di ELISA CHIRIANO – Dimenticami dopodomani (Rubbettino, 2024) è un libro che abbraccia i silenzi, i corpi e le fragilità. Esplora la vita indagando l’esistenza. Come un fiume carsico, incede lentamente tra gli oblii, i silenzi e le dimenticanze. All’improvviso prende forza e vigore, perché pulsa di passione e di coraggio. Irrompe nella storia e va anche oltre gli argini: non può stare nei confini angusti di un genere letterario. Appartiene alla prosa e alla poesia. Non importa sapere dove finisca una e inizi l’altra: sono compenetranti e si alimentano di reciprocità. Ogni racconto è velato di poesia e ogni poesia è venata di racconto. Affascina questa scelta stilistica, che sa di sperimentazione e di sconfinamenti: vuole andare oltre ciò che la tradizione ha consolidato e contemporaneamente desidera attingere a essa.
Qui la parola non indossa orpelli, non si infarcisce di ornamenti esteriori. Incide e lascia il segno, senza condizioni, senza se e senza ma. Narra e conquista, scava e crea, dissolve e sradica. È poesia eretica, eroica ed erotica. È scelta, coraggio, passione. Sperimenta lingua e linguaggio, in cerca di una voce, unica e speciale, per esprimere l’inesprimibile, per dare senso a una direzione sempre ostinata e contraria, per dire che «La poesia serve a ridare dignità nelle sere ferite, perché può sempre arrivare qualcuno che ti indica una cosa pura. Fosse anche sporca, ma così pura e indifesa da crederci ancora, come un bambino».
«Ho scritto questo libro tra la fine del 2022 e i primi mesi del 2024” – annota Andrea Di Consoli (scrittore, critico letterario, editorialista e autore radiotelevisivo) –. Pensavo di aver chiuso con la poesia o, comunque, con i miei racconti in forma di poesia, infatti non scrivevo versi da più di dieci anni. Poi, durante la pandemia, mi ha cercato con insistenza Mario Desiati. Era appena tornato dalla Germania. Aveva riletto La navigazione del Po e mi diceva che dovevo tornare a scrivere».
Il vincitore del Premio Strega 2022 firma l’Introduzione a questo libro, che prende vita dalla fine, da un “Mi manchi”, verso conclusivo di una delle ultime storie raccolte nel volume. Poi, come cerchi concentrici, tutto assume un aspetto specifico e una forma propria, quella di un racconto-romanzo di strabordante poesia.
«Andrea Di Consoli – scrive Mario Desiati – ha dato ennesima prova della sua vocazione di “irregolare”, assai distante dalle mode correnti e da furbizie editoriali. Ha composto un canzoniere realistico e struggente, di grande forza espressiva, rappresentativo della sua generazione. Un libro a cuore aperto, diretto, senza orfismi, reticenze e non detti. Duro e dolcissimo allo stesso tempo».
Dimenticami dopodomani è un viaggio nel sé per scoprire l’altro (di sé e da sé), mentre la parola si fa carne e spirito. E intanto il lettore si abbarbica a pagine fluttuanti, in un equilibrio precario, in cui perdersi vorrà dire ritrovarsi, per poi perdersi ancora. È un libro generoso, ma anche scomodo. Si apre al lettore donandosi visceralmente, mettendosi a nudo, senza false ipocrisie o infingimenti. Percorre vite, ai margini della vita. Incontra padri e figli, fughe e ancoraggi, prossimità e alterità, abbandoni, ansie e ipocondria. Mette a fuoco la quotidianità, raccoglie il reale con le mani a conca, non per trattenerlo, ma per osservarlo mentre inesorabilmente scorre via.
«All’inizio la vita – scrive Di Consoli – è come un fascio di rami ben legati, poi la corda si sfilaccia, e i rami si tengono insieme per inerzia». Con il tempo la compattezza diminuisce e aumenta il disordine. Giunge così il momento di verificare il funzionamento dei nessi e di preoccuparsi della manutenzione dei dettagli. E può anche succedere di provare nostalgia per certi giorni disperati del passato: schegge di inquietudini in un viaggio interiore tra ricordi e volti, tratteggiati con l’arte del chiaroscuro. L’ombra affianca luce, per meglio definirla e riconoscerla, per riannodare qualche filo e riagganciare i fogli scompaginati dell’esistenza, così come fa la morte, fedelissima compagna del viaggio terreno. In fondo noi siamo niente e siamo tutto.
Abbiamo troppa fiducia nella durata di cose, che nel tempo non restano. Gli oggetti perdono la loro funzione, si consumano e, impercettibilmente, vanno a morire da qualche parte. Ciò che sopravvive gonfia di nostalgia chi si illude di avere confidenza con l’eternità e ricorda ben poco rispetto a quello che ha perduto. Siamo esseri frantumati e possiamo solo agganciare frammenti di infinito, come certi raggi di sole, che fendono per qualche istante il cielo grigio d’autunno. La nostra storia è un infinito di finitudine; è un alternarsi di pieni e di vuoti, di silenzio e chiacchiere, di illusioni e menzogne. Sentiamo forte il bisogno di ancorarci, di credere nel per sempre, in ciò che è eterno eppure “il mondo è pieno di ragazzi che ridono e piangono nelle costruzioni fallimentari, nel non finito eterno lasciato in eredità dagli adulti”. La morte non è un accidente. L’accidente è la vita! Può sembrare assurdo immaginare la felicità nella disperazione, eppure il contatto con la morte rende tutto più necessario: gli abbracci più intensi, più urgenti le parole, più viva la fraternità di sapersi nella stessa corrente.
«I sentimenti più nobili – aggiunge DI Consoli – li crea proprio la morte. La chiamano tristezza, disperazione, depressione. Io, invece, la chiamo felicità, anche se nessuno si capacita di questa cosa».
Dimenticami dopodomani è la verità di un padre che non sa dire al proprio figlio il perché della vita, che spesso ci ostiniamo a prendere per il verso sbagliato. È un viaggio a Fuorigrotta, una sosta in un hotel a Cassino, un battesimo fatto da solo nel fiume Giordano e con il silenzio di Dio. È un incontro con l’arte, mentre mangi un supplì, comprato con gli ultimi spiccioli rimasti in tasca. È il ritorno del meridionale del Nord in un paese che ora gli è estraneo e ostile. È il viaggio di un ragazzo a Catanzaro, in un camioncino afoso nel crepuscolo calabrese dell’estate del 1990, mentre tutto intorno è un tripudio di manifesti per il concerto di Tina Turner. È il senso della paura, perché fa male tutto ciò che dura, come il radicamento e il non saper dimenticare. La verità è che non siamo forti abbastanza per “scancellare”, per scavalcare un cancello, andare oltre e salvarci.
Dimenticami dopodomani è la storia di un eroismo che si riduce alle piccole cose, a un dire semplice, diretto, senza palcoscenico e senza fondale. È il percorso di un italiano di mezza età «che ha un bilancio esistenziale medio, perennemente in perdita, niente che possa essere ricordato nei libri di storia. Neanche i fallimenti sono stati memorabili». Un uomo che ha, come tutti, nostalgie, rimpianti e molti ricordi, di cui non sa che farsene. Ha sempre avuto paura di essere deluso, ma anche di deludere, di stancare. Non ha mai avuto fiducia nella gente ma anche in se stesso, eppure sente un bisogno estremo di stare nel tempo con gli altri, con chi, quando meno te lo aspetti, sa accendere un fuoco nella notte e dare un senso a questa avventura, perché “proteggere” è l’infinito presente del verbo “amare”. (ec)