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L'OPINIONE / Franco Cimino: Perché mi candido a Catanzaro

L’OPINIONE / Franco Cimino: Il potere a reti unificate e la televisione pubblica megafono del Governo

di FRANCO CIMINO – Oggi è stata dura. Una giornata pesante. È ormai così tutti i giorni. Ti alzi presto, da già che le notti si fanno brevi. E trovi, dai pensieri del sonno che non viene, le tante cose, tra le più urgenti, che devi fare. Ad iniziare da banche, poste, tabacchi autorizzati, ad effettuare i pagamenti delle utenze. D’altro ci pensa già la banca che trattiene direttamente dallo stipendio. E poi i figli, il lavoro, per chi ce l’ha. E i lavori in casa, che invecchia senza sperare nelle “cure estetiche”. Quelle recentemente eliminate, e tutte, dal ritorno strumentale di un rigore sanatorio di conti lungamente rovinati da risorse dissipate. Da loro, i governanti. E, continuando nella giornata che sembra non finire ma, per chi possa, o debba, o voglia, c’è la lettura, giornale e libri, e la scrittura di tutt’un po’. E così per tutti.

Per la maggior parte degli italiani, questa giornata tipo è ancora più dura. Specialmente, per i tanti che ritornano a casa a mani vuote. Dolore sulla fatica. Frustrazione e senso di fallimento negli occhi. Chi ne ha possibilità, indossa scarpe di running( dovrebbero essere le nostre vecchie di dinastica)e tuta, anche improvvisata, e va in palestra. A temprarsi i muscoli. O a camminare. Per alleggerire il cuore, respirare i polmoni, quietare la mente. Rasserenare il pensiero. Se ci si riesce, giunge anche la musica dagli auricolari e la poesia dal cuore. E qualche sogno ritorna, ché mica è fatica sognare. O un reato sperare che il sogno si realizzi. Sì, quel sogno bambino. Non dei bambini. A sognare ci siamo tutti. Il sogno è bambino. A me è successo quasi tutto questo, oggi. Tutti i giorni, escluso le parti che mi riparano dal dramma e dalla sofferenza immane, anche per me è così. Come i più. La stragrande maggioranza degli italiani. Resi uguali nel peggioramento della loro condizione, che ha cancellato una delle più grandi invenzioni della nostra democrazia, il ceto medio. La spina dorsale del Paese, cioè, spazio importante della scala sociale, che, nella stagione del Progresso inarrestabile, era il compimento di un’ascesa garantita a tutti. La società del pluralismo, anticamente detto dell’interclassismo per soddisfare le obbligate contrapposizioni ideologiche, nel dopoguerra molto attive.

La promessa della Costituzione, un popolo unito, felice, ricco nell’eguaglianza e nella libertà, è stata tradita proprio nella cancellazione con il ceto medio, di quella pluralità di classi, in cui quella dei ricchi, aperta nella scalata sociale a tutti, non risultava offesa a chi ricco non era. Ma una risorsa dell’intero Paese, che dalla quella produttività, unita alla generosità intelligente del mondo del lavoro, cresceva in ricchezza complessiva. Tutto diversamente da oggi, in cui la divisione netta della società in due classi, la piccolissima, meno del dieci per cento, dei ricchi, e quella larghissima, dei poveri, rappresenta la più grave offesa alla Democrazia. La più sanguinosa ferita alla dignità umana. Il più grave pericolo per la Repubblica. Il più pesante attacco all’Europa, che senza un’Italia robusta e sicura non farà un solo passo verso il Progresso. E, allora, qui ci sono pure io, che, fatta la camminata salutare, torno a casa per il telegiornale delle venti. Non è sempre lo stesso. Della Rai.

Alterno il TG Uno, con canale Cinque e il TG della Sette. Questa sera mi fermo sul Primo. E soffro. Più di ieri sulle notizie uguali che non sono ferme nelle conseguenze. Stasera, quella di ieri e dei giorni precedenti da un anno quasi. E da due, quasi superati. Israele, nel nuovo attacco a Gaza già distrutta, uccide molte vite di civili. I bambini sempre dentro questo crudele elenco. Le case, le scuole, distrutte, insieme alla terra, già stretta e asciutta. La Russia continua il suo forsennato assalto all’Ucraina e alla sua popolazione sfinita da una così lunga sofferenza. Tutto quello che raggiunge, distrugge. E con una carica d’odio che fa sanguinare anche le rovine materiali sulle quali un pazzo dittatore, con velleità napoleoniche, si propone al mondo ipocrita, quale mediatore tra sé stesso, criminale, e il nemico, che ha giurato di cancellare o di asservire. A telegiornale finito, non faccio in tempo a indignarmi dinnanzi a questo vero schifo, che compare, sul motivo che mi piaceva in giovinezza sognante, il faccione bello e abbronzato di Bruno Vespa. Spostamento lento di telecamera, e arriva il volto bello, che a me piace pure tanto, della presidente del Consiglio, avvolta in una camicia celeste che ispira serenità ed eleganza disegna. Quattro minuti di solitaria indisturbata comunicazione agli italiani della grandezza di questo governo. Un Bruno tricolore non della bandiera italica, compiaciuto, porge alla gentile signora della patria l’ultimo minuto di “appello sacro”.

Lo fa con una domanda, che commuove, per il coraggio e la “sfrontatezza” in essa contenuta: «presidente, il più importante giornale (non ho capito se europeo o americano) le assegna il ruolo più importante nel nuovo processo di costruzione dell’Europa. Ce la farà ad esercitarlo?». Due secondi due, interminabili però, di silenzio sacrale. Telecamera che zooma sul viso giovanile di Giorgia e suoi occhi celesti ravvivati dal riflesso della seta. E dal rosso del delicato colore aggiunto sulle labbra, appena dischiuse da un sorriso sornione, tutto femminile. Finalmente, la risposta che interrompe l’angosciosa attesa: «dipende dalla risposta che mi daranno gli italiani».

A due giorni dal voto (è successo il 6 giugno ndr), un regalo propagandistico di questo genere a un leader di partito presente alle elezioni di sabato, candidata lei stessa in tutte le circoscrizioni, è davvero (lo si può dire?ma sì diciamolo) veramente vergognoso. Io stesso, che ho vissuto anche la stagione politica precedente, che non era affatto tutta rose e fiori, non ho mai visto una cosa così prepotente. E violenta di potere esercitato.

Anche sul vecchio difetto di una certa piccola Italia che vuole i piccoli italiani sempre proni dinanzi al potente di turno. Una domanda  “dal sen. mi fugge” e qui non la trattengo: “Siamo alla fine della Repubblica e alla messa in pericolo della Democrazia?” Aspettiamo il voto per capire meglio. (fc)