abbandonati, per assenza di servizi o perché l’unica strada di accesso è franata o impraticabile da anni e non ci sono soldi per riattarla.

Il divario fra le zone del troppo che stroppia e del troppo poco è tale che la tassazione di tutti allo stesso modo si configura come un furto a beneficio di pochi e un rapporto coloniale.

Consideriamo tre italiani che abbiano lo stesso reddito, quindi paghino le stesse tasse, ma vivano uno a Matera, uno a Macerata, uno a Milano. Quello di Matera non ha le autostrade e le ferrovie dello Stato e gli altri sì (pagate da tutti); quelli di Matera e Macerata non hanno l’aeroporto (anzi: gli aeroporti) che l’altro ha, né la stessa disponibilità di ospedali, scuole e università. E non serve continuare l’elenco.

Questo si traduce in un aumento del reddito del milanese, che può usufruire di servizi ottimi a costi moderati o quasi nulli, in un taglio del reddito per il maceratese e una vera e propria mazzata per il materano, considerate le spese che deve sostenere per curarsi, spostarsi, studiare, lavorare.

E ancora peggio stanno gli italiani che vivono nelle zone più isolate e meno raggiungibili e, per questo, desertificate, con una colossale perdita di ricchezza per l’intero Paese (basterebbe anche solo considerare il crollo di valore di case ed edifici bellissimi, storici, architettonicamente pregiati, ma lasciati andare in malora, perché nessuno li vuole più, essendo troppo disagevole e costoso vivere dove non ci sono servizi).

Sulla carta, pur se hanno gli stessi diritti e lo stesso reddito, di fatto, alcuni italiani pagano perché altri abbiano quanto a loro è negato. La parità di reddito, quindi, è solo apparente, ed è ingiusto che paghino le stesse tasse. Che andrebbero calibrate, invece, sull’effettivo godimento dei diritti per i quali quelle tasse vengono richieste. Equità vorrebbe che si definisse un metro per ridurle in proporzione alla ridotta possibilità di accedere a diritti riconosciuti e non goduti. In tal modo, l’apparente parità di reddito diventerebbe un po’ più vicina al vero.

Non hai il treno? Le tue tasse calano di tot. Non hai un ospedale raggiungibile nel tempo ritenuto non superabile dai Lea, livelli essenziali dell’assistenza? Giù di un altro tot. Non hai lo scuolabus o proprio la scuola a distanza accettabile? Ancora meno un tot. C’è possibilità che, togli questo, togli quello, si giunga a pagare tasse zero.

Per le aree peggio messe, estremamente marginali, si potrebbe scendere a “tassazione negativa”: vuol dire che invece di pagare allo Stato per servizi che non si hanno, si riceve dallo Stato una equa integrazione di reddito, per procurarseli diversamente e porsi alla pari con gli altri italiani. Proposte di questo genere già vengono sostenute (per esempio dall’ex dirigente dell’Agenzia delle entrate che si è pre-pensionato per divenire una sorta di difensore civico dei contribuenti, Luciano Dissegna); e, in alcuni casi, ci sono forme di de-tassazione di fatto in paesini in via di estinzione, in cui si offrono incentivi in denaro, alloggi e altri incentivi a giovani coppie disposte a trasferirvisi.

La riprogrammazione delle tasse sulla quantità e qualità dei servizi (diritti) di cui si può davvero godere, da una parte porrebbe alla pari i contribuenti, dall’altra renderebbe conveniente tornare a vivere in borghi belli e scomodi. E se poi arrivassero lo scuolabus, l’ospedale, il treno e le tue tasse salissero in proporzione, di fatto non ci sarebbe una variazione effettiva di reddito.

Ma la tassazione differenziata secondo i diritti effettivamente goduti, se pur assolvesse al dovere di equità da parte dello Stato verso i cittadini, ovunque risiedano, non comporterebbe costi ulteriori per le casse pubbliche? Non è detto: intanto, perché il patrimonio nazionale verrebbe incrementato dalla crescita di valore edilizio di abitati non più in abbandono, ma ben tenuti, appetibili; poi, il moltiplicarsi di economie locali attiverebbe una rete mercantile periferica oggi in estinzione; infine, il territorio reso fragile e improduttivo dalla desertificazione tornerebbe curato e a rendere. E sono solo alcuni dei vantaggi più immediati ed evidenti del recupero di interesse per un modo di abitare tipico del mondo mediterraneo e del nostro Paese in particolare.

Un tale provvedimento sarebbe l’esatto contrario dell’Autonomia differenziata con cui si mira a incrementare la spesa pubblica dove già è massima, a danno delle aree in cui è quasi assente. Mentre l’Autonomia differenziata spacca l’Italia, la tassazione differenziata secondo i diritti ne rimetterebbe insieme i pezzi e la rinsalderebbe. In più mostrerebbe la relazione diretta fra le tasse e la loro ragione di esistere: volendosi illudere, questo potrebbe ridurne anche l’evasione. (pa)

L’OPINIONE / Filippo Mancuso: Autonomia opportunità purché si diano a Sud rassicurazioni richieste

di FILIPPO MANCUSO – Avverto il dovere di ringraziare tutti voi, sia per la qualità degli interventi che per il senso di responsabilità con cui quest’Aula si sta misurando con una questione di grande importanza, ossia l’autonomia differenziata.

Quest’Aula si è sempre approcciata alla riforma, anche nella discussione tenuta a marzo 2023, con una chiara visione unitaria e il dovere imprescindibile di tutela degli interessi della Calabria e del Sud.

La mia opinione è che dell’autonomia differenziata è condivisibile l’obiettivo di rafforzare le prerogative delle autonomie, ampliandone i poteri e le competenze, per ridare nuovo protagonismo alle Regioni che debbono assumersi il compito di governare efficientemente la spesa pubblica.

Così come sono condivisibili il superamento dell’iniquo metodo della ‘spesa storica’ che penalizza il Mezzogiorno, l’individuazione dei ‘Lep’e il loro contestuale finanziamento, nonché gli altri accorgimenti per garantire ai cittadini, ovunque risiedano, pari diritti civili e sociali e analoghi servizi.

In questo senso, la riforma può essere un’opportunità per il Paese e per il Sud, che registra da decenni gravi divari di cittadinanza col resto del Paese.

Un’opportunità, purché si diano al Mezzogiorno le rassicurazioni richieste, inclusa l’attenzione da riservare alle materie non rientranti nei Lep che, se fossero devolute alle Regioni prim’ancora che la riforma sia attuata nella sua complessità, penalizzerebbero le Regioni meridionali.

Avverto anch’io, come tutti voi, la responsabilità che tocca assumersi rispetto a una scelta che deve consolidare l’unità nazionale.

Da Presidente del Consiglio ho sempre auspicato, e mi pare che così sia stato, che il dibattito puntasse al confronto nel merito delle questioni.

Ognuno di noi ha legami politici che lo indurrebbero a ribadire in quest’Aula le posizioni dei rispettivi leader nazionali, ma al contempo ognuno di noi è anche parte di una regione che ha accumulato problemi e ritardi di sviluppo che ci impongono di anteporre a tutto il resto gli interessi delle nostre comunità. (fm)

[Filippo Mancuso è presidente del Consiglio regionale]