di PINO NANO – «Erano le 8.10 dell’8 agosto 1956 quando a Marcinelle, in Belgio, scoppiò l’inferno. A quasi un chilometro sottoterra, dove estraevano carbone a ciclo continuo, in quel momento c’erano 275 minatori. La miniera del Bois du Cazier, prese fuoco e solo 13 si salvarono. In 262, di dodici diverse nazionalità, morirono. Più della metà erano italiani: 136, emigrati in Belgio da tutta la Penisola in cerca di lavoro, vi trovarono la morte. Uno dei carrelli si bloccò nel montacarichi del pozzo del Bois du Cazier, privo di sistemi di prevenzione, provocando la rottura di un condotto di olio sotto pressione e di alcuni cavi elettrici che fece scattare un’esplosione e l’incendio che si propagò rapidamente a tutta la miniera. Nessuna possibilità di scampo per gli uomini al lavoro: intrappolati dal fuoco e soffocati dall’ossido di carbonio, morirono tra i 975 ed i 1.035 metri di profondità». Così l’Agenzia giornalistica Ansa ricostruisce la vicenda.
Da vecchio cronista confesso di conservare ancora molte carte, ma è una pessima abitudine che non consiglio a nessuno. Tantissimi documenti, anche inutili, ma che non trovo il coraggio di buttar via, tantissime lettere ricevute negli anni da chi aveva necessità di raccontarmi delle cose, montagne di vecchi comunicati stampa, e che alla fine di ogni mia giornata in Rai mi portavo a casa perché pensavo che un giorno mi sarebbero stati utili per ricostruire la storia della mia redazione.
Bene, proprio ieri l’altro, tra le mille scartoffie che hanno reso ormai la mia soffitta infrequentabile e assolutamente invivibile, mi capita per caso tra le mani la copia di un mio vecchio servizio televisivo, datato 8 agosto 2005. Vent’anni fa, anzi, più esattamente 19 anni fa. Sulla targhetta esterna del mio DVD leggo “Marcinelle”, nient’altro, ma mi torna immediatamente in mente il ricordo di una giornata campale, una delle tante vissute in Rai dove lavoravo, perché il Presidente della Giunta Regionale appena eletto quell’anno, era Agazio Loiero, aveva deciso di andare a Marcinelle, in Belgio, per commemorare i tanti minatori calabresi che avevano perso la vita in quella che è poi diventata la più grande tragedia mineraria d’Europa.
Vado allora a ricercarmi una qualunque nota stampa che potesse in qualche modo aiutarmi a rimettere ordine nei miei ricordi, e trovo una cosa bellissima, di qualche anno fa. È una lettera scritta proprio da lui, dal Presidente Agazio Loiero, nel ricordo di quella sua visita di Stato. E più che un’analisi politica è molto di più, la trovo quasi una poesia, una testimonianza intrisa di grande passione civile, e soprattutto il racconto avvolgente di un figlio di Calabria che 20 anni fa aveva avvertito forte il bisogno di ricollegare la sua vita politica ai bisogni reali della gente e della sua terra.
Una lettera-aperta scritta alla sua maniera, da grande cronista e da grande intellettuale della storia politica meridionale, da figlio vero di questa terra e da protagonista di primo piano della vita politica italiana, da profondo conoscitore del mondo dell’emigrazione, e soprattutto da politico intelligente visionario ed eclettico come solo lui sa esserlo. Bellissima la sua ultima intervista a Paride Leporace, è di un anno fa, e in cui racconta sé stesso e la sua voglia di Calabria.
«Nel 2005, appena proclamato presidente della regione Calabria, il mio primo atto istituzionale – scrive Agazio Loiero – è stato un viaggio in Belgio. Mi sono infatti imbarcato su di un aereo con destinazione Marcinelle per ricollegarmi, a nome di tutti i calabresi, con i corregionali e gli altri italiani morti, l’otto agosto del 1956, nella miniera Bois du Cazier. Quel viaggio era un pensiero che mi martellava dentro da tanto tempo. Sono nato a Santa Severina, uno dei paesi vittima all’epoca della tragedia consumatasi in Belgio. Ricordo lo strazio dei parenti che contagiò l’intera comunità».
Nel passaggio successivo Agazio Loiero ricorda il dolore dei nostri paesi e di migliaia di famiglie devastate dal bisogno di lavoro all’estero.
«All’epoca un lutto era ancora un lutto. Si svolgeva privo della gestualità e degli applausi del nostro tempo. Conteneva ancora una sacralità austera ed era il silenzio a testimoniare l’immedesimazione profonda nel dolore degli altri. La cerimonia funebre – ricordo – fu scandita solo dalle parole della liturgia e dai gemiti sommessi dei parenti delle vittime. Quel ricordo si rinnova di anno in anno anche perché c’è sempre qualche istituzione che rimanda a quella tragedia lontana. Devo aggiungere che quest’anno in particolare sono stati più numerosi i media italiani che, allo scoccare dell’otto agosto, hanno evocato la tragedia».
Rieccolo il grande cronista degli anni passati, che incontrai per la prima volta per caso a Catanzaro quasi 50 anni fa, quando la sua sorte sembrava dover essere segnata per sempre dal mondo del giornalismo, perché ogni cosa che Agazio Loiero scrivesse lasciava il segno, tracciava un solco tra il mondo reale e il mondo delle favole, e lui sapeva miscelare le due cose meravigliosamente bene, in un unico contenitore mediatico. Geniale, efficacissimo, a volte anche eccessivo, uomo dal carattere dirompente, ma come cronista era già allora, lui giovanissimo, un numero uno.
E sarà lui per primo a dare ai media calabresi i dati reali che nessuno di noi quell’anno aveva mai avuto sulla tragedia di Marcinelle.
«Segnalo alcuni dati, di sicuro in buona parte sconosciuti alle giovani generazioni. Dei 262 operai periti nella miniera di carbone belga- scriveva in quella sua lettera Agazio Loiero- 136 erano italiani, quasi tutti provenienti dal Mezzogiorno d’Italia. Per metà abruzzesi, moltissimi calabresi, di Reggio Calabria, Cosenza, San Giovanni in Fiore, Caccuri, Cerenzia, Castelsilano, Santa Severina, Rocca Bernarda, Savelli, Scandale, di tutta la Sila e dell’intero Marchesato di Crotone. La sciagura travolse alcuni contadini-operai, considerati, al momento della partenza, fortunati perché, benché lontano da casa, avevano trovato un lavoro. Certo, erano andati a vivere in un paese straniero, sfidando quel particolare tipo d’esilio che rappresentava all’epoca l’emigrazione, ma sfidando anche una lingua che non conoscevano. Se è per questo, però non conoscendo neanche la propria, essendo in buona parte analfabeti, se ne facevano una ragione consolatoria».
Ricordo l’affanno di quel 8 agosto del 2005, mentre aspettavo in regia che Bruxelles ci riversasse le immagini della visita del Presidente Loiero a Marcinelle, perché avvertivo su di me che allora guidavo quella redazione il peso di una responsabilità del tutto speciale. Sapevo, insomma, che non avrei mai potuto non mandare in onda, quel giorno stesso, la cronaca di quel viaggio di Stato, tanta solennità c’era in quella sua visita istituzionale
Ma Agazio-cronista va ancora oltre la sua analisi iniziale, e questa volta supera sé stesso, soprattutto per il coraggio con cui entra nel merito di uno storico accordo di programma tra l’Italia e il resto dell’Europa.
«Ma perché si erano recati in quella miniera così lontana dalla propria terra? Nel dettaglio neanche loro lo sapevano. Anche se il motivo era semplice. Erano andati fin lassù – scriveva Agazio Loiero – perché il governo italiano, guidato da un uomo probo e lungimirante, come Alcide De Gasperi, aveva compiuto uno scambio, che oggi potrebbe apparire indecente. L’Italia offriva gli uomini e il Belgio il carbone. Purtroppo, in quegli anni lontani il carbone era indispensabile all’Italia quanto il pane. Anzi, era il nostro pane nero. Serviva infatti alle fabbriche del Nord, le quali rase al suolo dai bombardamenti, erano state miracolosamente ricostruite. Con quel carbone sarebbero state pronte a svolgere un ruolo decisivo nella costruzione del miracolo economico italiano. In quello scambio uomini-carbone, compiuto da De Gasperi, per quanto oggi possa apparire indigeribile per la logica del nostro tempo, risiedeva un concetto profondo di unità, ereditato dalla tradizione risorgimentale e trasfuso nella Costituzione italiana. Oggi in grande parte evaporato nella scadente società italiana di questa stagione».
Ecco a cosa servono gli archivi polverosi, a ritrovare analisi e pensieri che a distanza di anni ci aiutano a capire meglio la storia, e alla luce di quella Visita di Stato che il Presidente della Regione Loiero rese ai caduti di Marcinelle (quel giorno mi sentii fiero di essere calabrese) mi torna in mente quello che scrive oggi Sira Miori – per anni direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura a Bruxelles, Coordinatrice d’area geografica, Consigliere per gli Affari culturali dell’Ambasciata d’Italia, in occasione della nuova edizione di un libro che ha già fatto il giro del mondo, “…Per un sacco di carbone” , di Maria Laura Franciosi (ed. Acli e San Paolo, agosto 2024) dedicato proprio a Marcinelle.
«Oggi è la giornata di commemorazione delle vittime sul lavoro in Europa e nel mondo, un dramma che ancora colpisce quotidianamente il nostro e tanti altri Paesi. La tragedia di Marcinelle è ormai diventata un tassello dell’integrazione europea, dopo la creazione della Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio (Ceca), che aprì la via a quella che divenne negli anni successivi la Comunità Economica Europea e oggi l’Unione europea. Quella tragedia e i suoi 262 morti sul lavoro, hanno avuto un ruolo cruciale nel gettare le fondamenta dell’Europa dei diritti, della libera circolazione delle persone e dei lavoratori, della cittadinanza europea, della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea, ispirata ai valori condivisi del rispetto per la dignità umana, del lavoro equo e dignitoso, della parità uomo-donna, della lotta alle discriminazioni, nel segno dell’uguaglianza, della democrazia, della conoscenza e del rispetto dei diritti umani: valori che, oggi più che mai, sono indispensabili per affrontare, insieme, le nuove sfide globali e assicurare pace, stabilità, sicurezza, lavoro, crescita economica e solidale, oltre a necessarie e eque prospettive per i giovani». (pn)