di ETTORE JORIO – Passata è la tempesta! Per contrappormi al più frequente pessimismo, ivi compreso il mio, ho ritenuto di rubare al grande Leopardi l’incipit di una delle sue più note poesie. Ciò per credere e augurare a tutti il migliore futuro prossimo, a cominciare dai miei tre nipoti: Margherita, Virginia e Paolo.
Ebbene sì, urge cominciare a ragionare come se già fossimo nel dopo Covid. Ma soprattutto cosa dovere fare nel mentre, atteso che a tutt’oggi non si sa quando inizierà il dopo.
La cartina delle paure
Troppi i guai che saremo costretti a sopportare, riparare, fronteggiare e risolvere. Sarebbe terribile non pensarci da subito. Basta solo pensare all’incremento vertiginoso che si sta registrando dei disturbi mentali causati dall’inumano stress cui è sottoposta la collettività nazionale da oltre un anno, ossessionata dal contagio e dai fallimenti che si moltiplicano nel frattempo. Insomma, una comunità offesa e minacciata come mai. Specie, la più fragile.
Sarà un costo duro da pagare, sia dalle persone affette da disturbi psichici e psichiatrici e da quelle destinate alle peggiori sorti per trascuratezza diagnostica e terapeutica sia per il sistema della salute.
Sarà davvero dura farcela, mettere da parte le immagini dei camion militari pieni di bare transitate nel 2020 per Bergamo e i tanti morti registrati sino ad ora, equivalenti alla popolazione residente in una qualsivoglia importante città italiana.
Ma occorre riuscire! Necessita mettersi alle spalle l’incubo, pur sapendo che il disagio continuerà chissà per quando e la consapevolezza che i con i temibili virus bisognerà, oramai, fare i conti per sempre.
Occorre occhio lungo e cambi delle guardie
A nulla vale, pertanto, ragionare come ieri. Come ai tempi nei quali non si sapeva neppure cosa fosse il Sars-Cov-2. Un dramma che ci ha colpito di sorpresa. Una sensazione giusta per gli ignari, non certo per gli irresponsabili di «alto profilo» che hanno contravvenuto ai loro doveri. Ciò come se nel Paese non fossero già passati altri virus che hanno lasciato il segno e generato morti innocenti, del tipo quelle che si sarebbero potute evitare con comportamenti istituzionali più puntuali, più consoni ai ruoli rivestiti, sia politici che tecnici.
Il freno a mano
Dunque, togliamo il freno a mano e iniziamo a correre per programmare, al meglio, il domani, quello che ci auguriamo ci reinsegnerà a sorridere.
Basta con le Regioni ferme a leccarsi le ferite e attente a fare classifica nelle vaccinazioni. Basta con le Regioni sordomute nell’esercitare i loro poteri, anche legislativi, di adattamento in melius dei loro sistemi della salute, funzionali a soddisfare le esigenze di vita delle loro collettività assediate dal coronavirus.
Nel frattempo, urgono degli step ineludibili. Uno dei più immediati punti fondamentali – al di là della celere riprogrammazione dei servizi sanitari regionali nel senso di renderli finalmente generosamente propensi a ricostruire l’assistenza territoriale – è quello di rivedere da subito gli atti aziendali delle aziende della salute, inconcepibilmente lasciati lì a dormire. Ciò nel senso di registrare, anche qui da subito, un attivo e concreto ruolo pianificatorio delle Regioni a fornire le indicazioni alle aziende costituenti i loro servizi sociosanitari per adattare i loro sistemi alle sopravenute necessità. Dovranno farlo ovviamente tenendo nel dovuto conto gli intervenuti programmi antiCovid e i conseguenti piani vaccinali che stanno facendo flop quasi ovunque.
Il presidio territoriale
Il tutto rivedendo, per le aziende territoriali, i criteri identificati e distintivi sui quali fondare le novellate attività dei distretti sociosanitari, ove la parte dell’assistenza sociale dovrà essere segnatamente rinforzata. Così come dovranno essere fortemente (e prioritariamente) potenziati i Dipartimenti di prevenzione, vero punto debole della guerra alle epidemie, senza i quali (e lo si è visto abbondantemente) non si andrà da alcuna parte. Nonché dovranno riscrivere e adattare al bisogno di salute emergenziale le loro unità operative autonome e le attività dei loro presidi ospedalieri.
A proposito di assistenza territoriale, nella elaborazione della nuova programmazione, dovrà tenersi conto della concreta riproposizione della case di nuova specie, più esattamente quelle delle comunità anticipate dal ministro Speranza, collaborate dalla previsione degli ospedali anche essi di comunità (meglio, di prossimità) ai quali dovrà essere affidato il compito di una materiale assistenza intermedia, tanto utile a sgravare la pressione sui pronto soccorso, ben oltre lo spasimo.
In relazione ad una siffatta mission, di rigenerare (ma davvero) l’assistenza territoriale, sarà importante tenere conto della riorganizzazione che dovrà affrontarsi della medicina convenzionata ove, con l’istituzione della case di comunità, occorrerà ben comprendere l’attualità delle previste Aft e UCCP, invero una rarità a riscontrate ovunque attive.
Il presidio di spedalità
Diversamente accadrà per gli atti aziendali che riguarderanno le aziende ospedaliere ove il ruolo principale dovrà essere quello di riequilibrare l’offerta tenuto conto degli errori di valutazione (tantissimi) registratisi nella pandemia ancora in corso e che dovremmo abituarci a sentirla sempre dietro la porta.
Una preoccupazione della quale dovrà farsi carico tutto il Servizio sanitario nazionale, che dovrà dedicare alla soluzione un grande impegno nel senso di rimettere in discussione il criterio dell’aziendalismo che lo determina. In esso, è da rintracciare la vera causa della caduta qualitativa del sistema, ritenuto dignitoso in questa triste esperienza solo per l’apporto dei 51 IRCCS che rappresentano l’offerta di qualità reale che il sistema della salute esprime. (ej)
[Courtesy quotidianosanita.it]
(Ettore Jorio è docente all’Università della Calabria)