di SANTO STRATI – Quando scopriranno i reggini (ma vale per tutti i calabresi) che il tempo dei guelfi e ghibellini è finito? Ogni giorno, qualsiasi pretesto è buona per fare lotte intestine, tra i capoluoghi, i borghi, le piccole realtà rurali o cittadine. Al centro di tutto la gelosia e l’invidia e l’impossibilità di essere felici del successo del vicino, che in realtà dovrebbe invece significare motivo di orgoglio per l’intera comunità. Tant’è, c’è sempre qualcosa su cui litigare, dimenticando che solo facendo rete questa terra potrà trovare crescita e sviluppo: bisogna smetterla con le “Calabrie” (di antica memoria) e pensare in modo unico in nome e per conto della Calabria e dei calabresi.
L’ultima guerra, in ordine di tempo, riguarda il Bergamotto di Reggio Calabria. un’unicità mondiale, non una tipicità – attenzione! – che cresce solo lungo la fascia jonica reggina. La “guerra” riguarda il marchio di qualità che dovrebbe contraddistinguere il re degli agrumi: Dop (denominazione di origine protetta) o Igp (Indicazione geografica protetta)?
C’è un confronto, per ora solo di dichiarazioni, tra il Consorzio del Bergamotto, guidato dall’avv. Ezio Pizzi, che difende l’esigenza che il marchio Dop (allo stato attuale fino a oggi attribuito esclusivamente all’olio essenziale) sia esteso anche al frutto, e il Comitato spontaneo dei coltivatori dell’agrume, molti dei quali rappresentano storiche e consolidate aziende che coltivano, raccolgono e commercializzano non solo l’essenza ma anche i frutti.
Questi ultimi avevano fatto richiesta al Ministero delle Politiche Agricole di ottenere l’indicazione geografica protetta (Igp) per il Bergamotto di Reggio Calabria, preoccupandosi di salvaguardare la zona vocata con uno specifico disciplinare che – di fatto – impedisce di utilizzare “finti” bergamotti cresciuti in maniera avventizia in Sicilia e in altre parti della Calabria. Questi bergamotti, secondo il parere scientifico, non contengono le qualità specifiche del “vero” Bergamotto di Reggio Calabria. In altri termini, peggio della Settimana Enigmistica, il Bergamotto reggino conta “innumerevoli tentativi di imitazioni” ma il microclima e le particolari condizioni del territorio gli hanno conferito caratteristiche salutari uniche, certificate da una corposa letteratura scientifica. Anticolesterolo naturale e antiglicemico, per citare solo qualcuna delle proprietà nutraceutiche di questo straordinario agrume che tutto il mondo ci invidia e di cui l’industria profumiera non può fare a meno.
Il 90% dei profumi che si producono al mondo ha bisogno dell’olio essenziale del Bergamotto di Reggio Calabria: i francesi che sono i maggiori produttori di profumo hanno provato, molti anni fa, a produrre sinteticamente l’essenza, ma è stato un fiasco totale. Così come hanno provato i cinesi, ma anche coltivatori di Calabria e Sicilia di far crescere l’agrume nei propri territori. L’albero, in qualche caso, ha attecchito, ma i frutti sono risultati di scarsissima qualità, come se mancasse qualcosa, l’elemento principe (l’aria di Reggio?) e la scienza ha accertato che non sono confermate le qualità protettive dell’agrume “originale”, ovvero di quello che cresce nella fascia vocata (da Villa San Giovanni a Monasterace).
La disfida sembra una beffa: da un lato c’è il conferimento da parte del Ministero dell’Igp (mentre la pratica della Dop va ancora istruita) e viene a mancare la conferma e l’accettazione da parte della Regione del marchio, con un inaspettato ribaltamento delle posizioni.
L’assessore regionale all’Agricoltura Gianluca Gallo alla notizia del conferimento dell’Igp aveva espresso soddisfazione, ma il Presidente Occhiuto ha preso in mano la vicenda e ha bocciato la pratica, a sostegno del Consorzio che vuole la dop, ignorando la volontà e le aspettative di centinaia di coltivatori favorevoli all’Igp. Coltivatori che oggi si recheranno davanti al Consiglio regionale per esporre il proprio disappunto.
In realtà, c’è un retroscena che non si può sottacere. Quando è stata approvata in via preliminare l’Igp dal Ministero, Occhiuto ha convocato le parti (chi voleva la Dop e chi accettava la Igp) tentando di trovare un punto di incontro: missione impossibile e posizioni di discutibile intransigenza da entrambe le parti, da cui è derivato il blocco della Regione sulla delibera di approvazione dell’Igp. La lettera preliminare del Ministero indica la necessità di sottoporre a pubblico accertamento la richiesta di Igp: poiché era prevedibile l’opposizione del Consorzio si rischiava di finire davanti al Tar, con il conseguente blocco da parte di Bruxelles fino all’esito finale della probabile vertenza giudiziaria.
«Il mio Presidente – ha detto a Calabria.Live l’assessore Gallo – mi ha detto che di fronte al rischio di perdere un importante riconoscimento era opportuno prendere una decisione apparentemente impopolare. Occhiuto porterà avanti ed è convinto di ottenere in sei mesi la Dop dal Ministero. Qual è il riconoscimento di tutela migliore? Quando abbiamo ottenuto la Dop per il Cedro di Santa Maria del Cedro – dice Gallo – ho pensato che anche per il Bergamotto di Reggio Calabria fosse necessario pensare ad avere la denominazione di origine protetta.
«Dopo vent’anni persi in discussioni, ci siamo trovati con l’approvazione dell’Igp quando, l’Università Mediterranea e i principali rappresentanti degli agricoltori hanno avanzato la richiesta di estendere la Dop dell’essenza al frutto. Abbiamo studiato la cosa a Bruxelles ed è fattibile.
«Il rischio, approvando la Igp, era che, a fronte del dovuto dibattito pubblico, la lotta con i fautori della Dop si inasprisse e finisse in tribunale: questo significherebbe, ove accadesse, che Bruxelles bloccherebbe qualsiasi pratica in attesa dell’esito giudiziario (e sappiamo i tempi della giustizia civile…). Allora la scelta che può sembrare insensata, in realtà, tradisce un autentica attenzione al territorio reggino, sia da parte mia che del Presidente Occhiuto. Viste le produzioni di bergamotto siciliane e pugliesi che potrebbero insidiare la qualità nell’autentico Bergamotto di Reggio Calabria era necessario stoppare la pratica Igp e mandare avanti (con le rassicurazioni sui tempi che Occhiuto ha certamente preteso da Roma) la denominazione protetta. Basterà – secondo Bruxelles – una semplice modifica del disciplinare dell’essenza per estendere la tutela Dop anche al frutto. Quindi, bisogna avere fiducia nelle scelte della Regione e smetterla di litigare, per il bene di questa terra».
È davvero così importante la differenza tra Dop e Igp? Secondo il Consorzio guidato dall’avv. Pizzi il marchio Igp è dequalificante e cita, a conforto della sua tesi, i grandi marchi che sono contraddistinti dalla dop: Parmigiano reggiano, la mozzarella di bufala campana o il Prosciutto di Parma. Hanno scelto la Dop – afferma l’avv. Pizzi – il Cedro di S. Maria del Cedro o la liquirizia di Rossano per qualificare e valorizzare il prodotto, dunque perché non pretenderlo per il Bergamotto di Reggio Calabria?
La prima assemblea dei Comitato spontaneo di 307 produttori che si è tenuta domenica a Roghudi – a favore dell’Igp – ha confutato la tesi che la Dop sia meglio dell’Igp, sostenendo che sarebbe una sciocchezza, adesso che l’istruttoria è chiusa a favore del marchio Igp rinunciarvi in attesa della nuova istruttoria relativa alla denominazione protetta.
Chi ha ragione, il Consorzio o il Comitato?
Col sostegno della Camera di Commercio di Reggio e dell’Università Mediterranea, oltre che dei rappresentanti di Confagricoltura, Coldiretti e altre categorie, il Consorzio lo scorso autunno aveva presentato a Reggio l’iniziativa per estendere al frutto la Dop già esistente sull’essenza. Una posizione chiara, dichiaratamente contro il Comitato spontaneo di 307 coltivatori, che faceva forza sulla necessità di tutelare la lavorazione da riservare esclusivamente nell’area vocata. Piccolo particolare: nel disciplinare dell’Igp approvato dal Ministero dell’Agricoltura è specificamente indicato che coltivazione, raccolta e successive lavorazioni devono essere condotte esclusivamente nel territorio, con esclusione di qualsiasi eventuale accorgimento spesso utilizzato ai danni dei consumatori. Si comprano le clementine in Sicilia o si importano dalla Tunisia e si lavorano, per esempio, nel territorio di Corigliano (Igp): il consumatore non conosce l’origine e immagina siano frutti maturati nell’area geografica protetta. Un po’ come avviene per il capretto sardo Igp che in realtà viene, molto più spesso di quanto si possa immaginare, allevato e macellato altrove e poi commercializzato come se provenisse dalla Sardegna
Nel caso dell’Igp del Bergamotto di Reggio Calabria, approvata dal Ministero, questa pratica (ingannevole e da condannare) non è fattibile: «Possono ottenere la denominazione “Bergamotto di Reggio Calabria IGP” – si legge al punto 8.1 del disciplinare – solo i bergamotto prodotti, condizionati e confezionati nell’area di riferimento… poiché i frutti destinati al consumo fresco e alla trasformazione devono essere lavorati in prossimità della raccolta e dei luoghi di raccolta». Quello di cui il Consorzio aveva fatto il suo punto di forza.
Stesse indicazioni che emergono nel disciplinare della Dop. Quindi, se veramente, in sei mesi Occhiuto riesce a farsi dare la Dop, bisogna convenire che la scelta di stoppare la “contestata” Igp non è poi così peregrina. L’intento dovrebbe essere quello di salvaguardare non gli interessi di singoli, bensì della Città Metropolitana di Reggio (che con l’esportazione dell’essenza incide in misura notevolissima sul pil regionale) e dell’intera regione. L’obiettivo è quello di valorizzare con un marchio di qualità il Bergamotto di Reggio Calabria. Dop o Igp, scelga la Regione e se ne assuma la responsabilità: qualunque azione di distrazione (tipo causa civile da parte del Comitato contro il Consorzio farebbe seri danni a tutta la Calabria. Non credo ce lo possiamo permettere. (s)