;
Sabrina Martucci (UniBari): La deradicalizzazione dei terroristi islamici è un processo prima di tutto culturale

Sabrina Martucci (UniBari): La deradicalizzazione dei terroristi islamici è un processo prima di tutto culturale

di FRANCO BARTUCCI – «La deradicalizzazione dei terroristi islamici è un processo prima di tutto culturale».  Ne ha parlato la prof.ssa Sabrina Martucci, dell’Università “Aldo Moro” di Bari, al Master sulla Intelligence dell’Università della Calabria, diretto dal prof. Mario Caligiuri, trattando il tema: Teorie e tecniche della deradicalizzazione in Italia.

La prof.ssa Martucci, che ricopre pure la funzione di direttrice  del Master su Terrorismo, prevenzione della radicalizzazione eversiva, sicurezza e e cybersecurity. Processi di integrazione interreligiosa, interculturale e di deradicalizzione, presso la stessa Università barese, ha evidenziato nella sua lezione come l’azione di deradicalizzazione dei terroristi islamici richieda un apporto di diverse discipline, tra le quali pedagogia, psicologia, diritto e sociologia.

«Un approccio multidisciplinare consente con meno improvvisazione – ha detto la docente universitaria –  di affrontare un problema che coinvolgerà sempre di più gli operatori delle forze dell’ordine come i docenti e i familiari delle persone radicalizzate».

«In un solo anno – ha ribadito – lo scenario della radicalizzione e delle narrative è totalmente cambiato, ponendo il problema di capire le tecniche per la deradicalizzazione da adottare per le persone che hanno partecipato ad attività eversive e terroristiche e che necessitano di percorsi, orientati secondo strategie gender-generazionali e specifici per il reinserimento nella società. È essenziale – ha detto ancora – capire che vi è la necessità di affrontare efficacemente il tema della deradicalizzazione, considerando che occorre una più precisa normativa che regoli i programmi di intervento sul fenomeno».

Per la docente, occorre soprattutto precisare il significato delle parole. Per esempio, secondo la definizione dell’OCSE, con il termine “radicalizzazione” si identifica «un processo dinamico in base al quale un individuo arriva ad accettare la violenza terroristica come legittimo corso d’azione. “Risulta quindi indispensabile – secondo Martucci – comprendere che le dinamiche della deradicalizzazione seguono lo sviluppo della società e della tecnologia». 

Ha poi proseguito identificando i possibili contesti nei quali avvengono i processi di radicalizzazione.

«Uno di questi – ha sottolineato – è sicuramente quello del carcere, dove urgono di programmi rieducativi e/o di deradicalizzazione. Il nostro obbiettivo – ha ribadito – è capire come lavorare con le persone radicalizzate in funzione sempre della garanzia dei diritti inalienabili della persona,  per come tutelati nei sistemi democratici. Appunto per questo, l’adeguamento normativo e i relativi strumenti giudiziari devono sempre fare riferimento ai diritti senza farsi affascinare dal “modello cinese” di deprogrammazione mentale e religiosa come quello adottato sugli Uiguri ad esempio».

«Occorre, infatti – ha detto ancora – un bilanciamento tra garanzie e interventi securitari di deradicalizzazione che muova secondo il principio supremo di laicità dello Stato, perché la radicalizzazione non è solo religiosa ma piuttosto veicolata con  metodologia religiosa». 

La prof.ssa Sabrina Martucci ha poi affrontato l’analisi della matrice radicale islamista che in Europa risulta avere due tratti principali, essendo destrutturata e autonoma.

«Molto spesso – ha ricordato – non siamo in presenza di persone organizzate e inquadrate in vere e proprie organizzazioni terroristiche ma, al contrario, si tratta di persone che operano molto spesso in modo autonomo e privo di legami con i gruppi terroristi anche se da essi ispirati. In tale quadro, la propaganda è il più importante mezzo di guerra ed è il più difficile su cui intervenire».

Per la docente universitaria «l’operatore civile e militare che interviene nei processi della deradicalizzazione dovrà quindi essere sempre aggiornato sugli scenari geopolitici e sociali internazionali e avere consapevolezza ad ampio spettro del fenomeno. E questo per evitare che una persona condivida idee violente prima ancora di diventare un terrorista e compiere attentati. Occorre quindi disinnescare i meccanismi dell’ideologia eversiva e depotenziare la minaccia, attraverso le regole dello Stato di diritto “ecco l’essenza della mia idea di deradicalizzazione». 

La docente ha concluso evidenziando che ogni situazione è specifica e che occorrono empatia e mediazione nell’applicazione delle tecniche di deradicalizzazione, senza pensare di violare la sfera religiosa e i diritti della persona. Questa può essere la strada giusta per monitorare e affrontare  in Occidente un fenomeno ancora inquietante. (fb)