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Giuseppe Soluri

Ordine, giornalisti e testate uniti contro l’attacco alla libera stampa in Calabria

«È inutile girarci attorno: in Calabria c’è una strana idea della stampa libera». Lo dicono senza mezze misure, una nota congiunta, il presidente dell’Ordine dei Giornalisti Calabria, Giuseppe SoluriAndrea Musmeci, segretario del sindacato Giornalisti della Calabria, Michele Albanese, presidente Uni Calabria, e i quotidiani Corriere della Calabria, Il Quotidiano del Sud, Zoom 24, La Nuova Calabria, I Calabresi, Catanzaroinforma, Calabria7, Il Crotonese, Il Giornale di CalabriaL’Eco dello Jonio e il giornalista Arcangelo Badolati.

«Viene applaudita – si legge – quando tocca “nemici”, secondo una classificazione tanto personale quanto sfuggente. Quando, invece, racconta interessi personali o di cordata diventa un nemico da combattere o, meglio ancora, da abbattere. Gli strumenti a disposizione non mancano: diffide, che preludono ad atti di mediazione, che aprono le porte a richieste di risarcimento che sfociano in querele, spesso temerarie. Gli esempi sono decine: agli imprenditori che, ritenendosi diffamati da un articolo di cronaca, arrivano a chiedere cifre a sei zeri si aggiungono quelli per i quali la richiesta di risarcimento diventa imponderabile. Politici feriti nell’orgoglio da una frase chiedono la cancellazione di un pezzo il giorno dopo la sua pubblicazione, pena una causa (milionaria anche quella?) che costringerà giornalista, direttore ed editore a girovagare per le aule dei tribunali, forse per anni. L’elenco sarebbe lunghissimo».

«Chiariamo: non si mette in dubbio – prosegue la nota – il diritto di rivolgersi a un giudice qualora ci si ritenga diffamati. Il punto è che il campionario che ogni redazione può esibire mostra richieste tanto bizzarre da far sorgere il dubbio che la vera questione sia un’altra, e cioè cercare di mettere il bavaglio alla stampa. Ci si muove nel terreno che segna la distanza tra la lesione della propria onorabilità e il tentativo di intimidire cronisti, editorialisti, testate. La sensazione è che spesso si tenda a raggiungere il secondo obiettivo. Non ci stracceremo le vesti per questo, continueremo tutti a fare il nostro lavoro. A raccontare fatti, riportare opinioni, evidenziare le incongruenze di una regione in cui il grigio si allarga sempre più».

«E ci difenderemo – si legge ancora – dalle richieste di risarcimento e dalle querele temerarie. Ciò che non possiamo più fare è restare in silenzio davanti a metodi e numeri che fanno pensare a un attacco vero e proprio alle prerogative della libera stampa. È tempo di rispondere a questa aggressione. Come? Per dirla con le parole del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, «dobbiamo garantire i giornalisti dalle azioni temerarie. I giornalisti sono chiamati in tante cause civili con risarcimenti dei danni stratosferici. E il giornalista così non può svolgere serenamente il proprio lavoro». Il magistrato, già a capo della Dda di Reggio, conosce bene la realtà calabrese».

«Nel suo intervento alla tavola rotonda internazionale – conclude la nota – organizzata a Siracusa dall’associazione “Ossigeno per l’informazione” ha proposto una soluzione: «Quali possono essere i modelli di garanzia? Quando viene chiesto il risarcimento se la querela è temeraria, il soggetto che ha citato in giudizio il giornalista se ha torto dovrebbe essere condannato al doppio del risarcimento del danno richiesto». Perché «l’informazione oggi è il cardine della democrazia». E non un accessorio da esibire a seconda della (propria) convenienza».

Francesco Pellegrini, fondatore e direttore responsabile de I Calabresi, in un suo editoriale scrive che «la denuncia che appare sul nostro ed altri giornali calabresi oggi sottoscritta da gran parte dei loro redattori ha per oggetto le cosiddette querele temerarie. Esse sono in realtà il modo con il quale l’arroganza ottusa di molti esponenti della politica, della cattiva politica, delle imprese, delle cattive imprese , della massoneria deviata, cioè della cattiva massoneria, cerca di intimidire gli operatori della libera stampa contando anche sulla lunghezza esasperante della giustizia nel giudicare molto spesso infondate le querele. Querele che hanno comunque inciso sulla qualità della vita dei destinatari per la pigrizia di alcuni magistrati che non esercitano, come il codice loro consente, il filtro delle carte imbrattate di nulla».

«L’informazione in Calabria – ha scritto ancora – soffre di molti mali oltre quello, prevalente, dell’intimidazione. Nelle sue diverse modalità soffre il peso e il condizionamento della precarietà dei giornalisti e delle retribuzioni spesso indecenti, che creano la miscela perfetta per condizionare la libertà e l’incisività della stampa».

«Ciascuno di noi giornalisti – e, per quanto ci riguarda, i colleghi che, liberi da ogni condizionamento, consentono a I Calabresi di essere fedele agli impegni assunti dalla testata – ha sperimentato la rabbia che suscita la querela anche solo minacciata, come altre forme di interferenza e di intimidazione, che nel passato, neppure troppo lontano, si sono camuffate perfino, con supremo sprezzo del ridicolo, nelle forme di un improbabile guasto delle stampatrici di un quotidiano».

«In questo contesto – ha proseguito – ormai insopportabile si iscrive il documento al quale i redattori de I  Calabresi hanno aderito. Non basterà a fermare l’improntitudine di quanti si sentono gratificati solo da una stampa ossequiente e timorosa.
Chi ama l’odore del giornalismo libero non vi rinuncerà. Ne siano consapevoli. Se la Calabria piange quanto a libera informazione, l’Italia non ride. Nel rapporto sulla libertà di stampa dello scorso anno il nostro Paese compare al 77° posto ( per altre fonti il 41°), ben oltre la seconda metà classifica in cui compaiono 130 Stati nei quali la libertà di stampa è ostacolata e perseguita. Non è un caso che tra gli ultimi classificati troviamo il Brasile di Bolsonaro e la Russia del nuovo zar Putin».

«È un dato che preoccupa ed offende – ha concluso – specie perché ad esso concorre per la sua parte la Calabria che fa dire a un commentatore autorevole che «essa non ha una società civile, perché non ha un’opinione pubblica, per mancanza di un’informazione libera». E, aggiungiamo, tutelata dalle trappole piazzate dentro e fuori dalle aule dei Tribunali». (rrm)