L’OPINIONE / Vincenzo Vitale: Reggio Capitale Italiana della Cultura? Difficilmente possibile

di VINCENZO VITALE – Reggio capitale della cultura per il 2027? Da reggini, emotivamente, non si può che essere molto contenti; razionalmente, però, non si può non pensare che sia difficilmente possibile; moralmente, infine, si dovrebbe convenire che a Reggio, ammesso che la città meriti il riconoscimento, assolutamente non lo meritano i suoi amministratori.

Chi è stato dimentico della sua storia, chi ne ha mortificato la memoria, chi ha umiliato la sua identità, distruggendone manufatti architettonici d’epoca, non dovrebbe avere l’ardire di chiedere qualcosa che abbia attinenza con la cultura. La demolizione di piazza De Nava, furbescamente contrabbandata col termine inglese di restyling per acquisire i finanziamenti che mai sarebbero stati concessi se l’operazione fosse stata chiamata col suo nome, rappresenta un unicum nella storia urbanistica italiana. Questo fatto ha condannato la nostra città a essere considerata, dagli organismi che contano a livello nazionale, non altro che un ricettacolo di ignoranti travet e di politici ancillari agli interessi della lobby dei demolitori.

Questa città che, per colpa dei suoi amministratori, ha fatto strame della cultura urbanistica e della storia dell’architettura; che è popolata da personaggi culturalmente anonimi che, proni al potere di cui sono a libro paga, amano definirsi intellettuali; che è affollata da coorti di passeggiatori la cui massima ambizione è quella di arrivare al 27 del mese senza esporsi in valutazioni che potrebbero assere inadatte alla loro quiete; questa città, macchiatasi di un perfetto “delitto urbanistico”, difficilmente potrà ottenere la qualifica richiesta, peraltro da parte di una classe dirigente che non sa più cosa inventarsi per grattare un po’ di visibilità.

Perché di questo si tratta, di una banale operazione mediatica: se fosse stato diversamente, si sarebbe coinvolta anche quella parte della cittadinanza che, politicamente non schierata, avrebbe potuto dare input e consigli validi. Invece, per stilare il progetto, di cui peraltro non se ne sa nulla, sono stati chiamati a consulto solo i demolitori di piazza De Nava.

Comunque sia, da reggini non si potrebbe che essere felici se una tale azzardata richiesta fosse premiata con il riconoscimento cui si ambisce. Ma difficilmente sarà così. I sogni sono solo di chi sa sognare e di chi merita la loro realizzazione: la Reggio odierna, ammorbata da un’inetta classe politica e da un’inconsistente leadership culturale, senza un democratico e corale coinvolgimento, non è in grado di costruire un sogno sufficientemente coerente da potersi realizzare.

Concludendo, ciò che si è letto sulla stampa dà l’impressione che si tratti solo di parole e vuota propaganda politica: d’altronde, le elezioni comunali si avvicinano. (vv)

[Vincenzo Vitale è presidente della Fondazione Mediterranea]

L’OPINIONE / Flavio Stasi: Rilanciando tema della Provincia si riparli dell’assetto del governo del territorio

di FLAVIO STASI – Leggo quotidianamente, con enorme rispetto ed interesse, gli interventi di tantissimi amministratori rispetto al tema della Provincia che abbiamo avuto il coraggio di aprire alcune settimane orsono. Devo dire con piacere che quasi tutti sono positivi e segnano un cambio di passo nella consapevolezza di un territorio che non è più chiuso nei propri confini comunali ma che si vuole muovere insieme.

Ora credo sia giunto il momento di rilanciare questo tema come di interesse generale, perché non riguarda solo le province o la Sibaritide ma il modello istituzionale che pensiamo sia il migliore per la nostra terra.

In primis sgomberiamo il campo da obiezioni a mio avviso confuse, per esempio che la Provincia non sarebbe prioritaria rispetto a questioni più importanti come sanità, infrastrutture ecc. Chi può non dirsi d’accordo, ma siamo di fronte alla scelta di istituire la provincia o realizzare il gemello del Sant’Orsola a Capo Trionto, perché sono due piani diversi. Le istituzioni non sono soluzioni, ma strumenti per raggiungerle. Del resto, se dovessimo giudicare le istituzioni rispetto alle soluzioni realizzate, sul tema della sanità dovremmo abolire la Regione, il Governo e la Commissione Europea, altro che provincia.

Questo eterno cercare “qualcosa di più grave” che puntualmente non risolviamo non ha fatto altro che aggravare la situazione in tutti i settori, ed è evidente come sia il tessuto istituzionale inadeguato ad offrire delle risposte. Scatola vuota? Oggi tutte le province sono scatole vuote (si vede dallo stato nel quale versano le strade provinciali), se non fosse che garantiscono la presenza di altre istituzioni comunque importanti, ma comunque è ovvio che il tema della istituzione di una nuova provincia si pone esclusivamente in relazione alla possibile rivisitazione della Legge Delrio quindi al ritorno di ruolo e funzioni delle Province elettive.

Ma soprattutto il tema della Provincia credo possa portare l’intera regione a ragionare su che tipo di modello di governo è maggiormente adatto alla Calabria, in una fase durante la quale a livello nazionale tentano di abbattere persino il ruolo della scuola come motore universale ed omogeneo dell’intero paese (è uno dei possibili terreni di applicazione della Autonomia Differenziata) mentre a livello regionale si tende ad accentrare qualsiasi cosa, dai rifiuti alla sanità, dai consorzi di bonifica all’idrico, certificando come la Regione ormai non sia affatto un ente di indirizzo ma puramente di gestione (soprattutto del potere).

Il risultato è sempre lo stesso: depotenziare le uniche istituzioni che stanno sul territorio ed alle quali i cittadini riescono a rivolgersi, ovvero i Comuni e le Province. Qualcuno ha notato dei miglioramenti nell’accorpamento delle Asl in poche Asp? Qualcuno mi sa dire se determinate attività hanno funzionato meglio dopo l’abolizione delle Comunità Montane ed il relativo accentramento? O vogliamo parlare del recente accentramento dei Consorzi di Bonifica? Ma soprattutto tutti questi accorpamenti hanno effettivamente sanato i bilanci? A mio avviso la risposta è sempre no.

Ecco perché rilanciando l’antico tema della Provincia della Sibaritide-Pollino credo si debba ricominciare a parlare di un tema che riguarda tutti, da Tortora a Cariati, da Laino Borgo a Melito Porto Salvo: l’assetto del governo del territorio, per il quale è necessario avere il coraggio – almeno in Calabria – di rivendicare una inversione di tendenza, che non significa trovare le soluzioni ai nostri tanti problemi, ma costruire gli strumenti che ci servono per risolverli.

E se costano due lire di più, con tutto il rispetto, si verifichi quale è la spesa procapite dello Stato centrale in ogni settore esistente rispetto a qualsiasi altra regione italiana, e lì si troverà qualcosa di più di due lire. (fs)

[Flavio Stasi è sindaco di Corigliano Rossano]

L’OPINIONE / Enzo Marra: Il presidio sanitario di Via Willermin non va chiuso, ma potenziato

di ENZO MARRA – Terremo alta l’attenzione sul piano di razionalizzazione della rete dei laboratori d’analisi che il Commissario ad acta Roberto Occhiuto vuole imporre, con il benestare del management dell’Asp reggina che supinamente aderisce anche alle decisioni più aberranti.

Condivido pienamente il grido di allarme proveniente dal Pd di Reggio Calabria e poi rilanciato dal sindaco Giuseppe Falcomatà per la paventata chiusura di un presidio sanitario cruciale per la Città di Reggio Calabria che rischia di vedere cancellata una struttura storica e d’eccellenza che ha svolto una preziosissima opera durante l’emergenza Covid. Il Commissario alla sanità e la dirigenza dell’Asp hanno il dovere di confrontarsi con il territorio prima di assumere decisioni incomprensibili e animate soltanto da una logica di tagli lineari che ha portato al collasso il sistema sanitario calabrese arrivato ormai ad uno stato di totale emergenza.

Il presidio di via Willermin  non soltanto deve essere tutelato, ma va potenziato nell’interesse dell’intera Comunità reggina. Proseguiremo, senza sosta, il nostro impegno sulla vicenda in piena sintonia con tutti i livelli del partito che ha scelto con chiarezza la sanità pubblica come obiettivo prioritario della propria azione politica al contrario del centrodestra che, con l’approvazione dell’autonomia differenziata, aggraverà ulteriormente la situazione. (em)

[Enzo Marra è presidente del Consiglio comunale di Reggio Calabria]

L’OPINIONE / Giuseppe Falcomatà: In atto una strategia che punta a smantellare sistema sanità territoriale

di GIUSEPPE FALCOMATÀ – È in atto una strategia complessiva che punta a smantellare l’intero sistema della sanità territoriale della quale non saremo né complici né silenti spettatori.

L’Asp ci ha comunicato nei giorni scorsi che sarà soppressa la metà delle guardie mediche ad oggi presenti sul territorio metropolitano, circa cinquanta! Inoltre, il laboratorio di analisi pubblico di via Willermin a Reggio Calabria è a rischio chiusura. Così come i poliambulatori di Gallico e di Pallaro. Quest’ultimo, a detta dell’Asp, sarebbe “alternativo” allo storico presidio di Via Padova, quindi dovrebbe essere soppresso l’uno o l’altro.

La chiamano “razionalizzazione”, ma si tratta di uno dei più feroci attacchi al diritto alla salute che il nostro territorio abbia mai vissuto che, combinato con la legge sull’autonomia differenziata, certificherebbe la morte del nostro sistema sanitario territoriale pubblico. Evidentemente, il Covid non ci ha insegnato nulla. In nome di freddi numeri, si tagliano diritti essenziali a tutto vantaggio della sanità privata. E, come sempre, a farne le spese sono le categorie più fragili, gli anziani e tutti coloro che non possono permettersi visite ed analisi in strutture diverse da quelle pubbliche.

È un disegno del tutto irresponsabile che non intendiamo accettare passivamente. La storia ci insegna che se c’è un investimento da compiere, deve essere indirizzato proprio alla rete della sanità territoriale, che decongestiona i grandi hub ospedalieri e supporta i cittadini nel quotidiano. La politica, tutta, senza distinzioni e colori politici, le associazioni, le forze sindacali, si mobilitino per difendere il diritto alla salute sul nostro territorio e nell’intera Calabria. È una battaglia di civiltà, che va combattuta insieme. (gf)

[Giuseppe Falcomatà è sindaco di Reggio]

L’OPINIONE / Santo Gioffrè: Quando la Festa Patronale ritorna a essere il trionfo dell’isolamento e dell’abbandono

di SANTO GIOFFRÈ – Quando, in Calabria, la Festa Patronale torna a essere il trionfo dell’isolamento e dell’abbandono. La falsa socializzazione della festa di un giorno è l’emblema totale della perdita. Una volta, i riti delle feste padronali attorno ad un simulacro sacro che ricordava il genus loci e l’appartenenza, livellava, per quel solo giorno, le classi sociali. Tutti, in quelle festività, pensavano di avere gli stessi diritti di eguaglianza difronte al contesto che caratterizzava quel santo protettore: ricchi e poveri, feudatari e contadini, ladri e probi.

Quel giorno solo, però. Il giorno dopo, dopo i fuochi e le scenografie che ripetevano le tradizioni, ognuno ritornava al proprio posto, nella miseria e povertà assoluta o tra l’opulenza che le enormi proprietà parassitarie garantivano. Ognuno al proprio posto, tra malattie che erano mortali perchè, tra i miserabili, nessuno si poteva curare o prodigiose guarigioni avendo il luminare medico alla portata di ogni portafoglio. Con il Santo padronale che stava a guardare. Poi, vennero le lotte operaie e studentesche. Le conquiste sociali. Le garanzie costituzionali per ogni Italiano e le feste padronali si ridussero nell’occasione del solo piacere di ritrovarsi intorno al focolare che rimaneva sacro.

Occasione per discutere delle novità che ogni emigrato portava dai campi di lotte e di paesani stanziali che parlavano dell’ansia di sviluppo della Calabria. Insomma, un contesto dinamico di scambio di idee, propositi, progetti, promesse mentre il Santo padronale veniva portato in processione. Ora, siamo tornati al primordi. La festa padronale, artificiosa e rococò in una Terra come la Calabria che sta subendo una feroce sostituzione etnica tra i suoi abitanti e i cinghiali, è solo Panem et circenses. Si allestiscono megaspettacoli per saziare, per solo due giorni, pance vuote di tutto, e tutto termina insieme alla palla asciutta dell’ultimo fuoco d’artificio.

Non una riflessione, non un canto lamentoso, mentre tutto attorno si secca e muore: la sanità, i servizi, le infrastrutture, le scuole, i saperi, il pauroso spopolamento. Liberi da ogni pensiero e sapere perché, come diceva Ferdinando II, il Popolo ignorante è un Popolo felice. (sg)

L’OPINIONE / Pino Aprile: No alle furbate delle regioni pigliatutto che regionalizzano gli utili e nazionalizzano le perdite

di PINO APRILE – Con la complicità del ministro per le Infrastrutture, il leghista Matteo Salvini, i presidenti leghisti della Lombardia e del Veneto, Attilio Fontana e Luca Zaia, vogliono scaricare sulle spalle di tutti gli italiani deficit miliardari di scelte “autonome regionali”, quali le costosissime e inutili, perché deserte, autostrade Brebemi e Pedemontane veneta e lombarda.

Infrastrutture che sono costate cifre da record mondiale a chilometro (eppure, sulla Pedemontana veneta, le gallerie si sgretolavano mentre erano ancora in costruzione) con i pedaggi più alti d’Italia. Un disastro.

Ma invece di alzare le tasse locali per ripagare i danni di scellerate scelte regionali (in spregio di ogni logica e contro le indicazioni di chi, conti alla mano, ne mostrava l’assurdità), Lombardia e Veneto dovrebbero vedere le antieconomiche “autostrade regionali” diventare “nazionali”, grazie a una trovata del ministro Salvini che, nel progetto di riforma delle concessioni autostradali, vorrebbe trovare il modo per far pagare a tutti gli italiani le cavolate di Lombardia e Veneto.

Qualche difficoltà può venire al ministro, dal fatto che le due Regioni pigliatutto, in piena coerenza con il loro modo di intendere “la solidarietà nazionale”, vorrebbero tenersi la proprietà delle autostrade e farne pagare allo “Stato centralista” soltanto i deficit.

Quando si tratta di pagare i debiti del Nord, “Prima il Nord” e “l’orgoglio padano” non valgono più, ma si cede l’onere a quelli che vengono “dopo il Nord”, gli altri italiani (come si vede, non è vero che non vogliano condividere niente).

Il metodo si era già visto con l’Expo, con la Lombardia che era inondata da miliardi “nazionali”, per la fiera, mentre l’ente locale organizzatore varava la norma che escludeva, dall’elenco dei fornitori, tutti quelli più lontani di 300 chilometri (come dire: il costo è a carico vostro, i vantaggi solo nostri).

Dovette intervenire Bruxelles per far cassare la decisione, in nome della libertà di concorrenza. E si è visto con le Olimpiadi invernali 2026, orgogliosamente “a costo zero e facciamo da soli” e poi rivelatesi a peso d’oro per tutti gli italiani (già 3.600 milioni sono stati regalati a Milano-Cortina 2026, da governi compiacenti), anche se quasi niente delle cose da fare è stato fatto e l’Italia rischia una delle peggiori brutte figure planetarie di sempre, tanto da essersi presa già una accusa di incapacità dal Comitato Olimpico Internazionale.

E adesso i miliardi dei deficit delle autostrade regionali a perdere. Non si riesce nemmeno a capire precisamente quanti, o si vergognano di dirlo, considerati i generosi contratti con cui si scaricano sui cittadini i mancati guadagni promessi ai privati.

E non volendo alzare le tasse ai loro elettori, né ammettere di aver fatto delle cappellate, ecco la scappatoia: ci pensa il ministro dello stesso partito a far pagare a tutti gli italiani le sciocchezze degli amministratori padani. E i voti della Lega sono salvi.

Mentre si sprecano quantità inaudite di miliardi per opere superflue, tocca ricordare che quelle risorse sono sottratte a italiani che non hanno ancora visto un treno nella propria città, dal 1861; che hanno dovuto abbandonare il proprio paese, perché l’unica strada per arrivarci è franata e non ci sono soldi per ripararla; e via trascurando.

Non potendosi aspettare niente di buono dai parlamentari complici di questo disegno (e men che meno da quelli del Sud), invitiamo quanti ritengono inaccettabile una tale furbata, a firmare il nostro appello. Forse aiutiamo qualcuno a vergognarsi e a fermare l’ennesima rapina a danno di tutti e a beneficio di pochi. (pa)

Link per firmare la petizione su Change.org

L’OPINIONE / Giuseppe Falcomatà: Biennale dello Stretto una grande occasione

di GIUSEPPE FALCOMATÀ – La Biennale dello Stretto è una grande occasione, un punto di vista nuovo, fresco, diverso su tutte quelle che possono essere le politiche di sviluppo di un territorio. È molto interessante il tema di questa edizione, legato all’acqua, di come ripensare l’organizzazione delle nostre città, alla luce dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale, il come ragionare della realizzazione di infrastrutture strategiche, che però non devono essere semplicemente dei ‘lego’ messi lì a cavallo di due territori, ma devono essere condivisi e pensati per portare un effettivo un effettivo sviluppo.

Dentro lo sviluppo di un territorio, naturalmente, c’è un racconto diverso, un punto di vista che coniuga anche aspetti culturali, che offrono un valido supporto al lavoro che stiamo portando avanti per la candidatura di Reggio Calabria come Capitale della Cultura 2027, con lo Stretto protagonista da sempre come crocevia di popoli, culture, etnie che possono e devono convivere insieme.

È naturalmente un punto di partenza, anche alla luce dei tanti conflitti che oggi registriamo nel Mondo, nessuno si salva da solo, abbiamo quindi il dovere di dialogare, cooperare. La Biennale dello Stretto ne è la dimostrazione, anche rispetto ai nostri rapporti con la città di Messina, con la quale abbiamo avviato un dialogo ed un percorso di condivisione per attività, eventi ed iniziative. Queste due Città, che sono sorelle, soltanto dal dialogo e dalla condivisione possono trarre beneficio. (gf)+

[Giuseppe Falcomatà è sindaco di Reggio]

L’OPINIONE / Giuseppe Nucera e Matteo Olivieri: La Calabria ha da guadagnare con l’autonomia

di GIUSEPPE NUCERA E MATTEO OLIVIERIIl clima culturale sviluppatosi intorno al tema dell’autonomia differenziata sta diventando ogni giorno sempre più ostile, e questo scoraggia molte persone dal prendere posizione pubblica a favore. Eppure, una rapida analisi dei “conti pubblici territoriali” dimostra che la Calabria avrebbe tutto da guadagnare dal passaggio all’autonomia differenziata.

Gli ultimi dati dell’Agenzia della Coesione (peraltro incompleti e fermi al 2021) ci informano infatti che la spesa pubblica territoriale viene dirottata quasi interamente nelle regioni a statuto speciale.

Come per magia, le province autonome di Trento e Bolzano ricevono rispettivamente 25 e 23 mila euro per abitante, mentre la Calabria poco meno di 14 mila (Fonte: Agenzia per la Coesione Territoriale).

Un cittadino calabrese vale di meno di uno di Bolzano? La Calabria, che ha quasi 4 volte la popolazione del Trentino A.A., riceve però il 40% in meno di risorse destinate a servizi pubblici, i quali – già oggi – non sono uniformi sul territorio nazionale, con buona pace di quanti si dicono contrari all’autonomia differenziata. Anche cambiando gli indicatori di riferimento, il risultato è sempre lo stesso: la Calabria, che ha una popolazione residente pari al 3% circa del totale nazionale, riceve risorse pubbliche pari a circa il 2,5% delle entrate tributarie erariali, dunque al di sotto della media pro-capite. Al contrario il Trentino A.A., che di popolazione residente ne ha circa l’1,8% del totale nazionale, ottiene la stessa percentuale di risorse della Calabria.

L’attuale meccanismo di finanza pubblica prevede un “doppio binario”: uno per le regioni a statuto ordinario, alle quali viene assegnata annualmente una quota di compartecipazione ai tributi erariali (attualmente intorno al 67%, da ripartire ulteriormente sulla base della media dei consumi triennali rilevati dall’Istat) ed uno per le regioni a statuto speciale. Enormi differenze sussistono tuttavia anche tra le stesse regioni a statuto speciale, visto che – per esempio – in Valle d’Aosta rimane il 100% del gettito Iva prodotto sul territorio, mentre il 90% rimane nelle province autonome di Trento e Bolzano, il 70% in Sardegna, e appena il 36,4% in Sicilia).

Visto che i diritti di cittadinanza garantiti dalla Costituzione devono essere validi su tutto il territorio nazionale, non si capisce perché alcuni territori debbano avere risorse “speciali” destinate a servizi pubblici che invece mancano in altri territori.

Sarebbe sufficiente riequilibrare la spesa pubblica al livello della popolazione per restituire alla Calabria almeno un 20% di risorse che – pur prodotte qui – finiscono altrove e forse, col tempo veder sparire quel debito sanitario da cui la Calabria non riesce ad uscire.

Anche sul lato della spesa esistono numerose iniquità, poiché le regioni a statuto speciale non sono chiamate a contribuire ai programmi di riduzione della spesa pubblica nazionale (salvo una piccola quota forfetaria), a differenza delle regioni a statuto ordinario, dove i tagli alla spesa pubblica sembrano non finire mai. Questa iniqua ripartizione della finanza pubblica, che crea vincitori e vinti, va avanti da almeno un quarto di secolo, e si è ulteriormente accentuata dopo la pandemia, sebbene finora nessuno vi abbia posto mano.

E, benché non esistano studi ufficiali esaustivi sull’argomento, viene spontaneo chiedersi se l’aumento dei divari socioeconomici a livello territoriale tra Nord e Sud sia da attribuire all’attuale assurdo meccanismo di ripartizione della finanza pubblica a livello territoriale, anziché alla solita, stancante tesi del Mezzogiorno vagabondo e inefficiente. Ad uno studio più attento si scoprirebbe che l’attuale meccanismo di ripartizione della spesa pubblica è completamente aleatorio: il calcolo dei “residui fiscali” (ossia la differenza tra entrate e spesa primaria) non è oggettivo ma dipende dalla metodologia adottata, che peraltro differisce nelle rilevazioni di Banca d‘Italia o della Ragioneria Generale dello Stato oppure Istat ecc. Inoltre, il “residuo fiscale” è oggetto di contrattazione politica in seno alla Conferenza Stato-Regioni, e ciò toglie non solo ogni credibilità a tale parametro decisionale, che non è indipendente, ma solleva legittime perplessità sul peso politico della rappresentanza calabrese nei tavoli nazionali.

Il passaggio all’autonomia differenziata cancellerebbe di colpo queste storture, e consentirebbe alla Calabria di usufruire sul proprio territorio di risorse finanziarie che oggi finiscono fuori regione per finanziare la spesa altrui.

A ben vedere, l’autonomia differenziata non contrappone il Nord al Sud, ma aggiunge trasparenza al meccanismo di ripartizione della spesa pubblica (tramite cui garantire i diritti costituzionali), e riequilibra la distribuzione di risorse tra regioni a statuto ordinario e quelle a statuto speciale attraverso il superamento della c.d. “spesa storica” e la contemporanea definizione di Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep), che lo Stato si impegna a finanziare interamente.

Per questo motivo, la definizione di livelli essenziali di spesa comporterebbe molto probabilmente un aumento (!) delle risorse finanziarie a favore del Meridione, e non invece una sua diminuzione, come invece in molti vanno sostenendo. Un esempio aiuterà a capirci: il numero di asili nido sono stati inclusi nei Lep nella misura del 33% di posti da garantire per i bambini sotto i tre anni entro il 2027. Ebbene, dalle rilevazioni condotte (nota 2) nell’anno educativo 2022/2023, risulta che «i posti disponibili nei nidi, nelle sezioni primavera e nei servizi integrativi pubblici e privati hanno raggiunto sul territorio nazionale una copertura pari a 30 posti ogni 100 bambini residenti fra 0 e 2 anni (14,3 posti per 100 bambini sono in servizi a titolarità pubblica)».

Tutte le regioni del Centro-Nord hanno raggiunto o superato il livello minimo di copertura di 33 posti, con la sola eccezione della Provincia Autonoma di Bolzano, mentre nel Mezzogiorno solo la Sardegna si colloca al di sopra di tale parametro con 35,2 posti. Pertanto, la Calabria si trova “costretta” a raggiungere tale obiettivo minimo entro un tempo prestabilito inderogabilmente, e dunque a poter chiedere ulteriori risorse per raggiungere tale obiettivo. Ciò comporta degli indubbi vantaggi inattesi per la nostra regione, poiché da quest’obbligo consegue pure un maggior potere di controllo del bilancio delle PP.AA. da parte dello Stato e dei cittadini, evitando così che le risorse vengano spese in ambiti clientelari o comunque non prioritari.

L’evidente miglioramento della capacità di monitoraggio della spesa pubblica avverrebbe poi salvaguardando gli equilibri di bilancio statale e regionale, come recita la legge 86/2024. Infatti, le stime fatta dalla Banca d’Italia, secondo cui per il finanziamento dei Lep occorrerebbero 100 miliardi di Euro, non comporterebbero l’assunzione di nuovo debito pubblico (col conseguente paventato rischio di collasso dei conti pubblici) ma semplicemente una nuova modalità di ripartizione di risorse finanziarie già esistenti.

Appaiono dunque infondate le critiche mosse alla legge sulla autonomia differenziata, accusata di voler spaccare l’unità nazionale, di creare un “far-west”, oppure uno “Stato arlecchino” o la “secessione dei ricchi”. A dirla tutta, la legge 86/2024 (“c.d. legge Calderoli”) prevede ampi e adeguati meccaanismi di garanzia contro la rottura dell’unità nazionale: si va dal doppio voto a maggioranza assoluta del Parlamento sulla bozza preliminare di intesa Stato-Regioni e poi sul documento finale, alla possibilità di rivedere ogni tre anni i Lep per adeguarli al mutato contesto socioeconomico, al ritiro unilaterale dell’intesa da parte del Governo qualora ci fossero fondati motivi per ritenere a rischio l’unità nazionale.

Sono dunque auspicabili tante occasioni di dibattito pubblico per spiegare ai calabresi i vantaggi reali della autonomia differenziata, al di là di letture ideologiche, semplicistiche o denigratorie del tema, che purtroppo confondono le menti e inquinano il leale confronto tra posizioni differenti. (gp e mo)

[Giuseppe Nucera è fondatore del movimento La Calabria che vogliamo, Matteo Olivieri è economista]

L’OPINIONE / Giusy Caminiti: «Questa forma di accoglienza non va bene né per i migranti né per i villesi»

di GIUSY CAMINITI – Quest’amministrazione comunale non ha dato alcun assenso perché sia l’hotel de la Ville ad ospitare i migranti, non ne è stata informata né in fase di bando nè in fase di contrattazione privata tra la cooperativa e il commissario giudiziale della struttura, non è stata richiesta alcuna autorizzazione per l’immobile: chi ha creato il “caso Hotel de la Ville” ha inteso strumentalizzare una drammatica situazione di accoglienza umanitaria contro l’amministrazione comunale, che nulla ha a che vedere con le scelte sin qui assunte.

Ieri pomeriggio (16 settembre ndr) su nostra richiesta siamo stati ricevuti dal Prefetto dottoressa Vaccaro, la quale nel rimarcare la necessità di dover garantire i posti letto in caso di un’emergenza che al momento non c’è e non è prevista, ci ha rassicurati sulla totale infondatezza delle notizie circolate in questi giorni circa l’arrivo di centinaia di migranti in Città. I numeri (se dovessero essere!) si attesterebbero su poche unità. Il Prefetto ha compreso l’importanza che ha l’hotel de la Ville per la nostra città e ci ha assicurato che questo possibile utilizzo dell’immobile non ostacolerà in alcun modo le intenzioni di valorizzazione dell’amministrazione comunale.
Quest’amministrazione ha sempre sostenuto un modello diverso di accoglienza, fatto di piccoli numeri di migranti destinatari di progetti personalizzati, che mirino all’indipendenza e che garantiscano integrazione lavorativa e sociale ed autonomia economica. Ci siamo confrontati su questo con il prefetto, cui abbiamo chiesto e da cui abbiamo avuto massima disponibilità ad essere ricevuti assieme alle forze politiche e sociali, alle Associazioni di volontariato che da sempre hanno contraddistinto con il loro operato la nostra Città come Città dell’accoglienza, anche e nonostante abbia subito gli effetti traumatizzanti della gestione dei migranti all’hotel Plaza dal 28 ottobre 2016 al 31 dicembre 2017. Quelle scene sono ben rimaste impresse nella memoria di tutti e confermano come non sia quello il modello di accoglienza e integrazione che quest’amministrazione e questa comunità vogliono per i migranti e per i cittadini.
Serve chiarire i termini della questione: una cooperativa in funzione di un bando della Prefettura di Reggio Calabria ha concluso un contratto privato di locazione con il commissario liquidatore della società proprietaria dell’Hotel de la Ville, giusto provvedimento autorizzativo del giudice delegato. Non è il Comune a dover approvare la struttura per “uso esclusivo di accoglienza migranti”: l’ente vigilerà in toto e su ogni singolo aspetto di competenza comunale.
La situazione è ben diversa da quella determinatasi nel 2016 – spesso invocata in questi giorni – perché allora la gestione del centro al Plaza per i primi mesi è stata tutta del Comune, che se ne è preso carico con la firma di una convenzione, una delibera di giunta e un’ordinanza sindacale: da ciò la richiesta danni da parte della proprietà del Plaza di oltre due milioni di euro anche al comune di Villa San Giovanni. Ciascuno si assuma la responsabilità politica e amministrativa di ciò che ha deciso e degli effetti che ha prodotto: nel 2016 devastanti per i migranti, nefasti per una storica struttura alberghiera che ha chiuso i battenti, più che negativi dal punto di vista sociale, economico e turistico per la nostra Città.
Noi dal canto nostro continueremo a dire che questa forma di accoglienza non va bene né per i migranti né per i villesi e cercheremo di governare il fenomeno migratorio con un’adeguata politica cittadina.
Del resto la nostra idea per l’Hotel de la Ville è stata la stessa che i cittadini chiedono oggi a mezzo social: destinarlo all’istituto alberghiero sia per le attività didattiche sia per la ristorazione e il servizio ricettivo. Il 25 settembre 2023 abbiamo chiesto direttamente al ministro Giuseppe Valditara un finanziamento a tal fine. Non avendo avuto esito positivo, abbiamo interpellato il sindaco metropolitano, Giuseppe Falcomatà che nei prossimi giorni effettuerà con noi e con i tecnici (ovviamente alla presenza del commissario liquidatore) un sopralluogo per verificare la possibilità da noi prospettata e che ha già accolto il favore della politica metropolitana.
Avremmo preferito dirlo più avanti per evitare speculazioni, ma la tensione di questi giorni ci ha indotto a darne notizia. Renderemo conto alla città passo passo di quanto si deciderà e dei tempi di possibile realizzazione.
Ai villesi chiediamo di non cadere nel tranello di chi oggi ha il solo obiettivo di mettere gli uni contro gli altri e di dividere una comunità che a piccoli passi si sta ricostituendo; di non cedere alle strumentalizzazioni di parte che, peraltro, rendono vittime solo i più deboli. Nelle sedi opportune continueremo a rappresentare le istanze della nostra Città. (gc)
[Giusy Caminiti è sindaca di Villa San Giovanni]

L’OPINIONE / Franca Sposato: L’Alta Velocità in Calabria rischia di essere sempre più un miraggio

di FRANCA SPOSATO – L’alta velocità in Calabria, opera strategica che rappresenta per la nostra regione e l’intero Sud una necessità, per colmare il divario infrastrutturale esistente rispetto alle regioni del Nord, per rilanciare l’economia, per migliorare la mobilità e con essa la qualità di vita dei calabresi, rischia di diventare sempre più un miraggio.

Nel crono programma che si è dato Ferrovie dello Stato la mega opera, con un costo complessivo stimato in circa 30 miliardi di euro,  nei lotti che riguardano il nostro territorio, non partirà prima del 2030. Per il momento, il governo nazionale ed il Ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, che tanto si prodiga ad annunciare miliardi di euro di investimenti per il sud, ha ritenuto prioritario realizzare l’integrazione tra le regioni Campania, Basilicata e Puglia che verrà attivata nel 2027, concentrando l’attenzione sul quadrilatero Napoli – Battipaglia – Taranto e Bari, dove viene destinata la maggior parte delle risorse.

Si annuncia in pompa magna un investimento che coinvolge le regioni Campania, Basilicata, Calabria, salvo omettere di dire  che, in realtà, il territorio calabrese sarà interessato solo per pochi chilometri fino a Praia. Dopo Praia, con inizio -ribadiamo- solo nel 2030, non è dato sapere che fine farà il progetto dell’Alta Velocità, se ci sarà una prosecuzione e attraverso quale tracciato o se, invece, tutto, come è plausibile a questo punto pensare, si fermerà ai piedi della Calabria. E, allora, ancora una volta, la nostra regione sarà condannata a rimanere a guardare alla finestra. E noi calabresi, ancora una volta, saremo stati illusi e disillusi da un governo e da un Ministro che annuncia con toni trionfalistici lo sblocco definitivo di una infrastruttura strategica e nevralgica per il sud, con il via libera della Commissione del Mase, per poi omettere di dire che sud significa solo Campania e Basilicata, perché la Calabria di fatto rimane esclusa.

Tra studi di fattibilità, progettazione, discussioni sul tracciato migliore, di tempo sulla realizzazione dell’Alta Velocità ne è trascorso fin troppo. E allora in questa prospettiva, anche aspettare per un solo lotto, il 2030 rappresenta inevitabilmente un tempo infinito, inaccettabile per una regione che da troppi anni sta pagando un caro prezzo in termini di mancanza di una rete di trasporti moderna ed efficiente.

È necessario allora che il Presidente Roberto Occhiuto dimostri davvero di tutelare la regione che governa, non consentendo che continui a rimanere isolata e che sia destinataria di un’Alta Velocità che si paventa farlocca e che a conti fatti, risorse alla mano, sembra non si voglia concretamente realizzare. La Calabria ha bisogno di risposte concrete e di progetti realizzabili. Non possiamo più permetterci di rimanere tagliati fuori da quelli che sono i principali corridoi di mobilità, accettando in un silenzio assordante che l’alta velocità si fermi a Praia.

È necessario, allora, che venga convocato un tavolo tecnico con Ferrovie dello Stato e Trenitalia, che si spieghi ai calabresi perché un ingente somma di risorse Pnrr destinate alla Calabria sono state dirottate ad altre regioni, e che si faccia quanto più possibile per difendere un opera necessaria a ridare dignità e prospettiva di futuro ad un territorio vessato da un tempo ormai non più accettabile. (fs)

[Franca Sposato è delegata alle Infrastrutture per la Segreteria regionale del PD della Calabria]