DALL’UNICAL ANTICORPI CONTRO IL COVID
IMPEDISCONO LA REPLICAZIONE DEL VIRUS

Nella lotta contro il Covid, la Calabria, e più specificamente l’Unical, sta ritagliandosi una posizione di grande rilievo nel panorama scientifico internazionale. Inibire significativamente la replicazione del Covid: è questo ciò che fanno gli anticorpi anti Covid progettati e sintetizzati dai ricercatori dell’Università della Calabria e dello spin-off Macrofarm. Una notizia che fa inorgoglire, sopratutto se risultati così importanti provengono da una regione che, attualmente, si trova in difficoltà e, che fin dall’inizio della pandemia, si è rimboccata le maniche e si è messa a disposizione, con impegno e dedizione, della comunità per combattere questa terribile malattia di cui ancora non si riesce a intravvedere un decorso definitivo.

Questi risultati, che appaiono molto promettenti, provengono dai primi test, condotti sul virus isolato da pazienti. Sono stati raggiunti dal gruppo del prof. Serena DelbuePasquale Ferrante presso il laboratorio di Virologia Molecolare del Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche ed Odontoiatriche dell’Università degli Studi di Milano Statale. Il team dell’Unical sta avviando ora gli studi di sicurezza per la sperimentazione in vivo, necessari per passare allo sviluppo della terapia.

I ricercatori calabresi hanno svolto anche test in silico – simulazioni al computer – in collaborazione con la dottoressa Roberta Galeazzi, presso il Laboratorio di Modellistica Molecolare del Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente dell’Università Politecnica delle Marche. Sulla base dei dati ottenuti dagli studi in silico, sono stati progettati e sintetizzati differenti anticorpi “monoclonal-type” diretti contro diverse porzioni della proteina spike del Coronavirus (le proteine che ‘decorano’ la superficie del virus), uno dei bersagli più interessanti per lo sviluppo non solo di anticorpi ma anche di vaccini e agenti terapeutici e diagnostici.

Il team di ricerca dell'Unical

«Abbiamo progettato e sintetizzato in questi mesi cinque anticorpi “monoclonal-type2”, lavorando a ritmi serrati – ha spiegato Francesco Puoci, professore associato del Dipartimento di Farmacia e Scienze della Salute e della Nutrizione dell’Unical – La ricerca è ancora lunga e non possiamo ancora dire di aver trovato un trattamento efficace contro il Covid, ma i risultati sono stati finora incoraggianti. Sviluppare una possibile terapia è essenziale, perché il vaccino da solo potrebbe non bastare, almeno in questa prima fase. I nostri anticorpi avrebbero poi un importante vantaggio: proprio perché ‘sintetici’ hanno, rispetto a quelli ‘biologici’, una maggiore stabilità e costi di produzione più contenuti».

«La nostra tecnologia si basa sull’ingegnerizzazione 3D di polimeri a memoria molecolare – ha spiegato ancora il prof. Puoci – che riescono a riconoscere e captare differenti porzioni della proteina spike tra cui il dominio RBD e la subunità S1».

Rbd è la ‘chiave’ con cui il Coronavirus forza l’accesso alle cellule del nostro organismo; S1 è la subunità contenente il dominio Rbd ed è responsabile, quindi, del riconoscimento e del legame al recettore Ace2 presente sulla cellula ospite, nell’organismo umano.

Dei cinque anticorpi sintetici sviluppati dai ricercatori Unical, tre hanno inibito con percentuali superiori all’80% la replicazione del Coronavirus, e uno oltre il 90 %. Impedendo, quindi, l’interazione tra la proteina spike e il recettore Ace2, questi anticorpi sono potenzialmente in grado di bloccare il processo di infezione e di prevenire e/o contrastare la malattia prima che si attivi la cascata citochinica.

Il team che ha contribuito allo sviluppo dei nuovi anticorpi sintetici è composto, insieme al professor Puoci e alla dottoressa Ortensia Parisi, anche dal professor Vincenzo Pezzi, ordinario di Biologia Applicata, e dal dottor Rocco Malivindi, che hanno curato gli aspetti biologici della ricerca. Nel team anche il dottorando Marco Dattilo e il borsista Francesco Patitucci(rrm)

PREOCCUPAZIONE PER I DATI DEL CONTAGIO
MA IN CALABRIA SOLO 8 SU 100 USANO L’APP

Il commissario straordinario Domenico Arcuri, in tv, ha ribadito ieri sera che non ci sono le condizioni per tornare al lockdown. Rassicurante, ma è palpabile la preoccupazione per i dati del contagio che, per fortuna, in Calabria, ancora sono a due cifre. Ma è evidente che non si può abbassare la guardia. Un dato significativo è il download (lo scaricare) dell’app “Immuni” sui telefonini: la Calabria si colloca penultima, prima della Sicilia, con una percentuale modesta, 8,2% quasi la metà della regione più virtuosa, la Toscana, dove la percentuale tocca il 15,7%.

Cosa significa che solo otto calabresi su cento hanno scaricato l’app che il Ministero della Salute raccomanda di utilizzare per monitorare il contagio e tenere sotto controllo i cosiddetti “positivi”? La prima considerazione riguarda la funzionalità dell’app: il suo funzionamento non convince molti potenziali utilizzatori (serve comunque un telefonino di nuova generazione) ma non per il rischio privacy, bensì per il meccanismo di mappatura previsto.

Come funziona Immuni? Secondo quanto riferisce il Ministero della Salute che ne sta promuovendo l’utilizzo massiccio «è un’app creata per aiutarci a combattere l’epidemia di Covid-19. Utilizza la tecnologia per avvertire gli utenti che hanno avuto un’esposizione a rischio, anche se asintomatici». Usiamo dei nomi di fantasia per spiegare meglio il funzionamento di Immuni: se Pippo è ha installato l’app Immuni e scopre di avere sintomi da covid, quindi è potenzialmente positivo, deve comunicare il suo status attraverso il telefono. In maniera anonima, nel pieno rispetto della privacy.

Succede che se Pasquale incontra Pippo che, appunto, è positivo e può averlo contagiato, qualora abbia installato l’app riceverà un messaggio di allerta che lo avverte di essere stato a contatto con una persona positiva al virus. Quindi gli segnala l’opportunità di isolarsi, mettendosi in quarantena per dieci giorni, contattare il proprio medico di base e fare subito il tampone. Tutto questo presuppone che Pippo, da buon cittadino, coscienziosamente, dichiari il suo status di positività al Covid attraverso il telefonino. Ma se non lo fa, la sua app Immuni, scaricata sul proprio smartphone, non avrà alcuna funzione di avvertimento nei confronti delle persone con cui verrà in contatto.

La tecnologia bluetooth invia dunque una notifica a chi è venuto a contato con un soggetto positivo al virus. Sempre che questi l’abbia comunicato. A oggi sono state scaricate sui telefonini degli italiani 8.316.353 copie di Immuni. Risultano inviate 8.887 notifiche e si sono registrati 499 utenti positivi. In buona sostanza uno su mille ha ricevuto la notifica del potenziale contagio subito e ciascun positivo registratosi regolarmente potrebbe aver contagiato circa 18 persone.

Il punto fondamentale è se chi scarica Immuni sul proprio telefonino ha la coscienza di comunicare la sua eventuale positività in modo che i contatti tracciati possano venire a conoscenza del rischio contagio. Quando due persone che hanno installato l’app Immuni si incontrano, l’app di entrambi i telefonini invia un codice che viene captato dai due dispositivi, registrando in maniera anonima, la durata del contatto e l’eventuale distanza tra le persone coinvolte. Se uno dei due scopre di essere positivo e comunica all’app di esserlo, permette a quest’ultima di inviare un messaggio a tutte le persone con cui è stato a contatto. Tecnicamente eccellente se solo si scaricassero 50milioni ai Immuni, diversamente – scusate la franchezza – è un terno al lotto per due motivi: il primo perché non è detto che il potenziale portatore di contagio registri la sua positività (dichiarando quasi pubblicamente di essere un “untore”, con tutte le conseguenze del caso: isolamento, quarantena, tampone, etc); il secondo è che se il positivo ha Immuni sul telefono ma frequenta persone che non hanno installata l’app, non riuscirà ad allertare alcuno.

E qui sorge subito una domanda: ma se qualcuno scopre di essere positivo come fa ad andare in giro a contagiare gli altri? Non dovrebbe, perché avrebbe il dovere di restare isolato e seguire le istruzioni del medico curante. Quindi la funzionalità di Immuni è limitata alla scoperta successiva di un incontro in cui si potrebbe essere rimasti contagiati o si ha potenzialmente contagiato qualcuno. E poiché l’app non usa – a quanto dicono – sistemi di tracciamento (la famosa geolocalizzazione che Google fa continuamente sul nostro smartphone) come fa ad avvisare i potenziali contagiati se non conosce l’eventuale area di rischio?

Senza contare che fare il tampone sta diventando un’impresa quasi impossibile: il test dà risposte in 12 ore, ma non ci sono macchine sufficienti a garantire l’analisi oltre un certo quantitativo di tamponi. Per fare un esempio, a Reggio l’Asp di via Willermin nell’apposita unità anticovid riesce a processare al massimo 40 tamponi l’ora. Valutando 8 ore di lavoro si ha l’esito per 320 tamponi al giorno; quelli che eccedono questo numero finiscono in frigorifero e non è detto che non perdano gli eventuali dati di positività al virus. Come si fa? Forse questo nessuno lo dice alla presidente Santelli che sta, giustamente, studiando nuovi provvedimenti per contenere il rischio di contagio: probabili chiusure di “frontiere” regionali, divieto – ahimé – di ballo e altri intrattenimenti di gruppo, etc). Probabilmente risulterebbe più utile controllare alla partenza i viaggiatori diretti in Calabria o chiedere l’esibizione di una certificazione medica che attesti il loro stato di salute: si eviterebbero i contagi d’importazione che sono gli unici che hanno provocato e provocano nuove prognosi di positività al virus.

Ma torniamo a Immuni: per quanto fondamentalmente ingegnosa, non funziona in termini di protezione individuale e non garantisce la correttezza di chi si scopre positivo e dovrebbe comunicarlo via telefono al server incaricato di memorizzare i dati. Si ritorna, inevitabilmente, a suggerire di adottare tutte le opportune precauzioni individuali per tenere lontano il contagio: sempre e immancabilmente la mascherina (e chi non la usa è un criminale), pulizia costante delle mani, evitare gli assembramenti. Impresa quest’ultima pressoché impossibile per chi deve prendere i mezzi pubblici per spostarsi (le immagini della Metro di Milano e di Roma sono fin troppo eloquenti) e per chi ha bambini o ragazzi che vanno a scuola.

Le cause maggiori di rischio contagio sono, purtroppo, la mobilità con i mezzi pubblici e gli istituti scolastici, dove, nonostante l’impegno e le mille precauzioni di presidi e personale, è praticamente impossibile controllare il contatto ravvicinato tra gli studenti. Ancora più difficile con i bambini delle materne e delle elementari, più complicato con i ragazzi del liceo che in classe rispettano il distanziamento imposto dagli insegnanti, ma fuori della scuola, incoscientemente, fanno capannelli alla vecchia maniera, come se nulla fosse accaduto. La miglior difesa è usare la testa: evitare contatti ravvicinati, disertare locali pubblici affollati, modificare, in altre parole, il modo di vita pre-covid. Se non faremo tutti così, difficilmente riusciremo a liberarcene in tempi brevi. (s) 

Tabella riassuntiva anticovid

la tabella è stata preparata dal farmacista dott. Domenico Polimeni

Obbligo delle mascherine anche all’aperto: la nuova ordinanza della Santelli

Da ieri, su ordinanza della presidente della Regione Calabria, Jole Santelli, per la prevenzione e gestione dell’emergenza Covid-19, è obbligatorio utilizzare le mascherine anche all’aperto per tutti i cittadini, esclusi i bambini  al di sotto dei 6 anni e le persone con disabilità non compatibile con l’uso del dispositivo di protezione.

Si tratta dell’Ordinanza n. 68 la quale, ferme restando le misure statali e regionali di contenimento del rischio di diffusione del virus già vigenti, nel territorio regionale, fino a tutto il 7 ottobre 2020, prevede tra l’altro: l’obbligo, su tutto il territorio regionale, di indossare correttamente la mascherina o altra idonea protezione a copertura di naso e bocca, oltre che in tutti i luoghi chiusi accessibili al pubblico e sui mezzi di trasporto pubblico, anche in tutti i luoghi all’aperto, per tutto l’arco della giornata, a prescindere dalla distanza interpersonale, fatte salve le deroghe previste dalle norme vigenti.

Possono essere utilizzate mascherine di comunità, ovvero mascherine monouso o mascherine lavabili, anche auto-prodotte, in materiali multistrato idonei a fornire una adeguata barriera e, al contempo, che garantiscano comfort e respirabilità, forma e aderenza adeguate che permettano di coprire dal mento al di sopra del naso. Sono comunque esentati dall’obbligo di usare protezioni delle vie respiratorie, i bambini sotto i sei anni e i soggetti con forme di disabilità non compatibili con l’uso continuativo della mascherina, ovvero i soggetti che interagiscono con i predetti e le persone durante l’esercizio in forma individuale di attività motoria e/o sportiva.

Sono confermati il divieto assoluto di assembramento, il rispetto delle misure di distanziamento interpersonale e delle misure igieniche di prevenzione; è disposto, a modifica di quanto previsto in allegato A all’Ordinanza n. 55/2020 come integrato dall’Ordinanza n. 58/2020, per tutte le attività economiche, produttive e ricreative e per gli uffici pubblici ed aperti al pubblico, l’obbligo di rilevazione della temperatura corporea per dipendenti ed utenti, impedendo l’accesso nei casi in cui venga rilevata una temperatura superiore a 37,5 C° e comunicando la circostanza al Dipartimento di Prevenzione dell’ASP territorialmente competente per gli adempimenti di consequenziali.

Resta in capo alle Autorità Competenti, attraverso i propri Organi di controllo, anche in coordinamento, la verifica del rispetto delle disposizioni previste nella presente Ordinanza e delle altre misure di prevenzione e contenimento del contagio vigenti, applicando le sanzioni da € 400,00 a € 1000,00.

Rimangono inoltre efficaci e vigenti le ulteriori misure del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 agosto 2020, prorogate dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e le misure previste nelle precedenti Ordinanze del Presidente della Regione emanate per l’emergenza Covid-19, ove non in contrasto con la presente, o da questa modificate. (rrm)

LIQUIRIZIA CALABRESE CONTRO IL COVID
LO STUDIO DI UNIMEDITERRANEA A REGGIO

La liquirizia di Calabria in prima linea contro il covid. La radice della pianta officinale, secondo una ricerca appena pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Foods, mostra la sua capacità inibitoria nella replicazione del virus. La glicirrizina, il composto principale della radice di liquirizia, può dunque diventare una formidabile molecola antivirale in grado di contrastare il coronavirus, soprattutto in funzione di prevenzione. È un’ulteriore conferma che sul cibo e gli alimenti (di qualità) dovranno venire gli strumenti farmacologici che permetteranno di arrivare a un vaccino di sicura efficacia.

Di liquirizia la Calabria è piena: solo nella nostra regione vanta dal 2011 la Denominazione d’origine protetta (Dop) e si concentra qui l’80 per cento della produzione nazionale. Diventa, quindi, rilevante il ruolo che la nostra regione può assumere a livello di ricerca scientifica, considerando la qualità e la specificità di numerosi prodotti tipici presenti solo sul nostro territorio. Basti per tutti il Bergamotto di Reggio Calabria, coltivato nella fascia costiera da Villa San Giovanni fino a Monasterace, di cui la Calabria vanta l’esclusiva produzione mondiale, le cui straordinarie caratteristiche terapeutiche in crescita continua non smettono di sorprendere la comunità scientifica. La Calabria con i suoi prodotti naturali della terra, un’alimentazione sana e genuina, e la grande competenza dei suoi ricercatori nelle tre Università si avvia a vivere una nuova importante esperienza nel mondo della scienza. E da ultimo non si dimentichi il nascente Dulbecco Institute che sta sorgendo a Lamezia Terme, fucina di nuove sperimentazioni e scuola di eccellenza (guidata da due premi Nobel e dal prof. Roberto Crea di rinomanza internazionale) per le nuove generazioni di ricercatori.

E proprio dall’Università Mediterranea di Reggio arriva la ricerca pubblicata da Foods. Gli studi sono stati condotti dalla prof.ssa Mariateresa Russo del Dipartimento di Agraria dell’Università Mediterranea di Reggio insieme con la prof.ssa Luisa Manina della Sapienza e con il prof. Alberto Ritieni del Dipartimento Farmacia dell’Università di Napoli in collaborazione con la professoressa Michela Grosso del Dipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche.

La chimica degli alimenti gioca un ruolo strategico nella ricerca scientifica: gli approcci basati sugli alimenti generalmente offrono grandi vantaggi nel ridurre gli effetti collaterali negativi rispetto ad approcci convenzionali. Non bisogna sottovalutare che, sebbene i micronutrienti siano composti sicuri con importante attività preventiva e co-terapeutica, queste molecole agiscono sul nostro sistema biologico e, quindi, è importante assumere alimenti e/o integratori nelle dosi corrette, con il supporto di esperti e solo quando necessario. È stato ampiamente dimostrato che dosi eccessive di vitamine, principalmente lipofile, o minerali possono provocare effetti collaterali dannosi per la salute umana. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), ha più volte messo in evidenza che la principale strategia preventiva contro le malattie, compresa quella da COVID-19, è il consumo di una dieta sana ed equilibrata, mentre l’uso di integratori dovrebbe essere raccomandato solo quando realmente necessario.

Riferisce lo studio che l’industrializzazione della trasformazione degli alimenti ha progressivamente ridotto il valore nutrizionale e funzionale degli alimenti e l’uso eccessivo di alimenti ultraprocessati ha favorito condizioni di morbilità come obesità, diabete, malattie cardiovascolari, ecc. che rendono gli individui più suscettibili alle malattie infettive. In questo contesto la pandemia COVID-19 potrebbe essere la prima di molte altre crisi sanitarie globali che potrebbero essere ulteriormente esacerbate da un sistema immunitario progressivamente indebolito. Oggi più che mai, quindi, la comunità scientifica coinvolta nella ricerca in campo alimentare, e della chimica degli alimenti in particolare, può e deve giocare un ruolo strategico nel proporre un nuovo approccio globale e sostenibile al cibo e al suo consumo. Queste evidenze hanno ispirato lo studio condotto e pubblicato e che dimostra come gli alimenti possano svolgere un ruolo privilegiato nella prevenzione e/o nel supporto dei protocolli terapeutici convenzionali per affrontare con più successo anche gli effetti della pandemia da COVID-19. La ricerca ha analizzato criticamente lo stato dell’arte sia degli studi clinici sul ruolo dei micro/macronutrienti alimentari e di alcune diete nel rafforzamento del sistema immunitario o in protocolli di supporto alle terapie, che degli studi in silico, ossia frutto di simulazioni al computer (che, comunque, necessitano degli approfondimenti e delle conferme di ulteriori studi), focalizzati sulle interazioni chimiche di specifici composti degli alimenti in grado di interferire con il ciclo infettivo virale di SARS-CoV-2.

Le sperimentazioni cliniche, oggetto dello studio, sono condotte con lo scopo di fornire indicazioni sull’efficacia dei protocolli testati in relazione ai composti, alle dosi, alle modalità di somministrazione, ecc., elementi necessari per identificare le molecole candidabili nella progettazione e formulazione di alimenti funzionali, integratori o, anche, farmaci. Gli studi clinici analizzati sono stati quelli focalizzati su specifici alimenti e micronutrienti che possono rappresentare una nuova frontiera non solo per il disegno di alimenti funzionali ma una risorsa importante soprattutto per anziani o individui immunodepressi o comunità ad alto rischio come quelle degli ospedali o delle case di riposo.

Numerosi studi approfondiscono il ruolo di specifici nutrienti e di integratori dietetici sulla funzionalità del sistema Immunitario, in una vasta gamma di soggetti umani, inclusi anziani, bambini ed adulti. Un introito ottimale di nutrienti, vitamine, antiossidanti e sostanze naturali in grado di ridurre lo stress e regolare lo stato metabolico genera un complessivo miglioramento della risposta di tipo specifico attivata dal sistema immunitario verso microrganismi patogeni.
Tra i micronutrienti, vitamine e minerali sono fondamentali per il nostro benessere, in quanto prendono parte a molti processi biologici e biochimici umani e sono coinvolti nel rafforzamento del sistema immunitario. Il ruolo di alcuni micronutrienti come agenti di supporto nella prevenzione e nel trattamento di infezioni virali del tratto respiratorio è stato già ampiamente dimostrato ma, nel caso di COVID-19, molti studi clinici sono attualmente in corso. Tra questi sono allo studio gli effetti di trattamenti profilattici a base di integratori con vitamina C o vitamina D o zinco. Anche il ruolo delle vitamine A, B ed E ben accertato nel rafforzamento del sistema immunitario, deve tenere conto di aspetti quali ad esempio che l’integrazione di vitamina A riduce l’incidenza di malattie respiratorie solo nei soggetti con malnutrizione o, al contrario, un aumento dei rischi di malattia in caso di normale apporto nutrizionale, la sua carenza compromette sia l’immunità innata perché riduce la funzionalità di neutrofili, macrofagi e linfociti Natural Killer, sia l’immunità acquisita dato che svolge un ruolo importante nello sviluppo dei linfociti Th1, Th2 e B. Va anche sottolineato il ruolo della vitamina E nella prevenzione delle malattie respiratorie. In un recente studio clinico, l’integrazione giornaliera di vitamina E ha migliorato l’attività del sistema immunitario soggetti con deficienze immunitarie.

Di un certo rilievo risulta poi lo studio, questo già in fase clinica, che riguarda l’efficacia della quercetina sia come profilassi che nel trattamento nei pazienti positivi. Altri studi clinici riguardano l’efficacia del miele naturale e dei semi di cumino nero nel ridurre i sintomi del COVID-19, e l’efficacia di diversi regimi dietetici tra cui la dieta chetogenica. Questo ultimo studio è supportato sia da studi precedenti sull’efficacia dei corpi chetonici nel ridurre la durata della ventilazione artificiale e gli eventi infiammatori, sia dalle evidenze cliniche che correlano la eccessiva assunzione di zuccheri raffinati con l’insulino-resistenza e l’alterazione della funzionalità del sistema immunitario. Un aspetto importante da considerare nello sforzo corale di comprendere l’attività e l’efficacia dei nutrienti e dei composti bioattivi degli alimenti è la loro biodisponibilità: merita approfondimenti sia nello studio dell’efficacia degli alimenti che degli integratori alimentari.

Tra gli studi di simulazione al computer riportati nel lavoro pubblicato, degni di nota sono quelli condotti su composti come la glicirrizina, la glabridina, l’acido glicirretico e polifenoli, tra cui l’acido caffeico, il resveratrolo, la δ-viniferina e miricitrina, il kaempferolo, la curcumina e la demetoxicurcumina, la catechina, la epicatechina gallato, la quercetina, l’esperetina, esperidina, e miscele di composti derivati da matrici alimentari e tra questi l’aglio. L’estratto di aglio testato, costituto principalmente da composti organosolforati (in particolare, il disolfuro di allile, il trisolfuro di allile, il tetrasolfuro di diallile e il trisolfuro e il 2-propenil propile) ha mostrato un’attività multitargeting molto promettente, bloccando il SARS-CoV-2 a due livelli: nella fase di ingresso, interagendo con il recettore ospite ACE2, e durante le fasi di replicazione e trascrizione.

Il ruolo della glicirrizina, che è il composto principale della radice di liquirizia – pianta officinale la cui produzione nazionale si concentra per l’80 % in Calabria – è stato a lungo studiato in altri studi in vitro per infezioni virali, tra cui l’HIV-1 e il virus dell’epatite C e, di recente, anche contro SARS-CoV2. Gli studi condotti hanno dimostrato che la glicirrizina inibisce la replicazione virale e le prime fasi del ciclo di replicazione. Gli effetti contro SARS-CoV-2 della glicirrizina sono stati condotti, al momento, attraverso studi di simulazione al computer. L’importanza della liquirizia come fonte di composti attivi è stata confermata anche da uno studio sulla glabridina e sull’acido glicirretico, altri composti presenti nella radice di liquirizia, che hanno mostrato la più alta attività di legame tra 2906 molecole testate. La capacità di questi composti di impedire l’ingresso del virus in caso di bassa carica virale è stata ulteriormente confermata in uno studio in vitro.

Tra i polifenoli, un’ampia classe di composti noti per le loro proprietà antiossidanti, antitumorale, antibatterica, sono stati presi in esame sia studi condotti sull’attività contro i virus respiratori che gli studi in silico su SARS-CoV-2. Altri studi in silico hanno mostrato che l’acido caffeico, un acido fenolico ampiamente presente in una ampia varietà di alimenti (come frutta, verdura, caffè e propoli presenta una potente attività al livello del recettore ACE2 confermata specificatamente anche nel caso del SARS-CoV-2, attivi anche altri due composti polifenolici della propoli, crisina e galangina.

Anche il ben noto resveratrolo, presente in molti alimenti tra cui il vino rosso, ha mostrato attività contro SARS-CoV in uno studio in vitro e un’elevata affinità di legame e la massima selettività per il complesso ACE2, confrontato con altri composti stilbenoidi testati in uno studio in silico. Altri polifenoli presenti nelle matrici alimentari tra cui campferolo, curcumina, demetoxicurcumina, quercetina, catechina ed epicatechingallato, sono stati studiati come potenziali inibitori del COVID-19. Queste molecole hanno, in effetti, mostrato un’elevata affinità di legame con COVID-19. Tra questi il campferolo, presente principalmente nel tè e in alcune verdure (tra cui spinaci, broccoli, cavoli), ha mostrato, nello studio considerato, l’attività più elevata.

Molto interessanti si sono rivelati, infine, gli studi sull’esperetina, un flavonoide presente nel pericarpo e nell’albedo degli agrumi tra cui arancio e mandarino. Questo flavonoide, ha mostrato, in un recente studio in vitro, un’inibizione dose-dipendente mentre uno studio in silico, il suo potenziale nell’inibire il recettore ACE2, suggerendo che questa molecola potrebbe legarsi all’ACE2 e interferire così con l’infezione da SARS-CoV-2. L’esperidina, un glicoside dell’esperitina, ha mostrato un interessante potenziale di inibizione di molte proteine correlate a SARS-CoV-2 interferendo con il ciclo virale.
Questi risultati sottolineano l’importanza e la necessità di proseguire con ulteriori studi focalizzati sia sulle molecole ma anche sui processi di estrazione e isolamento dei fitocomplessi.

Proprio sull’isolamento di queste molecole sono in corso alcuni programmi di ricerca coordinati dal gruppo di chimica degli alimenti della prof.ssa Russo, della Mediterranea di Reggio Calabria, in collaborazione con il team del prof. Luca Rastrelli dell’Università di Salerno e con alcune imprese calabresi focalizzata su tecniche green per l’estrazione dei principi attivi dai sottoprodotti della lavorazione della liquirizia e degli agrumi – in linea con il nuovo paradigma basato sull’economia circolare – e la progettazione di specifiche formulazioni nutraceutiche alcune delle quali finalizzate all’integrazione di diete chetogeniche nell’ambito di un programma di ricerca sviluppato in seno al Nutriketo-La, il laboratorio di Nutrizione clinica del P.O. Moscati di Avellino e dell’Università di Salerno che, peraltro, in un recente studio computazionale, ha effettuato uno screening di oltre 30.000 molecole naturali da piante, funghi e organismi marini per identificare le strutture che hanno maggiori probabilità di legarsi all’enzima TMPRSS2 inibendolo.

Una delle proteine utilizzate dal coronavirus per infettare le cellule è proprio l’enzima TMPRSS2, una proteina endoteliale della superficie delle cellule che è coinvolta nell’entrata e nella diffusione virale dei coronavirus, compreso il SARS-CoV-2. La più promettente è risultato il geniposide della gardenia. Grande interesse anche molecole da piante della tradizione Ayurveda (orthosiphon, ashwagandha, garcinia, ocimum) per il loro già consolidato uso in prodotti fitoterapici. Sono al momento sottoposte a screening ulteriori molecole estratti da specie mediterranea nell’ambito della consolidata collaborazione tra il Dipartimento di Agraria della Mediterranea di Reggio Calabria e l’Università di Salerno. (scd)

COVID-19: SUD E CALABRIA MENO COLPITI,
MA PER LA SVIMEZ CRESCERÀ IL DIVARIO

I numeri sono impietosi e il nuovo allarme che proviene dalla Svimez, l’Associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno, con la pubblicazione delle Previsioni regionali 2020-2021 non danno spazio ad alcun dubbio: il Mezzogiorno e la Calabria, “risparmiati” dalla pandemia con numeri di contagio molto bassi, patiranno in modo pesante gli effetti economici della crisi. Ovvero il divario Nord-Sud anziché restringersi andrà ad allargarsi: secondo quanto scrive la Svimez «resiste la chiave di lettura Centro-Nord/Mezzogiorno, ma le previsioni per il 2021 mostrano i segnali di una divaricazione interna alle due macro-ripartizioni: le tre regioni forti del Nord ripartono con minori difficoltà; il resto del Nord e le regioni centrali mostrano maggiori difficoltà; un pezzo di Centro scivola verso Mezzogiorno; il Mezzogiorno rischia si spaccarsi tra regioni più resilienti e realtà regionali che rischiano di rimanere “incagliate” in una crisi di sistema senza vie di uscita».

Secondo l’autorevole Istituto di studi e ricerca sul Mezzogiorno, «la differenziazione territoriale dei processi di resistenza allo shock e di ripartenza nel post-Covid pone al governo nazionale il tema della riduzione dei divari regionali come via obbligata alla ricostruzione post-Covid. Creare le condizioni per restituire alle regioni del Centro in difficoltà i tassi di crescita conosciuti in passato, liberare le regioni più fragili del Sud dal loro isolamento che le mette al riparo dalle turbolenze ma le esclude dalle, ricompattare il sistema produttivo nazionale intorno ad un disegno di politica industriale volta a valorizzare la prospettiva euro-mediterranea l, sono tutte premesse indispensabili per far crescere, insieme, l’economia nazionale. Anziché affannarsi a sostenere la causa delle tante questioni territoriali (del Nord, del Centro, del Mezzogiorno) che si contendono il primato nel dibattito in corso sulle vie di uscita dalla pandemia, è tempo di compattare l’interesse nazionale sul tema che le risolverebbe tutte se solo l’obiettivo della crescita venisse perseguito congiuntamente a quello della riduzione dei nostri divari territoriali».

In poche parole, le previsioni regionali «aprono la “scatola nera” del differenziale di crescita tra Mezzogiorno e Centro-Nord nel 2021 svelando una significativa diversificazione interna alle due macro-aree nella transizione al post-Covid». Dai dati diffusi si evince che l’unica regione italiana che recupera in un solo anno i punti di Pil persi nel 2020 è il Trentino. A seguire, le tre regioni settentrionali del “triangolo della pandemia” guidano la ripartenza del Nord: +7,8% in Veneto, +7,1% in Emilia Romagna, +6,9% in Lombardia. Segno, questo, che le strutture produttive regionali più mature e integrate nei contesti internazionali perdono più terreno nella crisi ma riescono anche a ripartire con più slancio, anche se a ritmi insufficienti a recuperare le perdite del 2020. Maggiori le difficoltà a ripartire di Friuli V.G., Piemonte, Valle d’Aosta e, soprattutto, Liguria.

«Le regioni centrali – evidenzia la Svimez – sono accomunate da una certa difficoltà di recupero, in particolare l’Umbria e le Marche. Alla questione settentrionale e a quella meridionale intorno alle quali tradizionalmente si polarizza il dibattito nelle crisi italiane, sembra aggiungersi una “questione del Centro” che mostra segnali di allontanamento dalle aree più dinamiche del paese, scivolando verso Sud».

Tra le regioni meridionali, le più reattive nel 2021 sono, nell’ordine, Basilicata (+4,5%), Abruzzo (+3,5%), Campania (+2,5%) e Puglia (+2,4%), confermando la presenza di un sistema produttivo più strutturato e integrato con i mercati esterni. A fronte del Sud che riparte, sia pure con una velocità che compensa solo in parte le perdite del 2020, nel 2021 ci sarà anche un Sud dalla ripartenza frenata: Calabria (+1,5%), Sicilia (+1,3%), Sardegna (+1%), Molise (+0,9%). Si tratta di segnali preoccupanti di isolamento dalle dinamiche di ripresa esterne ai contesti locali, conseguenza della prevalente dipendenza dalla domanda interna e dai flussi di spesa pubblica.

L’impatto sui redditi delle famiglie nel 2020 è in media meno intenso nel Mezzogiorno (-3,2% contro il -4,4% del Centro-Nord) anche per effetto degli ingenti trasferimenti previsti dalle misure di sostegno al reddito previsti dal Governo. Il calo riguarda in particolare l’Emilia Romagna (-6,3%), Marche (-5,7%), Umbria (-5,2%) e Piemonte (-5,2%). Per il 2021 è atteso un recupero in tutte le regioni del Centro e del Nord, soprattutto nel “triangolo della pandemia”. Le regioni meridionali condividono una riduzione meno intensa dei redditi nel 2020 ma, al tempo stesso, un recupero più debole nel 2021. È questo il caso, in particolare, di Calabria, Molise, Sardegna e Sicilia, che non recupereranno le perdite del 2020.

Anche dal punto di vista del reddito, nel post-covid, ci sono evidenti condizionamenti sui consumo delle famiglie. La spesa delle famiglie cala bruscamente in tutte le regioni italiane con una variabilità interna alle due macro-aree piuttosto correlata alla dinamica dei redditi. Nelle Marche (-12,3%) e in Umbria (-12.2%) i crolli più evidenti; in Lombardia (-7,3%), Molise (-7,4%), Trentino (-7,7%) e Sicilia (-7,7%) quelli meno intensi ma di entità comunque eccezionale. La forbice si allarga se si guarda alla ripresa della spesa delle famiglie nel 2021. Nelle regioni del Centro e del Nord, in media, i consumi delle famiglie aumenteranno del 5,0% recuperando solo la metà della perdita del 2020; nelle regioni del Mezzogiorno il recupero sarà meno di un terzo: +2,7% dopo la caduta del -9,0% del 2020. Particolarmente stagnante sarà la spesa delle famiglie in Sardegna, Sicilia e Calabria.

Non meno significativa la differenziazione per quel che riguarda gli investimenti delle imprese. Su base regionale mostrano caratteristiche comuni alla spesa delle famiglie: una maggiore differenziazione nella ripartenza, comunque stentata, del 2021 rispetto alla caduta del 2020. Al Nord il crollo è particolarmente intenso in Emilia Romagna (-17,9%) e Piemonte (-18,0%); al Centro in Toscana (-17,5%); nel Mezzogiorno in Campania (-16,3%).  Gli investimenti torneranno a crescere a tassi più sostenuti, ma comunque insufficienti a compensare le perdite del 2020, in Lombardia (+9,8%), Veneto (+9,5%) ed Emilia Romagna (+8,2%). Debole la ripartenza degli investimenti in Calabria (+2,2%), Sicilia (+2,5%) e Campania (+2,7%).

La domanda estera, infine, in profonda contrazione nel 2020 (-15,3% in media nel Mezzogiorno; -13,8% nel Centro-Nord), tornerà a crescere nel 2021 – secondo la Svimez – a ritmi più sostenuti nelle economie regionali dalle vocazioni produttive più orientate all’export. (ed)

Tab. 1: Previsioni per il Pil, Regioni, Circoscrizioni e Italia, var. %.

Regioni 2019 2020 2021
Piemonte -0,2 -11,0 5,3
Valle d’Aosta 0,3 -7,0 3,7
Lombardia 0,0 -9,9 6,9
Trentino A.A. -0,4 -6,0 5,9
Veneto 1,0 -12,2 7,8
Friuli V.G. 0,6 -10,1 4,5
Liguria 0,1 -8,5 3,7
Emilia-Romagna -0,5 -11,2 7,1
Toscana 0,7 -9,5 5,5
Umbria 1,6 -11,1 4,7
Marche 0,6 -10,6 5,0
Lazio 0,7 -8,1 4,1
Abruzzo 0,1 -8,3 3,5
Molise 1,7 -10,9 0,9
Campania 0,3 -8,0 2,5
Puglia 0,6 -9,0 2,4
Basilicata 1,4 -12,6 4,5
Calabria 1,1 -6,4 1,5
Sardegna 0,7 -5,7 1,0
Sicilia 1,1 -5,1 1,3
Mezzogiorno 0,9 -8,2 2,3
Centro-Nord 0,4 -9,6 5,4
Italia 0,6 -9,3 4,6

Fonte: Modello NMODS.

 

Tab. 2: Previsioni per spesa e redditi delle famiglie, investimenti e delle esportazioni, Regioni, Circoscrizioni e Italia, var. %.

Regioni Spesa famiglie Reddito Famiglie Investimenti Esportazioni
2019 2020 2021 2019 2020 2021 2019 2020 2021 2019 2020 2021
Piemonte 0,8 -10,5 5,0 -0,6 -5,2 6,5 0,7 -18,0 6,1 -4,3 -16,2 7,8
Valle d’Aosta 0,3 -11,2 4,1 0,1 -5,0 6,0 1,5 -10,4 4,6 -6,3 -2,0 3,9
Lombardia 0,0 -7,3 5,5 -1,2 -3,5 7,5 0,9 -16,5 9,8 -1,4 -5,9 11,1
Trentino A.A. 0,4 -7,7 4,4 0,8 -3,9 7,3 0,8 -15,8 7,7 0,9 -16,1 5,6
Veneto 0,3 -11,7 5,3 -0,1 -4,2 8,0 2,0 -15,9 9,5 0,2 -18,2 10,5
Friuli V.G. 0,6 -10,8 4,9 -0,5 -4,1 6,3 1,9 -9,8 5,2 -1,6 -15,6 6,9
Liguria 0,8 -8,2 5,1 -0,8 -2,7 4,6 1,4 -15,2 4,2 -7,3 -17,1 7,4
Emilia-Romagna 0,6 -10,2 5,6 -0,2 -6,3 7,0 0,7 -17,9 8,2 2,7 -15,9 10,2
Toscana 0,4 -10,4 5,2 0,4 -4,5 6,7 1,9 -17,5 6,8 13,6 -17,0 4,0
Umbria 1,0 -12,2 4,4 0,5 -5,2 5,2 2,8 -11,4 5,6 -0,9 -2,2 4,5
Marche 1,2 -12,3 4,2 2,2 -5,7 6,1 1,9 -16,1 5,1 2,6 -20,4 11,8
Lazio 1,0 -9,2 6,0 -0,5 -3,1 5,8 1,9 -11,0 5,3 13,5 -18,8 8,9
Abruzzo 0,9 -9,1 2,7 3,1 -3,2 4,2 1,5 -13,3 5,9 -1,9 -13,4 9,7
Molise 1,1 -7,4 2,8 3,9 -4,0 2,2 3,0 -12,8 3,2 11,1 -19,2 3,8
Campania 1,0 -10,1 2,6 1,8 -3,5 4,6 1,5 -16,3 2,7 7,5 -16,8 11,9
Puglia 0,5 -9,1 3,3 -0,6 -1,8 3,9 1,7 -14,3 4,0 -4,3 -13,2 7,1
Basilicata 1,0 -9,4 4,8 3,7 -3,5 4,1 2,1 -12,8 4,2 -17,6 -32,1 20,8
Calabria 0,8 -9,4 1,3 2,1 -2,9 2,1 2,5 -9,2 2,2 -17,0 -8,5 7,0
Sardegna 1,2 -10,1 2,2 2,6 -3,6 2,1 2,1 -11,3 4,6 8,2 -10,1 7,5
Sicilia 1,2 -7,7 1,9 2,3 -3,0 2,3 3,3 -12,2 2,5 -1,9 -9,5 10,1
Mezzogiorno 1,0 -9,0 2,7 2,4 -3,2 3,2 2,2 -12,8 3,7 -2,0 -15,3 9,7
Centro-Nord 0,6 -10,2 5,0 0,0 -4,4 6,4 1,5 -14,6 6,5 1,0 -13,8 7,7
Italia 0,8 -9,7 4,1 1,0 -3,9 5,1 1,8 -13,9 5,4 -0,2 -14,4 8,5

Fonte: Modello NMODS.

SMART WORKING: CIAO NORD, NON TORNO
STUDENTI E LAVORATORI RESTANO AL SUD

di MARIA CRISTINA GULLÍ – Sta capitando uno strano fenomeno da post-covid: la scoperta del lavoro “agile”, ovvero lo smart working da fare a casa, in remoto, o gli esami universitari in streaming, sta inducendo molti studenti e lavoratori rientrati al Sud a non ritornare in Settentrione. È un fenomeno ancora tutto da analizzare e ci sarà materia per sociologi urbani psicologi, ma la verità è che la lunga assenza dovuta al lockdown, per chi è riuscito a rientrare in famiglia in  Calabria, ha fatto perdere molte delle abitudini che erano diventate routine pressoché quotidiana. Sveglia, autobus, metro, università, lavoro; baretto o schiscetta preparata in casa da consumare in solitudine o con amici, colleghi o compagni di lavoro e poi, di nuovo, lavoro (o università), metro, bus, casa. Un altro giorno con molte ore consumate sui mezzi pubblici, con pasti veloci, lo stress da grande città. Poi il confronto, la dimensione umana, sociale (anche col distanziamento) e una qualità della vita che mette, inevitabilmente, in discussione tutto ciò che si faceva prima.

Secondo una stima del Sole 24 Ore, in 20 anni a Milano sono arrivati, soprattutto dal Mezzogiorno, almeno 100mila persone che, di fatto, hanno trasferito il proprio domicilio, diventando parte integrante della città. Una grande fetta di questi residenti “meridionali”, a causa della pandemia e il blocco di università o del lavoro tradizionale in ufficio o in fabbrica è ritornata al Sud, dalla famiglia o dai parenti. Lo studio e il lavoro è continuato in modalità “agile” ovvero online, facendo scoprire a studenti e lavoratori che lo stress non era immaginario. Anzi, il ritorno al Sud ha fatto maturare in più d’uno il desiderio di restare, sfruttando le opportunità del lavoro o dello studio da remoto, inclusa la possibilità di sostenere gli esami senza recarsi all’università.

Questa “fuga” dal Nord si è tradotta in una grave perdita per le attività legate al pendolarismo: in centro, a Milano, secondo un’indagine della Epam-Confcommercio, in alcuni casi il fatturato è crollato del 75%: niente panino alla piastra al bar, niente caffè, niente pranzo coi buoni pasti al baretto. A Milano – sempre secondo la Confcommercio – prima della pandemia circolavano quasi tre milioni di persone al giorno (la città ne conta un milione e mezzo), ovvero il doppio dei suoi abitanti: oggi la città è tornata a livelli impensabili. Da un lato si circola meglio e i milanesi possono godersi la città, dall’altro questa “brutale” assenza di vita, senza gli studenti e i lavoratori fuori sede, ha innescato un meccanismo a catena: nei bar non va quasi più nessuno, ad esempio, a consumare il pasto della pausa pranzo, i locali lavorano al 30% e non offrono, tanto per fare un esempio, quelle opportunità di impiego temporaneo (camerieri ai tavoli, lavapiatti, barman) che consentivano a molti studenti fuori sede di raggranellare qualche soldo ai sempre insufficiente denaro che arrivavano da casa. Niente. Stop. La ristorazione è il segmento maggiormente colpito: bar, ristoranti e pizzerie lavorano poco e non offrono più lavoro.

In questo quadro, la decisione più ovvia per uno studente fuori sede che non può frequentare l’università (avevano riaperto le discoteche ma sono rimasti chiusi atenei e biblioteche!) è stata quella di lasciare l’appartamentino in affitto condiviso con altri tre o quattro amici-colleghi e tornare al Sud. In famiglia. E oggi matura l’altra decisione, ancora più ovvia, quella di restarci. Si studia e si lavora da casa perché rovinarsi la vita sui mezzi pubblici, tra inquinamento atmosferico, traffico e clima non certo entusiasmante per chi è nato al Sud?

Uno studio americano del National Bureau of Economic Research (Nber) di qualche mese fa ha indicato un mutamento nello stile di vita almeno per il 40% della popolazione Usa, con analoga percentuale nel modo di fare impresa. Questo significa che se è vero niente sarà più come prima, lo smart working costringerà a fare valutazioni ad ampio spettro per i cambiamenti che il post-covid porterà ad adottare.

In altri termini, restando in Italia, si sta capovolgendo la fuga verso il Nord, industriale e ricco, trasformandosi in un ritorno a casa. Succederà, presumibilmente, anche per i cosiddetti cervelli in fuga: le opportunità del telelavoro non sono state completamente vagliate nella maniera adeguata, c’è il rischio di diventare workaholic, cioè succubi e dipendenti del proprio lavoro nell’impossibilità di darsi regole e pianificazione, o di lavorare troppo poco, col rischio di ritrovarsi una mail di licenziamento sullo stesso strumento di lavoro, magari messo a disposizione dalla propria azienda. Anche qui si tratta di sperimentare abitudini e regole comportamentali, col rispetto di obblighi e doveri e, naturalmente, l’osservanza – da parte delle aziende – di tutti i diritti del lavoratore.

In poche parole, l’economia del Paese dovrà fare i conti nel post-pandemia con le opportunità dello smart working e le decine di migliaia che decideranno di non tornare al Nord investiranno parte dei loro compensi in casa propria. Soffrirà l’economia reale del Settentrione, ma contemporaneamente ci saranno benefici per il Sud. Il nuovo slogan sarà dunque South Working, ossia lavorare da Sud. E una buona premessa per avviare intelligenti strategie di crescita e sviluppo per la Calabria e tutto il Mezzogiorno. (mcg)

FRANCESCHINI AIUTA IL TURISMO D’ARTE, MA LA CALABRIA ESCLUSA DAI CONTRIBUTI

di SANTO STRATI – Sono 29 le città d’arte che il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini ha scelto di aiutare con contributi a fondo perduto, previsti dal dccreto agosto, ma il Mezzogiorno e la Calabria rimangono fuori da queste provvidenze. Già perché la selezione è stata fatta in base al rapporto tra presenze di turisti stranieri e residenti. Le città prescelte sono: Venezia, Verbania, Firenze, Rimini, Siena, Pisa, Roma, Como, Verona, Milano, Urbino, Bologna, La Spezia, Ravenna, Bolzano, Bergamo, Lucca, Matera, Padova, Agrigento, Siracusa, Ragusa, Napoli, Cagliari, Catania, Genova, Palermo, Torino e Bari. Come faceva ad entrarci, per esempio Reggio, che col suo ricchissimo e pregevole Museo archeologico, che custodisce i Bronzi, pur avendo avuto performances notevoli non può contare su un elevato numero di presenze turistiche di stranieri? E qui subentra il dubbio che, ancora una volta i criteri di attribuzione di aiuti non rispondano a logiche di opportunità per i centri meno fortunati, bensì prevale la regola del dato storico cui fare riferimento: più hai, più prendi, più produci benessere più lo Stato ti aiuta a fare di più e meglio. Se, invece, come avviene nel Mezzogiorno, i numeri sono scarsi, è destino (o meglio volontà politica) continuare a tenerli  bassi: non vengono incentivati i centri che hanno più bisogno di attenzione, pur avendo aspirazioni turistiche che andrebbero sostenute, ma si privilegiano solo le città che hanno già numeri importanti.

Certo, si dirà che nelle grandi città d’arte come Roma e Venezia, per esempio, il danno subito dai commercianti e dagli esercenti delle attività turistiche di accoglienza (alberghi, ristoranti, bar, etc) è certamente superiore rispetto a quello dei piccoli centri, ma è la logica che sta alla base delle provvidenze che lascia perplessi.

Dovrebbe, a questo punto, intervenire la Regione a coprire il vuoto di aiuti che continua ad affliggere negozianti, bar, titolari di alberghi, ristoranti, trattorie. La loro situazione economica è stata sottostimata e, soprattutto, sottovalutata: 70 giorni di lockdown prima e il quasi deserto nei mesi successivi, dopo, hanno messo a dura prova in particolar modo le piccole attività. Molti esercenti hanno preferito restare chiusi, giacché il rapporto tra clienti ammessi e costi dell’esercizio è improponibile. Si continua a non capire che serve denaro fresco e non promesse di crediti d’imposta: quali tasse potranno pagare gli esercizi pubblici che a malapena riescono a garantire gli stipendi dei dipendenti? Come si può pensare di trascurare, se non con aiuti minimi, attività che sono ormai al collasso?

Prendiamo il caso dei gestori di discoteche e lidi: se tutto va bene sono rovinati. La chiusura imposta due giorni prima di Ferragosto – giusta e sacrosanta, perché la salute va salvaguardata e difesa prima di ogni cosa – ma spazzato via ogni ipotesi di compensare in qualche modo le perdite, con la beffa delle scorte ordinate (e ancora da pagare) proprio in vista del Ferragosto.

Tutto ciò rientra, purtroppo, nella constatazione che il Paese legale è lontano mille miglia dal Paese reale: i nostri governanti, gli amministratori locali, sindaci, presidenti di provincia, assessori o semplici consiglieri comunali sono, disgraziatamente, sempre più distanti dalla realtà del loro territorio. C’è – dispiace affermarlo – una insopportabile incapacità di comprendere e valutare correttamente i bisogni di una città e della sua parte attiva, ignorando o, peggio, trascurando le necessità di natura economica che sono alla base di qualsiasi ripresa economica. Con queste premesse, non è un problema il mancato aiuto dei Beni Culturali, con le “dimenticanze” di Franceschini, bensì è l’improvvisazione e la superficialità con cui si continua ad affrontare l’altro aspetto della pandemia, non meno pericoloso e terribile, che è quello economico. Il contagio della crisi economica non si pensi sia meno letale del coronavirus. Non si tratta, evidentemente, di raffrontare i poveri morti di covid (a moltissimi dei quali – non dimentichiamolo –  è stato negato persino l’ultimo saluto dei familiari nella fase più acuta della pandemia) con i danni di natura economica subiti da imprenditori e aziende, ma se non riparte l’economia, avremo centinaia di nuovi poveri, milioni di posti di lavoro irrimediabilmente perduti, con le ovvie conseguenze per le famiglie.

A questo proposito non si può fare a meno di sottolineare l’assenza di vergogna di chi avrebbe dovuto provvedere al tempestivo pagamento della cassa integrazione (stanno corrispondendo i salari di maggio!) e di come manchi il senso di responsabilità necessario per intervenire in maniera drastica, ma decisamente funzionale, con soldi veri e non con mille piccole elemosine che lo Stato ha già ipotecato per il pagamento delle imposte dovute. Già, perché non va dimenticato che il Governo centrale mica ha posticipato i pagamenti delle tasse, quando avrebbe dovuto quanto meno sospendere i tributi in scadenza: come al solito abile questo Stato a prendere, è lentissimo o addirittura assente quando deve dare.

Con queste premesse le elezioni regionali e comunali del prossimo 20 settembre, nonché il referendum confermativo, porteranno il risultato scontato di una ulteriore disaffezione della politica, anche locale, e di un sì – sbagliato perché dettato da un vieto populismo – che si vendicherà della “casta” votando il taglio dei parlamentari. Con buona pace della rappresentanza mutilata e una selezione di “rappresentanti” del popolo non eletti ma solo “prescelti” dalla segreterie dei partiti. Ma questa è un’altra storia.

Per ora torniamo a insistere sulla responsabilità civile del Paese nei confronti di chi lavora, mantiene e crea occupazione e, soprattutto, paga le tasse. Dimentichiamoci di Franceschini e del decreto agosto per le città d’arte, ma la Regione Calabria s’inventi al più presto aiuti veri se vuole evitare la catastrofe economica in una terra dove i quattrini quelli che lavorano li vedono sempre in misura minore e le poche risorse che producono non li usano per vivere o sopravvivere, ma per pagare le mille imposte di uno Stato rapace. (s)

La nave-quarantena a Corigliano-Rossano: interviene Pietro Molinaro (Lega)

Monta la polemica sulla nave-quarantena alla fonda del porto di Corigliano-Rossano. Ultima presa di posizione, quella del consigliere regoionale della Lega Pietro Molinaro, il quale ha inviato una lettera al Prefetto di Cosenza Cinzia Guercio, alla Presidente Jole Santelli e al Sindaco di Corigliano Rossano Flavio Stasi per chiedere informazioni in merito alla vicenda della c.d. “Nave-Quarantena” posizionata nel porto di Corigliano Rossano che nella giornata odierna ha preso il largo ma dovrebbe tornare presto con a bordo numerosi immigrati.

Risulta – scrive Molinaro – che la Nave-Quarantena sia stata richiesta al Governo dalla Presidente Santelli per ospitare i migranti positivi al Covid 19. La nave ha attraccato nei giorni scorsi nel porto di Corigliano Rossano suscitando non poca preoccupazione nella cittadinanza perché non sono chiare le regole di ingaggio della nave, le conseguenze per il porto e per le attività economiche che gravitano su di esso e per le strutture sanitarie locali. Tra l’altro – precisa Molinaro – il territorio è sfornito di un Centro Covid per gestire le emergenze a terra.

«In considerazione di tali oggettive problematiche – ha scritto Molinaro – chiedo di conoscere quali siano le attuali determinazioni in merito alle operazioni che dovrebbe svolgere la “Nave-Quarantena” e quali saranno le implicazioni previste sul piano organizzativo e sanitario per le strutture di terra di Corigliano Rossano. In virtù delle informazioni di cui dispongo finora, – aggiunge – il mio parere è che il porto di Corigliano Rossano non possa ospitare la nave per i rischi che comporta, sia in termini di sicurezza sanitaria che di ricadute economiche. Sono tanti gli interrogativi che mi preoccupano  – prosegue il consigliere regionale – che mi auguro, possano ottenere risposta. Ad esempio: se è vero che la nave dovrà servire per i migranti che risulteranno positivi, gli altri dove andranno? Saranno ospitati in strutture già individuate o da individuare nella zona? Quali? Per quanto tempo? Chi gli fornirà assistenza? Il Porto di Corigliano ospita una numerosa flotta peschereccia e uno dei mercati ittici più importanti del sud Italia dove ogni giorno si tiene l’asta all’ingrosso del pescato a cui sono interessati i maggiori importatori di pesce del sud. Si è tenuto conto delle ricadute su questa economia della presenza della Nave-Quarantena? In che modo?

«Sono interrogativi che meritano una risposta– ribadisce Molinaro –perché, non vi può essere alcun dubbio sul fatto che la Calabria tutta e Corigliano Rossano in particolare, siano accoglienti e vogliano fare, come hanno fatto finora, la propria parte nel gestire l’emergenza immigrazione, sommata all’emergenza Covid, ma meritano rispetto! Questo significa innanzitutto tener conto degli effettivi limiti strutturali del porto di Corigliano Rossano e delle condizioni delle strutture sanitarie della zona. Accoglienza e solidarietà  – conclude -sono effettive solo quando si conciliano con il rispetto dei cittadini». (rcs)

 

MOVIDA INTERROTTA, TIMORI IN CALABRIA
DAI GIOVANI: CAUTELA E RESPONSABILITÀ

di SANTO STRATI – Vale la discoteca il rischio del contagio? Decisamente no. Quindi, anche se a malincuore, i giovani calabresi devono mostrare tutta la loro intelligenza e far emergere il loro forte senso di responsabilità di fronte a quest’improvvisa, quanto immaginabile e prevedibile, nuova ondata di prognosi positive al covid-19.

Non è questo il momento di mettersi a questionare sugli errori passati (e altri, purtroppo, ne verranno fatti ancora) nella gestione dell’emergenza coronavirus a livello nazionale e a livello regionale. La Calabria, grazie alla criticatissima (ma azzeccata) ordinanza che chiudeva la regione, ha superato brillantemente la crisi. Poi c’è stata la polemica dei tavolini dei bar, del distanziamento che il Governo centrale prima pretendeva anche all’aperto e poi, improvvisamente, ha lasciato gestire in autonomia con un “liberi tutti” che ha autorizzato l’apertura di discoteche e locali.

L’estate, si sa, è fatta per le serate in discoteca all’aperto, a prendere la granita o il gelato, e pretendere la mascherina in pista da ballo forse era come chiedere la luna. I ragazzi vivono per quel “bagno di folla” come fosse un rito irrinunciabile per sostenere la voglia di divertirsi e riaffermare il proprio sentirsi liberi. Solo che il bagno di folla non va bene: qualcuno, preso a parolacce, aveva preavvisato che, forse, aprire le discoteche non sarebbe stata una buona idea, vista l’impossibilità del distanziamento. Poi, per quasi tutti i ragazzi, la mascherina è diventata un optional e guai a metterla, anche solo a passeggiare in mezzo alla marea di persone che, nelle sere d’estate, si riversano lungo marine e strade principali.

C’è un errore di fondo che ancora no si vuol comprendere: in troppi parlano di post-covid, ma in realtà questo “dopo” non c’è ancora; si è allentata l’emergenza, ma il rischio contagio è rimasto altissimo, magari attenuato dal sole e dai raggi UV, come afferma qualche scienziato, ma è un rischio presente da non sottovalutare. E difatti, sono bastate un paio di feste private (per non parlare delle serate in discoteca) per far schizzare il numero delle prognosi positive a Reggio (al Grande Ospedale Metropolitano da mesi non si registravano ricoveri né richieste di terapia intensiva). Poi, a un tratto, è scoppiato il panico, che in realtà è la giusta preoccupazione di governanti, amministratori locali, famiglie, genitori: quanto rischio c’è che i ragazzi possano infettarsi e infettare a loro volta? Risposta, purtroppo, facile: in assenza di distanziamento, dell’uso della mascherina, del rispetto delle misure minime di prevenzione, c’è solo da sperare che il numero sia modesto e la nuova ondata di contagi in Calabria, che più d’uno s’era azzardato a definire regione Covid-free: ci sono, per la verità, anche le favorevoli condizioni genetiche della popolazione ad aver tenuto alla larga il virus. Ma questo non è sufficiente, soprattutto in vista della prossima riapertura delle scuole.

Sarà garantita la sicurezza ai nostri ragazzi, agli insegnanti, al personale della scuola? Nelle passate settimane abbiamo dato voce a numerosi amministratori locali che lamentavano la scarsità di risorse e soprattutto di tempo per adeguare i plessi scolastici in modo da rispettare le misure di prevenzione prescritte dal ministero della Sanità. Le risorse non sono arrivate e il tempo scorre sempre più in fretta: si riuscirà a rispettare la data del 24 settembre fissata dalla presidente Jole?

La quale con l’ordinanza del 13 agosto ha raccolto un coro d’insulti non solo dei ragazzi (che non hanno giustificazione: se c’è un’emergenza bisogna rispettarla!) ma anche dei gestori di discoteche, lidi, etc, che appena qualche giorno fa in vista del Ferragosto avevano fatto scorta di bevande, bibite e quant’altro serve per la sete della movida giovanile. E adesso cosa faranno con le casse di birra, di succhi più o meno alcolici, cibo e altro materiale di consumo? Con quali incassi, mancati, pagheranno i fornitori?

Uno dei maggiori problemi che il Governo centrale prima e le Regioni, poi, continuano a ignorare è quello dell’economia reale: ci sono svariate migliaia di dipendenti che ancora aspettano la cassa integrazione (e qualcuno dovrebbe vergognarsi persino a giustificare la propria inezia), ma accanto a loro c’è la vastissima categoria degli esercenti dei locali pubblici, costretti a un feroce (anche se obbligato e giusto) lockdown di 70 giorni senza incassare un centesimo, ma con tutte le partite contabili aperte: prima di tutto le tasse (ma con quale faccia questo Stato pretende il pagamento puntuale delle imposte e dei contributi previdenziali da chi ha mandato sul lastrico?), e poi le utenze (telefono, gas, luce) per non parlare degli affitti dei locali.

A giugno facendo riaprire i locali il Governo ha fatto un autogol, ma solo ai danni di chi lavora col pubblico. Fin troppo facile dire “ma l’emergenza sembrava finita”, non bisognava ricreare le condizioni per affollamenti che, in una discoteca, come si fa ad evitare? Non sarebbe risultato più semplice continuare a imporre le chiusure, garantendo però ai gestori di bar, ristoranti, discoteche non in grado di assicurare le condizioni di massima prevenzione, un salario minimo per sopravvivere e far sopravvivere i propri dipendenti?

In Calabria, ma non solo, sono migliaia i locali che non hanno riaperto: migliaia di famiglie senza reddito, dai titolari all’ultimo dei lavapiatti, cui non sono toccati nemmeno quei miserabili 600 euro destinati ai professionisti e ai lavoratori autonomi con partita iva  (cosa ci faccia un professionista con questa somma, lo sa solo Palazzo Chigi) includendo i cinque miserabili furbetti del Parlamento che senza vergogna hanno chiesto e incassato il sussidio.

C’è chi incassa senza mai aver lavorato il reddito di cittadinanza  (500 euro al single, che diventano 650 se ha un mutuo e di altri 130 se vive in affitto) e ci sono migliaia di onesti sgobbatori che da una vita non hanno mai smesso di lavorare cui è stato impedito di produrre reddito con la propria attività. Non sappiamo cosa succederà nelle prossime settimane, se i timori del contagio rientreranno, viste le nuove misure di distanziamento obbligatorio, ma la sola idea di un altro lockdown autunnale dovrebbe far rizzare i capelli a chi ci governa.

I prestiti per le imprese sono stati un fallimento. Il ricorso alla Sace per garantire le aziende sfiancate dal coronavirus ma in grado di poter ripartire si è rivelato un altro boomerang ammazza-imprese: molti istituti di credito non sanno neanche da dove cominciare e continuano a chiedere garanzie personali, firme su fidejussioni improponibili, e quintali di carte, come se fossimo in condizioni di assoluta normalità.

Da un lato occorre tenere vigile l’attenzione sull’aspetto sanitario: non ci possiamo permettere un altra stagione di ricoveri in terapia intensiva e morti sui cui piangere, ma soprattutto questo Paese, e in particolare la Calabria, non si può permettere di giocare con l’economia. I soldi ci sono, arriveranno, ma nessuno sa come spenderli e, sopra ogni cosa, come distribuire le risorse. C’è un Governo di dilettanti allo sbaraglio, il Paese lo scopre ogni giorno di più. Sono solo i nostri governanti a non averlo ancora capito. (s)

Riconosciuta dagli Usa al prof. Spagnolo l’intuizione dell’uso dell’eparina anticovid

Un prestigioso riconoscimento all’intuizione del prof. Salvatore Spagnolo, sull’utilizzo precoce dell’eparina contro il covid-19, arriva dalla Food and Drug Administration (Fda) degli Stati Uniti: non solo approva l’utilizzo precoce dell’eparina ma permette di utilizzarla come spray nasale o come nebulizzatore per ridurre la carica virale del Covid-19.

Lo rende noto il prof. Spagnolo su Facebook che, alla fine del mese di marzo, aveva ipotizzato e pubblicato che la causa principale di morte nei pazienti affetti da Covid-19 era l’embolia polmonare e che era lo stesso virus a causare i processi trombotici replicandosi e distruggendo la parete endoteliale dei vasi sanguigni. 

«In base a questa ipotesi – ha scritto il prof. Spagnolo – avevo raccomandato l’uso della enoxaparina a domicilio fin dai primi sintomi influenzali. Purtroppo questo consiglio non è stato preso in considerazione ed ancora oggi, non solo in Italia, l’uso della eparina è limitato nella fase avanzata della malattia».

«Finalmente – ha proseguito – il 16 luglio su Antiviral Research viene pubblicato un articolo in cui si dimostra che l’eparina non solo previene la formazione dei coaguli, ma può ridurre il rischio di infezione da Sars-CoV-2. Infatti, partendo dalla conoscenze che il Covid-19 utilizza la sua proteina spike di superficie per legarsi alle cellule umane, un team guidato da Robert Linhardt, PhD, professore di chimica e biologia chimica presso il Rensselaer Polytechnic Institute (Rpi), ha dimostrato che l’eparina si lega direttamente alla proteina Spike del virus e ne ostacola l’attività».

«L’eparina, quindi – ha aggiunto – non solo ostacola la formazione dei trombi, ma impedisce al virus di agire».

«Questa scoperta – ha dichiarato il prof. Spagnolo – avvalora la mia ipotesi di somministrare eparina a domicilio al primo insorgere dell’influenza. Pensate quante bare in meno avremmo avuto se, dai primi di aprile, avessimo somministrato l’eparina a domicilio». (rrm)