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La Festa della Madonna a Mare

La Festa della Madonna a Mare

di FRANCO CIMINO – Non ne avrei detto quest’anno. E non avrei saputo il perché. Sarebbe stata la prima volta che non avrei riferito delle mie emozione per la Madonna a mare. Ma la sollecitazione di un mio amico, che per mestiere fa il giornalista e, per capacità innate, lo è tra i migliori in Italia, di certo della Televisione, mi ha costretto a tirar fuori dal mio cuore ciò che a stento riesco a trattenere in questa giornata. Le mie Madonna a mare sono due. Una lo è da quando sono nato.

É quella di Marina di Catanzaro. La si chiama Madonna di Porto Salvo. Noi bambini che siamo cresciuta con la lingua dei padri, la chiamiamo ancora “ a Madonna e mara”. L’altra lo è da trentaquattro anni, proprio quest’anno. Quella di Marina si celebra l’ultima domenica di luglio. Quella di Soverato, la seconda d’agosto. Non me ne sono persa mai una. Puntuale mi trovo in quelle domeniche, prima sulla spiaggia, poi sul lungomare. Le due feste si somigliano in tutto. E non so dire quale delle due avesse copiato l’altra, essendo le due città vicinissime di soli quindici chilometri. Di strada. Di un solo abbraccio via mare. Perché non l’ho mai saputo? Semplice, non ho domandato. Intellettualmente non ho cercato. Non mi è mai interessato saperlo. Delle cose, eventi, avvenimenti, quando non hanno valenza appunto storica, o anche politica, mi interessano solo le emozioni. Le mie. Della gente. I sentimenti. I miei. Quello degli altri. E così di queste due processioni. Mi interessano i cuori che battono. Il mio. Quelli delle persone. Gli occhi che guardano l’effige. Il come e il quanto la guardano. I miei. Quelli dei partecipanti. Non mi interessa neppure il folclore che si muove intorno a queste due ricorrenze. Neppure la tradizione, che da una parte lega emozioni e interessi, religiosità e territorio.

E, ancora, fede autentica e credenza popolare. E, dall’altra un po’ di economia locale, che è leggera e allegra per il clima di confidenza che si crea tra “ferari” e paesani. Paesani tutti. Anche gli emigrati in vacanza. E i turisti di passaggio. Mi interessa, se mai, la preghiera. La mia. Quella della gente. Eh sì, perché in questi due fatti religiosi, in queste due tradizioni, la gente prega. Tutti pregano, credenti e non. Agnostici e atei. E quelli che “é meglio credere. Ché non costa nulla e , poi, non si sa mai…”.

Pregano anche quelli che accompagnano qualcuno, il genitore anziano, i figli piccoli, la moglie che se no “chi la sente quella”. Pregano anche coloro che non credono. Si prega. Che importa di chi ci ascolta! E se ci sia davvero, se accoglierà la preghiera e se ci aiuterà. La preghiera è grazia in sé. Non è operazione freudiana dell’io che si proietta in qualcosa che è fuori per paura di quella sua parte che sta dentro di noi. Nella profondità del mare che non navigammo mai. La preghiera è la scoperta continua che noi siamo più di ciò che vediamo e tocchiamo.

É, soprattutto, ciò che sentiamo. E non si sente se non col cuore. E non si sente se non la parte spirituale che è nella realtà. E nel nostro essere anche individuale. La preghiera è bisogno di un assoluto. Dell’Assoluto. E, nel contempo, la certezza che il limite nostro è il punto non invalicabile, ma quello della ricerca di un oltre che dentro di noi. È un oltre che è al di là di noi. La preghiera è speranza. È la speranza che quella immagine di Donna sia la nostra mamma, che da qualche parte é con noi. Se vive ancora, è per noi. Se é lontana é perché vigilia meglio sulle nostre vite. La festa della Madonna del mare, è il mare. Quando lo percorre, nel breve tratto, sulla barca, lo sguardo é su di Lei. Ma anche su quello che a noi sembra sia il Suo. Sul mare più profondo. Al di là della misura del nostro sguardo.

E pensiamo. E sogniamo. E immaginiamo che se esiste un Altrove, questo sia il mare e il cielo messi insieme. Un tutt’uno che non sia la fusione indistinguibile dei due. Ma Mare e Cielo, che quando cambieranno di colore ne faranno uno che non abbiamo mai visto. Neppure in sogno. La festa della Madonna é il dolore che finalmente dice di sé. Apertamente. Senza vergognarsene, il dolore. Nel silenzio della persona, il dolore parla. Il primo dolore che parla, invita i mille diecimila, tanti e più ve ne sono sulla spiaggia, oggi, qui, e due settimane fa, a Marina, a manifestarsi. Perché non c’è chi non lo senta. Lo può nascondere a sé stesso e al mondo, ma il dolore, piccolo o grande, c’è. C’è nella mancanza. Di un bene. Di una necessità. Di un desiderata. Di una persona cara. Di un ricordo che viene non con la nostalgia, ma con il rimpianto. Ed è qui che il dolore di ciascuno, perde di singolarità e diventa collettivo. E, come dice una poesia di Butitta, “u pisu spartutu ‘nte spaddri diventa leggiu”.

Ed è per questo che, forse, al passaggio della Madonna di Soverato ci si prende tutti per mano e ci si tuffa per nuotare verso la Madonna. Si nuota e si prega. Ciascuno a modo suo. E per la richiesta che lui solo conosce. Nella breve nuotata si piange con lacrime vere, incuranti del fatto che esse resistano all’acqua che ci inonda. Tuttavia, ancora preghiamo per noi. Per la salute dei nostri cari. Per la vecchiaia che improvvisamente scopriamo nei nostri genitori. Per il tempo che incombe sulle nostre vite. Troppo quello passato senza accorgercene. Molto breve quello abbiamo davanti. Preghiamo per i nostri figli. Mica solo perché stiano bene! Oh no, perché stiano semplicemente felici. E ci sembra pure poco. Ma è solo a sera tardi, sul finire di questo giorno che la festa ci fa diversi. Il miracolo quasi per tutti si compie
a mezzanotte esatta.

È quando partono i fuochi d’artificio. Anche questi dal mare. Fino a un certo punto ci divertono. Tanbureggia il cielo tra rombi di tuono e colori variopinti. Ed è bello. Ma verso la fine i rumori diventano assordanti e il nostro pensiero cambia. Non li abbiamo conosciuti, solo i nostri padri e i nostri nonni li hanno sentiti, ma adesso ci riportano a quelle immagini di guerra che dalle televisioni arrivano a tutte le ore nelle nostre case, trovandoci indifferenti. Nei cieli vicinissimi a quello nostro, quei rumori e quelle luci sono delle bombe che piovono dal cielo. Sotto ci sono Città. Nelle Città, le case e le scuole e gli ospedali. Le strade, gli aeroporti. Le ferrovie. Dentro ci sono uomini e donne e bambini in carne e ossa. A migliaia muoiono in queste venti guerre, periferiche o regionali, oltre le sole due “celebrate”.

In quel momento finale dei fuochi, a centinaia stanno morendo. Muoiono sotto le macerie di un’umanità quasi perduta. Se quando i fuochi saranno finiti noi soffriremo di quelle morti e alla guerra, da qui, ci ribelleremo e la combatteremo, la Madonna, che si creda o no, avrà di certo accolto le nostre preghiere. Tutte. Perché è solo da un mondo nuovo. Di pace nella fratellanza, che i nostri figli saranno felici. E noi con loro. Viva la Madonna di ogni mare! (fc)