di MIMMO NUNNARI –L’ istituzione della Commissione di accesso per valutare eventuali infiltrazioni mafiose nel Consiglio comunale di Bari, voluta dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, capovolgendo l’iter tradizionale (solitamente è il prefetto a prendere l’iniziativa ma per Bari è successo il contrario) a tutti può far fastidio meno che alla mafia.
Sia chiaro, che non si deve sottovalutare l’importanza dell’attività di controllo da parte dello Stato, con finalità di prevenzione della criminalità organizzata negli enti locali, ma è fuori di ogni ragionevole dubbio che esista, oggi, un problema di certezza giuridica di tali funzioni e insieme il rischio concreto di strumentalizzazioni a fini politici nell’uso degli strumenti di prevenzione.
Se parlamentari di centrodestra chiedono al ministro di avviare l’iter per lo scioglimento di un determinato comune e parlamentari di centrosinistra chiedono la stessa cosa per un altro comune e i primi vengono “ascoltati” e i secondi no, qualche incertezza sulla legittimità e soprattutto sulla tempestività dei provvedimenti spunta. Come ammoniva trent’anni fa Leonardo Sciascia, traendo spunto da un lavoro storiografico sulla mafia durante il fascismo dello storico britannico Christopher Duggan [“La mafia durante il fascismo”, Rubbettino editore], non possiamo considerarci al riparo da un fenomeno come quello mafioso che la nostra mentalità tende per sua natura a lasciare in ombra, se “l’antimafia” viene a volte usata come strumento di potere: “retorica aiutando e spirito critico mancando”, diceva lo scrittore siciliano.
Mentre il dibattito si accende, dopo episodi come quello di Bari, resta infatti nell’ombra la questione ben più grave dell’assedio continuo della mafia al Paese, soprattutto al Sud, particolarmente in Calabria. A fronte di un contesto siffatto è evidente l’obsolescenza di strumenti, metodi, normative di contrasto antimafia che fanno rumore ma non consentono di incidere e mettere in discussione il sistema di poteri criminali che oggi domina in Italia, non solo al Sud. La storia delle mafie e del loro sviluppo nel territorio nazionale, particolarmente nel Mezzogiorno, l’esperienza di chi è vittima della presenza asfissiante della mafia, mette a nudo purtroppo la funzione storicamente debole dello Stato in determinati territori e spiega la presenza forte del fenomeno proprio come conseguenza del radicamento debole dello Stato stesso nel Sud.
Domandona. Può essere sconfitta la mafia? Di sicuro non può essere sconfitta con provvedimenti solo repressivi che non tengono conto che la mafia non è semplicemente un fatto esclusivamente criminale ma un subsistema che si articola a livello dell’economia, del dominio del territorio e della politica. Di conseguenza non può essere battuta con una pura politica repressiva affidandone il compito esclusivamente alla magistratura e alle forze dell’ordine, che pur svolgendo a volte il loro compito eroicamente tuttavia non basta. Per affrontare le mafie concretamente occorre cambiare marcia, porre riparo alla debolezza dello Stato al Sud, ricostruire il tessuto connettivo della sua presenza che sia insieme autorevole ed efficace.
Forse la cosa più giusta ed interessante sul tema l’hanno scritta mesi fa i magistrati della sezione di Magistratura Democratica della sezione di Reggio in occasione di una visita in Calabria, ad Africo, per l’inaugurazione di una caserma dei carabinieri, del ministro dell’Interno Piantedosi: «Ci sarebbe piaciuto – hanno scritto – che ad affiancarlo vi fossero stati: il Ministro dell’Economia e quello dell’Ambiente per illustrare nuovi piani e progetti per rilanciare l’economia locale, in termini eco-compatibili con il territorio; quello del Lavoro, per indicare nuove norme, volte ad agevolare le assunzioni in territori svantaggiati; quello delle Infrastrutture che riferisse dell’avvio del raddoppio ed elettrificazione della linea ferrata e dell’ammodernamento della SS 106; quello della Cultura e del Turismo che illustrassero le iniziative assunte per rilanciare la storia e le tradizioni dell’area-grecanica, in una prospettiva di riscoperta del territorio dalle spiagge dove le nidificano le tartarughe alle montagne dell’Aspromonte ricche di flora e fauna uniche… Come magistrati, sappiamo che la lotta alla criminalità organizzata passa attraverso la ri-educazione dei cittadini ad “abitare”, pienamente e liberamente, i territori… Ci auguriamo che siano previsti interventi incisivi che, accanto alla tradizionale logica securitaria, in sé insufficiente, aiutino i cittadini a ricreare luoghi dove realizzarsi, per ricominciare a pensare al sud e verso sud i loro progetti».
Queste parole scritte da magistrati spesso in prima linea nella lotta alla mafia sono come un balsamo per le nostre modeste riflessioni e nella latitanza della politica incoraggiano a non rassegnarsi, sempre che lo Stato dia qualche segnale per promuovere realmente lo sviluppo del Sud superando la sua debolezza e facendo fronte ai suoi di doveri. (mnu)