di GREGORIO CORIGLIANO – Norrandino Barone Adesi, il mio storico preside delle superiori, un giorno dl lontano 1966, mi consegnò una busta chiusa da dare a mio padre. Cosa che feci appena arrivato a casa. Era una lettera con la quale aveva informato i miei genitori che aveva inoltrato al Civis – centro italiano viaggi istruzione studenti – Ente del ministero dell’allora Pubblica istruzione – la mia pagella scolastica perché partecipassi ad un concorso su scala nazionale per un viaggio in Inghilterra per la frequenza di un corso di lingua inglese. Eravamo all’inizio dell’anno scolastico.
A maggio me ne ero dimenticato, quando, un giorno, Barone Adesi mi chiamò in Presidenza. Ero risultato al decimo posto, su trenta, per partecipare al viaggio premio che si teneva, appresi quel giorno, a Brighton. Il cuore a mille, per l’emozione. Non tanto per la vittoria, quanto perché mi era scattato il dubbio: ce la farò, non ce la farò? Mio padre mi manderà? Più confuso che persuaso, come si dice in questi casi, arrivo a casa ed informo i miei genitori. Mio padre saltò su un gamba, mia madre si mise a piangere, per la gioia ma anche per la preoccupazione. Sarebbe stata la prima volta per me di un viaggio lungo, lontano e per un mese. Ero stato al massimo a Roma, con i giovani di Azione cattolica e solo per tre giorni. Una detta e una fatta, si diceva così, allora.
I miei si sono messi l’animo in pace, ad Agosto di quell’anno sarei andato in Inghilterra. La tachicardia non era diminuita, ma la gioia era superiore. Fine luglio arrivò subito, il 30 era fissata la partenza pe Milano. Avevo appreso che anche un mio compagno di scuola aveva vinto lo stesso concorso. Si chiamava e si chiama Lorenzo Infantino. Lui però era stato mandato a Liverpool, mentre io a Brighton. Il viaggio insieme era durato lo spazio di un mattino. Per di più mia madre aveva pensato di farmi andare a trovare mio zio che viveva a Milano. Arrivato il giorno della partenza, rigorosamente in treno (il ministero non aveva soldi allora, per pagare l’aereo) mi accompagnarono alla stazione mia madre, mio padre, Franca e Nando Barbalace.
Vi risparmio l’acquisto della valigia, di due camicie nuove, di due pigiami e cose varie. Arriva la freccia del Sud alla stazione di Gioia Tauro, lacrimucce di rito, baci e abbracci, salgo. E via. Erano le ventuno, l’arrivo alla Centrale a Milano, la mattina alle dieci. Sonno? Manco a parlarne, l’emozione aveva avuto il sopravvento. Scendo dal treno dalla parte sbagliata, non avevo abitudini ferroviarie. Qualche incomprensione-incazzatura con mio zio, di corsa a Piazza Vetra, dove lui abitava. La sera mi porta ad un ristorante di lusso, il Conte di Biancamano, la notte rimango a casa sua, anche perché moglie e figli, erano in vacanza a San Pellegrino Terme, il giorno dopo, mio zio mi riaccompagna alla stazione dove c’erano gli altri partecipanti al viaggio di istruzione.
Tre accompagnatori, trenta studenti. Fischia il treno, via alla scoperta di Londra. Venticinque ragazze e cinque ragazzi. Non ricordo più quanto durò il viaggio per Calais, dove avremmo preso il traghetto per Dover. Felicità e batticuore un tuttuno. Ognuno di noi avevamo poche migliaia di lire, cambiate in sterline. Un caffè sulla nave? Manco a parlarne (la pena della mancanza di caffè è stata lunga!), un orange juice. A metà viaggio, mare agitatissimo, la nave-traghetto beccheggia, in quanti non abbiamo avuto conati di vomito! Che avventura! Chi la avrebbe immaginata una traversata tra il Continente e la Great Britain così difficoltosa? I nostri accompagnatori sulle prima hanno resistito, poi anche a loro è toccata la disavventura. Insomma, non ricordo la durata del viaggio della sofferenza.
Arriviamo, facciamo per scendere, ma c’era il controllo passaporti, la prima delle tante file che imparerò a fare nella terra di Albione. Arrivati che fummo a Dover, trovammo, anche loro in fila, i nostri ospiti. Già, perché non era previsto il soggiorno inglese in albergo, ma presso famiglie che avrebbero ricevuto un mini compenso dal Civis per il vitto e l’alloggio ad ognuno di noi.
Ci salutammo i trenta avventurieri della lingua e via verso Brighton, presso e nuove famiglie. Taxi? Ma quando mai! Un ricco pullman e via, io per Maldon Road – la ricordo ancora – gli altri per le loro case. Era buio, l’avventura era finita o iniziata? Ne riparleremo. (gc)