Osvaldo Napoli (Azione): Occhiuto si riprenda i soldi del PNRR sottratti dal Governo alla Calabria

di PINO NANO – Intervista senza-rete ad uno dei protagonisti della vita politica italiana. Berlusconi lo ammirava ma lui un giorno si ribella e lo lascia solo. Nei giorni più caldi dell’anno Osvaldo Napoli accetta di guardare al Paese e di dire le cose che pensa con una chiarezza che non sempre la politica preferisce.

Quella di Osvaldo Napoli è la storia personale di un leader politico che sembra aver trovato l’elisir della giovinezza. Tutto di lui puoi immaginare tranne che si prepari a festeggiare i suoi primi 80 anni, eppure l’uomo ha una carica, un carisma, e una intelligenza di un giovane peone rampante, con un futuro ancora tutto da vivere. Sognatore, filosofo, giocoliere, effervescente, determinato, elegantissimo, a differenza di suo fratello che pareva vivesse sui trampoli, Osvaldo Napoli ha il carisma dei protagonisti della storia della Repubblica, navigato, consapevole delle diversità in cui si muove il Paese, ma soprattutto rispettosissimo dei ruoli e della politica intesa con la A maiuscola.

Una vita e una tradizione politica fuori dal comune. Suo fratello, Vito Napoli, lo ricordo era stato prima di lui sottosegretario di Stato alle attività produttive, uomo chiave del gruppo di Forze Nuove che in seno alla DC faceva riferimento a Carlo Donatt Cattin. Lui, invece, classe 1944, nato a Torino, sindaco di Giaveno per quattro mandati, tra il 1985 e il 2004, nel 1994 aderisce a Forza Italia.Nel 2001 è deputato alla Camera nelle liste di Forza Italia nel collegio di Giaveno e riconfermato poi nel 2006. Viene rieletto alla Camera dei deputati nelle file del Popolo della Libertà durante la XVI Legislatura. Nel dicembre 2010 è Vicecapogruppo del PdL alla Camera. Nel febbraio 2013 si ricandida alla Camera dei deputati al sesto posto della lista PdL nella Circoscrizione Piemonte 1, ma il PDL ottiene soltanto tre seggi e lui rimane fuori dal Parlamento. Nel 2013, dopo lo scioglimento del PdL, aderisce alla nuova Forza Italia contestualmente rifondata da Silvio Berlusconi. Eletto sindaco di Valgioie nel 2009, nel 2011 diventa presidente facente funzioni dell’ANCI al posto di Sergio Chiamparino appena eletto sindaco di Torino. Nel maggio 2014 viene rieletto Sindaco di Valgioie, incarico dal quale si dimette nel maggio 2016 per candidarsi sindaco a Torino.Il 5 giugno 2016, alle elezioni comunali di Torino raccoglie il 5,31% che gli valgono l’elezione in Consiglio Comunale.Dal 17 marzo 2022,dopo aver lasciato il gruppo parlamentare di Coraggio Italia, aderisce alla componente parlamentare del gruppo misto di Azione di Carlo Calenda.

Oggi lui viene considerato uno dei nemici dichiarati più esposti della linea politica di Forza Italia. Siamo venuti a cercarlo per capire meglio cosa pensa prima di tutto del futuro della Calabria, che è la terra di origine della sua famiglia, loro originari di Sqillace.

– On Napoli, un miliardo di lire tolto alla Calabria regione governata da Forza italia è uno schiaffo a Forza Italia e al suo staff, non crede?

«Il governo taglia alla Calabria quasi un miliardo di euro perdendo il 46 percento delle risorse. Prendiamo atto che Giorgia Meloni e il ministro Misumeci e Fitto riempiono a parole il territorio meridionale salvo poi nella prima occasione penalizzare il territorio calabrese. Sono sicuro che il presidente Roberto Occhiuto, profondo difensore del proprio territorio, dimostrerà differenziazione politica da questo atto. Ci aspettiamo un pronto ripensamento da parte del governo e non vi sono dubbi che i nostri rappresentanti regionali e comunali di azione sapranno nelle sedi opportune denunciare questa iniqua penalizzazione«.

– Che risposta immagina verrà dal Governo?

«Conosciamo già la replica del governo: nessun progetto sarà definanziato, i fondi tagliati dal Pnrr saranno compensati con le risorse del Fondo di coesione sociale. Questa è la promessa, la realtà dice tutt’altro per la Calabria: la regione guidata dal presidente forzista Roberto Occhiuto si è vista punita con il taglio di 1 miliardo dei fondi del Pnrr. Questo significa che se il Mezzogiorno è la Cenerentola del Pnrr, la Calabria ha subito un trattamento ben peggiore, visto che 1 miliardo rappresenta ben il 46% delle risorse».

– Come reagirà la Calabria?

«Sono convinto che il presidente Roberto Occhiuto farà sentire la sua voce e difenderà il territorio che amministra senza farsi condizionare dalle ragioni dell’alleanza di destra. Gli interessi della Calabria sono certamente superiori alla coesione dell’alleanza di destra. Gli amministratori locali di Azione non resteranno a guardare questo autentico scippo di risorse contro la loro regione, più di altre con i titoli giusto per avere i fondi del Pnrr».

– Lei conosce molto bene i problemi della Calabria, del resto è la regione dove suo fratello l’ex Sottosegretario Vito Napoli mieteva consensi elettorali bulgari…In una battuta, come lo vede il futuro di questa terra?

«La Calabria ha bisogno di uno scatto di orgoglio. Taglio di un miliardo dei fondi pnrr, 30 comuni commissariati per non aver vigilato sull’abusivismo. Se così è è non ho nulla nel pensare diversamente la domanda, e cioè “Quale classe politica e amministrativa ha la Calabria?” Il silenzio in politica non paga e la gente richiede risposte alle proprie esigenze.Questa è la verità. Sarà triste, ma così è».

– On. Napoli, morto Berlusconi, cosa cambierà in Forza Italia?

«Cambierà tutto e non cambierà niente. Voglio dire che finita la lunga stagione della monarchia, la sopravvivenza di Forza Italia dovrebbe essere affidata, in assenza di un nuovo monarca, alla Repubblica. Cioè Forza Italia dovrebbe farsi partito, con organismi e dirigenti eletti e non più cooptati. Un lavoro di vera e propria rifondazione. Con due ostacoli su questo cammino: il tempo e l’assenza di procedure per la riscrittura di uno statuto con l’impronta della democrazia. Se, invece, dovesse emergere un Berlusconi II, come nelle dinastie monarchiche, ogni problema sarebbe risolto. Almeno sulla carta».

– Che autunno si deve aspettare il Paese?

«Complicato, come è da sempre la stagione della legge di bilancio. Le risorse scarseggiano e il buon Giorgetti sarà costretto a camminare sui carboni ardenti per far quadrare i conti. Le promesse fatte sono state tante, ma la lista di quelle realizzabili si accorcia ogni giorno. Perché, le faccio io una domanda, Meloni e Salvini hanno bussato alla porta del sistema bancario inventando di sana pianta una tassa sugli extraprofitti?»

– Lei crede che la Meloni continuerà a reggere alla recessione?

«Penso che Giorgia Meloni abbia mostrato fin qui notevoli qualità politiche nel gestire la sua maggioranza. Certo, si tratta di vedere quanto “morderà” sui conti pubblici il previsto calo della produzione. Leggo ogni giorno i peana dei parlamentari meloniani sulla Nazione che risorge “più bella che pria”, per dirla con Ettore Petrolini. Forse si sono distratti e non hanno letto il tracollo delle entrate fiscali delle partite IVA. Poi, tutto dipenderà da come la Commissione europea e la Bce decideranno di affrontare il tornante autunnale, l’ultimo prima delle elezioni europee. Insomma si rischia quel fenomeno in astrofisica noto come “allineamento degli astri».

– Crosetto denuncia la pratica dei dossier sui politici: ma c’è da credergli?

«Conosco Guido Crosetto, ne ho sempre apprezzato la serietà e l’onestà intellettuale. I dossier, sui politici ma non solo, risalgono probabilmente ai tempi della Repubblica di Atene, parliamo del V secolo A.C. Non sono una bella pratica in democrazia. Però, osservo una cosa. Quando i politici sono all’opposizione quasi mai si accorgono dell’esistenza del dossieraggio. Quando sono maggioranza denunciano questo fenomeno come la più seria minaccia alla democrazia. I dossier sono il sintomo, non la sostanza, dell’ affanno in cui versa il Paese e la sua classe dirigente».

– Il caso Santanchè fa ancora rumore, lei al suo posto si sarebbe dimesso?

«Mi sarei dimesso, senz’ombra di dubbio. Prima di tutto per non danneggiare il mio partito, anche se oggi è una parola vuota: i partiti sono conventicole, comitati al cui vertice c’è una persona, il leader carismatico, che decide per tutti. Parla il leader, poi arriva il coro di approvazione a qualunque cosa abbia detto».

– Come immagina la riforma Nordio?

«Come la immagino? Lei mi chiede di immaginare qualcosa che lo stesso ministro Nordio, persona di grande preparazione, fatica a immaginare… ».

– Lei è stato per tanti anni sindaco, è giusto eliminare il reato di abuso d’ufficio?

«L’abolizione del reato di abuso d’ufficio, una fattispecie che viene fatta rivivere in altre norme del codice penale e civile perché è inimmaginabile l’abolizione tout court, poteva essere un assaggio. Ma vedo difficoltà, nella stessa maggioranza, per arrivare al cuore del problema, la separazione delle carriere».

– Alla fine cosa farà Renzi? Resterà con Calenda o lascerà per tornare magari a destra?

«Che cosa farà Renzi? Renzi costruisce il gioco all’impronta, si muove d’istinto. Fiuta l’aria come sanno fare i grandi carnivori, poi sceglie la preda. Metafora a parte, mi lasci esprimere la mia amarezza per il declino di un progetto politico in cui milioni di italiani avevano creduto. Poi, come si sa, la politica, come la fisica, non ammette vuoti. C’è nel Paese, diffusa un po’ ovunque, nelle grandi aree urbane forse più che nei piccoli centri, nel Nord esportatore forse più che nel Mezzogiorno, una domanda di riformismo in cui si combina il desiderio di cambiamento radicale dei più giovani con la necessità di semplificazione delle regole della vita civile, quotidiana, che riguarda l’impresa, soprattutto quella medio-grande».

-Condivide la posizione attenta del Capo dello Stato nei confronti del Governo?

Il presidente della Repubblica è sempre da condividere. Non solo o non tanto perché è la più alta magistratura del Paese, il che non è poco, ma perché da Ciampi in poi l’elezione del presidente della Repubblica ha sempre coinciso con una scelta felice del parlamento. Da Ciampi a Napolitano a Mattarella. Segnalo che gli ultimi due presidenti, Napolitano e Mattarella, sono i primi, e non saranno gli ultimi casi, di presidenze doppie. Questo significa due cose: le difficoltà della politica a costruire intese credibili in nome della coesione istituzionale; la difficoltà a trovare personalità di indiscusso prestigio e autorevolezza, di specchiata moralità e profonda adesione allo spirito della Costituzione.

– Lei crede che i sindacati stiano facendo bene il loro lavoro? O li vorrebbe più aggressivi?

«I sindacati hanno conosciuto, in parallelo alla politica, una caduta di credibilità e di rappresentanza che devono preoccupare ogni sincero democratico. È cambiato il lavoro, sono cambiate, in profondità, le regole, i luoghi del lavoro. Il sindacato ha faticato molto, negli ultimi anni, ad acquisire una maggiore flessibilità nella tutela degli interessi dei lavoratori. Sono tanti e dispersi sul territorio e nella società i nuovi lavori in attesa di tutele e garanzie. Apprezzo molto, per esempio, il lavoro che sta facendo l’amico Luigi Sbarra, convinto, e io con lui, che il sindacato debba passare da un ruolo di pura contestazione a uno di proposizione: non limitarsi a discutere le proposte del governo, ma essere il sindacato stesso propositivo». (pn)

Pnrr, Osvaldo Napoli: «Il Governo penalizza e mortifica la Calabria»

di PINO NANO – «Un miliardo di lire tolto alla Calabria regione governata da Forza italia è uno schiaffo a Forza Italia e al suo staff, oltre che al sud».

A difendere questa volta le ragioni della Calabria è Osvaldo Napoli, uomo di punta di Azione di Calenda e per lunghissimi anni protagonista di lungo corso della politica italiana.

Osvaldo Napoli è un uomo che le cose che pensa non le manda a dire. «Il governo taglia alla Calabria quasi un miliardo di euro perdendo il 46 percento delle risorse prendiamo atto che Giorgia Meloni e il ministro Musumeci e Fitto riempiono a parole il territorio meridionale salvo poi nella prima occasione penalizzare il territorio calabrese ,sono sicuro che il presidente Roberto Occhiuto profondo difensore del proprio territorio dimostrerà differenziazione politica da questo atto. Ci aspettiamo un pronto ripensamento da parte del governo e non vi sono dubbi che i nostri rappresentanti regionali e comunali di azione sapranno nelle sedi opportune denunciare questa iniqua penalizzazione».

Il leader di Azione conosce bene la regione e i suoi dirigenti: «Conosciamo già la replica del governo: nessun progetto sarà definanziato, i fondi tagliati dal Pnrr saranno compensati con le risorse del Fondo di coesione sociale. Questa è la promessa, la realtà dice tutt’altro per la Calabria: la regione guidata dal presidente forzista Roberto Occhiuto si vista punita con il taglio di 1 miliardo dei fondi del Pnrr. Questo significa che se il Mezzogiorno è la Cenerentola del Pnrr, la Calabria ha subito un trattamento ben peggiore visto che 1 miliardo rappresenta ben il 46% delle risorse».

Poi aggiunge: «Sono convinto che il presidente Roberto Occhiuto farà sentire la sua voce e difenderà il territorio che amministra senza farsi condizionare dalle ragioni dell’alleanza di destra. Gli interessi della Calabria sono certamente superiori alla coesione dell’alleanza di destra. Gli amministratori locali di Azione non resteranno a guardare questo autentico

Osvaldo Napoli: Conte e Speranza, più rispetto per la gente calabrese

L’on. Osvaldo Napoli, del direttivo di Forza Italia alla Camera, è intervenuto chiedendo il motivo per cui il ministro alla Salute, Roberto Speranza e il Premier Giuseppe Conte «umiliano i calabresi» sulla Sanità.

«Porto la Calabria nel cuore – ha dichiarato l’on. Napoli – perché lì sono le radici della mia famiglia e ho il privilegio di essere cittadino onorario di Squillace. Sono addolorato per le vicende penose di queste ore e per l’ostinazione mostrata dal governo nel voler umiliare i calabresi. Conosco Saverio Cotticelli perché è stato comandante dei Carabinieri in Piemonte. È una brava persona, onesto e integerrimo, da tutti apprezzato nei suoi anni di servizio. Forse è stato scelto per un incarico troppo distante o troppo diverso dalla sue competenze, ma sulla sua onestà e probità nessuno può sollevare dubbi».

«Il vero dramma – ha specificato – è quello che va in scena con la nomina di Giuseppe Zuccatelli. Come ha detto bene il prof. Massimo Galli, in una condizione drammatica come è la lotta contro la pandemia, la politica non trova niente di meglio che procedere cooptando gli amici degli amici. E così i calabresi si ritrovano commissario alla sanità un signore che ancora a marzo derideva l’uso delle mascherine. Chiedo al presidente Conte e al ministro Speranza: ma perché insultare e umiliare i cittadini di quella splendida Regione? Addirittura si ipotizza la collaborazione di Gino Strada per Zuccatelli!».

«Davvero Conte e Speranza – ha proseguito l’on. Napoli –pensano che in Calabria non ci siano le competenze adeguate per governare la Sanità? Ci sono calabresi affermati in ogni campo delle attività. Vedano Conte e Speranza di essere un po’ più rispettosi e di non ferire la dignità di una Regione e dei suoi abitanti. La politica abbia uno scatto di dignità, perché decisioni come questa sul nuovo commissario alimentano l’antipolitica». (rmm)

L’on. Osvaldo Napoli, cittadino onorario di Squillace, ricorda il fratello Vito

di PINO NANO – Da sabato sera l’on. Osvaldo Napoli è “Cittadino onorario” del Comune di Squillace, per via delle sue origini. Negli anni 40 la sua famiglia lasciò Squillace per emigrare a Torino, e oggi il parlamentare racconta per noi quegli anni, e soprattutto le mille mortificazioni subite in Piemonte dalla sua famiglia e da migliaia di altre famiglie come la sua.

Vigilia di Ferragosto davvero speciale a Squillace, dove nella suggestiva cornice medievale del Castello normanno è stata conferita la cittadinanza onoraria all’on. Osvaldo Napoli, per anni sindaco del comune di Giaveno e Valgioie in Piemonte, dove negli anni ’40 emigrò la sua famiglia, fratello dell’ex sottosegretario DC alle Attività Produtive Vito Napoli, e per lunghissimi anni ombra fedelissima e operativa di Silvio Berlusconi ancora premier.

Una cerimonia solenne, interamente dedicata alla riscoperta della memoria storica del paese, e che il sindaco-medico di Squillace, Pasquale Muccari, ha appositamente messo in piedi per celebrare le famiglie “eccellenti” della sua comunità. Tra queste “famiglie” così “speciali” ieri sera c’era anche la famiglia “Napoli”, emblematica storia – la loro – di emigrazione e di successo, di riscatto e di rivalsa,di abbandoni e di rientri, di delusioni e di malinconie senza tempo. Ma questa è la vera storia dell’emigrazione calabrese in giro per il mondo.

«Ringrazio il Sindaco Pasquale Muccari, l’Assessore Francesco Guerino Caccia e l’Amministrazione tutta per l’onore e la considerazione nei miei confronti. Sono cittadino onorario nel Comune dove sono nati e cresciuti i miei genitori, la mia famiglia. Era Vito Napoli, mio fratello, che per tutta la vita non ha fatto altro che parlare, a noi in famiglia, e a chiunque altro condividdesse con noi la nostra vita di piemontesi acquisiti, di Squillace, di questo nostro mare unico al mondo, di questa costa bellissima, e soprattutto di questa gente, degli squillacesi, che lui conosceva uno per uno, per averli frequentati e vissuti per lunghi anni, come un tempo faceva e sapeva fare la vecchia politica».

Osvaldo Napoli prende la parola per dire grazie al “piccolo mondo antico dei suoi genitori”, e lo fa alla sua maniera di sempre, confessando e dichiarando in pubblico che il suo legame vero con Squillace è sempre stato in realtà un legame “mediato” dal fratello deputato, Vito Napoli, e che una volta diventato deputato eletto inCalabria non ha mai smesso di frequentarla questa regione, e di attraversarla in lungo e in largo, mille volte diverse, paese per paese, comunità dopo comunità.

«Era Vito che, dopo la sua prima elezione al Parlamento, ogni qualvolta tornava a casa nostra da Roma a Torino, riempiva la nostra vita di aneddoti, di storie personali, di vicende vissute, di riferimenti fisici e di luoghi cari alla memoria storica di ognuno di noi, e tutti strettamente  e rigorosamente legati alla storia di Squillace. Sarebbe stato più giusto che questa sera, qui al mio posto, ci fosse stato lui, se non altro per il grande amore, palese e ostentato, che Vito aveva per tutti voi e per nostro paese di origine. Molti di voi, che lo hanno conosciuto personalmente e frequentato per anni, ne sono diretti testimoni».

Osvaldo Napoli è un fiume in piena, non conosce mediazioni, si intuisce perfettamente bene che è impastato di passione meridionale dalla testa ai piedi, e in nome del fratello più “famoso”, racconta quello che Vito aveva più volte confessato ai suoi amici più fidati prima di morire.

«Per mio fratello, Squillace era diventata la sua vera Itaca. Dove credo che Vito sarebbe tornato molto ben volentieri a vivere la sua vecchiaia, se ne avesse avuto il tempo. Lo avrebbe fatto soprattutto nel ricordo e nel nome di nostro padre, e della famiglia di origine, che negli anni 40 aveva lasciato Squillace per emigrare a Torino in cerca di fortuna.Soprattutto in cerca di pane e lavoro».

Ma dopo Squillace, grazie ai suoi racconti –aggiunge Osvaldo – veniva la Calabria.

«Vito aveva la Calabria nel cuore, l’aveva da ragazzo, l’ha conservata da grande, ed è morto con il desiderio di poter salutare in tempo tutti i suoi amici più cari, e la stragrande maggioranza dei suoi compagni di lotta – con cui per anni aveva condiviso le ragioni ideali e reali della Calabria – terra dove lui aveva di fatto trasferito la sua vera residenza. Vito Napoli e la Calabria, e questa sera aggiungo Vito Napoli e Squillace,  erano una cosa sola.Da deputato era stato educato a vivere per strada, quartiere dopo quartiere, periferia dopo periferia, e come globe trotter aveva dentro una insana passione per la gente comune e per i luoghi più tradizionali della gente comune. Allora, quando lui si candidò per la prima volta alla Camera dei Deputati, i voti si cercavano casa per casa, e in Calabria una campagna elettorale era davvero un’operazione pazzesca».

Lo era soprattutto per via della complessità orografica del territorio calabrese, per via delle dimensioni geografiche, allora delle tre province, oggi sono diventate cinque, ma lo era soprattutto per via della mancanza ancora di strade a scorrimento veloce.

«In quegli anni andare da Cosenza a Locri era davvero un viaggio senza fine, ma Vito era capace di ripartire da Locri alle cinque del pomeriggio per presiedere magari una riunione di gruppo a Cosenza alle dieci della sera. Aveva un grande difetto, è vero, e tutti quelli che lo hanno conosciuto personalmente lo hanno sempre saputo: arrivava dovunque lo invitassero, ma ci arrivava sempre in ritardo. Tutto questo dipendeva anche da questo suo rapporto viscerale che aveva con i suoi amici ed elettori. Che non riusciva mai a lasciare soli e delusi. Mi piace ricordare mio fratello questa sera, qui a Squillace, perché sono sicuro che dovunque egli sia, e ci stia a vedere, sarebbe fiero di sentire queste cose raccontate alla sua gente e al suo paese natale».

Rieccolo lo spirito del migrante: «Grazie caro sindaco per questo onore reso questa sera alla mia famiglia, ai “Napoli di Squillace”, a questi ex ragazzi di Calabria come me che poi nella vita hanno anche avuto successo, ma per tutta la vita ci siamo anche portati dentro il tarlo, pesante, della malinconia e della solitudine, che era la solitudine dei nostri genitori, e di chi per forza di cose era stato costretto e condannato all’emigrazione».

– Che ricordo ha Osvaldo Napoli delle sue origini torinesi?

«Complesso, articolato, difficile da comprendere fino in fondo. Vede, essendo io nato a Torino, avrei dovuto sentirmi torinese a tutti gli effetti, torinese tra torinesi, piemonte come gli altri, e invece no. Per tutta la vita i miei genitori mi hanno ripetuto che il mio paese di origine era Squillace. Che io fossi nato a Torino non gliene importava niente a nessuno in famiglia. Lo consideravano un incidente di percorso».

– Onorevole perché questa sera ha parlato solo di suo fratello Vito più che di lei?

«Vito era, dei “Napoli di Squillace”, la punta di diamante. Lo resterà  per me fino all’utimo giorno della mia vita. Vito era un uomo politico d’altri tempi, erudito, profondo conoscitore dei problemi del Sud, uomo di una modestia senza pari, senza grilli per la testa, e solo di rado, e a tratti, ma lo faceva per difendersi, sapeva anche essere altero e fiero delle sue e delle nostre origini. Sin da bambino Torino lo aveva educato al lavoro duro, è stato così anche per me e per le mie sorelle, e la nostra famiglia ha fatto di tutto per aiutarci. Eravamo tutti  sempre insieme, a superare le mille difficoltà che ogni nucleo emigrato viveva in quegli anni sulla propria pelle in Nord Italia».

– Alla fine il vostro bilancio è pieno di successi personali importanti, non crede?

«Dipende da come si guarda al problema.Della mia parentesi a Torino ricordo mille umiliazioni pesanti. La Torino della nostra infanzia – mi creda– non era solo la bellezza della Mole Antonelliana, o la magia della Sindone. Torino, per noi, è stata anche la città delle mille privazioni, delle grandi lotte operaie e sindacali, e noi ci stavamo in mezzo, ma anche delle grandi sconfitte di noi meridionali. Mi creda, Torino era per antonomasia in quegli anni la città insensibile nei riguardi di noi cafoni del Sud. Ricordo quando arrivammo a Torino, i cartelli davanti ai ristoranti o agli alberghi del centro, “No meridionali”».

– Quindi è tutto vero quello che si dice sul “razzismo” dei torinesi di quegli anni?

«E me lo chiede anche? Negli ’50 e ’60, noi meridionali eravamo considerati la feccia del mondo. Venivamo trattati come schiavi deportati. Venivamo giudicati dal colore della pelle, che era meno chiara forse di quella dei piemontesi doc».

Addirittura?

«Ieri sera a Squillace io ho raccontato un dettaglio privato dei “Napoli di Squillace” a Torino, e che mio fratello Vito – se fosse ancora vivo – si sarebbe vergognato di ricordare. Ogni mattina, ricordo, mia madre mi mandava dal lattaio a prendere il latte per la colazione, e oni qualvolta arrivavo davanti al bancone da dove questo vecchio piemontese mi porgeva la bottiglia di vetro piena di latte, davanti a tutti non faceva altro che gridarmi sempre lo stesso ritornello: “Dì a tua madre che, o domani mi paga il latte che ti dò oggi, o non farti più vedere nel mio negozio”. Tutto questo davanti a tutti. Ero ancora un bambino. Immagini la mia vergogna, che restava però intima. Avrei pagato chissà che cosa per non rivedere mai più quell’omone che ogni mattina mi mortificava in quella maniera, ma non avevamo altra scelta».

– Vedo che si porta ancora tutto dentro…

«Non è facile dimenticare quegli anni. È stata dura davvero. A Torino noi calabresi abbiamo imparato a subire, anche i ricatti morali più squallidi e più impietosi. Soprattutto, abbiamo imparato a non reagire. A rimanere in silenzio. A credere che alla fine ce l’avremmo fatta da soli, e che un giorno avremmo anche anche potuto comprare il negozio del lattaio.Tutto questo è andato avanti per anni, per troppi lunghi anni. Quasi un tormento. Una sera Vito tornò a casa che era distrutto: era raro vederlo così triste e così abbattuto. Gli chiesi cosa fosse successo, e solo dopo mille insistenze si aprì e ci raccontò del suo “sogno mancato”.

– Una delusione d’amore?

«Macchè, nessuna delusione d’amore. Lui amava cosi tanto la politica da essersi preparato a lungo a fare il consigliere comunale a Torino, ma quando si trattò di chiudere le liste, e le candidature, i suoi punti di riferimento, intendo i leader del suo gruppo, Carlo Donat Cattin e Guido Bodrato, gli fecero capire che “Torino sarebbe stata una impresa per lui”. Vito chiese: “Perché?”. E Guido Bodrato, con la sua lucidità di sempre, molto candidamente, ma probabilmente anche da grande conoscitore della realtà piemontese di quegli anni, gli disse: “Vedi Vito, tu sei di origini meridionali, vieni da un paesino lontano della Calabria, il tuo stesso cognome, “Napoli”, potrebbe ingenerare nei nostri elettori più tradizionali qualche reazione negativa. È meglio candidarti per la prima volta al comune di Grugliasco”. Questa è la storia vera dei “Napoli di Squillace” a Torino».

– Ma suo fratello, poi, andò avanti per la sua strada…

«Come un panzer inarrestabile. Diventato deputato, il venerdì sera lasciava Roma, e la sua famiglia, per tornare a casa, lui chiamava la Calabria la sua casa, e per tre giorni consecutivi, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno, riattraversava la Calabria da cima a fondo, alla ricerca di nuove pulsioni e di nuove idee. Vito non conosceva sosta. Lo sapevano davvero tutti. E anche per questo, il mondo politico di allora lo temeva, e lo guardava con diffidenza. Lui non si fermava mai. Non conosceva mai intervalli di tempo. A Roma viveva praticamente in Parlamento. Ci stava dalla mattina alla sera. A Montecitorio riusciva anche a trovare il tempo per studiare, per approfondire i temi economici che tanto lo intrigavano e che per anni anche in Calabria lo hanno visto protagonista assoluto di un dibattito culturale che non aveva allora molte voci e molti protagonisti. Continuamente in giro per i vari ministeri a pietire  e a raccattare quel poco che poteva bastare alla sua gente e alla terra che lo aveva eletto deputato della Repubblica».

– Dopo di lui è però arrivato lei in Parlamento.

«Non è stata la stessa cosa. Erano tempi diversi i suoi dai miei. Io, da deputato, ho provato in mille modi e mille volte diverse ad emularlo e a seguire le sue tracce, ma non mi è mai stato facile. Lui era lui, e basta. In Calabria, molti se lo ricordano ancora bene, Vito dormiva spesso in macchina, tra un trasferimento e l’altro, e la macchina era diventata alla fine la sua vera casa fisica. In ogni paese aveva un amico, un punto di riferimento, una persona che in qualche modo su quel territorio parlava e pensava al suo posto, e per anni tutta la sua vita è stata un folle girovagare da Nord a Sud di questa regione così complessa già allora e così lontana dal resto del mondo politico che allora più contava. Quanti congressi! Quante campagne elettorali! Quanti incontri e quante illusioni. Diventato sottosegretario di Stato gli pareva di aver svoltato, di essere ormai in grado di stravolgere il destino della Calabria e dei calabresi, ma presto si rese conto che le logiche del potere erano ben diverse dalle aspettative e dai sogni di un folle romantico come lui. Una cosa sono i sogni e le attese del popolo, altra cosa è la gestione del governo del Paese».

– Lei crede che lui sia morto soddisfatto del suo impegno politico in favore del Sud?

«Quando Vito fu chiamato al governo fu un’esperienza esaltante per lui quella alle attività produttive la sua, ma anche insidiosa, come insidiosa era già allora la vita di ogni politico, costretto dalle abitudini del tempo e dalle attese dei propri elettori a frequentare non solo i salotti buoni del tempo, ma anche le retrovie. Bastava capitare al matrimonio sbagliato, al funerale sbagliato, al battesimo sbagliato, e bastava che qualcuno ti fotografasse per compromettere anni di impegno duro e di lavoro politivo onesto.Lui lo sapeva bene, ma aveva accettato fino in fondo anche questi rischi. In Calabria Vito voleva lasciare il segno. E lo voleva fare in nome della sua famiglia, i “Napoli di Squillace”».

– Ricorda un momento davvero felice di suo fratello?

«E come no! Un giorno Vito chiese ad uno dei suoi amici più fidati, ma anche più cari, che era Albertino De Maio e che allora era consigliere economico di un grande ministro come Siro Lombardini, ma anche amico di un grande economista come Angelo Detragiacche, di voler fondare un giornale economico. Albertino lo prese per pazzo. Detragiacche si mise a ridere. Ma la sua cocciutaggine produsse alla fine un mensile economico che lui chiamò Economia Calabria, che arrivava a Roma e che faceva discutere molto, perché per la prima volta in Italia finalmente un periodico patinato si ero preso la briga di raccontare finalmente la Calabria in maniera diversa e disgiunta dai soliti temi della criminalità organizzata. Pensi soltanto che il primo numero della rivista uscì con in copertina un primo piano di Gianni Agnelli, e dentro una lunga intervista di Agnelli,che allora era la FIAT, sulla crescita possibile del Mezzogiorno».

– Praticamente la riscoperta di un vecchio amore per il giornalismo?

«Proprio così. Da deputato Vito ridiventava in questo modo giornalista ed editorialista, ma era stata questa la vera grande passione della sua vita, perché anche da deputato lui continuava a vivere la dimensione del grande inviato-giornalista. Lui scriveva e viveva, scriveva e rinasceva, scriveva e sognava.Spero sia bello ricordarlo in questo modo, ma credetemi: a noi in famiglia questo suo carattere effervescente, estroso, elitario, eccentrico, esuberante e avvolgente ci serviva e ci aiutava ad andare avanti, in maniera più serena di come avveniva in migliaia di altre famiglie calabresi arrivate in Piemonte dalla Calabria per fame di lavoro».

– Ieri sera lei ha avuto momenti di grande commozione…

«Vuole la verità? La manifestazione di ieri sera non poteva avere sede migliore di quella che ha avuto. Per Vito Napoli il Castello di Squillace era davvero il cuore del suo mondo. Quello che noi non abbiamo mai trovato a Torino, lo abbiamo poi ritrovato in Calabria attraverso i racconti di Vito. A Torino la mia famiglia ha penato duro. Ma era il destino comune della gente del Sud. Mio padre lasciò Squillace agli inizi degli anni ’40, ma per lunghi anni ancora Torino ci guardò e ci giudicò come appestati. Noi meridionali eravamo la volgare mano d’opera, che serviva ai piemontesi, per costruire le loro infrastrutture e le loro città».

– Qual era la verità?

«E me lo chiede? Noi meridionali siamo poi stati i veri grandi artefici dello sviluppo piemontese, e della crescita industrriale di tutto il Nord Italia. E come i “Napoli di Squillace”, migliaia e migliaia di altre famiglie calabresi e meridionali. Guai a dimenticarlo. Le dò un dettaglio privato della nostra famiglia emigrata a Torino e che mio padre ci ha ripetuto fino all’ultimo giorno della sua esistenza. Quando noi siamo arrivati a Torino, avevamo solo poche cose in una valigia di cartone, qualcuno potrebbe anche sorridere, ma era questa la realtà di quegli anni e della nostra esistenza. Poche cose, in una valigia di cartone legata con la corda per evitare di perdere per strada quel poco che c’èra dentro. Arrivati a Torino non avevamo dove andare. Non sapevamo dove andare. Una casa? Vorrete dire una stanza? Con un letto che bastasse per tutti? Senza bagno?».

– E allora?

“Allora, ci pensarono gli squillacesi, che a Torino erano arrivati prima di noi, e che prima di noi avevano già trovato lavoro e certezze. Gli squillacesi di Torino ci ospitarono, ci diedero conforto, ci aiutarono a capire che sarebbe stata una lotta quotidiana difficile, con un popolo che non sapeva nulla di noi,e soprattutto gli squillacesi ci diedero la certezza della famiglia e del paese ombra lasciato alle nostre spalle. Il paese di Squillace che avevamo lasciato in Calabria, noi lo avevamo finalmente ritrovato in Piemonte. Gli stessi sorrisi, gli stessi abbracci, le stesse strette di mano, la stessa complicità e lo stesso amor proprio. Sa cosa ho detto ieri sera al sindaco di Squillace? Che Dio benedica per sempre, dovunque essi siano, gli squillacesi che allora ci accolsero e ci aiutarono a credere di potercela fare».

— Da oggi dunque lei è cittadino onorario di Squillace, ma ieri sera ha dedicato questa sua pergamena a suo fratello Vito Napoli: perché?

«Perché Vito e Squillace, non io, erano una cosa sola davvero. Io credo che in cuor suo mio fratello avesse sperato fino all’ultimo di essere sepolto qui, tra quella che lui considerava la sua gente, gente che lo ha molto amato davvero, ma non ha avuto la forza e il tempo di programmare i dettagli del suo lungo letargo. Perché la storia dei “Napoli di Squillace” inizia con mio padre, ma finisce con lui. Vede, la mia parentesi di deputato del Parlamento, e ancora prima di sindaco di Giaveno e di Belgioie, rispetto alle cose fatte da mio fratello è ben poco cosa. E non avrebbe avuto nessun senso arrivare qui a Squillace la vigila di Ferragosto per non dire a me stesso la verità. Sa cosa ho detto ieri sera in pubblico? Grazie Squillace! Grazie sindaco! Grazie squillacesi, per aver riaperto per un giorno il grande romanzo della nostra vita di famiglia.Il giudizio politico su di noi appartiene invece ad ognuno di noi, e ad ognuno di voi. In America direbbero molto più semplicemente: “Che Dio benedica Squillace e la sua gente! Bello non crede?». (pn)