di RAFFAELE MALITO – Oggi la Calabria avrà, a Gioia Tauro, un appuntamento con la storia del suo passato e con quella del suo futuro: al centro di questo straordinario evento, come mai è accaduto, tutte le sue espressioni e rappresentanze istituzionali, sociali, economiche e culturali si ritroveranno, nel grande piazzale antistante il porto, per difendere e dare un senso ai sacrifici del passato e alle prospettive di sviluppo della regione e dello stesso Paese.
Tutti insieme, i sindaci della Piana, il presidente con gli assessori della Giunta Regionale, i dirigenti di Cgil, Cisl e Uil, della Confindustria calabrese: senza dubbi e incertezze, tutti, nei giorni scorsi, si sono alzati a difendere, con documenti e osservazioni politico-economiche, il futuro del grande Porto, indicato da più parti a rischio di drastici ridimensionamenti o, addirittura, della fine della sua eccezionale crescita di questi ultimi anni.
L’allarme è suonato dopo l’emanazione della direttiva comunitaria, 2023/959, che estende, nel sistema Ets (Emission Trading System) le misure restrittive per le emissioni di gas a effetto serra anche al settore marittimo nella misura del 62% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030. Una mannaia che taglia con un colpo le attività portuali e destina alla chiusura o quasi dei programmi di sviluppo del grande Porto di Gioia Tauro facendo a pezzi una storia che viene da lontano e destina al fallimento ogni prospettiva di sviluppo della Calabria. L’idea del porto di Gioia Tauro, nasce quando l’Italia democratica risponde ai tentativi della destra di fare della rivolta di Reggio l’occasione per un golpe fascista, quello fallito di Junio Valerio Borghese e Licio Gelli, con un programma di sviluppo industriale destinato a Reggio e provincia. È il famoso “Pacchetto Colombo” annunciato, nel 1971: Il V Centro siderurgico a Gioia Tauro con la previsione di 7.500 addetti, la Liquichimica e le Officine di grandi riparazioni ferroviarie a Saline Joniche, gli stabilimenti tessili a S. Gregorio di Reggio di Reggio Calabria.
Di quel vasto e suggestivo programma sul quale spese la sua vita politica il leader socialista Giacomo Mancini, resta solo il Porto previsto a servizio del polo siderurgico. A innalzare la barriera della democrazia contro ogni tentativo eversivo che si era materializzato a Reggio, in quegli anni, si era aggiunta la grande manifestazione dei cinquantamila, venuti da tutt’Italia con ogni mezzo, treni, navi, pullman e auto, con lo slogan “Nord e Sud uniti nella lotta”, voluta dalla potente e prestigiosa federazione dei metalmeccanici, guidata dai carismatici leader Bruno Trentin della Fiom-Cgil, Pierre Carniti della Fim-Cisl, Giorgio Benvenuto della Uilm-Uil. Bruno Trentin, tornerà nella Piana di Gioia Tauro per guidare una grande manifestazione di popolo contro i ritardi di attuazione delle decisioni del governo e delle Partecipazioni statali sulle quali gravava l’impegno di realizzazione del Centro siderurgico.
Qualche anno dopo, la pietra gettata, simbolicamente, in mare, per l’inaugurazione dei lavori, la lanciò il ministro alla Cassa per il Mezzogiorno, Giulio Andreotti, nel 1975, criticato, poi, anche per alcune battute ironiche che si lasciò sfuggire sulle sorti del polo siderurgico che, del resto, l’Iri già cominciava a mettere in dubbio facendosi forte della crisi del settore metalmeccanico e automobilistico. A fine anni 80 il porto, fallita l’ipotesi siderurgica, cambia destinazione, da porto industriale a polifunzionale: vengono rimodulati i programmi di infrastrutturazione, l’assetto operativo, i piani di sviluppo.
La posizione geografica mediana lungo la direttrice Suez- Gibilterra e baricentrica nel Mediterraneo ne fanno un’occasione d’oro, uno scalo privilegiato per il transhipment di contenitori e di merci. La svolta avviene nel 1994 con l’attività operativa per iniziativa di Angelo Ravano che con la sua Contship dà inizio all’era d’oro del porto Gioia Tauro nel sistema nazionale dei trasporti marittimi catturando l’interesse e la scelta di approdo da parte delle maggiori compagnie internazionali di navigazione.
Oggi l’ l’attività portuale di trasbordo è gestita dalla Med Center Container Terminal della MSC che dispone di piazzali per lo stoccaggio e la movimentazione dei container che si sviluppano per un milione e 500mila metri quadrati e di un terminale destinato al trasbordo di auto lungo il lato nord del canale che si estende per 280 metri quadri. Un grande porto con profondità fino a 18 metri consentendo l’approdo delle grandi navi, banchina che si estende per 3,4 Km, con una larghezza di 200 metri, 250 nel tratto iniziale, l’ imboccatura larga 300 metri, un bacino di evoluzione di 750 metri. L’area portuale esterna si estende per 440 ettari. Completano i dati di massimo rilievo della complessa struttura operativa portuale 22 gigantesche gru: sei delle quale, enormi, arrivate dalla Cina dopo un periplo dell’Africa per l’impossibilità di attraversare il Canale di Suez, sono alte 87 metri, con uno sbraccio di 54 metri in grado di arrivare fino a 24 file di container sistemati sulle grandi navi.
Sono dati eccezionali che spiegano il traguardo raggiunto dal porto di Gioia Tauro: primo in Italia per traffico di merci, decimo in Europa. La partita in gioco è, si diceva, di importanza storica per la Calabria che non può far svanire una straordinaria opportunità di sviluppo che è costata, a partire dal 2007 , 118 milioni di euro di fondi pubblici: 74 milioni relativi alla programmazione europea 2007-2013 e 44 per l’attuale programmazione. Dei 44 milioni investiti per il 2014-2020, 33 milioni derivano dal Fers regionale e si riferiscono alla risorse della politica di coesione europea: i progetti riguardano il completamento della viabilità del comparto Nord, l’adeguamento della banchina nord e la realizzazione del gateway ferroviario. Altri interventi sono previsti con la disponibilità dei relativi, cospicui finanziamenti per gli accessi diretti alla ferrovia e abbattere l’emissione di co2.
Insomma ci sono tutte le condizioni attuali e future perché l’hub portuale di Gioia Tauro diventi corridoio intermodale comunitario e nodo di rilevanza nazionale e crocevia di diverse modalità di trasporto. La strategia è quella di incrementare l’utilizzazione di una modalità ambientale sostenibile. Ridurre i tempi di percorrenza delle merci, ridurre i costi di trasporto, ridurre l’inquinamento ambientale prodotto dal trasporto su gomma, massimizzare le ricadute economiche e territoriali legate alla logistica nazionale.
È semplicemente tragico che tutto questo non conti nulla e si avanzi la funesta prospettiva di un destino di ridimensionamento o chiusura del porto: di questo possibile evento si sono fatti interpreti con una nota di drammatica consapevolezza, oltre a tutti i sindaci della Piana di Gioia Tauro, i rappresentanti e i dirigenti della Confindustria e Ance di tutte e cinque le province calabresi in una riunione plenaria nei giorni scorsi. E hanno lanciato un vero e proprio grido d’allarme: c’è il rischio – hanno scritto – di scrivere l’ultimo e il più triste capitolo della storia di un’infrastruttura logistica il cui apporto funzionale è strategico non solo per la Calabria ma per tutto il Paese.
E aggiungono: i temi della sostenibilità ambientale, importantissimi e strettamente connessi alla strategia di sviluppo per la Calabria, non devono essere utilizzati in maniera strumentale e ideologica per condannare al declino lo scalo portuale di Gioia Tauro.
In effetti stando ai dati diffusi dall’autorità portuale lo scalo determina quasi il 50% del Pil privato, è la più grande piattaforma logistica dell’Italia e dell’Europa meridionale e uno dei più grandi hub del Mediterraneo. Verrebbero meno con il suo declassamento gli investimenti dei player internazionali del transhipment, che sarebbero riversati nei porti extra-europei, magari Tangeri già pronta ad accoglierli; gli insediamenti produttivi della Zes soffrirebbero dei vantaggi e delle agevolazioni connesse, scomparirebbe la possibilità di attrarre investimenti nazionali e internazionali. Confindustria aggiunge, infine, che svanirebbe anche la possibilità che l’area del porto sia scelta quale sito ottimale per il rigassificatore, destinando la Calabria a diventare centrale nella stessa strategia energetica nazionale.
Ma accanto e strettamente legate allo sviluppo del Porto sono le grandi e dolorose questioni sociali della sorte che toccherebbe agli oltre 1.600 addetti dell’attività portuale e ai 4.000 lavoratori dell’indotto: una vera e propria sciagura che condannerebbe o all’emigrazione che, per tanti, con lo sviluppo e la crescita del Porto si è fermata o alla ricerca disperata del lavoro precario e, con essa, alla condanna di una vita senza certezze.
La vicenda tristissima di Gioia Tauro non può che essere assunta dal governo come un impegno primario: la richiesta, che viene avanzata da più parti, è di una moratoria che rinvii nel tempo la direttiva comunitaria 2023/959 sulle emissioni del gas serra estesa anche al settore marittimo.
Diversamente, fermare lo sviluppo del Porto e dei progetti ad esso connessi significa, molto semplicemente e drammaticamente, come ha scritto Confindustria Calabria, troncare di netto il futuro della Calabria, del Mezzogiorno, dell’Italia intera. (rm)