Successo a Sellia Marina per l’incontro-dibattito sull’autonomia

È servito per confrontarsi su un tema cruciale per il futuro del nostro Paese, ovvero l’autonomia differenziata e le sue implicazioni per le regioni del Sud, l’incontro-dibattito dal titolo Autonomia Differenziata: un’opportunità per la rinascita del Sud o un Nord sempre più egoista?, svoltosi nei giorni scorsi a Sellia Marina, nel Salone Cultura del Resort Costa Blu.

Nel corso dell’evento, moderato dal giornalista Santo Strati, si sono analizzate le diverse prospettive e conseguenze di una maggiore autonomia per le regioni italiane, in particolare per quelle meridionali e in cui i partecipanti hanno manifestato l’intenzione di dare vita nelle prossime settimane ad un gruppo di lavoro incentrato proprio sull’autonomia differenziata.

«Ho già ricevuto l’adesione da parte di economisti, imprenditori, esperti e anche soggetti politici a formare un gruppo di lavoro che comprenda al suo interno più voci e pareri, così da confrontarci su un tema che è decisivo per il futuro della Calabria. Il gruppo di lavoro, infine, vuole proporsi anche come strumento utile agli enti e le istituzioni come soggetto terzo e imparziale rispetto ai numerosi approfondimenti e le innumerevoli tematiche che la legge Calderoli abbraccia», ha spiegato Giuseppe Nucera, fondatore del movimento La Calabria che vogliamo.

Il parere esperto e autorevole di Mario Tassone, già deputato e Sottosegretario, ha aperto la strada ad un dibattito plurale, che ha visto confrontarsi sul tema posizioni differenti rispetto all’Autonomia Differenziata.

«Sono contrario a posizioni a priori su una materia che è estremamente complessa – ha detto Tassone –. Io sono sempre stato contrario alle secessioni striscianti, e in questo caso credo che l’Autonomia Differenziata dia maggiore forza alle regioni ricche. È un problema culturale, di identità, che rischia di portare ad una ulteriore disgregazione un paese che già non è unitario».

«Con la legge Calderoli – il pensiero di Tassone – si configurerebbero una serie di piccoli stati, che in futuro potrebbe portare il nostro paese verso una strada sdrucciolevole. Il Parlamento è ormai diroccato e succube dei poteri forti che stanno fuori dalla politica, una prospettiva sempre più inquietante in ottica futura».

Giuseppe Mazzullo, presidente nazionale di Cicas, ha sottolineato l’importanza di capire le ripercussioni per le regioni del Sud legate all’autonomia differenziata. Nonostante ad oggi ancora non ci sia, lo sviluppo del sud è sempre più lento e le fughe dei giovani verso il nord in numeri sempre crescenti.

«Il Meridione – la certezza di Mazzullo – grazie alle energie rinnovabili e il turismo, potrebbe rappresentare un patrimonio nazionale. Ma se il Mezzogiorno non è in grado di elaborare una propria autonomia e aumentare in modo consistente il Pil, è evidente che si andrà sempre a peggiorare».

L’economista Matteo Olivieri ha passato in rassegna tutte le principali critiche e obiezioni mosse alle legge Calderoli, analizzando nel dettaglio i caratteri economici della riforma.

«Chi parla di secessione o del rischio che l’Italia diventi come l’Argentina – ha detto Olivieri – evidentemente non conosce bene la materia oggetto di questo dibattito. In realtà studi importanti e analisi di esperti dimostrano il contrario e concentrano l’attenzione sul riposizionamento e il nuovo equilibrio che con l’Autonomia Differenziata si andrebbe a creare tra le regioni a statuto ordinario e quelle a statuto speciale, con queste ultime che ricevono dallo Stato fondi maggiori rispetto alla propria capacità contributiva. L’intero meccanismo della finanza pubblica -ha evidenziato Olivieri- sarebbe più semplice e trasparente e meno opaco».

Giuseppe Nucera, fondatore del movimento ‘La Calabria che vogliamo’, ha parlato dell’Autonomia Differenziata come di una «sfida alla classe politica regionale calabrese. Chi vuole governare la Regione o le più grandi città calabresi, non può avere paura dell’Autonomia Differenziata».

«Mettere assieme imprenditori calabresi con chi ha avuto successo fuori dalla Calabria – ha suggerito – può essere una chiave di svolta, ma servono coraggio e scelte forti. Il Sud deve assolutamente recuperare il gap con il resto del paese, la legge Calderoli può offrire strumenti utili per prendere in mano il nostro destino».

«È necessario – ha concluso Nucera – guardare al futuro con entusiasmo e con la voglia di credere nelle proprie possibilità, senza andare più con il cappello in mano a Roma».

Decisamente contrario rispetto all’autonomia differenziata Domenico Tallini, già presidente del Consiglio Regionale, che ha parlato della Legge Caledroli come una riforma che allargherebbe ulteriormente il divario tra il Sud e il Nord, con la Calabria destinata a naufragare specie nel settore della sanità. (rcz)

 

SUD, LA VERGOGNA DELLA SPESA STORICA
E I LIVELLI DI PRESTAZIONE MAI UNIFORMI

di PIETRO MASSIMO BUSETTAL’acronimo Lep è ormai noto a tutti. I Livelli Essenziali delle Prestazioni sono quei livelli minimi che devono esistere in tutte le aree del Paese. È che condizionano qualunque forma di concessione di qualunque altra forma di autonomia delle Regioni che dovessero richiederla, in base alla legge recentemente voluta fortemente dalla Lega Nord e approvata dalla maggioranza di Governo. 

Forza Italia ne ha fatto un suo manifesto: starà attenta che le autonomie ulteriori alle Regioni non siano concesse se prima non si realizzino i Lep.  E non lo dice soltanto il Governatore della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, ma anche il Presidente del Partito Antonio Tajani

In realtà recentemente anche Fratelli d’Italia si è schierata e afferma l’esigenza che si realizzino i livelli essenziali in tutto il Paese prima di procedere ad ulteriori concessioni di autonomia alle Regioni richiedenti. 

Sarà questa presa di distanza dalla posizione della Lega dei due grandi partiti della maggioranza di Governo, saranno le grandi quantità di firme raccolte dal raggruppamento delle sinistre, dai sindacati Cgil e Uil, anche nel Nord del Paese, che i maggiori sostenitori dell’autonomia sembrano pervasi da una crisi di nervi. 

Che li porta a un diluvio di interviste, ma anche a dichiarazioni risibili, che tentano di ribaltare responsabilità di una situazione che sta compattando il Sud, spaccando la maggioranza e, cosa più importante, consapevolizzando tanti di una condizione di minorità esistente, prevalentemente nelle aree meridionali del Paese.      

 Tale condizione è talmente radicata nella mente dei meridionali da far accettare qualcosa che non è stato particolarmente rilevato dalla politica, ma neanche dai maggiori opinionisti. È cioè che già nell’ accettare che nella legge sia previsto che alcune materie possano essere devolute solo in presenza in tutte le Regioni dei livelli essenziali delle prestazioni c’è un’accettazione del principio di essere figli di un dio minore.  

Perché la domanda che sorge spontanea è perché i meridionali chiedono, e non otterranno mai, visto che la legge non prevede quegli stanziamenti necessari, ma assolutamente improbabili e insostenibili, per attuarli di avere solo i livelli essenziali, invece di pretendere  che si abbiano i Lup? Cioè i livelli uniformi di prestazioni in tutto il Paese, da Bolzano a Lampedusa?

Qualcuno potrà dire che sarebbe già un miracolo riuscire ad ottenere che si abbiano i livelli essenziali. E ciò è certamente vero. Ma è proprio come principio che bisogna far capire, prima di tutto al Sud, che siccome non ha un livello di  tassazione diversa da quella che si applica al Nord, per un principio di uguaglianza sancito dalla nostra Costituzione, deve pretendere, ma perlomeno richiedere, livelli uniformi. 

Stesso trattamento da parte di uno Stato che si è dimostrato per una parte del Paese patrigno, e che ha permesso che per anni le risorse siano state distribuite secondo il principio della spesa storica. 

Il Dipartimento per le Politiche di coesione, contestato da alcuni centri di ricerca di vocazione nordista, fino a quando non è stato smantellato, calcolava in 60 miliardi la somma  sottratta al Sud se fosse stato adottato il principio della spesa pro capite uguale. 

Certo ci possono essere in Stati così grandi, come la Germania, la Francia e quindi anche l’Italia delle differenze tra le varie parti, ma l’obiettivo di rimuovere le differenze deve essere la stella polare che guida le azioni di tutti i Governi. Accettare invece che nella legislazione venga accettato che ad alcuni possano essere garantiti solo quelli essenziali é già una sconfitta. 

E tale accettazione riguarda anche i Livelli essenziali di assistenza (Lea), che sono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini. 

Ovviamente la conseguenza di tale condizione sono poi i viaggi della speranza, il trasferimento di risorse dalle regioni più povere a quelle più ricche, ma anche una vita media minore anche di tre anni rispetto alle realtà più ricche. Per cui lo Stato diventa anche “ladro di vita”. 

Obiettivo della legge sull’autonomia differenziata é mantenere invariata tale situazione, altro che costringere ad essere più efficienti le Regioni meridionali. Perché se è vero che vi possono essere forme di spreco, e certamente sacche, anche importanti, ce ne saranno, é anche vero che é difficile fare un matrimonio con i fichi secchi. 

L’autogol incredibile che ha messo a segno Roberto Calderoli con l’approvazione, di notte e in fretta, come dichiara Roberto Occhiuto «Mi sembra che per il modo in cui si è proceduto all’approvazione di questa riforma – di notte e di fretta – sia sempre più una bandierina da dare ad una forza politica che invece è una riforma capace di superare anche il divario fra le regioni del Sud e le regioni del Nord», è quello di aver aiutato l’accelerazione della consapevolezza. Finora la vulgata che è passata, diffusa dai media più titolati, è stata che la colpa del mancato sviluppo del Sud sia da ricercare nell’incapacità dei meridionali di utilizzare le enormi risorse destinata dal Paese. 

Mano mano ci si rende conto, analizzando in modo approfondito i dati, che il re è nudo. E che se il Mezzogiorno é rimasto indietro non serve domandare alla zingara, ma é scritto nelle politiche adottate fin dal 1860. Che plasticamente sono racchiuse nell’ aver fatto fermare l’Autostrada del Sole a Napoli e l’Alta Velocità Ferroviaria a Salerno. 

Qualcuno era così stupido da poter  pensare che il Sud potesse svilupparsi senza infrastrutture o invece si è pensato di tagliare lo Stivale e farlo affondare da solo? Che in molti si comincino a porre domande scomode é un risultato per il quale dobbiamo ringraziare Zaia e Calderoli. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

PUNTI DI VISTA / Aurelio Misiti: L’autonomia differenziata

di FRANCESCO RAOL’argomento ha polarizzato in modo particolare l’attenzione dei media e quindi degli italiani. La politica, nelle sue diverse compagini partitiche, si è frammentata: oltre ai sostenitori ci sono i contrari ed i parzialmente favorevoli. Seppur il provvedimento voluto dal Ministro Calderoli è già legge, con buona probabilità, essendo in fermento il desiderio di promuovere l’abrogazione della norma attraverso il ricorso all’Istituto del Referendum, abbiamo avuto modo di intervistare il prof. Aurelio Misiti, già Preside della Facoltà di Ingegneria presso la Sapienza di Roma, Presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, vice ministro alle infrastrutture e trasporti,  il quale, con molta disponibilità, ha voluto condividere non solo il suo pensiero in merito ma ha  illustrato una proposta alternativa di riforma, rispetto alla norma recentemente approvata. 

-L’esperienza di 54 anni delle Regioni italiane mostra un bilancio chiarissimo. In questo periodo, il divario tra il (ricco) Nord e il (povero) Sud è aumentato?

La Costituzione italiana prevede che le Regioni debbano dedicarsi alla programmazione del territorio, mentre esse, oltre a programmare, si sono caricate di un’attività operativa tipica dei comuni. Tanto è vero che i Presidenti si autoproclamano governatori. Al Titolo V della nostra Carta costituzionale è prevista l’autonomia, che non va definita differenziata, in quanto ciò vuol che in Italia ci sarebbero Regioni ricche e regioni povere da assistere con una prevista solidarietà. Non basta affermare che, prima di attuare la legge approvata dal Parlamento, bisogna realizzare i Lep e mettere nelle stesse condizioni di partenza le regioni e addirittura le stesse persone. Ciò significherebbe che le Regioni del Nord aumenteranno la loro ricchezza e quelle del Sud la loro povertà. 

-In merito alla Legge Calderoli, indicata come spaccaitalia, il suo pensiero appare divergente. Può illustrarci la ragioni?

Vista nel suo complesso, la legge proposta dal Ministro Calderoli va abolita. In quanto va attuata l’autonomia prevista dalla Costituzione, ragion per cui le unità territoriali dovrebbero essere in grado di gestirsi autonomamente in tutto e senza ricorrere ad assistenza esterna. Per raggiungere questo risultato, sarebbe necessaria una profonda riforma costituzionale da realizzarsi nel prossimo decennio.

-Perché secondo lei è necessaria una profonda riforma alla Carta costituzionale? 

Come già anticipato, il regionalismo previsto dai costituenti, nel dare vita alla Costituzione più avanzata del mondo occidentale, aveva l’obiettivo di realizzare la parità tra le regioni del Mezzogiorno e le regioni del Nord. Di fatto, l’evolversi delle dinamiche post-belliche, con la ricostruzione dell’Italia, ha comportato l’affermazione del divario Nord-Sud. Bisogna ricorrere alla storia culturale, politica e costituzionale del nostro Paese, unificando le regioni, le quali, da sole non riescono a gestirsi e attraverso una riduzione del numero delle stesse, sarebbe necessario passare dalle attuali venti a quattro. Le attuali regioni saranno enti intermedi (tipo le vecchie province), operative e attuatori delle politiche decise e programmate dalle macroregioni. Nello specifico: nel Meridione otto regioni, unite in una macroregione, conterebbero circa 18 milioni di abitanti. Poi, Lazio, Umbria, Marche, Sardegna, Toscana, macroregione centrale, con oltre dieci milioni di abitanti; Emilia-Romagna, Veneto, Venezia Giulia, Alto Adige, con 13 milioni di abitanti, diverrebbe la macroregione nord-est e infine, Liguria, Piemonte, Lombardia e Val d’Aosta macroregione nord-ovest con circa 17 milioni di abitanti. Ciascuna delle macroregioni rappresenterebbe una entità statale con tutti i poteri e le strutture necessarie. L’Italia diventerebbe uno Stato con i poteri fondamentali: forze armate, economia, istruzione, sanità – che deve tornare allo Stato in quanto è necessario garantire a tutti le stesse opportunità prima di tutto in ambito sanitario. Questo modello è riconducibile al sistema federale già diffuso in Europa – Germania, Francia Spagna e Svizzera e il potere periferico viene esercitato attraverso la funzione decisionale dei rispettivi Länder oppure dei Cantoni.

-Attraverso questa proposta, non si potrebbe rischiare un ulteriore acuirsi delle cause che hanno generato gli attuali divari non solo tra Nord e Sud ma anche tra le diverse regioni d’Italia?

Prima di affermare che siamo autonomi dobbiamo pensare alle necessarie modifiche costituzionali. Non bisogna fare i Lep – livelli essenziali delle prestazioni –, bisogna fare il cambio della struttura regionale. Naturalmente, l’unificazione delle macroaree non dovrà far perdere la singola originalità delle regioni. 

-Secondo lei, i tempi sono maturi per attuare una riforma del genere?

Se questa riforma costituzionale venisse realizzata avremmo in Italia l’autonomia vera e propria, per intenderci, quella prevista dal Titolo V della Costituzione e, in tal modo, si potrebbe andare avanti tutti insieme. Naturalmente ci sarà qualcuno che andrà più veloce e qualcuno che andrà meno veloce. Ma la velocità di cui stiamo parlando non sarà tale perché prevista dalla Costituzione. I ritardi saranno generati dall’incapacità, mentre le azioni virtuose saranno frutto della capacità amministrativa e allora, i risultati, andranno ricercati tra le attività svolte tra le macroregioni e non tra le persone.

-Attraverso questo suo ultimo concetto ripone una forte aspettativa sulle persone. Quale sarebbe il loro ruolo secondo lei? 

In tali condizioni ci sarebbe il ritorno della gente nei luoghi di origine e tutto ciò significherebbe rinascita strutturale dei sistemi socioeconomici e produttivi. Basti pensare che i contratti nazionali di lavoro potranno essere stipulati nelle singole macroaree interessate, mentre la parte giuridica dovrà essere uguale in tutta Italia e la parte economica, contrariamente ad oggi, terrà in considerazione le esigenze locali. Vista la nostra condizione territoriale, può anche darsi che i contratti collettivi di lavoro potrebbero essere più vantaggiosi nell’area meridionale che nell’attuale Lombardia e quindi potremmo attirare nuovi investimenti e rendere possibili nuove opportunità di crescita socioeconomica. 

-Attraverso la realizzazione di questa riforma, il Meridione assumerebbe un ruolo fortemente strategico per il rilancio dell’intero Paese? 

Esatto. La visione di questa riforma, da attuare nel corso del prossimo decennio, potrebbe dare vita al progetto di sistema per il Sud dell’Italia e l’Europa, come a suo tempo illustrato con lungimiranza dallo studio pubblicato da Svimez nel 2021, creando quei presupposti di sviluppo per il corso dei prossimi cento anni attraverso un virtuoso processo di crescita e sviluppo. Si pensi infine al ruolo che potrebbe svolgere una Città Metropolitana dello Stretto, composta dalle due Città metropolitane di Reggio Calabria e Messina con circa 1,5 milioni di abitanti, il Porto di Gioia Tauro, l’aeroporto dello Stretto, l’Aspromonte, gli scavi archeologici di Locri, le Università e tutte le ricchezze afferenti alle risorse culturali della Magna Grecia, quest’ultimo autentico vettore di cultura e di attrazione turistica mondiale. La Città Metropolitana dello Stretto potrebbe superare definitivamente gli effetti della rivolta del 1970 che hanno portato alla suddivisione, proposta allora dal Governo nazionale, con l’istituzione dell’Università a Cosenza, il Capoluogo a Catanzaro e la sede del Consiglio regionale della Calabria a Reggio. 

Tutto ciò potrebbe dar vita ad una piccola Rio de Janeiro, naturalmente senza le favelas, divenendo oggettivamente la capitale del Mediterraneo. In sostanza, queste riforme potrebbero portare al superamento del Gap tra Sud e Nord attualmente esistente. (fr)

 

CHE CALDISSIMA ESTATE, SEN. CALDEROLI!
MA DOVREBBE SCEGLIERSI UN UNICO RUOLO

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – Bisognerebbe che qualcuno suggerisse a Roberto Calderoli di scegliersi un ruolo. Quello di arbitro, di centravanti di attacco, di Presidente dell’Istat, di difensore degli interessi del Sud, ma uno.

E invece l’Autore del porcellum, vuole  ricoprire tutte le posizioni. Adesso anche quella di Giudice Costituzionale. Ufficialmente ha quella di Ministro della Repubblica, uomo al di sopra delle parti che lavora per il bene del Paese.

In realtà ricopre quella di Ministro della costituenda macroregione del Nord, che tenta di attuare il principio, inesistente, di un residuo fiscale, che dovrebbe essere mantenuto nelle Regioni in cui si formerebbe, stabilendo una regola strana e cioè  che si dovrebbero avere diritti diversi a seconda di dove si nasce.

In realtà la Costituzione stabilisce che ogni cittadino ha il dovere di pagare le imposte in base al reddito prodotto e di avere servizi analoghi in qualunque parte del Paese, ma la risposta immediata è che ne è parte anche la modifica del Titolo V e l’Autonomia Differenziata. E questo è vero. Ma certamente non il tipo di normativa che hanno approvato, “di notte e di fretta”, come dice Roberto Occhiuto, Governatore della Calabria di Forza Italia, al quale certo non si può  attribuire una opposizione  preconcetta e ideologica.

Si è autoproclamato, Calderoli, anche difensore degli interessi dei cittadini del Sud, costretti, a suo dire, a subire una classe dirigente che li vessa e spreca le risorse, ovviamente del Nord.

Ora vuole essere anche Presidente dell’Istat, sedicente  unico a conoscere i dati veri e di ricercatore del Dipartimento delle Politiche di Coesione per contraddire ciò che lo stesso Dipartimento ha evidenziato, e cioè che ogni anno, se la spesa pro-capite fosse uguale tra le varie parti del Paese, il Mezzogiorno dovrebbe ricevere 60 miliardi in più, e infine anche quella di Giudice della Corte Costituzionale visto che vorrebbe stabilire se il referendum abrogativo è ammissibile o meno.

Cosi con tutti questi cappelli, che cambia a seconda le esigenze, cerca di negare l’evidenza. Vecchio approccio che conosciamo bene. Con argomenti all’apparenza sofisticati tesi a dimostrare che in realtà il Sud ha avuto molti soldi, che li spreca, che è gestito da incapaci e che se i servizi sono minori, anzi spesso inesistenti come l’Alta Velocità Ferroviaria, la colpa è solo dei meridionali.

Se poi si sostiene che vi è stata  una volontà di abbandono totale,  di tagliare lo Stivale e farlo affondare da solo, sguscia su tecnicismi vari per dimostrare che il sole gira attorno alla terra, che l’agnello che sta sotto gli sta sporcando l’acqua, e che lo ha offeso quando ancora non era nato.

Negli ormai frequentissimi interventi su tutti i Quotidiani nazionali, novello azzeccagarbugli dei ricordi manzoniani, trova sempre il modo di sostenere l’insostenibile e cioè che le risorse che vengono date al Sud sono molto consistenti e sovrabbondanti. Il concetto di spesa storica accettato da tutti non lo sfiora nemmeno.

Ormai è chiaro che è iniziata la campagna d’autunno anche se si è in piena estate. L’Ultima accusa è che politici e gli intellettuali meridionali, oltre che i Quotidiani del Sud, che peraltro sono  pochi e non molto diffusi, non raccontino la verità, anzi la mistifichino, e che stanno facendo una operazione di disinformazione: «Un po’ li capisco. Ogni mattina guardo la rassegna stampa e quando leggo le ‘balle’ che scrivono sull’Autonomia i giornali del Sud , mi vien da pensare che se io fossi un cittadino che vive in Meridione andrei di corsa a firmare per il referendum», afferma.

Potrebbe continuare il nostro Ministro affermando che non è vero che il tempo pieno a scuola al Sud è inesistente, che i viaggi della speranza per una sanità efficiente sono una illusione, che l’alta velocità arriva fino ad Augusta, e che non è vero che in molte province della Sicilia l’acqua arriva, non a giorni,  ma a settimane alterne.

Calderoli si dice pronto a fare “un’operazione trasparenza”: “«D’ora in avanti – annuncia – tirerò fuori i numeri ufficiali che dicono come vengono spese le risorse dello Stato dalle Regioni. Perché il punto è tutto lì».

La cosa strana è che in realtà non vi è una grande mobilitazione del Sud. Se l’operazione avvenisse al contrario sarebbero cadute le mura di Gerico. Si è vero sono state raccolte 500.000 mila firme on line e ci si avvicina alle 200.000 nei banchetti.

Tale risultato viene considerato un grande successo, e certamente lo è, tanto che sta spaventando un po’ i partiti al  Governo del Paese, e che Forza Italia ha preso le distanze dalla legge, ma rispetto alla protervia e all’atteggiamento tracotante del Ministro mi sembra ben poca cosa e che la reazione sia contenuta.

Nessuna richiesta di dimissioni, nessuna invasione di campo, come accade quando l’arbitro fa stupidaggini, per un Ministro che gioca per una squadra quando dovrebbe essere l’arbitro, nessun invito a smetterla perché con le tante affermazioni si ha la sensazione che creda che i meridionali abbiano  ancora l’anello al naso. Rimane al suo posto invitando nelle commissioni tecniche professionalità che contemporaneamente lavorano per il ministro e per la Regione Veneto.

La certezza comunque che i meridionali non siano capaci di vere reazioni si manifesta in ogni passaggio e vi è un diffusa convinzione che in ogni caso basta poco per zittirli.

D’altra parte quale voce hanno nel dibattito nazionale, se la maggior parte dei quotidiani è di fede nordista, se molti media, compresa la Rai pubblica, difendono  gli interessi economici forti, che prevalentemente hanno radici in una parte del Paese.              

Il 14 agosto  del 1861 nelle città di Pontelandolfo e Casalduni, in provincia di Benevento, si diede vita ad una rappresaglia militare che registrò un numero imprecisato di morti, un centinaio secondo la storiografia ufficiale, secondo altre stime invece circa 400 o 900, forse oltre mille.  Un vero e proprio massacro attuato  per rivendicare l’attacco dell’11 agosto dello stesso anno in cui furono uccisi da briganti e contadini del posto 45 militari dell’esercito unitario, arrivati in città per ristabilire l’ordine pubblico e porre fine alle ribellioni popolari.  Bene non bisogna dimenticare che l’unità del Paese  ha avuto prezzi altissimi. Bisogna quindi evitare  che il livello dello scontro tra Nord e Sud si  alzi sempre di più. E che possano alzarsi le voci per una separazione rispetto ad una parte che viene ritenuta colonizzatrice, mentre l’altra si sente colonia.

Per questo bisogna impedire a un Ministro della Repubblica di prendere posizione così sfacciatamente di parte.

Perché come Catilina sta approfittando della nostra pazienza. (pmb)

(Courtesy Il Quotidiano del Sud / L’Altravoce dell’Italia)

IL VERO PERICOLO DELL’AUTONOMIA È CHE
TRASFORMI L’ITALIA IN NUOVA ARGENTINA

di DAMIANO SILIPOLa legge sull’autonomia differenziata è stata definitivamente approvata, ma quasi certamente passerà al vaglio del referendum. 

Capire quali sono le conseguenze, con analisi scevre da pregiudizi politici, diventa quindi fondamentale per indurre i cittadini del Nord come quelli del Sud a votare e a fare scelte consapevoli.

La legge prevede il trasferimento della gestione dallo Stato alle regioni di 23 materie, su richiesta di queste ultime. Si tratta di materie fondamentali per lo sviluppo e la garanzia dei diritti essenziali di cittadinanza, come scuola, sanità,  energia, infrastrutture, trasporti, ecc. Una volta concordato il trasferimento delle competenze richieste, lo Stato deve trasferire alla regione le risorse finanziarie e il personale dipendente dal ministero competente. Da quel momento, la regione può legiferare nelle materie devolute in piena autonomia, stabilendo anche salari e stipendi dei suoi dipendenti.

È facile prevedere che le regioni ricche useranno l’autonomia per incrementare l’offerta di servizi ed attrarre personale laddove c’è più carenza, come nella sanità, offrendo stipendi doppi o tripli rispetto a quelli delle regioni povere, come già oggi avviene con le regioni a Statuto speciale, a cui questa legge si ispira. 

I fautori della legge sostengono che, comunque, verranno garantiti i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) su tutto il territorio nazionale. Per capire se l’autonomia differenziata è compatibile con la realizzazione dei Lep, basta osservare che già oggi lo Stato, con una capacità fiscale ben superiore a quella che avrebbe dopo la realizzazione dell’autonomia, non è in grado di garantire i Lep nel solo settore della sanità (cioè i Lea), a causa dei vincoli di bilancio imposti dall’enorme debito pubblico dell’Italia. Comunque, la Banca d’Italia ha stimato che per realizzare i Lep su tutto il territorio nazionale occorrono 100 miliardi aggiuntivi all’anno. Se a questi si aggiungono altri 100 e più miliardi di debito derivanti dalla realizzazione del Pnrr, si può comprendere come l’autonomia differenziata creerà una miscela esplosiva fatta di maggiore spesa pubblica, a cui lo Stato italiano non sarà in grado di farvi fronte, perché intanto con l’autonomia differenziata ha trasferito gran parte della capacità fiscale alle regioni ricche. Altro che spingere le regioni del Sud a svegliarsi e non vivere di assistenzialismo!

Il vero pericolo dell’autonomia differenziata è quello di trasformare l’Italia in un paese come l’Argentina, e questo non può non preoccupare i cittadini del Nord come quelli del Sud. Consapevole di questo pericolo, la stessa maggioranza all’ultimo minuto ha introdotto un emendamento (articolo 8 della legge) che stabilisce che ogni anno verrà ridefinita la percentuale di tasse che rimane nella regione che ha ottenuto l’autonomia. Come dire: quello che ti abbiamo dato oggi te lo possiamo togliere domani, se lo Stato non sarà in grado di ripagare il debito pubblico. Con la differenza che comunque lo Stato non sarà più in grado di far fronte a crisi finanziarie repentine, come quella che nel 2011 ha costretto Berlusconi alle dimissioni. Un altro esempio di porcata alla Calderoli!

Senza contare che ci sono delle ragioni economiche di efficienza ed equità che giustificano una gestione centralizzata di alcune materie. In teoria, con l’autonomia differenziata ogni regione potrebbe avere un sistema energetico, di trasporti o scolastico differente. Inoltre, solo una gestione centralizzata della sanità, che tenderebbe ad uniformare gli standard dei servizi sanitari pubblici offerti su tutto il territorio nazionale, consentirebbe di garantire il diritto alla salute di tutti i cittadini. Infine, con l’autonoma differenziata ogni regione deve dotarsi di una propria politica ambientale per far fronte ad un problema globale come quello del cambiamento climatico. In altri termini, le problematiche in settori come energia, ricerca e ambiente richiederebbero di essere affrontate a livello sovranazionale, mentre in Italia vengono devolute alle regioni. Comunque, è immaginabile prevedere quali saranno le conseguenze per le imprese che vorranno operare in regioni diverse da quelle di origine, dovendo fare i conti con 20 diverse legislazioni e burocrazie regionali.

In definitiva, l’autonomia differenziata, nata per soddisfare l’egoismo delle regioni ricche, rischia di portare l’Italia al default, perché toglie allo Stato italiano il potere di far fronte a shock esogeni, sempre più frequenti sui mercati finanziari, e riduce le opportunità di crescita del paese, perché la desertificazione del Mezzogiorno a cui porterà l’autonomia differenziata non sarà solo a vantaggio delle regioni ricche, poiché gran parte delle giovani generazioni si trasferiranno all’estero, dove avranno occasioni di vita e di lavoro anche migliori di quelli offerti dal Nord del paese. (ds)

[Courtesy LaCNews24]

CONTRO AUTONOMIA SLOGAN GARIBALDINO
UNIAMOCI: QUI SI FA L’ITALIA O SI MUORE

di MIMMO NUNNARI – C’è un’espressione che abbiamo imparato fin da piccoli, leggendola con qualche emozione sui libri di testo della scuola: “Qui si fa l’Itàlia o si muòre”, attribuita dallo scrittore e patriota Giuseppe Cesare Abba – che fu testimone – a Giuseppe Garibaldi, il quale durante la battaglia di Calatafimi il 15 maggio 1860 l’avrebbe rivolta a Nino Bixio, suo braccio destro, una delle figure più note del Risorgimento.

Divenuta proverbiale, la frase è ripetuta, con diverso significato, secondo i contesti, per esprimere la necessità di una condotta decisa, risoluta, come per esempio è accaduto all’indomani della Seconda Guerra mondiale, quando l’Italia si presentava come un cumulo di macerie materiali e morali e si è potuto rinascere soltanto grazie alla presenza di uomini onesti illuminati e di buona volontà di tutte le parti politiche, che furono capaci senza titubanza alcuna di creare uno spirito unitario, in grado di superare le varie diversità. Al di là della retorica patriottica e risorgimentale quella frase vorremmo risentirla pronunciare oggi, da quanti, popolo, cittadini, politici, di fronte alla battaglia decisiva per la sopravvivenza dell’Italia e al rischio “dissoluzione” derivante dall’Autonomia differenziata, si accingono a sostenere il referendum.

La frase, “O si ricostruisce l’Italia o si muore”, auspichiamo diventi un urlo corale e che il Sud l’asserzione ascoltata sul campo di battaglia da Abba, combattendo proprio a Calatafimi, la faccia propria. Quale migliore occasione del referendum ha il Meridione per uscire dal letargo e ribellarsi, anche per il passato di emarginazione e trascuratezze, trovando, come dice Daniele Macris, professore di greco e studioso delle Chiese d’Oriente e d’Occidente “un sussulto di dignità da parte di chi è stato sfruttato infinite volte”. Macris, attento studioso meridionalista spiega che in questa occasione dell’Autonomia differenziata “l’equivoco unitario emerge ancora più sfacciatamente”.

Siamo d’accordo con lui, perché la nostra unità nazionale è rimasta malcerta come all’inizio e quindi incompiuta. Non pensiamo che il referendum possa risolvere tutte le annose questioni ma un urlo potente che salga dal Sud può scuotere le coscienze addormentate del Paese, richiamare l’attenzione, anche dell’Europa, sulla secolare assenza dello Stato nel Meridione. Stato, storicamente guardingo ma non governante che ha lasciato i cittadini meridionali soli a muoversi dentro un panorama di disorientamento umano e sociale, alimentando in loro la percezione di non essere stati mai ammessi per colpe inspiegabili al processo di sviluppo e di crescita dell’Italia e di essere stati cancellati dall’agenda dei Governi tutti, con motivazioni bugiarde, arroganza coloniale e nel silenzio indecente di partiti, media e cultura.

Alla data nefasta dell’approvazione del progetto di legge di Autonomia differenziata dì Calderoli – un vero e proprio atto di secessione – sul campo restano le promesse di decenni, o di secoli: lavoro, strade, ferrovie, scuole, porti, aeroporti, infrastrutture, cose che erano indispensabili al Sud per una crescita armoniosa del territorio, come avvenuto per altre aree della nazione. Lo stesso megaprogetto del Ponte sullo Stretto voluto dal leader leghista e ministro delle infrastrutture Matteo Salvini più che colmare una carenza prioritaria assomiglia metaforicamente al cavallo di Troia: uno stratagemma pensato e realizzato allo scopo di distrarre i meridionali per non far vedere i nuovi scippi che si preparano per e cercare consensi elettorali in luoghi precedentemente disprezzati. E se in tutto questo c’è inganno, come maliziosamente pensiamo, sventuratamente Salvini non è neanche Ulisse: qui parliamo non del poema epico più grande di tutti i tempi ma di miserie quotidiane della politica politicante e non di eroi dell’Odissea.

Parliamo di zone del Paese che dopo essere state sacrificate, sfruttate, saccheggiate, ora – con l’Autonomia – sono destinate a restare più sole trascurate e abbandonate perché le terre del Nord se ne vanno, portandosi dietro nuovi bottini con la famigerata secessione dei ricchi voluta dalla coalizione di Governo: Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. E qui qualcosa di definitivo da dire spetta al presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto che di Forza Italia è il potente vicesegretario e leader nel Meridione. È vero che ha contestato il metodo: «Una legge di questo genere doveva essere maggiormente metabolizzata dal Paese, invece è stata approvata di notte e di fretta, facendola sembrare ancora più divisiva rispetto a quello che è».

È molto sul piano politico quel che ha affermato ma è ancora poco sul piano sostanziale. Schierarsi e schierare la Calabria in tutti i modi possibili contro lo scellerato progetto di Autonomia gli farebbe onore e sarebbe un atto di coraggio politico senza precedenti che lo porterebbe all’attenzione del Paese. Aderire per esempio al referendum sarebbe un atto importante. Il referendum è un’occasione che assume un’importanza vitale. Ci sono stati referendum che hanno cambiato la storia politica, economica e sociale del Paese, per cui questo strumento in mancanza di altre iniziative al momento è il più adatto.

Va detto infine che in tema di Autonomia la Chiesa italiana che da qualche tempo ha ritrovato uno spirito nazionale riconciliante di fronte al paese spezzato, si è espressa con autorevolezza, ai massimi livelli: «L’autonomia differenziata è un problema che riguarda tutto il Paese, e quindi la Chiesa italiana nel suo insieme», ha detto il presidente della Cei cardinale Matteo Zuppi annunciando la bocciatura senza appello dei vescovi italiani del ddl Calderoli. Il mondo cattolico italiano da Nord a Sud è certo che con l’Autonomia aumenteranno le diseguaglianze. In un documento l’Azione Cattolica di Milano alla vigilia delle Settimane Sociali tenute a Trieste ha denunciato – con riferimento all’Autonomia differenziata – «il tentativo di cancellare il necessario riferimento alla solidarietà nazionale, all’unità e indivisibilità del Paese, oltre che all’attenzione e vicinanza ai territori più svantaggiati, che potrebbe aggravare le differenze territoriali a partire dalle differenze economico-sociali tra il Nord e il Sud Italia».

Sul tema, dopo aver sottolineato che si indebolirà la solidarietà, deperirà il tessuto sociale ed economico del Mezzogiorno e delle “aree interne” e si creerà una fonte di ingiustizia e di perenni conflitti, monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Ionio e vice presidente della Cei per il Sud, è stato ancora più esplicito: «Lasciate che vi dica che l’autonomia differenziata è la madre di un’ingiustizia epistemica che vuole ridisegnare un’Italia spaccata dalla disparità sociale». L’espressione “qui si rifà l’Italia o si muore”, come slogan per il referendum, dunque ci sta ben. (mnu)

CON L’AUTONOMIA LA CALABRIA PERDERÀ
5,34 MLD: COSÌ MUORE LA SANITÀ PUBBLICA

di CARLO RANIERIPremesso che, il tallone di Achille dell’autonomia differenziata (n. 86/2024) è la distinzione fatta tra materie tra Lep e non Lep, la normativa approvata il 26 giugno 2024,  prevede un doppio canale (quelle non Lep concedibili subito), ma   l’art. 116 Cost. parla di 23 materie devolvibili alle Regioni.

La distinzione tra materie Lep e non Lep è un’invenzione del governo Meloni, il prof. S. Cassese, ebbe a dire “che la distinzione è stata complicata ed in alcuni casi impossibile”. Il Presidente Emiliano in audizione ha detto che  «i Lep non sono altro che la vita sociale e civile dei cittadini ed è impossibile determinarli senza fare sperequazione».

I Lep si sa, non saranno mai determinati, in quanto non compatibili con il quadro della finanza pubblica per come delineato dall’art. 119 cost., e anche se determinati, vanno  a incidere sui principi di  eguaglianza e  solidarietà tra i cittadini della Repubblica Italiana, con gravi squilibri territoriali  e unitarietà  dello Stato Italiano (artt. 2, 3 e 5 Cost.).

Bloccando il trasferimento (con richiesta di referendum di abrogazione parziale) delle materie non Lep di fatto si blocca la legge Calderoli.

Altra contraddizione, per determinare i Lep la norma prevede il decreto legislativo, mentre demanda ad una commissione tecnica (Ctfs) la determinazione dei costi e fabbisogni standard, questo diverso modo di procedere può essere impugnato alla Consulta per un’abrogazione parziale, che di fatto bloccherebbe le intese del 2018 riesumate dall’art. 11, c.1.

Disastro autonomia per la Calabria

Con l’autonomia differenziata (AD) sarà fine dello stato unitario. Dal 2027 ogni Regione dovrebbe mantenersi con i tributi incassati sul territorio (D.Lgs n. 168/2011 per come modificato dalla legge n. 197 del 2022, art. 1, comma 788 governo Meloni). 

La Calabria incassa il 51% di quello che spende

Lo Stato grazie al surplus fiscale del Nord versa quale trasferimenti erariali alla Calabria circa 5,34 miliardi (il bilancio della Regione è circa 5,5 miliardi). Con l’autonomia differenziata cesseranno. Senza questi fondi chiuderanno: ospedali, scuole, trasporto pubblico locale  e servizi sociali.

La spesa primaria netta calabrese  (ovvero la spesa pubblica nominale al netto della spesa per interessi), quale valore pro-capite:  spesa primaria € 12.941, entrate € 8.364 (saldo negativo di € 4.307 )  per ogni cittadino calabrese.

Per coprire questo saldo negativo interviene il residuo fiscale della altre regioni (Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli e Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio) alla Calabria, che cesserà quando saranno devolute le materie non Lep. Per un abitante della Valle d’Aosta (RSS) la spesa primaria netta è il doppio di quella di un calabrese € 23.905.

Sanità Calabria – Gli effetti collaterali dell’autonomia differenziata

Su una spesa storica (Dpcm 30 agosto 2021) di oltre 3miliardi (complessiva 4,5miliardi) vengono dati 1,6 miliardi quale perequazione (art. 119 costituzione), senza  questo trasferimento dovremmo comprare le medicine – chi non ha soldi muore – fine della sanità pubblica. Nell’anno 2022 per ogni abitante dell’Emilia Romagna la spesa sanitaria pro-capite è stata  di  2.495 euro l’anno (747 euro in più), per un calabrese  1.748  euro, con l’autonomia differenziata saranno 839 euro (908 euro in meno a testa).

Diminuirà il personale sanitario e scolastico in quanto nelle materie non Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) già chieste dalle Regioni del Nord si possono differenziare gli stipendi sino  a  raddoppiarli con fondi regionali (tramite contratti integrativi). 

Andranno via migliaia di medici, infermieri e professori, saremo costretti a trasferirci la Nord per qualunque tipo d’intervento e per  studiare. La Calabria spende circa 280 milioni l’anno, per cure fuori regione con l’Ad non ci saranno più i fondi per il rimborso. 

Per anziani e fragili non esisteranno più i fondi per comprare costosi medicinali (una scatola di cp. antitumorale costa sino  a 10.000 euro al mese), potranno morire.

Nel 2022 il 52% degli interventi oncologici (n. 3.100 dati Svimez) di calabresi sono stati fatti fuori regione. La vita è una sola e non si può morire per la cattiva sanità nostrana (in piano di rientro da 2008) e commissariata dal 2009 sia per disavanzo di bilancio che LEA sotto la soglia mix di 60.

Scuola e autonomia differenziata (Preintese tra Governo tre regioni del Nord del 28 febbraio 2018)

Sarà la Regione a stabilire i programmi scolastici complementari e la quantità  personale da assumere (più professori rispetto a quanto stabilito dalla Stato), ci sarà un sistema integrato d’istruzione, per cui un diplomato o laureato del Nord sarà meglio formato e quelli del sud non troveranno lavoro.  

La programmazione delle università del nord sarà finalizzata per favorire lo sviluppo sociale di quelle regioni con corsi di studi ad hoc (quindi i laureati nel sud saranno molto meno qualificati). Ci sarà un fondo integrativo regionale per la didattica, molto più mezzi (strumenti di laboratorio etc…).

Per il trasporto pubblico locale ci saranno meno fondi per comprare autobus e pullman

Le regioni come la Calabria compra i mezzi del trasporto pubblico in conto capitale con il fondo perequativo (cioè soldi del Nord trasferiti al sud), senza di questi dovremo viaggiare con il ciuccio-bis o a piedi.

L’autonomia differenziata  non è altro che trattenersi il surplus fiscale delle regioni del Nord: Piemonte, Lombardia (53 miliardi), Veneto, Liguria – Emilia Romagna – Lazio, complessivamente sono circa 93 miliardi di cui circa 43 miliardi  sono trasferimenti erariali verso le Regioni a Statuto Ordinario Rso  più svantaggiate (Umbria – Marche – Abruzzo – Molise – Campania – Puglia – Basilicata e Calabria). 

Questa legge non riguarda le regioni a statuto speciale (RSS) che hanno una legislazione speciale (come Sicilia – Sardegna – Valle D’Aosta – Friuli Venezia Giulia – Trentino Alto Adige), in quanto trattengono già nei territori una  parte dei proventi (generati sul territorio: IVA – Imposte erariali – proventi del lotto, Irpef – Irpeg …).

Con la legge Calderoli le regioni firmatarie d’intese (cioè un contatto tra le parti Governo e Regione) saranno di fatto Regioni  a Statuto Speciale (RSS) che tratteranno sul loro territorio sino ai 9/10 del gettito fiscale maturato,  fine del surplus fiscale – fine della perequazione – fine trasferimenti erariali in Calabria. Saranno  disapplicate le leggi dello Stato nelle materie devolute, si osserveranno le competenze legislative e amministrative delle intese (art. 7. comma.5 legge) come per le Rss

Senza l’accordo di entrambi le parti (Stato e Regione) le intese saranno irreversibile in quanto non potranno essere  modificate prima di 10 anni (art. 7, comma 1), non esiste come in Germania o negli altri stati federali la clausola di supremazia dello Stato sulla Regione, nonostante l’Italia non sia uno stato federale ma regionale.

Poiché la legge Calderoli prevede l’invarianza di bilancio, non si possono fare spese aggiuntive. I Lep (livelli essenziali delle prestazioni) sono il mix delle prestazioni concedibili, in campo sanitario dal 2001 si chiamano Lea (Livelli essenziali delle Prestazioni), la scala che li misura va da 0  a 100 il mix è 60 (Calabria è inadempiente meno di 60 nella distrettuale Asp siamo a 47,51%, l’Emilia Romagna 95,96%). Nonostante 15 anni di gestione statale (commissario) e leggi speciali, non si riesce: a superare il punteggio di 60 e chiudere con i debiti e  i bilanci pregressi (2013-2018 Asp RC– 2018-2019 Asp Cs).

Nella riforma del 2001 i livelli equivalenti dei diritti sociali e civile: istruzione, sanità, pensioni, previdenza sociale (in caso di malattia, gravidanza, disoccupazione), servizi socio-assistenziali  in tutto il territorio nazionale, sono diventati da equi  a essenziali delle Prestazioni Lep (art. 117 lettera m), cioè diritti minimi che non si faranno mai in quanto servono oltre 100 miliardi.

Che i Lep non siano sufficienti a superare le diseguaglianze territoriali è esplicitamente riconosciuto dalla legge Calderoli, infatti all’art. 10 impone allo Stato di stanziare risorse aggiuntive al fine di “garantire l’unità nazionale, nonché la promozione dello sviluppo economico, della coesione della solidarietà sociale, dell’insularità, della rimozione degli squilibri economici e sociali”.

Ma l’art. 10 è in netto contrasto con l’art. art. 9. (Clausole finanziarie) – comma 1. Dall’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Qualora le regioni più ricche riuscissero ad accumulare risorse in eccesso rispetto a quanto necessario per finanziare i Lep, nonché a trattenere tali risorse sul proprio territorio. (la norma rimanda alle regole di funzionamento delle commissioni paritetiche fra lo Stato e le singole regioni); regole la cui definizione è affidata alle singole intese. Certamente le Regioni con un eccesso di risorse le vorranno trattenere in questo caso (basta non modificare l’intesa), si avrebbe una sottrazione di risorse a danno o del bilancio dello Stato o delle altre regioni.

Si sottolinea il rischio concreto che lo Stato sia privato delle risorse finanziarie che sono necessarie per svolgere un compito essenziale, quale è quello della stabilizzazione ciclica a fronte degli alterni andamenti dell’attività economica.

Al momento la legge Calderoli non esclude che possano materializzarsi scenari assai preoccupanti sia per il buon funzionamento delle pubbliche amministrazioni sia per i conti pubblici.

Materie non Lep acquisibili subito art. 4 comma 2 Legge Calderoli 

L’organizzazione della giustizia di pace (lettera l art. 116 3c. e 117 c.2) la protezione civile;  la previdenza complementare e integrativa;  professioni (modificate dalla  L. Cost. n. 1/2022); protezione civile; rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; coordinamento della finanza pubblica  e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturalicasse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

Complessivamente sono 184 sotto materie. (cr)

[Carlo Ranieri è un ex funzionario del Consiglio regionale della Calabria]

Autonomia, in Calabria è nato il Coordinamento per il referendum

È nato in Calabria il Coordinamento per il referendum contro l’autonomia differenziata. Hanno aderito Cgil e Uil Calabria, Ali, Demos, Anpi, Arci, Acli, Udu, Uds, Cdc, Wwf, Cnca, Legambiente, Libera, la Rete dei numeri pari e diversi giuristi. Per i partiti politici hanno aderito Pd, M5, Avs, +Europa, Iv, Rifondazione Comunista e Psi.

«L’obiettivo – si legge in una nota – è quello di dare vita a una grande e diffusa mobilitazione con l’avvio della raccolta firme per la promozione del referendum abrogativo della legge. Uno solo il quesito e totalmente abrogativo della legge. L’avvio formale della campagna firme avverrà nel fine settimana e si concluderà il 30 settembre».

«Cinquecentomila le firme da raccogliere e autenticare per potere arrivare alle urne. Il Comitato – conclude la nota – si dice certo di riuscire nel proprio intento e pronto ad impegnarsi su i territori capillarmente per sensibilizzare e fare conoscere i pericoli insiti nella legge». (rcz)

INTERDIPENDENZA ECONOMICA: CRESCE IL
PAESE SENZA IL BISOGNO DELL’AUTONOMIA

di MASSIMO MASTRUZZOAlla base della interdipendenza economica, ci sono: il riconoscimento di diritti reciproci; il riconoscimento reciproco della legittimità degli obiettivi; la ricerca ed azione di politiche coordinate e concordate tra i territori e le Regioni.

Da qui la convinzione che serva lavorare ad una nuova visione di paese che guardi all’interdipendenza economica come ad una opportunità dalla quale trarre reciproci benefici. 

Ad avvalorare questa tesi v’è uno studio, curato da Srm (Intesa San Paolo) in collaborazione con Prometeia su “L’interdipendenza economica e produttiva tra il Mezzogiorno e il Nord d’Italia – Un Paese più unito di quanto sembri – che mostra come le principali filiere produttive nazionali siano tra loro territorialmente interrelate e come il Mezzogiorno generi spesso spillover di attività per il resto del Paese oltre a contribuire in valore alla forza competitiva dei nostri prodotti all’estero

Ad esempio il “ribaltamento” per ogni 100 euro di investimenti è diverso nelle due direzioni:  se investiti nel Mezzogiorno produco un ritorno (ribaltamento) verso il centro nord del 40,9% (40,9 euro); se l’investimento avviene nel Centro-Nord il ritorno verso mezzogiorno vale il 4,7% (4,7 euro). 

Chi crede e si ispira al criterio di equità: “dare a tutti le stesse opportunità”, dovrebbe lavorare affinché questa nuova visione di Paese sia il pilastro della democrazia, la molla che ne favorisca la diffusione e la base per una crescita morale ed economicamente equilibrata.

 Attualmente invece assistiamo ad un sistema Italia con divisioni e contraddizioni che, in barba a quanto previsto dall’art. 3 della Costituzione, spende di più dove c’è già di più, e meno dove in realtà servirebbe. 

Questo “Sistema Italia ” oltre ad essere moralmente inaccettabile, tantomeno costituzionalmente, non è più economicamente sostenibile. 

Purtroppo non solo si insiste sul mantenimento dello status quo, ma addirittura su un percorso che con l’autonomia differenziata, e in barba alle indicazioni di maggiore coesione sociale dell’Ue, aggraverebbe inevitabilmente la disomogeneità territoriale e segnerebbe definitivamente la fine del Mezzogiorno, mettendo i cittadini del Sud nella condizione di non credere più all’unità stessa del Paese.

L’autonomia differenziata un male anche per le ricche regioni del Nord

L’eccessivo consumo del suolo nel territorio del Nord Italia, è solo uno dei sintomi dell’accentramento di ricchezza in una sola area della Penisola.

Nella sola Lombardia, infatti, viaggia al ritmo di 2 metri al secondo. Con circa 750 nuovi ettari cementificati, pari a 1.100 campi da calcio, la Lombardia è la prima regione d’Italia per consumo di suolo. Il Record nel Bresciano: la provincia di Brescia, con 214,5 ettari consumati in un anno (seconda in Italia dopo Roma), pari al 27% del totale regionale. 

Confermando, quando ve ne fosse ancora bisogno, il nesso tra l’accumulo e la concentrazione di ricchezza con l’inevitabile conseguente danno ambientale. 

È noto infatti che la Pianura Padana è la zona con l’aria più inquinata d’Europa.

Gli alti livelli di inquinamento atmosferico sono causati principalmente dalla forte industrializzazione, dalla concentrazione di allevamenti intensivi di animali, dall’alta densità di popolazione, con la conseguenza che quest’ultima si porta in dote: più automobili, più case che significano più impianti di riscaldamento, e così via. Ovvero altissime concentrazioni delle famigerate polveri sottili PM 2.5.

Senza contare che una delle voci più «pesanti» dell’inquinamento da particolato Pm 2,5, è data dagli allevamenti intensivi di animali. Basti ricordare che uno studio portato avanti da Greenpeace in collaborazione con l’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ha portato alla luce un risultato molto preoccupante: tra il 2007 e il 2018 gli allevamenti intensivi hanno inquinato come quasi otto milioni e mezzo di automobili.

La Lombardia è la prima regione per numero di suini allevati di tutta Italia. Qui vivono quasi 4,4 milioni di maiali — ovvero il 50% della produzione nazionale. La provincia di Brescia conta più maiali che abitanti. La Lombardia è anche la regione con il maggior numero di capi bovini allevati in Italia: quasi 1,5 milioni, il 27% del totale, concentrati, anche questi, soprattutto tra Bergamo e Brescia. Subito dopo si attesta il Piemonte, con 815 mila capi e il Veneto con 753 mila. L’Emilia Romagna è al quarto posto con 572 mila capi.

Per questi motivi, ma non solo, andrebbe sostenuta la corretta redistribuzione nazionale dell’economia, che grazie all’interdipendenza economica, non toglierebbe nulla ai territori già ricchi, che anzi ne avrebbero un giovamento dal punto di vista dell’ecosostenibilità e della salubrità, rendendo peraltro tutta la nazione economicamente più stabile. (mm)

[Massimo Mastruzzo è del Direttivo nazionale Movimento Equità Territoriale]

AUTONOMIA, MATTARELLA FIRMA LA LEGGE
MA RICORDARSI CHE È UNA SCATOLA VUOTA

di ERNESTO MANCINIE così il Presidente Sergio Mattarella ha firmato il disegno di legge Calderoli (approvato in via definitiva dalla Camera il 16 giugno scorso) che stabilisce le procedure per arrivare alle intese con le Regioni ai fini dell’autonomia regionale differenziata. Pertanto, il disegno di legge sarà promulgato, pubblicato e diventerà legge dello Stato nei prossimi giorni.

È facile prevedere i trionfalismi di Lega & Co che si vanteranno di questo “nulla osta” del Quirinale: “se Mattarella, uomo saggio ed esperto di legittimità costituzionale, ha firmato vuol dire che ha condiviso il contenuto della legge sicché è tutto legittimo nonché perfettamente costituzionale”. 

Non è così.

Bisogna dire a chi millanterà questa firma come implicita certificazione di legittimità costituzionale, che la firma del Presidente su una legge è un “atto dovuto” ed è rifiutabile solo in caso di provvedimenti che si configurano come “attentato alla Costituzione” o che appaiano ictu oculi “palesemente incostituzionali” (per esempio: nuova legge ordinaria che preveda la pena di morte per la quale la Costituzione all’art. 27 pone invece espresso divieto).

Non trattandosi di tali fattispecie estreme, il Presidente ha l’obbligo di firmare senza che ciò in alcun momento significhi condivisione o approvazione della proposta legislativa che gli è stata sottoposta.

Al riguardo va ricordato quanto lo stesso Mattarella ha già avuto modo di insegnare. Nel Corriere della Sera del 4 gennaio 2019 (pag.3), Marzio Breda, tra i più stimati quirinalisti, riportava l’episodio in cui il Presidente, incontrandosi con un gruppo di studenti affrontava il tema del ruolo Capo dello Stato nella firma degli atti del Governo o del Parlamento. Un ragazzo gli chiede: «Quando le capita di firmare atti che non le piacciono come si comporta?». Risposta: «Quando mi arriva qualche provvedimento, una legge del Parlamento o un decreto del governo, io, anche se non lo condivido appieno, ho il dovere di firmarlo. Anche se la penso diversamente, devo accantonare le mie convinzioni perché devo rispettare quello che dice la Costituzione: che la scelta delle leggi spetta al Parlamento e la scelta dei decreti che guidano l’amministrazione dello Stato spetta al governo. E se non firmassi andrei contro la Costituzione. C’è un caso in cui posso, anzi devo non firmare: quando arrivano leggi o atti amministrativi che contrastano palesemente con la Costituzione. Ma in tutti gli altri casi non contano le mie idee, perché non è a me che la Costituzione affida quel compito, ma ad altri, al Parlamento e al Governo. E io ho l’obbligo di firmare, perché guai se ognuno pensasse che le proprie idee prevalgono sulle regole dettate dalla Costituzione. La Repubblica non funzionerebbe più».

Ineccepibile e chiarissimo, che più chiaro non si può.

D’altra parte, cosa pensi Mattarella dell’Autonomia Differenziata è già noto dai testi ufficiali dei suoi più recenti discorsi.  

In occasione della sua visita in Calabria del 30 aprile scorso, il Presidente ha avuto modo di affermare che “la separazione delle strade tra le Regioni del Nord e quelle del Sud comporta gravi danni alle une ed alle altre”.

Il 9 maggio successivo identica affermazione nella manifestazione Civil Week di Milano «Una separazione delle strade tra territori del Nord e territori del Meridione recherebbe gravi danni agli uni e agli altri».

Dunque, il Presidente ha firmato la legge Calderoli non avendo poteri interdittivi sulla stessa e non volendo doverosamente fare prevalere le sue idee su quelle del Parlamento. Un grande Presidente, come al solito, perfettamente ligio ai limiti dei suoi poteri costituzionali.

Ed ora cosa succede?

 Va detto che la legge Calderoli è solo una legge “procedimentale” e cioè una legge che segna il percorso per giungere alle intese Stato/Regioni ma che in alcun momento stabilisce le dimensioni di tali intese, la quantità o la tipologia delle materie da assegnare concretamente ed in modo differenziato alle Regioni.

Insomma, una “scatola vuota” (vedi i primi commenti su Repubblica del 26.06.24) che va riempita (o non riempita) di contenuti. Ed è proprio qui che si accenderà lo scontro fra chi vuole il massimo (Veneto – Lombardia, 23 materie con Calderoli tutt’altro che ministro dello Stato ma grand commis o procuratore del velleitarismo regionale) e chi, avendo a cuore l’unità della Repubblica non è disposto a concedere nulla di più di quanto le regioni non abbiano già, ed anche abbondantemente, in base all’assetto costituzionale attuale.

Ed è qui che si vedrà lo scontro tra chi vuole un regionalismo competitivo ed egoistico, foriero di sostanziale separatismo tra regioni del nord e resto d’Italia (non solo sud) e chi vuole, come i nostri Padri Costituenti del 1948, un regionalismo cooperativo e solidale che rechi utilità e progresso per tutto il Paese, nord compreso (artt. 2, 3 e 5 Costituzione). 

È qui che si vedrà come il nuovo titolo V del 2001 non potrà mai essere interpretato ed applicato fino al punto da trasferire le materie concorrenti e strategiche per lo Stato alla competenza esclusiva delle Regioni (istruzione, sanità, trasporti, energia, ecc. ecc.). Verrebbero infatti snaturate le disposizioni del titolo V ed il loro collegamento con gli art. 2,3 e 5 della Costituzione che impongono l’uguaglianza dei cittadini, l’unità e l’indivisibilità della Repubblica.  

È qui che si vedrà come la questione dei Livelli essenziali di prestazione è solo uno specchietto per le allodole in quanto si tratta di livelli che saranno “determinati” ma tutt’altro che “finanziati” per ridurre il gap tra i vari territori del Paese.

Ha fatto benissimo il Comitato nazionale per il ritiro di ogni Autonomia differenziata, l’unità della Repubblica e l’uguaglianza dei diritti – Tavolo No Ad, a diffidare formalmente il Governo a “non muovere foglia” se prima non vi sarà un quadro chiaro, complessivo, ragionato sotto ogni profilo (sociale, economico, istituzionale) delle concessioni che lo Stato intende fare, per quale motivo e con quali effetti sull’unità della Repubblica e dello stesso interesse strategico dello Stato. Da quel quadro emergerà tutta la irragionevolezza delle pretese regionali ed il caos istituzionale che ne deriverà in caso di cessione, peraltro dichiaratamente asimmetrica.

Non serve impugnare (e l’esito positivo sarebbe molto dubbio) una legge solo procedimentale ma bisogna prevenire e contestare le modalità con le quali questa legge verrà applicata.  Ed il cuore di questa applicazione sono le pre-intese Stato/Regione nelle quali si vedrà quanto i sedicenti patrioti siano disposti a svendere l’unità e l’indivisibilità della Repubblica ai noti secessionisti.

Altra cosa sarà il referendum abrogativo su questa legge Calderoli del 19 giugno u.s e la precedente normativa inserita furbescamente (ma il gioco è già scoperto) nella legge finanziaria n. 197/2022 art. 1 commi da 791 a 891) per impedirne la remissione alla volontà abrogativa della maggioranza dei cittadini. In quel caso non vi è questione di legittimità o meno ma di semplice volontà dei cittadini di mantenere o meno la legge ed ogni eventuale sua applicazione.

Si prospetta, insomma, una lotta dura nella quale l’associazionismo, la dottrina giuridica ed economica preponderante, il parere di tutti gli enti specialisti e le manifestazioni civiche non basteranno. Ci vuole lotta civile, lotta giurisdizionale, lotta politica e referendaria dalle quali nessuno può chiamarsi fuori, come invece è già avvenuto con media e partiti intervenuti solo a misfatto compiuto.

Infine, va detto che Il Presidente Mattarella è Presidente della Repubblica e cioè di un’entità superiore che, a mente dell’art.  114   della Costituzione si compone di Comuni, Città Metropolitane, Province, Regioni e Stato. Ma egli è anche, per espressa denominazione dell’art. 87 della Costituzione, Capo dello Stato, cioè uno dei soggetti di cui si compone la Repubblica. Egli sarà pertanto chiamato a difendere gli interessi dello Stato qualora, come potrebbe accadere in fase di applicazione della legge Calderoli, il regionalismo egoistico sarà favorito da un Governo cedevole, a danno dello Stato, per mera tattica di mantenimento del potere. Ed in quel caso ci troveremmo di fronte alla “manifesta incostituzionalità” oggi non eccepibile. (em)