di SANTO STRATI –Anche se in politica i ribaltamenti e i colpi di scena sono abitualmente ordinaria amministrazione, difficilmente c’è da aspettarsi questa settimana una “rivoluzione” a sinistra che metta in crisi la coesa coalizione di destra per la Presidenza della Regione Calabria. Ma una considerazione su vincitori e vinti andrebbe comunque fatta.
Dando per scontato la pressoché certa vittoria del centro-destra per la conquista della Cittadella di Germaneto, a maggior ragione i probabili (se non supercerti) sconfitti dovranno riflettere sui guasti della politica regionale di quello che era un tempo il partito caposaldo della sinistra del Mezzogiorno.
Si può perdere, ma onorevolmente, non rinunciando a priori alla battaglia o, peggio, al confronto con l’avversario. E questo comporta, nel caso di una sinistra vocata a una sonora débacle, peggiore di quella registrata con Callipo, l’esigenza di un serio ripensamento (non usiamo volutamente il termine rifondazione perché sa di presa in giro) sul ruolo del Partito Democratico e dei suoi satelliti a sinistra nel contesto regionale.
Sia ben chiaro che a chi vince, nella Regione Calabria, servirà il confronto con una opposizione seria, forte, e rappresentativa delle forze riformiste.
Il candidato del centro-destra Roberto Occhiuto ha un adeguato pedigree politico e, in atto, riveste un ruolo – capogruppo forzista alla Camera – che gli accredita competenza e capacità di gestione della cosa politica.
Le scelte, quasi da elenco del telefono, operate invece fin qui dai Dem riflettono invece la chiara volontà di una rinuncia alla politica, come se in Calabria non ci fossero i presupposti per una dialettica di confronto da cui ricavare gli elementi più idonei a favorire crescita e sviluppo. Con tutto il rispetto per Amalia Bruni, la scelta di una “dilettante” della politica è un’offesa all’intelligenza di chi alla sinistra ha dedicato anima e corpo. È un tenere a zero considerazione una classe politica che, pur non brillando negli ultini anni, nel bene o nel male ha governato questa Regione.
Dall’altra parte, s’è molto parlato di inefficienza e, contemporaneamente, di iper-efficienza dell’attuale governo “provvisorio” la cui permanenza prolungata, dopo la fine della compianta presidente Jole, è stata stata favorita dalla pandemia. Pochi provvedimenti importanti, molte iniziative – discutibili – dal chiaro sapore elettoralistico e con evidenti fini di captatio benevolentiae, che non hanno contribuito, né aiutano la Calabria, ad affrontare il momento post-pandemia (augurandoci nessuna nuova crisi in arrivo). Non è questa la sede per muovere obiezioni su un’iperattività a dir poco sospetta e poco legittimata dalla precarietà del governo (“solo provvedimenti urgenti e indifferibili” dice la legge), ma non si può non far rilevare che nessuno – né da destra né da sinistra – si è speso per anticipare a giugno le elezioni, quando la crisi pandemica era in fase calante e i cittadini avrebbero potuto recarsi alle urne. Tre mesi, si dirà, non fanno la differenza, e, invece, sono di una rilevanza enorme, vista la situazione di estrema confusione che si è creata soprattutto a sinistra. L’anticipo del voto a giugno avrebbe costretto la sinistra a pensare diversamente, ma non avrebbe modificato la strttura della coalizione di centro-destra che è apparsa da subito blindata sull’unità delle varie componenti.
Oggi ci si chiede cosa riserva il voto dei calabresi del prossimno 3 ottobre, soprattutto per capire se gli equilibri a destra resisteranno (Lega e Fratelli d’Italia si contendono la primazia e, sotto sotto, contano di rosicchiare voti agli azzurri) e se la sinistra – uscita presumibilmente con le ossa rotte – deciderà finalmente se si può in qualche modo immaginare il futuro. Di certo, nonostante gli auspici e l’ottimismo di Conte, i 5 Stelle sono quelli che usciranno molto male da questa consultazione: non hanno capitalizzato il voto del 2018 (evidentemente la rabbia degli elettori è svanita a fronte del nulla dei neodilettanti del Parlamento) e vanno verso un’inevitabile dissoluzione (o frantumazione, che è ancora peggio) del Movimento che non voleva farsi partito e che, invece, è rimasto incastrato nelle maglie del potere.
La lezione che verrà da queste elezioni – sempre che il numero degli astenuti non diventi imbarazzante – è che i calabresi si sono stufati di essere guidati da Roma e vogliono autodeterminare il proprio futuro. Della Calabria interessa poco o niente, eppure con i miliardi del PNRR ci sarebbe l’opportunità – per chi onestamente crede nel ruolo politico e odia i predoni – di trasformare radicalmente questa terra mai sfruttata (in termini positivi) adeguatamente per rispondere alle esigenze di giovani, donne e calabresi che vorrebbero un lavoro stabile con una paga decorosa. Al divario vergognoso che ancora impera e cresce a dismisura, si può rispondere solo con impegno e serietà. È quello che gli elettori – senza crederci molto – chiedono a chi cerca un posto in lista. (s)