di BRUNO COBBAT – Recentemente ho assistito ad una tavola rotonda, presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Messina, riguardante la fattibilità per l’attraversamento stabile dello Stretto da realizzarsi con un Ponte a tre campate. Questa ipotesi, insieme alle altre, fu esaminata dalla “Struttura Tecnica di Missione” (STM), istituita dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti. La commissione, nelle conclusioni, sostenne la necessità di un collegamento stabile tra la Calabria e la Sicilia, ritenendo necessaria una verifica riguardo alla suddetta soluzione, del “Ponte a tre campate” e sugli eventuali vantaggi, sia tecnici che economici; quindi, in ragione della esistenza di qualunque altra idea progettuale e/o progetto di massima, si sono stanziati 50 milioni di euro, a carico dei cittadini, per determinare una ulteriore soluzione che, non è dimostrato sia quella ottimale.
La mattina del 25 marzo 2022, presso Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Messina, diretto dal prof. Eugenio Guglielmino, si è svolta una tavola rotonda per la presentazione del libro dell’ing. Remo Calzona La sfida tra i due mari.
In tale occasione l’ing. Calzona ha illustrato le caratteristiche della nuova proposta costruttiva del Ponte a tre campate, su pile in acqua (off-shore), in contrapposizione e sostituzione di quello a campata unica con pile a terra, già approvato, in quanto, come ritenuto dallo stesso ingegnere, quel progetto era “ormai obsoleto e mal progettato”, nonché verificato da persone poco competenti, “analfabeti ed imbecilli” come espresso nel corso della presentazione.
Questa idea progettuale del Ponte a tre campate, è stata rappresentata con una semplice linea tracciata tra le due sponde dello Stretto ipotesi, solo ultimamente incoraggiata dall’ ing. Calzona, che, a suo tempo, approvò, invece, la soluzione ad unica campata, ritenuto uno dei depositari della conoscenza universale nella realizzazione di ponti a grande luce.
L’esposizione della suddetta infrastruttura, si è svolta con una uniforme trattazione scientifica dell’ing. Calzona. In realtà si è trattata di una ipotesi, un miraggio, sostenuto da parte dell’ingegnere, che nella sua carriera professionale, ha progettato un “unico” ponte a campata “unica” (questo risulta da quanto esaminato in rete) della lunghezza di 310 m., ben inferiore del tanto richiamato ponte Akashi, in Giappone, portato ad esempio e confronto per la realizzazione del ponte a tre campate.
Il relatore non è intervenuto nel considerare il patrimonio accumulato in 60 anni di studi sullo Stretto di Messina e sulla fattibilità dell’attraversamento stabile che costituisce un colossale capitale di conoscenze scientifiche, arricchito costantemente negli anni dagli sviluppi tecnologici e scientifici trasferiti nel contenitore multidisciplinare che compone il progetto del Ponte a campata unica.
È mio dovere ricordare che il Ponte a campata unica, è il risultato di progetto definitivo già approvato che si compone di ben 8.280 (ottomiladuecentoventi) elaborati, tra planimetrie e relazioni tecniche specifiche, che coprono ogni settore possibile: dall’effetto del vento, allo studio geomorfologico, alla componente sismica, ai materiali da impiegare alla pianificazione delle aree di intervento, dalla logistica al fattore ambientale ; tutti documenti consultabili sul sito “va. miniambiente.it” e non da una “retta” che congiunge due località.
Nella ipotizzata configurazione del ponte a tre campate, la lunghezza totale prevista è di circa 4000 m., con una campata centrale della lunghezza di 2000 m.; in tale struttura i piloni centrali andrebbero necessariamente collocati in mare, a circa 1000 metri sia dalla costa lato Calabria che dalla costa lato Sicilia, ed, inevitabilmente, posizionati negli alti strutturali batimetrici presenti della cosiddetta Sella, dove i fondali dello Stretto sono i più bassi.
L’ing. Calzona ha fatto solo genericamente intravedere le due soluzioni dei ponti con grande luce centrale attualmente in esercizio con piloni off-shore: quella del ponte di Akashi, in Giappone di 1991 m. e la più recente infrastruttura relativa al ponte 1915 anakkale bridge, di 2023 m. sul Bosforo; ( anche in questo caso l’ing. Calzona ha fatto alcune sue considerazioni sui quei 23 metri realizzati oltre i 2000 m. “codificati” o meglio “non rispettati” (?), nella sua esposizione del ponte), che, ritengo, invece, trattarsi proprio di un primato e di un risultato straordinario dell’ingegneria.
L’esposizione dei metodi di fondazione dei due piloni off-shore è stata limitata a poche confuse e, a volte, inesatte informazioni, come, ad esempio, la profondità delle posa delle fondazioni in mare del ponte di Akashi, indicata in 100 metri di profondità, (invece degli effettivi 57 metri), essendo lo stesso, come asserito, in cantiere in Giappone proprio durante la costruzione del ponte, ed avendo assistito al “varo” dei due piloni sommersi.
Ma vediamo nel dettaglio come è stata risolta la progettazione e l’esecuzione delle due pile in mare Ponte di Akashi: la base delle fondazioni delle pile Pier 2 e Pier 3 si trova, rispettivamente a – 60m. e a -57 m. ed è formata da elementi cilindrici: torri di fondazione, del diametro di 80 m., posizionati sul fondale preventivamente uniformato e livellato; i due cilindri realizzati fuori opera in carpenteria metallica sono stati successivamente trainati , posizionati e riempiti di calcestruzzo resistente all’acqua e rifiniti con una piastra su cui si sono successivamente innestati i piloni
Aggiungo che la fase della fondazione delle tre campate non si conclude nella posa sul fondo dei cilindri prefabbricati che, ricordiamo è di circa -100 m., ma è necessario, preliminarmente livellare la base, scavare e portare alla medesima quota il piano di appoggio e poi consolidare, qualsiasi tecnologia si adotti; pali, micropali cementazione o altro; soluzione progettuale che, oltre che essere costosissima sarebbe ostacolata dalle condizioni di variabilità della direzione del flusso e velocità delle correnti.
Considerando, quindi, una base di fondazione di almeno 80 m. di larghezza, per 100 m. di lunghezza, ed uno sbancamento per la livellazione orizzontale del piano di lavoro per il consolidamento della base, di almeno 10 metri di profondità nel fondo, si arriva così ad una escavazione e movimentazione di materiali del basamento per 80.000 m3,, che in parte sarà trasportato in superficie dalla draga o benna, ed in parte disperso nel fondo e trascinato dalle correnti.
Per le due pile in mare ci sarebbe quindi una movimentazione di 160.000 m3 di materiale con un radicale cambiamento della morfologia della Soglia e dei sedimenti che si depositeranno all’intorno: immagino la sorpresa di chi non si sia mai chiesto di cosa accada durante una demolizione del suolo di tali dimensioni ma, da personalità nel campo della costruzione di ponti questo dato non dovrebbe essere tralasciato, bensì considerato come elemento primario.
Pertanto, si determinerebbe una sostanziale modifica dell’ecosistema a monte a e valle della Soglia : è intuitivo il processo invasivo di queste soluzioni che modificano e devastano il fondo marino, con la distruzione totale ed irreversibile di un ecosistema delicatissimo.
Inoltre, nella soluzione prospettata, tramite l’utilizzo delle piattaforme petrolifere, l’argomento non viene in alcun modo trattato, se non con la proiezione di un fotogramma di una piattaforma Troll non completa ed in traino. Il relatore illude i presenti che con questo sistema sia possibile impiantare i due piloni in mare.
Per mia esperienza tali piattaforme brevettate in Norvegia dall’industria petrolifera sono piattaforme di estrazione.
Storicamente, dopo aver completato tutte le fasi di ricerca preliminare del giacimento qualora il suo sfruttamento richieda parecchi anni sono state studiate queste piattaforma dette Troll, piattaforme di estrazione posizionate sul giacimento con vita programmata di oltre40 anni per ammortizzare i costi notevoli della loro realizzazzione.
Attualmente le piattaforme Troll sono posate previa preparazione della base di appoggio a oltre i 200 metri di profondità. Se utilizzate per il ponte a tre campate rimarrebbe l’incognita della ricerca del sito fuori opera per la loro costruzione. I costi di produzione, trasporto e ancoraggio per una piattaforma si aggirano intorno ai 300 milioni di euro.
Ma prima di iniziare la progettazione dei piloni in mare quali ricerche si devono eseguire?
Nella identificazione delle fasi propedeutiche ci confortano le conclusioni della Struttura Tecnica di Missione che nel valutare le quattro soluzioni di attraversamento stabile dello Stretto , per la soluzione del ponte con pile in mare, sottolinea pag. 137 “ovvero per ponti a più campate con pile in alveo, dovranno essere condotte indagini geofisiche, geologiche, geotecniche, fluidodinamiche. Si dovranno analizzare le azioni e gli effetti delle correnti marine, la presenza di faglie, frane sottomarine e di tutti i tipi di accumuli di sedimenti sommersi che possono subire deformazioni, spostamenti, rottura, liquefazione dinamica. Le indagini dovranno permettere di valutare il comportamento meccanico dei volumi di terreno che influenzano e sono influenzati dalle opere a terra e in alveo. Bisognerà inoltre considerare che nelle parti centrali dello Stretto, nella zona assiale del graben, è attesa una subsidenza cosismica superiore al metro in caso di attivazione di faglie ai margini dello Stretto per terremoti di magnitudo M > 6,5.
Queste indagini non solo sono essenziali ed inderogabili ma fondamentali per poter decidere se e come fondare le pile in mare.
Analizzando la dettagliata batimetria dei fondali, le basi delle fondazioni dei piloni centrali saranno poste a profondità di non meno di -100 m. sotto il livello del mare.
Dobbiamo poi, ulteriormente considerare, le opere di consolidamento delle fondazioni dei piloni medesimi in mare quantificabili con un immorsamento delle loro sottofondazioni di circa 50 m. dal piano di appoggio delle pile, e, quindi, avremmo in totale opere sottomarine con uno sviluppo da 150-170 metri. e torri previste fuori acqua di almeno 280 m. Sommando tutti i settori avremmo: 1- sottofondazioni di ancoraggio 50 m; 2- piloni subacquei 100 m; 3- torri fuori acqua 280 m, quindi avremo una struttura complessiva 50+100+280=430 m.
Mentre per il ponte a campata unica: 1- sottofondazioni 50 m; 2- torri 380 m = 430 m.
Ma con una differenza sostanziale nella facilità di esecuzione delle operazioni di costruzione complicatissime, costose e impossibili allo stato delle tecnologie di oggi.
Ma quali costi si dovranno sostenere e quali i tempi di esecuzione, per non andar oltre, considerando che tutto queste prove sono da farsi in un ambiente sfavorevole con un’ investimento dai 50 ai 80 milioni di euro ed in tempi non inferiori ai tre anni?
Cancelliamo tutto, cancelliamo la storia, questo è il futuro che ci aspetta: incerto, ipotetico, apparente. (bc)
[Il dott. Bruno Cobat è un geologo e geotecnico, esperto di fondi marini]