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L'OPINIONE / Raffaele Malito: Le differenze di scelte e missioni politiche di Matteotti e Berlinguer

L’OPINIONE / Raffaele Malito: Le differenze di scelte e missioni politiche di Matteotti e Berlinguer

di RAFFAELE MALITOCinquecento anni fa Machiavelli aveva distinto la politica come sfera di pensiero e di azione, del tutto indipendente e autonoma da altri campi  d’indagine, sia pure concettualmente contigui, quali l’etica e la religione. Secondo questa  visione  che  ha  le radici nella riflessione di  Benedetto Croce, Machiavelli avrebbe fissato uno dei presupposti  del pensiero moderno, distinguendo e separando la politica  dalla morale, dalla religione, dal mito. Il tempo e la storia dei grandi fatti umani, come l’illuminismo, la rivoluzione francese, il suffragio universale, le guerre mondiali, la guerra fredda  hanno cambiato i comportamenti umani trasformando masse informi dominate dal Principe, in popoli consapevoli.

E l’azione e le scelte politiche, anche se non contrapposte alle regole morali, devono essere giudicate per quello che riescono a produrre  di positivo sulle strutture economiche e sociali, nella capacità di garantire  il benessere e la pace, la democrazia e la libertà personale e collettiva. Questa  premessa per riflettere sulla propensione – che sembra apparire in alcuni scritti e frettolose argomentazioni – a dimenticare le differenze delle scelte e missioni politiche fondamentali di personaggi della nostra storia, ritornati attuali in occasione della celebrazione di anniversari che li ricordano: Giacomo Matteotti con i suoi cento anni dalla sua uccisione, per decisione di Mussolini, ed Enrico Berlinguer, morto 44 anni fa, subito dopo un comizio, a Padova l’11 giugno 1984. Il rischio della santificazione è incombente, come recita un saggio di Marcello Sorgi, per il capo del Pci.                                                                                                                  

Protagonisti della moralità politica sono stati definiti, senza sottolineare la sostanziale diversità politica, concettuale, ideale, programmatica, missionaria di questi due grandi personaggi della nostra storia: socialista riformista,  eroe e martire  della democrazia parlamentare, del diritto delle libertà personali e collettive, sempre, contro ogni forma autoritaria di governo, Giacomo Matteotti; Enrico Berlinguer, comunista, senza mai rompere, per un lungo periodo, con l’Unione Sovietica e le sue degenerazioni dittatoriali e imperialistiche, confermate da ben due invasioni militari, con i carri armati, di paesi satelliti, l’Ungheria nel 1956, la Cecoslovacchia, nel 1968. E solo nel 1976, la celebre intervista nella quale si dichiarava più sicuro sotto l’ombrello della Nato e sceglieva le democrazie occidentali, rompendo con le aberrazioni comuniste sovietiche, che si sarebbero espresse, ancora una volta, con il colpo di stato in Polonia del 1981. Il grande tema della moralità politica di cui si fa interprete Berlinguer con un complesso di superiorità,  non solo etica ma anche politica, che, nel tempo, il Pci  aveva sempre preteso e mostrato verso tutti gli altri partiti, con  una qualche,  particolare, predilezione negativa verso i socialisti, si è espressa sulla questione della corruzione – che egli sosteneva – della politica e dell’occupazione immorale degli apparati dello Stato portata al degrado, fino all’esplosione di Tangentopoli.         

Tutti corrotti, tutti ladri, concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione. A questo grande tema, Berlinguer ha dedicato la sua predicazione morale accusando i partiti governativi occupare i gangli del sistema  Paese, salvando ed escludendo solo il Pci.                   In una recente intervista rilasciata al Corriere della Sera, rimasta, curiosamente senza  echi e reazione, da parte degli eredi della storia Pci-Pds, Giovanni Pellegrino, senatore dal ’90 al 2001, per il Pci e il Pds, avvocato, presiedeva, nel 1992, quando scoppiò Tangentopoli e si materializzava la rivoluzione giudiziaria del pool Mani Pulite di Milano, la Giunta per le immunità del Senato, ha detto cose sconvolgenti sulla questione morale di quel tempo.

Tutti i partiti – ha rilevato Pellegrino – erano dentro il sistema delle tangenti e godevano di finanziamenti irregolari, compreso il Msi che era all’opposizione. Alla domanda del giornalista, Francesco Verderami, sul Pci-Pds, ecco la risposta di Pellegrino: «apparentemente il mio partito non prendeva soldi. Però nella cordata vincitrice di ogni appalto c’era sempre una cooperativa rossa. Dal 10 al 15%. Rivedo ancora i nostri congressi dove campeggiavano i cartelloni pubblicitari delle cooperative. Era chiaro il meccanismo di contabilizzazione  dei finanziamenti irregolari. Ed era altrettanto chiaro che  anche noi facevamo parte del sistema: una sorta di costituzione materiale del Paese. 

Quando ne chiedemmo conto, con altri nostri senatori, al segretario Occhetto ne avemmo una risposta  irritata: disse di non saperne nulla. Ed ecco la spiegazione di Pellegrino:  in parte era vero: il modello di finanziamento del Pci era stato ideato da Togliatti, lasciando la dirigenza  fuori dalla gestione dei fondi. Ma le imprese erano il vero polmone economico del partito, specie quelle che avevano  rapporti commerciali con l’Unione Sovietica. Insomma – concludeva Pellegrino – le forze di governo erano finanziate dalla Cia e da Confindustria, mentre il Pci era finanziato  dal Kgb e dalle società che gli appartenevano. E quando i finanziamenti russi cessarono, il Pci iniziò ad essere alimentato dalle cooperative che partecipavano agli appalti pubblici. Infine Pellegrino spiega perché l’onda giustizialista decapitò tutta la classe politica lasciando indenne solo il Pci-Pds e rivela: «Luciano Violante, definito la voce della magistratura nel partito, aveva ricevuto garanzie da Mani Pulite che non ci sarebbero state azioni contro di noi. Spiegai, in un colloquio con d’Alema, che l’obiettivo di Mani Pulite non era quello di colpire la corruzione amministrativa ma il  finanziamento irregolare della politica per svuotare di forza i partiti. Tutti i partiti. Per renderli deboli finanziariamente e politicamente». E per realizzare, così, il primato del potere giudiziario. Insomma, quasi un progetto di colpo di stato, in qualche modo prefigurato da Borrelli che non escludeva che il secolo sarebbe potuto essere quello del primato della giurisdizione sugli altri poteri del sistema politico e costituzionale.                                                                                               

La predicazione morale di Berlinguer aveva  avuto questo incredibile  sbocco autoritario. Contro questa deriva parlò, in un’atmosfera da crinale storico del Paese, Bettino Craxi, il 3 luglio del 1992, alla Camera dei deputati: «tutti sanno – disse – che buona parte del finanziamento della politica è irregolare o illegale. Se questa materia deve essere considerata  puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe criminale. Nessuno, in quest’aula, responsabile politico, può alzarsi e giurare in senso contrario. Presto o tardi, concluse Craxi, i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro».                                                                                

Nessuno si alzò. Tacque anche chi aveva sventolato la bandiera della questione e della diversità morale. I protagonisti della moralità politica, di cui si celebrano gli anniversari  e che si accostano con troppa approssimazione, le missioni politiche  – Matteotti e Berlinguer – erano, e sono stati, diversi. Perché la loro storia, umana e politica, era diversa: Matteotti non escludeva ed era aperto alle forze politiche democratiche, che credevano nei valori delle libertà personali e collettive. Berlinguer pensava ed agiva nella convinzione che tutti gli altri fossero corrotti e moralmente inidonei a servire il Paese. (rm)