di NINO MALLAMACI –
«Vediamo quanti paesi euroatlantici hanno intrapreso un percorso di rifiuto delle proprie radici, compresi i valori cristiani che sono alla base della civiltà occidentale. Vengono negati principi morali e identità tradizionali, culturali, religiose e persino sessuali. Vengono applicate idee che mettono sullo stesso piano famiglie numerose e relazioni omosessuali, fede in Dio e fede in Satana. Nei suoi eccessi, l’atteggiamento politicamente corretto si spinge fino a considerare seriamente la possibilità di riconoscere in modo ufficiale partiti che diffondono la pedofilia. In molti paesi europei la gente si vergogna e ha paura di parlare della propria religiosità. I fine settimana sono aboliti o chiamati diversamente, cosicché il loro autentico significato – il loro fondamento – morale è nascosto. E si cerca di imporre questo modello su tutti, sul mondo intero. Sono convinto che questo porti direttamente al degrado e alla regressione a uno stato primitivo, a una profonda crisi demografica e morale».
Nel 2013 qualcuno pronunciò queste parole. Le Pen? Qualche esponente oltranzista cattolico o un suprematista bianco americano? Nulla di tutto ciò. Si tratta dell’intervento di Vladimir Putin nel dibattito in cui presentò il suo progetto sull’Unione eurasiatica. Secondo il nuovo zar, per evitare di essere colpita dalla crisi demografica e morale già diffusa in Occidente, la Russia doveva sviluppare una nuova idea nazionale. La minaccia esterna e le catastrofi che avevano travolto la Russia nel ventesimo secolo rendevano necessario un dibattito sull’identità nazionale. “È ovvio, continuava Putin, che non possiamo svilupparci ulteriormente se non riusciamo a definirci dal punto di vista spirituale culturale nazionale”. “L’Idea nazionale”, appunto, come il titolo del libro di Bengt Jangfeldt uscito in Italia nel 2022; sottotitolo: da Dostoevskij a Putin. Chi ancora crede in buonafede, o chi in cattivissima fede diffonde disinformazione, che le guerre di Putin, non solo quella all’Ucraina ma anche quelle in Cecenia e Georgia, siano state provocate dall’espansionismo della Nato dovrebbe andare a rileggersi la storia della Russia. Non solo manuali o saggi, ma la letteratura. Vi troverà una continuità agghiacciante, caratterizzata dall’imperialismo transitato dal regime zarista a quello comunista a quello di Putin.
Nel corso dei secoli, la “Santa madre Russia” non ha fatto altro che soggiogare i popoli vicini, colonizzandoli e piegandoli ai suoi interessi. Mentre l’Occidente indirizzava le proprie abominevoli iniziative di conquista e di conseguente sfruttamento verso i territori d’oltremare, in Africa, in Asia, in America, la Russia trovava molto più facile concentrarsi sulle terre ad essa vicine, considerate il cortile di casa. Come si può agevolmente comprendere, chi guarda alle cose del mondo in maniera oggettiva non si sogna neanche lontanamente di sminuire le malefatte di Belgio, Francia, Portogallo, Spagna, Italia, prima, e quelle della nuova potenza globale dopo: gli Stati Uniti d’America. Nel 1973, quando la CIA e Kissinger determinarono il colpo di Stato in Cile e l’uccisione di Salvador Allende, i democratici di tutto il pianeta reagirono senza farsi condizionare. Non per antiamericanismo, o per ubbidire agli ordini di qualcuno. Ma semplicemente per la ripulsa che suscitava un’azione perpetrata in danno di una democrazia che si era espressa per un governo in cui erano rappresentati non solo i socialisti e i comunisti, ma anche i cattolici progressisti che in quegli anni avevano abbracciato la lotta dei deboli contro le aristocrazie, i latifondisti, gli sfruttatori figli del capitalismo più spinto e becero. Quelli che oggi, pur definendosi comunisti, sostengono le tesi dell’autocrate di Mosca, sono fatti della stessa pasta di coloro che nel 50, nel 56, nel 68, assistettero in silenzio, o addirittura approvando, al soffocamento dei tentativi di Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia di uscire dal giogo sovietico per edificare un “socialismo dal volto umano”. Della stessa pasta di coloro che negavano il terrore staliniano, l’Holodomor in Ucraina, la sottomissione delle repubbliche del Caucaso e dell’Asia centrale. Ciò in ossequio ai diktat che venivano dal centro del comunismo mondiale cui tutti i partiti omologhi erano asserviti. Chi oggi, sedicente di Sinistra, pretende la resa dell’Ucraina, la rinuncia di un popolo alla libertà e alla democrazia, dovrebbe avere la coerenza di condannare la Resistenza italiana. Senza contare che il passaggio successivo dell’imperialismo moscovita sarebbero i Baltici, la Polonia, la Moldova, con il pretesto della tutela delle minoranze russe. Create scientemente da chi e perché? Dai regimi susseguitisi nel tempo per russificare terre altrui. La Storia insegna questo. Si rischia l’olocausto nucleare, si dice. Se i Resistenti italiani, francesi, jugoslavi, e i liberatori anglosassoni avessero ragionato allo stesso modo, per quanti anni avremmo avuto la croce uncinata disegnata sull’intera cartina d’Europa? E se è vero che l’esito della Seconda guerra mondiale è stato il frutto anche dell’impegno dell’Unione sovietica, è altrettanto inconfutabile che l’Armata Rossa si mosse solo dopo che la Germania nazista aveva rivolto le sue truppe verso Est, stracciando il Patto Molotov Ribbentrop del quale Stalin era un sostenitore entusiasta, per come emerge da documenti incontestabili. Basta andare a leggersi La Terra Inumana di Jozef Czapski, lo scrittore e ufficiale polacco che dopo l’invasione tedesca della Russia nel 1941 e l’accordo fra Polonia e URSS indagò sulla scomparsa dei polacchi fatti prigionieri dall’NKVD e successivamente massacrati.Questa è la Storia. Chi la ignora farebbe bene a tacere. Chi sa, e parla o scrive in appoggio al guerrafondaio ufficiale del KGB, non può definirsi di Sinistra e va sbugiardato. Tutti vogliamo la pace. Ma essa si conquista e si mantiene nel rispetto della libertà dei popoli e degli individui. (nm)