Con “Il Provinciale” su Rai 2 si viaggia nella Calabria arberëshë

Un appuntamento da non perdere, quello di domani su Rai 2, alle 14, con il programma Il Provinciale di Federico Quaranta, che porterà gli spettatori alla scoperta della Calabria arberëshë.

Quest’area ha visto insediarsi, nel corso dei secoli, varie popolazioni: Greci, Romani, Bizantini, Saraceni e infine Albanesi. Questi ultimi, provenienti dall’Albania, dall’Epiro e dalle numerose comunità albanesi dell’antica Grecia, si stabilirono in Italia a partire dal XV secolo in seguito alla morte dell’eroe nazionale albanese Giorgio Castriota Scanderbeg ed all’inesorabile e progressiva conquista dell’Albania e di gran parte dei territori balcanici da parte dei turchi-ottomani.

Gli arberëshë, termine derivante da Arbër, importante principato albanese in epoca medievale, sono gli albanesi d’Italia, cittadini italiani da sempre, anche se minoranza etno-linguistica distribuita nel meridione del nostro paese. L’Arberia è infatti l’insieme di queste aree geografiche situate in sette regioni: Abruzzo, Basilicata, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e, appunto, Calabria. La cultura arbereshe è determinata da elementi tradizionali gelosamente conservati nei secoli, primi fra tutti l’idioma e la religione cattolica di rito bizantino.

Accompagnato dal fedele J e affiancato da Mia Canestrini che racconta la magnifica natura del Parco del Pollino e le splendide specie di uccelli rapaci che lo abitano, Federico Quaranta parte dalle imponenti rovine del cinquecentesco Castello di San Mauro, attraversando la Piana di Sibari e visitando dunque gli abitati di Civita, Lungro, San Demetrio Corone e Santa Sofia d’Epiro. Natura, storia, religione e antiche tradizioni, narrate sulle note della colonna sonora della Peppa Marriti Band, gruppo di rock-arbereshe calabrese che scandisce tutti i momenti del viaggio. (rrm)

A Pallagorio si è celebrato l’U Cumbito, il banchetto di nozze in stile arbëreshë

A Pallagorio, ridente paese arbëreshë dell’entroterra crotonese, si è celebrato l’U Cumbito, il banchetto di nozze in puro stile arbëreshë, organizzato dall’Associazione culturale RriMiBashkë Aps.

L’idea è nata da Mario Rosati, originario di Pallagorio, che si è sposato a gennaio con Gabriella Cicala, che hanno voluto celebrare il matrimonio con amici e parenti che, a causa del covid, non hanno potuto presenziare alle nozze. Da una semplice battuta di uno dei loro conoscenti, nasce una bellissima idea che i due iniziano a prendere seriamente in considerazione: «Ma perché non fate “U Cumbito”, proprio come quelli che si facevano un tempo?».

L’Associazione di Pallagorio non si era mai occupata prima di organizzare questo genere di evento, ma, dato che lo scopo sociale è proprio quello di far riscoprire le antiche tradizioni del mondo arbëreshë e che il paese è una di quelle piccole realtà dove ci si conosce tutti e di tutti si è amici, le intraprendenti socie del gruppo, non sentendosela di dire no, accolgono senza esitazione la richiesta dei due giovani sposi.

Inizia così il lavoro più difficile, quello di reperimento di tutte le informazioni necessarie sui rituali di nozze a Pallagorio.

Grazie alla collaborazione delle donne anziane e ai documenti che si è riusciti a ritrovare sull’argomento, l’Associazione è riuscita a recuperare tutto il necessario per organizzare un vero e proprio “cumbito”, senza lasciare al caso alcun particolare, dal vestiario alla musica, sino alla tradizione dei piatti per il desco nuziale.

vestizione sposa
Vestizione della sposa

Un tempo il banchetto di nozze veniva allestito a casa dello sposo, oppure lungo la “gjtonia”, vale a dire il rione.

Oggi, a causa della situazione pandemica, questo non è possibile: pertanto, l’Associazione RriMiBashkë ha deciso di rivolgersi ai Frati dell’Opera di Santa Maria della Luce, che risiedono nella frazione Perticaro di Umbriatico, visto che dispongono di un bellissimo spazio all’aperto, oltre che di tutte le attrezzature necessarie.

I frati, che spesso ospitano gruppi, accettano di buon grado di assecondare i desideri di Pino e di Gabriella e mettono a disposizione la loro struttura.

Viene così allestita sul prato verdeggiante del seminario estivo di Perticaro (struttura voluta da Mons. Faggiano) una location d’altri tempi, dove ogni ornamento, addobbo e allestimento non è messo a caso ma riveste un significato ben preciso.

Ad esempio, l’angolo dedicato ai dolci tradizionali è adornato con una splendida coperta realizzata a mano al telaio nei primi del novecento, secondo lo stile arbëreshë.

sposi arbereshe
Gli sposi

Alla base è posto un  cestino con delle uova e dello zucchero, perché un tempo il giovedì che precedeva la data delle nozze veniva allestito il letto per i futuri sposi che venivano omaggiati proprio con delle uova e dello zucchero in segno di buon augurio: la casa doveva essere piena come le uova e gli sposi dolci l’uno verso l’altro come lo zucchero.

Mentre fervono i preparativi del cumbito, l’Associazione viene è stata contattata da Italo Elmo, cultore del mondo arbëreshë, per realizzare un reportage sulle nozze nella società tradizionale degli albanesi dell’Alto Crotonese per l’ultimazione della sua pubblicazione in due volumi, intitolata Rituali di nozze in Arberia: costume, ornamento e bellezza nelle gale delle donne arbëreshë.

Elmo ha chiesto di allestire uno spazio per il reportage, di scegliere come modelle Alessia Spina e Maria Cianciaruso e di riunire a Pallagorio le tre comunità arbëreshë dell’Alto Crotonese: Pallagorio, Carfizzi e San Nicola dell’Alto.

Arrivato l’atteso giorno, Gabriella viene accompagnata nella location scelta per il reportage fotografico, iniziando con i riti della pettinatura (secondo i dettami del tempo) e della vestizione della sposa con la coha (abito tradizionale arbëreshë), secondo l’antico rituale.

Infine, vengono fatti indossare i preziosi gioielli messi a disposizione per il servizio fotografico dalla Gioielleria Lapietra, che dal 1960 produce gli ori della tradizione arbëreshë dell’Alto Crotonese.

Alla fine del servizio fotografico lo sposo riserva una sorpresa inaspettata alla sua Gabriella, porgendo come da tradizione gli ori alla sposa: la cosiddetta “parata”, realizzata sempre dal maestro orafo Lapietra.

Al crepuscolo, il seminario di Perticaro è pronto per accogliere gli sposi, che per l’occasione indossano proprio  i vestiti della tradizione arbëreshë.

Il momento è emozionante per tutti, specie per l’anziano padre dello sposo, che con gli occhi lucidi guarda la nuora con la coha e la accoglie con un bacio sulla fronte.

Dopo la benedizione degli sposi, si prosegue la lunga giornata con “u cumbito”, che prevede appunto le tipiche pietanze di un tempo preparate con maestria dalle selezionate cuoche.

Il menu prevede: un antipasto a base di salumi, formaggi, sardella, sarde salate ed olive; primo di zitoni al sugo con polpettine di carne; secondo di spezzatino di carne con patate e trippa; vari contorni con verdure di stagione (fagiolini lessi, insalata di cetrioli e cipolla, pipi e patate); dolci della tradizione, come mastaccioli e pagnottine. Per finire, i confetti di un tempo e una semplice ma deliziosa torta nuziale (un semplicissimo pan di spagna ai frutti di bosco, guarnito con zucchero a velo). Anche i camerieri che servivano ai tavoli indossano vestiti tipici del tempo e della tradizione arbëreshë.

La serata è stata allietata dalla chitarra e voce di Francesco Mazza e dalle pizzicate sonorità del mandolino di Giovanni Bellio.

Anche le bomboniere, rappresentata da una piantina di limone, erano pregne di significato.

Alla fine, vedere la gioia negli occhi di Pino e Gabriella e gli ospiti messi completamente a proprio agio ha ripagato appieno gli sforzi fatti dalle socie dell’Associazione RriMiBashkë, e dai tanti spontanei collaboratori che hanno saputo organizzare il tutto in pochissimi giorni.

«Volontari – si legge in una nota – cui va rivolto un caloroso ringraziamento. Un momento di ritualità e convivialità, sostanza e bellezza della memoria di ogni comunità: elementi emersi con forza dalla volontà e dall’impegno di tutelare e valorizzare le radici e le tradizioni del luogo natio». (rkr)

 

COSENZA – Un successo l’edizione annuale degli Eventi Itineranti su Skanderbeg

In streaming si è svolta l’edizione annuale degli Eventi Itineranti, promossi e organizzati da Basilicata Arbereshe Edizioni sotto l’egida dell’Università della Calabria – Cattedra Albanologia e del Lem ItaliaConfemili Roma come inserto policromo di Katundi Yne, Trimestrale di battaglia per le Culture Minacciate, in Civita -Cosenza).

Infatti, in onore di Skanderbeg (1405-1468), definito dalla Bolla Pontificia di Pio 2° “Athleta Christi et defensor Fidei”, sono stati pubblicati oltre sei mila titoli, saggi storici, antologie, film, rappresentazioni teatrali, musicali (una per tutte l’Opera presentata a Firenze -Teatro La Pergola nel 1735, e scritta dal grande Antonio Vivaldi, recuperata in toto dopo ricerche archivistiche intense dal Maestro Perikli Pite, docente al Conservatorio di Pesaro.
Il convegno, introdotto dal Comitato Eventi, è stato inaugurato dall’on. Anna Laura Orrico, sottoSegretario al Ministero Beni Culturali, per Bb.Cc., Musei, Biblioteche. Da Venezia, la prof.ssa Lucia Nadin, storiografa e docente per un quinquennio all’Università di Tirana (Albania), seguita dal dott. Mosè A. Troiano, sindaco di San Paolo Albanese e Presidente dell’Aca “Pollino”.
Sulla ritualità Bizantina, presente in numerose comunità del Sud e città metropolitane, è intervenuto Papàs Giuseppe Barrale, Famulltari Chiesa SS. Cosmo e Damiano, Eparchìa di Lungro.            Relazione magistrale del prof. Francesco Altimari, albanologo e presidente Fondazione Univ.”Solano”Cosenza, che ha presentato il Progetto Moti i Madh (Riti Arbereshe della primavera ) con cinque Atenei d’Italia, da trasmettere all’Unesco per un adeguato ed auspicabile riconoscimento.
Il prof. Antonio Romano, socio-Economista e Fondatore Istituto Jobs “Scelte socio-economiche per difendere e sostenere la tradizione Arbereshe, un brand Italia-Arbereshe”.
Fra gli interventi e messaggi augurali pervenuti dal Qspa,  ci sono stati quelli della prof.ssa Diana Jup Kastrati, il prof. Costantino Bellusci con la collana (in tandem con Flavia d’Agostino) sui Fjalor, il prossimo dedicato alle cinque oasi Arbereshe lucane, Antonio Chiaromonte, ex Seminarista “Benedetto XV” e coordinatore Acap., Silvia Pallini, direttrice di Lem-News.
A chiudere l’evento, una canzone dedicata dall’srtista Anna delle Noci a G. K. Skanderbeg.
L’intero Convegno è stato coordinato dal Direttore di “Basilicata Arbereshe” prof. Donato M. Mazzeo, e registrato online da  Fabio Pietragalla Productions.
Inoltre, saranno pubblicati gli “Atti” in cartaceo, prossimamente. (rcs)
In copertina, Altimari e Mazzeo

Rai Calabria: il doc sull’Eparchia di Lungro nella versione in lingua arbëreshë

Da non perdere, domattina, sabato 9 gennaio, alle 7.30, su Rai Calabria il bellissimo documentario sul centenario dell’Eparchia di Lungro, che per la prima volta viene riproposto in lingua arbëreshë. È un esperimento rivoluzionario, nell’ottica della valorizzazione delle tre minoranze linguistiche presenti in Calabria, che apre il campo a molteplici utilizzi del mezzo televisivo in ambito regionale e delle straordinarie risorse presenti nelle teche di Rai Calabria.

La Calabria diventa una regione pilota per un percorso ancora più incisivo del servizio pubblico: per la seconda volta nel giro di un mese i vertici della Sede Rai calabrese (l’ing. Demetrio Crucitti, direttore di Sede, e Pasqualino Pandullo, Caporedattore Responsabile della Tgr) fanno sì che la Rai possa trasmettere uno “speciale televisivo” di grande interesse sociale proprio nella lingua originale arberesch.

Un esperimento tutto calabrese, di grande interesse e fascino culturale, che oggi ripropone e rilancia, e mai come in questa occasione, il ruolo strategico della comunicazione e dell’approfondimento storico e antropologico in una regione così spesso lontana dal resto del mondo. «Una vera e propria conquista aziendale – afferma il direttore Crucitti, che da anni, instancabilmente, ha dato un grande impulso alle potenzialità della sede di Cosenza, anche aprendo alle minoranze linguistiche al fine di valorizzarne tradizioni e cultura –. Lo speciale che mandiamo in onda sabato in lingua originale è un omaggio che Rai Calabria ha voluto dedicare al Centenario dell’Eparchia di Lungro,  scritto e tradotto in lingua arbëreschë». Il documentario è stato realizzato in collaborazione con la direzione della Tgr, del Centro Televisivo Vaticano, di Rai Quirinale, di Rai Vaticano e della struttura di produzione della stessa Sede Rai calabrese. «La nostra Sede – aggiunge ancora l’ing. Crucitti – ha dedicato mesi e mesi di preparazione e di lavoro per questo docufilm interamente dedicato alla storia degli italo albanesi di Calabria».

La voce narrante dello speciale in lingua italiana era di Francesca Pecora. I testi del documentario sono firmati da Brunella Eugenii e dal Vicario dell’Eparchia di Lungro mons. Pietro Lanza.
Per la versione in lingua albanese è stata invece scelta una delle interpreti più moderne e più affidabili della lingua albanese, Saverina Bavasso, arbëreshë doc, e che lo scorso anno era già stata l’interprete ufficiale della comunità albanese allo storico incontro tra il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella e il Presidente dell’Albania Ilir Meta a San Demetrio Corone.

Responsabile della produzione tv/rf della Sede Antonio Gatto. Il Coordinamento tecnico e la regia dello speciale sono di Andrea Recchia. Le immagini sono invece firmate da Emanuele Franzese, Carlo Spadafora, Massimiliano De Lio, Antonio Vacante, Gianluca Fazio, Pietro Bianco, Specializzati di ripresa Pino Manzo, Franco De Cario, e Aldo Morrone. Tecnico della produzione Mauro Tedesco. Fondamentale è stata invece la ricerca d’archivio, e nessuno meglio di Giuseppe Nocito, memoria storica della Rai calabrese di questi ultimi 40 anni, avrebbe potuto farlo meglio.

Lo speciale spiega con grande chiarezza – aggiunge il Direttore Demetrio Crucitti – come siano passati ormai cento anni dalla istituzione dell’Eparchia di Lungro e «oggi essa è più che mai impegnata nella grande questione della ricomposizione dell’unità dei cristiani e nella salvaguardia del principio della legittima diversità nell’unità della fede».

Il docu-film ricostruisce il lungo processo storico che è stato necessario per arrivare alla istituzione della Eparchia di Lungro, oltre quattrocento anni dal momento in cui gli albanesi giunsero in Calabria, Basilicata, Puglia e in Sicilia. Lo speciale ripropone infine anche le tante cerimonie solenni celebrate per il Centenario della nascita dell’Eparchia, partendo dalla delegazione ricevuta ufficialmente il 24 maggio 2019 dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Quirinale. Il pomeriggio di quello stesso giorno – ricordiamo – una folta rappresentanza di pellegrini provenienti da tutti i paesi dell’Eparchia ha poi partecipato alla Divina Liturgia, celebrata all’Altare della Cattedra della Basilica di San Pietro dall’eparca mons. Donato Oliverio.

La speranza è che ora questo programma in lingua originale arbëreschë possa finire da domani in poi sulla piattaforma di Rai Play come è accaduto in passato per la versione in lingua italiana. (Pino Nano) 

È L’ANNO DELLE MINORANZE LINGUISTICHE
UN PROGETTO SULLA CULTURA ARBËRESHË

di PINO NANO – Nasce un importante progetto per la valorizzazione e il rilancio della cultura minoritaria arbëreshe nel meridione d’Italia. Il progetto è coordinato dalla Fondazione Universitaria Unical “F. Solano” con la partecipazione di cinque atenei italiani (Calabria, Palermo, Salento, Venezia-Ca’ Foscari e Milano “Statale”). E proprio in questi giorni è stata trasmessa alla commissione nazionale Unesco la proposta di candidatura della cultura immateriale degli albanesi d’Italia a patrimonio universale. Il 2021 deve diventare l’anno delle minoranze linguistiche: la Calabria ha un patrimonio di culture (occitana, arbëreshë e grecanica) da difendere, valorizzare e rilanciare in un progetto di ampio respiro che può diventare un’attrazione irresistibile per il turismo culturale ed esperenziale.

Ne parliamo con Francesco Altimari, presidente della Fondazione Universitaria Unical “F. Solano”, oggi uno degli accademici italiani più legati al mondo arbëreshë,  intellettuale calabrese puro, vero ambasciatore dell’Arbëria, professore universitario che ha girato il mondo solo per raccontare la magia delle tradizioni italo-albanesi della sua terra, scrivendo saggi di altissimo valore scientifico e accademico.

«A nome di un nutrito gruppo di lavoro costituito da illustri studiosi e da numerosi detentori e praticanti – dice – è stata presentata in questi giorni alla Commissione Nazionale Unesco dalla Fondazione universitaria Unical “Francesco Solano”, che ho l’onore di presiedere, la candidatura della cultura immateriale degli albanesi d’Italia a patrimonio universale”.

– Meraviglioso. Non si poteva immaginare di più, e di meglio, per il mondo degli italoalbanesi d’Italia. L’Arbëresh, dunque, patrimonio immateriale dell’Unesco. Professore Altimari, immagino sia fiero di tutto questo?

«Non posso dirlo io, ma intimamente lo sono, per aver portato a compimento, con la presentazione della candidatura una missione che non è personale. Essa ha coinvolto assieme a me tanti illustri studiosi e colleghi che hanno dedicato il loro tempo e la loro scienza allo studio di questi fenomeni culturali e con alcuni dei quali abbiamo lavorato strenuamente insieme in questi mesi difficili. Il progetto coinvolge soprattutto tanti gruppi, e semplici praticanti, che con tenacia hanno conservato nel tempo questa memoria».

– Una bella ambizione, non crede?

«La Fondazione Solano si è fatta solo interprete di questa missione primaria, portando avanti e coordinando, con i colleghi delle altre Università coinvolte, un lungo lavoro di ricognizione sul campo per individuare questa rete di tradizioni rituali che è stato da noi progettato e realizzato grazie alla collaborazione attiva di numerosi detentori e praticanti di tali elementi rituali, che coprono gran parte delle nostre comunità».

– Cosa intende con il termine “praticanti di elementi rituali”?

«Intendo fare riferimento a organizzazioni, gruppi e persone di varia estrazione sociale e culturale che nelle loro quaranta lettere di adesione auspicano che venga ora finalmente riconosciuto la peculiarità di questo loro ricco patrimonio che rappresenta il vero bene comune dell’Arbëria. Parliamo di un patrimonio sostanzialmente ignorato dalle istituzioni e salvaguardato materialmente sinora solo grazie all’impegno diretto dei gruppi di praticanti e alla tenacia delle comunità interessate. Si tratta anche di rilevanti “pratiche educative” che nel disinteresse generale hanno alimentato nel passato l’auto-tutela della comunità quando la nostra identità minoritaria non era ancora riconosciuta dallo Stato».

– Perché a questo progetto sui riti arbëreshë del ciclo della primavera avete dato il nome “Moti i Madh”? “Tempo Grande”?

«Moti i Madh vuol dire “Tempo Grande. Si tratta di un insieme di eventi di tipo musicale, coreutico, teatrale ecc, oggi inglobate all’interno del ciclo pasquale di tradizione cristiana orientale, che in parte continuano antiche ritualità della grande stagione della rigenerazione della natura e dell’umanità. Appunto, il “Tempo Grande”. È stato il genio di Girolamo De Rada a coniare questa espressione, che nella cultura albanese fa riferimento al tempo di Scanderbeg -. un passato che continua ad avere significato anche nel presente – ripreso anche dallo scrittore arbëresh Carmine Abate nel suo celebre romanzo – epopea degli arbëreshë Il mosaico del Tempo Grande.

– Ci fa un esempio?

«Dopo oltre mezzo millennio, come “tasselli” di un unico mosaico, questa rete di riti si ritrova tra gli albanesi d’Italia, coprendo l’intero arco del periodo primaverile, documentata da un ricco patrimonio di letteratura orale, che ha significative corrispondenze anche nei Balcani. Pensiano per esempio alla “Vallja” del periodo pasquale, con i canti di Scanderbeg, simbolo forte di una Arbëria “resiliente”. Pensiano alle suggestive cerimonie, comprese quelle nuziali, che si intrecciano con le celebri  “rapsodie” di Costantino e Garentina, o di Costantino il piccolo, ma anche ai canti paraliturgici dell’intero ciclo pasquale, alle cosiddette “kalimere,  al “banchetto degli invisibili”, per richiamare col titolo della celebre monografia del collega Mario Bolognari i coinvolgenti riti di commemorazione dei defunti nella nostra tradizione orientale, ma anche a tanti saperi tradizionali che ritroviamo nello spazio arbëresh, dall’Abruzzo alla Sicilia».

– È abbastanza non crede?

«Vede, quando si tratta di ridare volto vita e storia alla tradizione di un popolo come il nostro niente è mai abbastanza. Purtroppo essa è stata per troppo tempo sottovalutata e offuscata dal disinteresse e dall’incuria delle istituzioni. Ora gli altri questa tradizione ce la invidiano, non trattandosi come qualcuno si ostina ancora a credere, e a praticare, solo vuoto folklore, ma espressione di una civiltà “resiliente” che va riscoperta e rilanciata. In questa riscoperta della tradizione rientrano anche tanti prodotti tipici dell’artigianato, ma anche i ricchi costumi femminili arbëreshë, così come anche i prodotti della tessitura, nonché quelli dell’alimentazione, riferita sia ai cibi rituali che ai cibi tradizionali».

– Nel presentare oggi questo vostro progetto che aspettative nuove si aprono per il mondo arbëresh?

«Queste pratiche rituali, di cui chiediamo l’iscrizione nel registro Unesco delle buone pratiche della cultura immateriale, non sono solo nostre, ma testimoniano una eredità antica e un tempo comune a tutta l’area europea. E anche oltre. Esse per fortuna, nonostante le discriminazioni subite, sono ancora vive presso gli Arbëreshë, gli Albanesi d’Italia, storicamente presenti da circa sei secoli in 50 comunità in sette regioni italiane».

– Intuisco che non sempre vi siate sentiti difesi e tutelati?  

«Assolutamente vero. Purtroppo, la nostra minoranza, così come tutte le altre minoranze interne, come anche le consorelle minoranze grecaniche e occitane calabresi, a differenza delle iper-garantite minoranze di confine, sono rimaste ancora molto indietro e senza una adeguata tutela. Prive, come sono tutt’oggi di rappresentanza politica nelle diverse istanze elettive. Sia da parte dello Stato che da parte delle Regioni interessate. Rischiano pertanto seriamente di scomparire per sempre, per la forte pressione assimilatrice che subiscono dalla società globalizzata».

– Questo significa che l’Unesco potrebbe essere la chiave di volta di questo riscatto?

«Vede, il vero paradosso è che ciò avviene quando queste comunità minoritarie sono state riconosciute, ormai da oltre vent’anni, come minoranze linguistiche storiche dalla legge quadro nazionale n. 482/1999, anche se con mezzo secolo di ritardo dalla promulgazione della Costituzione repubblicana che all’art. 6 ne riconosce la tutela. Con un riconoscimento internazionale e prestigioso come quello garantito dall’Unesco, la nostra comunità potrà forse cominciare a ritrovare maggiore fiducia in sé, se vedrà riconosciuti i suoi beni culturali non come esclusività del proprio patrimonio erroneamente e riduttivamente ritenuto “etnico”, ma come patrimonio comune e condiviso di valenza universale. Speriamo che non sia troppo tardi.

– È stato un lavoro complesso?

«Quando si inseguono dei sogni, nulla è facile e scontato. E questo sogno, che non è mio personale, parte invece da molto lontano, Parte dall’azione di ricerca e sensibilizzazione promossa sinergicamente dalla metà degli anni ’70 del secolo scorso dalle cattedre universitarie di Albanologia dell’Università della Calabria e di Palermo, allora rette dai nostri indimenticabili maestri, i proff. Francesco Solano e Antonino Guzzetta, e alla cui memoria va il nostro pensiero. Poi sono arrivato io, in tandem assieme con il carissimo amico e collega Matteo Mandalà, titolare della cattedra albanologica palermitana».

– Man mano che gli anni passavano il gruppo è diventato sempre più numeroso?

«In realtà questa nostra azione è stata portata avanti, perfezionata e resa poi funzionale grazie al concorso di un’equipe interdisciplinare, coordinata dalla Fondazione Solano, in cui in questi mesi sono stati coinvolti studiosi di altre cattedre universitarie di Albanologia, ma anche colleghi di Antropologia, di Etnomusicologia e di Storia delle culture afferenti alle Università della Calabria, di Palermo, del Salento, di Venezia e Milano “Statale”. Ma ci sono anche esperti di candidature Unesco, oltre che giuristi e informatici che collaborano con la Fondazione».

– Un lavoro di squadra intende?

«Una squadra di altissimo valore professionale e scientifico. Con me e Matteo Mandalà hanno collaborato Nicola Scaldaferri, Monica Genesin, Eugenio Imbriani, Giuseppina Turano, Giovanni Macrì e Battista Sposato. A loro, che in questi mesi che non si sono risparmiati nel mettere al servizio della comunità arbëreshe, con autentico spirito di volontariato, il loro impegno professionale per questo obiettivo comune, va il mio primo vero e grande grazie.

– Nella proposta all’Unesco c’è tutta la vostra storia e tradizione?

«Certamente si, anche se siamo ora solo alla prima tappa. In corso d’opera la proposta andrà rigorosamente implementata e ulteriormente documentata, partendo dalla dettagliata mappa che abbiamo già allestito e consegnato, che delinea gli ambiti di intervento nelle diverse aree albanofone, che attraverso la prima rete dei praticanti-collaboratori, a cui auspichiamo se ne aggiungano altri, coprono quasi tutta l’Arbëria. Tutto questo, come lei lo definisce, sono soltanto alcune delle tante espressioni culturali e rituali tipiche che rientrano in questa proposta di candidatura della cultura immateriale arbëreshe. Nella fase realizzativa saranno ovviamente coinvolte a ogni livello tutte le nostre comunità e in forme nuove di partecipazione, attraverso le nuove tecnologie, pensiamo di coinvolgere tutti i cittadini arbëreshë interessati, anche quelli che vivono oggi fuori dai nostri Comuni, nella “diaspora della diaspora”. Ma siamo aperti a condividere questo percorso con tutti i soggetti istituzionali e associativi che vorranno darci una mano, anche esterni alla comunità, che mostrano un reale interesse e hanno a cuore la nostra cultura, perché concepiamo l’Arbëria come un bene culturale comune».

– Rilevo, con ammirazione, che non siete soli, in questa non facile impresa…

«Per fortuna, no. Mi permetta di ricordare al riguardo l’autorevole sostegno dato a questa nostra proposta di candidatura dal FAI, il Fondo per l’Ambiente Italiano, certamente il più rappresentativo organismo che opera nel nostro Paese a livello nazionale in ambito culturale e ambientale: Tutto questo ha portato alla stipula di un apposito protocollo d’intesa tra il FAI e la nostra Fondazione per condividere insieme il percorso intrapreso per l’iscrizione dei riti e dei canti tradizionali del Moti i Madh nel registro di buone pratiche di salvaguardia, secondo la convenzione Unesco 2003. La delegazione FAI di Cosenza, guidata dall’avvocato Laura Carrattelli, è stata incaricata dalla sede nazionale e dalla sede regionale, di seguire con la propria attività collaborativa, tramite azioni di supporto e di promozione, l’evento connesso alla presentazione del dossier di candidatura della cultura immateriale arbëreshe».

– E il Mibact, il Ministero dei Beni Culturali?

«C’è anche quello, sì. Grazie alla sensibilità e all’attenzione ricevuta in questi mesi dalla Sottosegretaria del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Anna Laura Orrico, che ringraziamo per aver compreso la rilevanza di questo bene culturale che può e deve essere un fattore di crescita e di sviluppo delle nostre aree, soggette nell’ultimo decennio ad un pauroso crollo demografico che rischia di farle scomparire».

– Ma so che avete anche altri sostenitori importanti alle spalle…

«Sì, è vero! C’è l’apprezzamento e il supporto che è stato garantito alla proposta di candidatura Moti i Madh, che troverà forme di ulteriori collaborazioni e condivisioni, dal Governo della Repubblica d’Albania attraverso il Ministero della Cultura Albanese nelle persone del Ministro Elva Margariti, ma anche dal Vice-Ministro Meri Kumbe, che ringraziamo entrambe sentitamente per la concreta attenzione rivolta alla nostra cultura e per la proficua collaborazione avviata con la nostra Fondazione e con le cattedre universitarie italiane di albanologia».

– Vedo che trascorre anche questi giorni di festa chiuso in casa a lavorare al suo progetto, professore.

«Ma questa, mi creda, è la mia vita. Trovo del tutto normale agire inseguendo questa filosofia di vita. Alla fine, sono un uomo fortunato. Perché riesco a coniugare la mia passione con il mio impegno professionale. Oggi si parla tanto, soprattutto nel mio mondo accademico di “terza missione”, a proposito di quelle attività con cui l’Università, attraverso le sue risorse umane, scientifiche e tecnologiche, riesce ad intervenire sul territorio che la ospita contribuendo al suo sviluppo culturale, ma anche quello sociale ed economico. In virtù degli insegnamenti ricevuti dai nostri padri accademici, e per noi che ci occupiamo di albanologia, per giunta nelle regioni che ospitano gli Arbëreshë, è stato naturale, anzi direi scontato, operare con questo spirito di servizio. La definirei, la prima missione extra-moenia. Questi “nostri” progetti potranno dare un apporto concreto al nostro mondo, e potranno disseminare nella nostra comunità, ripeto ancora purtroppo non tutelata e senza difese immunitarie, quei saperi e quelle conoscenze scientifiche avanzate che possono invece contribuire fattivamente alla sua crescita».

– Come crede che andrà a finire?

«Il progetto, dicevo, è stato avviato e siamo alla prima tappa. Per arrivare al traguardo bisogna continuare a lavorare intensamente e di buona lena. Serve ancora costituire delle reti di collaborazione articolate, che coinvolgano gli enti preposti, le associazioni, gli studiosi, i singoli operatori culturali e scolastici, i musei e le scuole del territorio, e via di questo passo. Quello che oggi è fondamentale fare è una efficace disseminazione e condivisione dell’esperienza legata a questa candidatura».

– È vero che punterete in futuro anche su esperti e studiosi più giovani rispetto a lei professore?

«Certamente sì. Ma già ora noi contiamo di avvalerci del contributo dei nostri valenti giovani laureati, e di altre qualificate ed importanti professionalità, che per fortuna non mancano nel nostro mondo. Alcuni di loro sono già attivamente impegnati nei nostri progetti. Ma contiamo soprattutto nell’apporto nel comitato scientifico di altri insigni specialisti, italiani e albanesi, a conferma del grande e riconosciuto valore scientifico che tali specificità rivestono non solo per la nostra cultura, ma anche per la ricostruzione, come dicevo, dell’antica base culturale comune della nostra Europa».

-Insomma, mi pare di capire che, comunque vada, sarà un successo?

«L’ha detto lei. Io lo prendo come un augurio per il 2021. Grazie, comunque, per quanto anche voi farete per noi, e per la nostra causa». (pn)

Rai Calabria parla anche ‘arbëreshë’ per iniziativa del direttore Demetrio Crucitti

Le minoranze linguistiche calabresi (arbëreshë, occitana e grecanica) trovano finalmente uno spazio culturale nella programmazione televisiva di Rai Calabria. L’iniziativa è del direttore della sede Rai di Cosenza, ing. Demetrio Crucitti, da sempre sensibile alla valorizzazione delle lingue e delle tradizioni delle tre importanti enclavi che risiedono in Calabria. E domani mattina, dalle 7.30 alle 8, su Rai Tre Calabria, andrà in onda Jeta, una commedia interamente scritta e recitata in lingua albanese, naturalmente con sottotitoli in italiano.

Si tratta di un evento ‘rivoluzionario’ quanto unico, dato che è la prima volta che, in Calabria, una sede Rai dà spazio a una minoranza linguistica con il teatro in lingua – in questo caso arbëreshë -. Al direttore Crucitti l’idea di produrre il video e portare nella tv regionale una commedia in lingua albanese è venuta dopo aver assistito a uno spettacolo teatrale all’Eparchia di Lungro, accogliendo anche la proposta della Past-President della Fidapa di Cosenza, Anna Cerrigone, che aveva invitato la sede Regionale Rai per la Calabria a proporre, alle direzioni competenti della Rai, la diffusione in ambito regionale sul canale di Rai 3 digitale terrestre della commedia Jeta (Vita) di Demetrio Corino.

La rappresentazione teatrale, nata da un progetto della Fidapa in collaborazione con la Compagnia Teatrale “Il Sipario” di Spezzano Albanese e Rai Calabria narra la storia di due anziani coniugi, Isabella e Francesco, che, per i loro 50 anni di matrimonio, ricordano i momenti più importanti della loro vita: dal matrimonio, alle feste e ai canti con gli amici, la prima guerra e la perdita del loro adorato figlio Giuseppe. Nel finale, toccante la preghiera di Francesco che, rivolgendosi al Signore, lo prega affinché lui e la sua Isabella, possano iniziare il loro ultimo viaggio, che li ricongiungerà al figlio perso, nello stesso momento.

È un atto unico messo in scena dagli attori non professionisti dell’Associazione “Il sipario” con la partecipazione di Adele Marino nelle vesti di Sisina (Isabella) e di Vincenzo Barbati che interpreta Francesco; la scena è ricca di altri personaggi narratori tra i quali Rocco Gallucci, Adele Diodati, Tina Cacciola e Massimo De Rosis; le canzoni arbëreshë sono interpretate dalla splendida voce di Emiliana Oriolo. Vincenzo Barbati ha, anche, collaborato con la produzione della sede regionale per i testi dei sottotitoli in italiano.

La regia teatrale è di Demetrio Corino, mentre la regia televisiva di Andrea Recchia. Grande soddisfazione hanno espresso la Past-President della Fidapa Anna Cerrigone ed il Presidente dell’Associazione “Il Sipario” arch. Giuseppe Piragine «per il raggiungimento di questo importante obiettivo quale, appunto, la messa in onda della rappresentazione teatrale che fu registrata presso il teatro Rendano di Cosenza nel 2019».

Un grazie speciale – aggiungono- «va alle Direzioni Centrali della Rai per la sensibilità dimostrata». Il riferimento qui è a Luigi Meloni, Direttore della Direzione Coordinamento sedi regionali ed estere, Marcello Ciannamea, direttore della Direzione Distribuzione, e Alberto Trionfi, dirigente Responsabile dei Rapporti Istituzionali e Sociali «per la sensibilità mostrata nell’ aver offerto alla collettività calabrese, mettendo in onda Jeta, un momento di piacevole evasione in questo periodo caratterizzato dall’isolamento causato del coronavirus».

«Ma – si legge in una nota – un grazie speciale va soprattutto alla produzione tv e radiofonica della Sede regionale Rai per la Calabria, per la pregevole attività svolta per la registrazione della messa in scena della commedia, per il montaggio e l’intervento di post-produzione per l’inserimento dei sottotitoli. In particolare, si ringraziano il Capo della Produzione e del Coordinamento tecnico Antonio Gatto e il bravissimo Andrea Recchia, che in questa veste di regista Tv ha davvero superato ogni aspettativa e se stesso». (rcs)

Il progetto politico culturale “L’Italia delle Minoranze”

Si chiama L’Italia delle Minoranze il progetto politico-culturale promosso da L’Italia del Meridione, che vuole riconoscere il valore delle minoranze , in totale 12 in Italia, e che la Calabria ospita: i Grecanici, gli Occitani o Valdesi e gli Albanesi o Arbëreshë 

La storia degli Arbëreshë rappresenta una delle massime testimonianze d’integrazione sociale e culturale non solo in Italia ma anche in Europa. In Calabria, le cinquanta comunità conservano da oltre 500 anni i costumi, la lingua e le tradizioni e tuttora osservano il rito bizantino durante la liturgia. Una memoria storica che rappresenta un valore inestimabile del nostro Paese. Il riconoscimento è tale che nel novembre del 2018 i Presidenti della Repubblica Italiana e Albanese, Sergio Mattarella e Ilir Rexhep Meta, si sono incontrati in Calabria a San Demetrio Corone, nella provincia di Cosenza, per rendere omaggio alla figura di Giorgio Castriota Skanderbeg nel giorno del 550° anniversario della sua morte. 

Cataldo Pugliese, nominato delegato nazionale del progetto, originario di Spezzano Albanese, tra le comunità Arbëreshë più numerose della provincia cosentina, ha dichiarato: «L’energia sarà focalizza nel dar luce all’identità arbëreshë, presente principalmente in Calabria ma anche in Sicilia, Basilicata, Puglia, Molise e Abruzzo e nelle principali città italiane e internazionali con decine di associazioni culturali, attente e attive. Con una visione di comunione e condivisione, l’obiettivo sarà di portare questa comunità al di fuori dei confini regionali, attraverso un percorso di dialogo istituzionale con la nostra cara Albania e di sostegno a tutte le comunità».

«Occorre proiettare – ha proseguito il delegato nazionale del progetto – una volta per tutte i valori dell’insieme, dove l’identità rappresenta la centralità e l’unità d’intenti. Un rivolgimento culturale con lo scopo di iniettare innovazione e nuova linfa e che porti la cultura arbëreshë ad essere studiata, divulgata e apprezzata. Ritengo che sia un atto dovuto dare seguito al sogno del compaesano ministro Gennaro Cassiani e al sogno di tanti altri autorevoli figure del passato. Inoltre, mi piace pensare al superamento degli antagonismi locali e alle logiche passate dei partiti tradizionali, attraverso un capovolgimento del fare e dell’agire, in questo il mio impegno politico con L’Italia del Meridione. Sono onorato, quindi, della fiducia che il Segretario Federale, Orlandino Greco e il partito IDM hanno voluto conferirmi e che con responsabilità, fede e umiltà, impegno e passione, porterò avanti in questa nuova e per certi versi obbligata sfida».

Da parte sua Greco ha evidenziato: «L’importanza di dare valore a quelle culture che hanno segnato la storia di molti territori e che la Calabria ne conserva gelosamente l’identità attraverso non solo l’espressione delle proprie comunità ma con l’immenso patrimonio storico-architettonico e museale, gioielli di tanti borghi. Culla di condivisioni e progetti con il Paese madre ma anche con le altre realtà presenti in Italia e che diventano attrattori turistici, immersi in quei paesaggi mozzafiato che questa terra sa offrire e che hanno rappresentato in passato luoghi sicuri dove potersi rifugiare e trovare accoglienza e che poi hanno saputo trasformare in ospitalità. E mostra come le “Italie” sono tante, dove in un armonioso silenzio si compongono in tacito accordo. È un Paese plurale che non ha eguale e a cui la politica deve rivolgersi come Unione delle Autonomie che diventa organizzazione politica partecipativa». (rcs)

In copertina, Cataldo Pugliese e Orlandino Greco

Oggi il vescovo dell’Eparchia di Lungro Mons. Oliverio dagli Arbëreshë di Roma

Oggi, domenica 9 febbraio il vescovo mons. Donato Oliverio, il capo dell’Eparchia di Lungo, farà visita alla comunità Arbëreshë di Roma. La solennità dell’incontro sarà segnata dalla Divina Liturgia Pontificale alle 10.30 tenuta da mons. Oliverio alla Chiesa di Sant’Atanasio il Grande di rito Greco Bizantino, nel centro di Roma, in via del Babuino 149. Sarà un momento di grande e intensa partecipazione. L’Eparchia di Lungro – che ha celebrato lo scorso anno i 100 anni – è una piccola diocesi cattolica di rito bizantino che raccoglie i fedeli italo-albanesi che vivono nell’enclave arbëreshe del Cosentino, mantenendo in vita una realtà che ha saputo non disperdere il prezioso e variegato patrimonio della tradizione bizantina nel culto della Chiesa Cattolica.

La storia dell’Eparchia di Lungro risale al 13 febbraio 1919, quando con la costituzione apostolica Chatolici fideles papa Benedetto XV univa in un unico corpo ecclesiale e giuridico i discendenti dei profughi albanesi e greci dei secoli XV-XVIII. «I fedeli cattolici di rito greco – si legge nella Catholici fideles –, che abitavano l’Epiro e l’Albania, fuggiti a più riprese dalla dominazione dei turchi, […] accolti con generosa liberalità […] nelle terre della Calabria e della Sicilia, conservando, come del resto era giusto, i costumi e le tradizioni del popolo greco, in modo particolare i riti della loro Chiesa, insieme a tutte le leggi e consuetudini che essi avevano ricevute dai loro padri ed avevano con somma cura ed amore conservate per lungo corso di secoli. Questo modo di vivere dei profughi albanesi fu ben volentieri approvato e permesso dall’autorità pontificia, di modo che essi, al di là del proprio ciel, quasi ritrovarono la loro patria in suolo italiano».

A Roma l'Eparchia di Lungro

La Catholici fideles era la risposta della Santa Sede alle pressanti richieste di tutela avanzate per lungo tempo dai discendenti del condottiero-eroe albanese Giorgio Castriota Skanderberg, a suo tempo insignito del titolo di “Atleta di Cristo” per l’impegno profuso coi suoi valorosi soldati a difesa, per un quarto di secolo, della libertà e dell’autonomia del proprio popolo e della cristianità europea. L’esodo dei greco-albanesi in Italia si fa risalire a dopo il Concilio di Firenze del 1439, la caduta di Costantinopoli del 1453 e la morte di Skanderberg nel 1468. A spostarsi era un popolo con un proprio patrimonio linguistico ed ecclesiale, orgogliosa della sua libertà e della sua cristianità.

L’Eparchia di Lungro, dalla sua istituzione, ha contato quattro vescovi. Il primo fu mons. Giovanni Mele, eletto ad appena 34 anni che resse l’Eparchia dal 1919 al 1979, cui successe mons. Giovanni Stamati (già coadiuvatore di Mele a partire dal 1967), e, prima di Oliverio, mons. Ercole Lupinacci dal 1988 al 2010. L’attuale vescovo Donato Oliverio ha ereditato una diocesi, saldamente piantata in Occidente dove rende visibile con estrema chiarezza le ricchezze della tradizione bizantina e la bellezza della possibile unità tra i cristiani di Occidente e di Oriente nella differenza delle tradizioni e nella diversità delle lingue.

Mons. Oliverio regge l’Eparchia dalla sede di Lungro, una bella cittadina calabrese di circa 3.000 abitanti, posta sul versante Sud-Ovest della Catena montuosa del Pollino, ai piedi del Monte Petrosa, a un’altitudine di 600 metri sul livello del mare. Il suo trono si trova nella Chiesa Madre di tutte le Chiese dell’Eparchia, la Cattedrale di San Nicola di Mira, costruita tra il 1721 e il 1825. Maestosa nella sua pianta romanico-barocca a croce latina, negli ultimi decenni è stata impreziosita da pregevoli mosaici e affreschi, che la rendono un luogo unico in cui arte bizantina e spiritualità orientale si coniugano felicemente, tanto da portarla ad essere considerata la Chiesa più importante del cattolicesimo bizantino arbëreshë in Italia. Nella sua cupola domina il maestoso Cristo Pantocratore, volto della misericordia del Padre. (rrm)