di FRANCO CIMINO – C’è una foto che ha fatto il giro del Web. Gira e gira, sta invadendo il nostro Paese. Parte da Catanzaro. Da un metro quadro di un piccolo prato verde. Prato rettangolare, tutt’intorno al quale s’alzano, non molto, purtroppo, le tribune. Nel prato lottano, sotto pure la pioggia, una trentina di combattenti, sugli spalti il pubblico che li osserva tutti, sostenendone con vigore la metà. Quel rettangolo è un campo di calcio.
Quel pubblico è il tifo di tredicimila persone. La battaglia è una partita di pallone. Il motivo di essa è vincere. La ragione che la rende “drammatica” è superare il turno per accedere alle finali di un campionato di calcio e poter raggiungere dopo più di quarant’anni la massima serie. La Città è una città capoluogo di una regione piccola. Catanzaro e la Calabria. Stranamente, da noi, le realtà piccole invece che custodire gioielli autentici, pur se pochi ma preziosi, si fanno piene di un niente fatto di cose non buone. Questo niente complessivamente inteso si chiama povertà.
La Calabria è strapiena di questo niente in cui si sommano gli stessi record che stanno facendo di Catanzaro povera la degna capitale di una regione povera. Povertà è mancanza. Mancanza come privazione di beni e come assenza di forze. Manca il lavoro e quello che c’è stenta a essere qualificato mentre continua essere sottopagato e malpagato. Mancano le più importanti infrastrutture, specialmente quelle viarie, mentre le poche attive sono vecchie, precarie, brutte e pericolose. Le strade tra queste. Le scuole pure, mancano negli edifici nuovi e funzionali( per fortuna qualcosa su questo terreno da noi sta “ costruendosi”). Mancano gli ospedali nuovi e moderni e funzionali e una sanità che risponda almeno sufficientemente ai bisogni della gente.
Mancano istituzioni forti e una classe politica che di quelle auspicate ne sia degna. Motore, cioè, della forza di quelle e non la più importante causa della loro debolezza e della loro “negoziabile fragilità”. Manca un sistema produttivo che sia organico alla crescita e funzionale al Progresso. Un sistema che crei la ricchezza e una Politica che la sappia equamente distribuire tra gli artefici della stessa e i portatori di bisogni inalienabili. Manca quello spirito di solidarietà che almeno attenui gli egoismi, riduca l’ignoranza e crei una rete di effettiva collaborazione fra le parti sociali attive, che, nella messa a rete delle energie( scuole, università, mondo delle imprese e del lavoro, volontariato e chiese locali con le istituzioni in stretto raccordo)e l’utilizzo delle tecnologie più avanzate, costruisca, dalla visione più sognante, una nuova architettura del sociale e delle città in una regione-sistema organico di sviluppo per la nuova Calabria. La regione del territorio e dell’ambiente, del mare e dei monti. Delle intelligenze e delle culture.
E, per non finire, in questo contesto, mancano le strutture sportive. Qui da noi, nel capoluogo, quasi tutte. Manca, soprattutto, lo stadio, ché l’esistente è ormai il piccolo scrigno dei bei ricordi. Luogo romantico di pensieri lontani e di tenere nostalgie. In questo stadio stretti stretti stanno i tifosi belli. Sul suo campo si sta comperando una delle più entusiasmanti sportive. Quelle di una squadra di calcio che, povera e strutturalmente debole, con giocatori presi, in prestito o in regalo o a basso costo, un po’ di qua un po’ di là, sta praticando sotto la guida di un mago, il cuore del presidente, e l’entusiasmo di quei quattro vecchietti , proprio quattro, il gioco più bello delle due categorie più importanti. Basterebbe solo questo, valore unanimemente riconosciuto da osservatori e tecnici, per dirci soddisfatti. Ma farà di più. Molto di più. Un’impresa grande, solo a pochi incredibile, solo per pochissimi impensabile non per i tifosi. Non per i calciatori. Non per i catanzaresi, locali e calabresi, anche stasera distribuiti tra gli spalti e il televisore. Inchiodati e con il fiato trattenuto su questa terzultima battaglia. Ma su tutto questo campionario di grandezze sportive, spicca la più grande, quella umana. Essa di racchiude in quel metro quadro in cui si è inginocchiato un “ gigante” alla fine del tempo normale della partita col Brescia. Il gigante piange. A diritto. Viso aperto. Davanti alle tribune coperte.
Di spalle ai distinti. Piange come un bambino. Di gioia. É Pietro. Il nuovo re. Il capitano. Il comandante in battaglia. Pianse d’Amore. Per la squadra. Per i compagni. Per i due gemelli diversi, i padri della squadra. Piange per i colori del Catanzaro, la squadra sognata nelle partite di ragazzi a via Murano o sulla spiagge in estate. Piange per il sogno che sta realizzando, portare lui per mano i giallorossi nell’Olimpo del calcio nazionale. Ma non chiamatelo eroe. Pietro oggi è solo un bambino. Il nostro, che abbiamo visto crescere con gli occhi. E con il cuore. (fc)