AUTONOMIA: LA CONSULTA HA BOCCIATO
UN’IDEA SBAGLIATA DELLO STATO ITALIANO

di ERNESTO MANCINI – L’insegnamento della Corte Costituzionale in tema di autonomia regionale differenziata, così come sintetizzato nel comunicato stampa emesso dalla medesima Corte il giorno 14 u.s., è chiarissimo.

La Corte, nell’incipit della propria decisione, afferma “che l’art. 116 terzo comma, della Costituzione (che disciplina l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia) deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana”.

Tale forma di Stato, dice la Corte, “riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio”.

Dunque, autonomia sì, quanto possibile – e ciò va condiviso da chi, come il sottoscritto, è autonomista convinto – ma non fino al punto da stravolgere la forma di Stato introducendo un regionalismo competitivo ed egoistico in luogo di quello solidale e cooperativo nonché in violazione dei princìpi di unità della Repubblica e di uguaglianza dei diritti così come voluti dai Padri Costituenti del 1948. (artt. 2, 3 e 5 Cost.)

La Corte enuncia ben sette motivi di incostituzionalità della legge Calderoli svuotandola dei suoi contenuti essenziali; si può dire perciò che questa legge non esiste più se non solo formalmente o comunque non è più eseguibile (sul punto la valutazione dei costituzionalisti è pressoché unanime).

Tra i sette punti di incostituzionalità ci si deve soffermare sul primo sia per motivi di tempo necessario per gli ulteriori approfondimenti sia perché, ammesso che si possa fare una graduatoria di gravità incostituzionale, questo motivo primeggia e assorbe tutti gli altri.

Dice la Corte: «è incostituzionale (…) la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la Regione trasferisca materie o ambiti di materie, laddove la devoluzione deve riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e deve essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del principio di sussidiarietà».

Ciò significa: che non possono trasferirsi dallo Stato alle Regioni intere materie (es.: istruzione, sanità, ambiente, lavoro, energia, ecc.); che possono trasferirsi solo specifiche funzioni legislative od amministrative; ma ciò, in ogni caso…; b.1) …deve avere una specifica giustificazione (“dimostrazione” –  “motivazione”) in relazione alla singola regione…; b.2)  .e, comunque, deve osservarsi il principio di sussidiarietà.

Così, per esempio, la “materia sanità” non è trasferibile in via esclusiva alla singola regione né può trasferirsi la “funzione assistenza ospedaliera rientrante in tale materia” perché non è specifica della singola regione ma comune a tutte le altre.

Può invece trasferirsi, continuando nella necessaria esemplificazione, la funzione legislativa ed amministrativa (prendiamo in prestito un esempio ricorrente nel dibattito degli scorsi mesi) relativa alle cave di Toscana (Carrara-Volterra) perché specifiche di quel territorio, sempre che se ne dimostri la convenienza per lo Stato e che vi sia pertinenza col principio di sussidiarietà (es.: specificità locale, dimostrazione che a livello locale si può svolgere meglio la funzione rispetto alla competenza concorrente tra Stato e Regione, costi-benefici, criticità, opportunità, ecc. ecc.).

Con la sentenza qui in esame, dunque, la Corte chiarisce una volta per tutte come deve intendersi l’espressione usata nella riforma del 2001 all’art. 116 della Costituzione: “ulteriore forme e condizioni particolari di autonomia”.

Al riguardo il Giudice delle Leggi demolisce la possibilità che singole regioni “ricche” si approprino disinvoltamente, con la collaborazione di un Ministero compiacente, di intere, grandi e strategiche materie e di molteplici funzioni; impedisce che le Regioni entrino in competizione tra loro, che lucrino sui relativi proventi indebolendo simmetricamente il resto della finanza pubblica, che estromettano lo Stato da ogni potere, pregiudicandone  la prerogativa di stabilire i principi fondamentali della materia stessa ed impedendogli di creare un quadro normativo di base comune per tutti i territori.

Con tutto ciò creando piccole repubblichette l’una contro le altre armata e “tutte insieme appassionatamente” contro lo Stato.

Va da sé che qualsiasi correzione della legge che non ottemperi al principio affermato dalla Corte sarà costituzionalmente illegittimo. Calderoli deve ridisegnare la legge ma in modo esattamente opposto a come l’aveva concepita e non gli sarà perciò congeniale.

Le pre-intese non sono più attuali ed anzi contrarie alle regole ora imposte dalla Corte Costituzionale; lo stesso referendum può non essere più attuale votandosi su una legge che è ben lontana, direi svuotata, rispetto a quella avversata con la raccolta delle firme.

Degli altri sei motivi di incostituzionalità, come eccepiti dal Giudice delle Leggi, se ne può parlare in altro momento per non appesantire il lettore non giurista che in questa materia deve avere molta pazienza.

Per il momento il pericolo è scampato ma le vie della prepotenza, degli attacchi alla Costituzione e della involuzione sono infinite. La guardia deve perciò restare alta. (emn)

SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
REGOLA I LIVELLI ESSENZIALI ASSISTENZA

di ETTORE JORIO – Una sentenza della Corte costituzione, la n. 233 del 21 novembre 2022 (red. Antonini), cui non è stato dato il giusto e meritato risalto. Ciò perché non si è bene compreso il senso RIGUARDA L’ASPETTO DEI FINANZIAMENTI  e delle sue pesanti ricadute sul sistema del finanziamento della salute. Sulle sue regole e sui divieti. Tutto questo è avvenuto nonostante la sentenza sia da considerarsi uno strumento di pregio assoluto di esaltazione dei Lea e, con questo, dell’ineludibile rispetto della finalità di utilizzo della quota del Fondo sanitario nazionale destinata al loro finanziamento.

Al di là Lea non si passa
La sentenza, invero molto articolata, mette la parola fine accogliendo una eccezione sollevata dalla Corte dei conti, Sezioni riunite in speciale composizione, relativamente alla legge di stabilità regionale per il 2016 della Regione Sicilia. Più precisamente, ne sancisce l’incostituzionalità nella parte in cui prevedeva per il sessennio 2016-2021 il ricorso a una quota del Fondo sanitario nazionale per estinguere un prestito contratto con lo Stato da utilizzare nel convenuto piano di rientro sanitario. Rilevando al riguardo una chiara alterazione interpretativa di un importante precetto della regolazione di armonizzazione dei sistemi contabili e dei bilanci regionali.

Più esattamente, del principio di cui all’art. 20, comma 1, del d.lgs. 118/2011 – peraltro in contrasto con la delega di cui alla legge nr. 42/2009 – che sancisce e pretende che nel bilancio delle Regioni/Province autonome ci debba essere «un’esatta perimetrazione delle entrate e delle uscite relative al finanziamento del proprio servizio sanitario regionale».

Da considerarsi in senso stretto.
A ben vedere, una prescrizione rigida, perché indispensabile per «consentire la confrontabilità immediata fra le entrate e le spese sanitarie iscritte nel bilancio regionale e le risorse indicate negli atti» di programmazione finanziaria sanitaria.
Per pervenire a tale interessante e dettagliata narrativa, la Consulta ha tratto i suoi anzidetti convincimenti, di non potere assolutamente distogliere, foss’anche un euro, risorsa alcuna destinata a finanziare i Lea. Ciò nella considerazione che con i quattrini destinati alla cura delle persone non si possono effettuare pagamenti di altro. Ciò in senso assoluto.
Non è la prima volta che lo dice. Nell’arrivare a una siffatta pregiata conclusione la Corte costituzionale ha fatto tesoro di due suoi precedenti specifici nella materia.
Quanto alla copertura erogativa assoluta dei Lea, la Consulta ha preso atto di quanto sancito nella sentenza nr. 132/2021 (red. Modugno) nella quale è stata ribadito che la loro tutela erogativa non è esposta ad alcuna deroga, tanto da sottolineare che un tale invalicabile limite risiede nella distinzione legislativa tra le prestazioni sanitarie per i Lea e le altre prestazioni sanitarie.

Un distinguo severo, questo, che è ricavabile dal divieto di destinare «risorse correnti, specificamente allocate in bilancio per il finanziamento dei Lea, a spese, pur sempre di natura sanitaria, ma diverse da quelle quantificate per la copertura di questi ultimi». Da qui, la previsione specifica insediata nell’art. 20 del d.lgs. 118/2011 che «stabilisce condizioni indefettibili nella individuazione e allocazione delle risorse inerenti ai livelli essenziali delle prestazioni». Una asserzione, questa, cristallizzata nella sentenza n. 197/2019 (red. Orione).

Ciò con l’unica eccezione, contenuta nel successivo art. 30, comma 1, terzo periodo, a favore di quelle Regioni/province autonome virtuose, capaci di erogare i Lea ai livelli più dignitosi realizzando risparmi gestori. In quanto tali liberi di essere destinati a finalità diverse, sempre sociosanitarie.

Oltre la lettera, c’è ben altro
A ben leggere la sentenza viene a maturarsi una interpretazione innovativa che è nelle corde del Giudice delle leggi, che certamente influenzerà il giudicato del Giudice contabile, sia in sede di parificazione dei rendiconti regionali che in sede di controllo.
Considerato, infatti, che nessuna Regione/provincia autonoma, prescindendo se in piano di rientro o meno, sia nella condizioni ipotizzate nel suddetto art. 30 del d.lgs. 118/2011 di assicurare i Lea nella loro dimensione qualitativa ideale e generare, nel contempo, risparmi di gestione da destinare ad altra attività sanitaria extra Lea, il divieto va ben oltre il pagamento del mutuo di cui alla sentenza in esame.

Ma qualora foss’anche rinvenibile, per una sorta di illusione ottica, ogni risparmio dovrà essere ove mai “investito” in prestazioni socio sanitarie che vadano oltre i Lea ma giammai in sopportazione di oneri finanziari. Sarebbe come pagare le rate di un leasing con le spese di cura di una epatite ovvero con una diagnostica per immagini salvavita negata.

Istruzioni per tutti, anche per revisori e giudici dei conti
Ma il discorso va ben oltre. La chiara lettura che fa la Corte costituzionale della disciplina retributiva dei Lea, da essere garantiti su tutto il territorio nazionale uniformemente, impone una profonda esegesi delle regole. Con il principio fissato dal Giudice delle leggi, di divieto assoluto e di suprema indisponibilità dei finanziamenti per coprire ciò che non sia Lea, si arguisce una ulteriore regola di divieto.
Il problema (grave e frequente) si pone anche in relazione a pagamento dei debiti pregressi consolidati, ovverosia non soddisfatti con quelle quote del Fsn destinate, per competenza (si badi bene!), all’erogazione dei Lea, dei quali gli anzidetti debiti erano a essi strumentali. Ciò avuto riguardo, in senso però favorevole e dunque derogatorio, – a detta del Giudice delle leggi – per quei debiti comunque irrisolti rientranti nel perimetro sanitario, sempreché gli stessi sia provati in tal senso da una corretta contabilità analitica, in verità molto infrequente. Una distinzione, questa, che sembra emergere dalla sentenza n. 233/2022, difficile da condividere sul piano della regolazione contabile.

Infatti, non si riesce a capire il perché di questa differenza di trattamento, nel senso di vietare – da una parte – il pagamento di un mutuo attraverso il quale si sono saldati debiti accumulati e –dall’altra – consentire la corresponsione della debitoria pregressa, purché insediata nel perimetro. Delle due, una: o si vieta di distogliere, comunque e in ogni modo, i quattrini destinati i Lea oppure non lo si consente solo in favore di un mutuo bancario. L’egualitarismo reale non sarebbe affatto d’accordo.
Ma si sa nel nostro Paese, capita anche questo. Per non parlare della ricaduta che avrà il dictum costituzionale in quelle Regioni ove si è più abusato nel non rendere esigibili i Lea e nell’accumulare allegramente debito (figuriamoci in quelle commissariate). Un problema, finora troppo trascurato spesso anche da parte di alcune Sezioni regionali di controllo. (ej)

Sentenza Corte, Sainato (FI): Modificare impostazioni commissariamento sanità

Il consigliere regionale Raffaele Sainato, in merito alla sentenza della Corte Costituzionale, ha fatto suo e rilanciato l’appello della Corte, «affinché, in tempi brevissimi, venga posto in essere un intervento che comporti una incisiva sostituzione della struttura inefficiente con personale altamente qualificato».

«”lo Stato non può limitarsi a un mero avvicendamento del vertice, senza considerare l’inefficienza dell’intera struttura sulla quale tale vertice è chiamato a operare in nome dello Stato”. Queste parole, nette – si legge in una nota – contenute nella sentenza 168/2021, con la quale la Corte Costituzionale ha parzialmente bocciato l’ultimo intervento legislativo, voluto dal governo giallo-rosso, sul commissariamento della sanità in Calabria, confermano, qualora ce ne fosse stato bisogno, le ragioni di quanti, da tempo, contestano l’impostazione scelta, da oltre un decennio, per risolvere le criticità del sistema sanitario regionale. Le censure mosse dalla Consulta sono chiare e dovrebbero portare a superare, rapidamente e in profondità, l’attuale impostazione commissariale, che come abbiamo più volte denunciato, non sta risolvendo alcun problema, ma tanti ne sta aggravando».

«È gravissimo – ha detto Sainato – e dovrebbe far riflettere, conducendo a soluzioni immediate quello che esprimono i giudici costituzionali, laddove affermano, in modo perentorio, che il commissariamento della sanità in Calabria sta generando “un effetto moltiplicatore di diseguaglianze e privazioni in una Regione che già sconta condizioni di sanità diseguale”». (rrc)

La Corte Costituzionale boccia la legge regionale su integrazione degli ospedali di Catanzaro

L’Ospedale Pugliese-Ciaccio e l’Aou Mater Domini di Catanzaro non potranno essere integrati. È quanto deciso dalla Corte Costituzionale che ha bocciato la legge regionale che prevedeva l’integrazione dei due ospedali catanzaresi.

Per i giudici costituzionali, infatti, «la riportata formulazione attesta, in modo inequivoco, che si è in presenza di una fusione realizzata tramite la costituzione di una nuova Aou e non già attraverso l’incorporazione della azienda ospedaliera nella preesistente Aou catanzarese. Difatti, il previsto subentro nelle funzioni e nei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo ad entrambe le preesistenti aziende ospedaliere non risulta compatibile con un processo di “integrazione” attraverso la fusione per incorporazione, che riguarderebbe solo l’azienda incorporata».

Per la Corte Costituzionale, inoltre, «la disposizione regionale ignorerebbe sia gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi che, in forza del decreto del Ministro della salute di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze 2 aprile 2015, n. 70 (Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera), debbono presiedere all’organizzazione e alla riorganizzazione della rete assistenziale ospedaliera; sia l’assegnazione del ruolo di spoke attribuito, con decreto del commissario ad acta 5 luglio 2016, n. 64 di riorganizzazione delle reti assistenziali, alla struttura ospedaliera di Lamezia Terme – Dea (Dipartimento di emergenza-urgenza e accettazione di primo livello), ossia di centro ospedaliero periferico di riferimento dell’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro».

La Corte, poi, censura la legge 1/2020 della Regione Calabria nella parte in cui inserisce, tra i sottoscrittori del protocollo d’intesa successivo all’integrazione, anche il presidente della Giunta regionale, oltre al Rettore dell’Università di Catanzaro e al commissario della sanità calabrese: questa previsione, per la Consulta, «costituisce una oggettiva interferenza da parte del legislatore regionale con le funzioni e i compiti demandati al commissario ad acta, in violazione dell’articolo 120, secondo comma, Costituzione».

Soddisfazione è stata espressa dai deputati del Movimento 5 StelleGiuseppe d’IppolitoPaolo Parentela: «la Corte costituzionale ha stabilito che è illegittima la legge regionale sull’integrazione tra l’ospedale e il policlinico universitario, come noi avevamo sostenuto ben prima che fosse approvata, restando inascoltati dalla maggioranza e dall’opposizione della precedente legislatura regionale, nonché dall’allora presidente della giunta, Mario Oliverio».

«Oggi – hanno aggiunto – leggiamo che di quella legge la Corte costituzionale ha censurato aspetti che avevamo già contestato con forza sul piano tecnico e politico. Il governo ricorse all’impugnazione su nostra iniziativa. Oggi i fatti ci danno ragione, ma non possiamo affatto gioire per questo».

«Infatti si è perso troppo tempo – hanno osservato i parlamentari del Movimento 5 Stelle – e resta sempre in piedi il problema del corrispettivo oltre il tetto di legge che la Regione dà al policlinico universitario, che dunque va riportato a norma nell’interesse dei calabresi. Inoltre, adesso la struttura commissariale deve risolvere in via definitiva la questione del protocollo d’intesa tra la Regione e l’Università di Catanzaro per l’assistenza fornita dal policlinico dell’ateneo».

«Questa specie di contratto – hanno concluso D’Ippolito e Parentela – deve prevedere che le risorse regionali siano rapportate alle prestazioni effettivamente rese. Il principio è che non si può regalare niente a nessuno e che per tutelare la salute si deve assicurare un’attività costante, con il Pronto soccorso e l’emergenza-urgenza. Ci auguriamo, quindi, che da adesso ci sia nel policlinico universitario discontinuità rispetto al passato e che la struttura sia pienamente operativa nell’interesse dei malati calabresi». (rcz)