di ROSARIO SPROVIERI – «Vorrei poter regalare alcuni dei miei capolavori più famosi alla città che mi ha visto nascere e dove sono cresciuto accanto ai miei genitori e alla mia famiglia, ma vorrei ricordare che non ho più molto tempo davanti a me e che il mio orizzonte si riduce sempre di più». Il grande Alto Turchiaro è morto portandosi dietro il sogno più grande della sua vita, che era quello di poter regalare 100 quadri della sua collezione privata alla città di Cosenza, che non era la sua città natale, ma che lui amava come se lo fosse.
Abbiamo appreso della sua scomparsa quasi per caso, e con grande amarezza abbiamo scoperto che in realtà il grande artista calabrese se ne è andato il 30 agosto scorso, nel silenzio più generale di questo nostro mondo.
Aldo Turchiaro, il “patriarca dell’arte italiana”, uno degli ultimi grandi artisti ancora viventi, era nato 94 anni fa in Calabria a Celico, il paese silano che ha dato i natali a Gioacchino da Fiore.
Una vita la sua interamente percorsa sulla strada maestra dell’arte, con la A maiuscola, in perfetto unisono con il sentire di Bernardino Telesio: «L’uomo per comprendere la natura, essendo esso stesso natura, non deve far altro che affidarsi, quasi abbandonarsi ai sensi che gliela svelano».
Turchiaro, – come per il filosofo cosentino – sa che la conoscenza dell’universo è essenzialmente sensibilità, comprensione del “creato”; per questo le sue opere sono la visione armonica e melodiosa del palpitare di questo regno comune fra umani, animali natura acqua e aria.
A 94 anni appena compiuti il famoso artista calabrese, che viveva ormai a Roma stabilmente da almeno 70 anni rilanciava il suo appello alla città di Cosenza: «Vorrei poter lasciare le mie opere più belle alla mia città natale e considero Cosenza la mia città natale. Vorrei regalare alcuni dei miei capolavori più belli al sindaco della città di Cosenza perché essi rimangano patrimonio storico della mia città, ma vorrei poterlo fare prima che sia troppo tardi. Vorrei che il sindaco di Cosenza, l’avvocato Franz Caruso, mi dicono sia un grande giurista e un intellettuale come pochi, possa accogliere e fare suo il mio appello e il mio ultimo sogno, prima però che sia troppo tardi. Ogni giorno che passa il mio orizzonte si accorcia sempre di più».
Ma se ne è andato prima di poter realizzare questo che era il suo ultimo vero grande sogno nel cassetto.
Aldo Turchiaro era stato per lunghissimi anni a stretto contatto di gomito con i grandi maestri della pittura italiana contemporanea; per anni vicinissimo a Renato Guttuso, di cui è stato allievo, aiutante, stimolatore e amico; ore e ore trascorse presso lo studio del maestro siciliano di via di Villa Massimo a Roma, insieme al pittore Raffaele Leomporri. Turchiaro è stato poi successivamente insigne professore in tante accademie italiane, Firenze, Brera a Milano, e a Roma nella prestigiosa scuola di via di Ripetta.
Il maestro calabrese, agli inizi degli anni sessanta, frequentò il gruppo dei cosiddetti giovani pittori, che si avvicendavano, nel mostrare le proprie creazioni, presso le più prestigiose gallerie del fervore culturale della città di Roma. Antonello Trombadori e Alvaro Marchini, proposero – più volte -le opere dell’artista cosentino, presso la storica galleria “La Nuova Pesa” in via del Vantaggio in Roma, ove – poco prima di lui – avevano esposto Picasso e Leger, Glazunov, Guttuso, Attardi, Vespignani e Levi. Qui, Turchiaro presentò una selezione delle sue opere, relative al suo primo periodo, di matrice esistenzialista; insieme ai suoi lavori furono esposti anche i disegni di Carlo Quattrucci amico del poeta Rafael Alberti, scomparso prematuramente negli anni ottanta, alla giovane età di quarantasette anni. Quattrucci e Turchiaro erano stati co-fondatori, insieme a Marcello Confetti, Paolo Ganna, Piero Guccione, Gino Guida, Pino Reggiani e Pasquale Verusio del gruppo d’Arte: “Libertà – Realtà” che era nato sempre nell’anno ’61. Il gruppo si era proposto una nuova figurazione in contrasto con la nozione dell’astrattismo come ‘unica espressione valida di un operare moderno’.
Questo sodalizio artistico realizzò un’unica mostra, sempre nell’anno del 1961 presso la Galleria Stagni di Roma, ove riscosse un grande successo al di là di ogni aspettativa, di valenza nazionale, registrando l’attenzione di tante personalità del mondo della cultura e dei critici d’arte come Lionello Venturi.
Perfezionista e lucido nella ricerca del colore, con le sue “prismatiche rifrazioni della luce”, cacciatore di perle fra la moltitudine di arnesi, di strumenti e dei più svariati oggetti della tecnologia, prende tanto in prestito dalla meccanica e dalla robotica e affianca, e integra, il suo sconfinato universo del mondo animale, vegetale delle onde che agitano l’aria e il mare. Le ispirazioni, il metodo e la figurazione riportano a Fernand Léger alla sua visione utopica della vita, al suo modo di considerare favorevolmente il progresso tecnico e le macchine per la vita futura di tutta l’umanità.
Anche per Aldo Turchiaro – come per Leger – gli oggetti perdono consistenza materiale per ridursi alla loro funzione simbolica. Così è il mondo delle creature della natura del pianeta dell’arte di Turchiaro, che si popola magicamente di emblemi, di creature cariche di simbologia come era accaduto secoli prima, nell’arte bizantina.
L’artista cosentino ha la ricchezza delle lunghe radici della quercia, sa dello stormire delle foglie di alta quota, conosce l’arte di intrecciare i nidi degli uccelli, i guizzi delle creature dell’acqua cristallina e, le melodie del canto che uomini e donne sussurrano alla terra. Turchiaro ha saputo segnare nuovi sentieri, strade aperte agli artisti contemporanei; egli ha proposto tematiche e ha tracciato segni, fuori dai luoghi della massificazione, fuori dai concetti “sociali e astrattisti”.
Al maestro Aldo Turchiaro va riconosciuta l’originalità e l’unicità della sua vita d’artista, egli di fatto, continua ancora adesso a scrivere tramite le proprie creature – in piena autonomia – nella storia dell’arte contemporanea, ciò che il famoso critico e letterato sovietico Victor Šklovskij aveva già stampato nel lontano 1922: «il colore dell’arte non deve riflettere il colore della bandiera che sventola sulla fortezza della città”. “Lo scopo delle arti figurative non è mai stato quello di rappresentare oggetti esistenti: è stato e sarà la creazione di oggetti artistici: e cioè della forma artistica. Un quadro è qualcosa di costruito secondo leggi proprie, non imita».
Buon viaggio dunque al grande Aldo Turchiaro.
La sua vita e le sue opere rimarranno patrimonio comune del mondo, degli uomini, degli animali, degli uccelli, dei pesci, delle creature dell’aria, della terra e delle acque dei fiumi e del mare e sarebbe stato bellissimo se il suo appello, e il suo ultimo sogno terreno, fosse potuto diventare realtà proprio nella città che lui amava di più al mondo, Cosenza. (rs)