TERRA STRAORDINARIA, MA TRASCURATA
CON IL PESO DI UN’IDENTITÀ CHE FA INVIDIA

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Se dovessi scrivere alla Calabria, scriverei a me stessa, allora scrivo ai calabresi, e più precisamente a quelli che, con nomine amicali il più delle volte, siedono in Cittadella regionale o giù di lì. 

Scrivo al Presidente della Regione Calabria e alla sua Giunta. Ai social media manager a cui è affidata la promozione regionale, e a quanti per “bontà dei cuori sciancati di questo e di quello”, si trovano nel circuito a correre la corsa per ogni genere di poltrona dirigenziale.

Cari voi tutti,

Vi scrivo perché se nascere in Calabria non si sceglie, essere calabresi sì. E la domanda che mi preme di porvi al quanto discreta, è la seguente: “Che genere di calabresi siete?”

Troppo qualunquemente viene trattata questa terra, ed io d’essere complice di questa ingratitudine, non me la sento. E mi dissocio. Sempre dalla parte della Calabria, ma non obbligatoriamente da quella dei calabresi (nemici dei calabresi stessi). 

Quando venne istituito il concetto di “terra dei padri”, nel 2021, dentro di me profondamente radicato partire dal ’78, che è l’anno in cui nacqui, e testimoni ne sono i miei scritti e le mie battaglie, sentii fiorirmi il cuore di soldanella. All’epoca nessuno o pochi sapevano cosa fosse questo fiore.  Ma io fiorivo dentro di me, perché la Calabria, che come aveva scritto Edward Lear ha già nel suo nome tanto di romantico, sembrava finalmente, voler riconquistare la propria identità perduta, riscoprendosi quel che è sempre stata: “terra dei padri”. 

I risvolti, però, furono deludenti e tristi. La terra dei padri, venni a scoprire mano mano, era una mera propaganda commerciale che mai poteva coincidere con la verità umana e morale, civile e culturale della Calabria. Serviva un approfondimento che non c’era stato. 

I 100 marcatori distintivi identitari con cui la terra dei padri intendeva proporsi al resto del mondo, facendo conoscere la propria storia, mancavano di tanti pezzi importanti. Dalla Certosa di Serra San Bruno, alla voce di Corrado Alvaro, ai giganti processionali Mata e Grifone, al Codice Romano Carratelli, e così via. 

Mi chiesi cosa fosse l’identità per la politica regionale. Se questa fosse una pratica manuale corrispondente al sogno di un pugno di amici, o invece l’urgente necessità di un intero popolo volta al bene di un’intera regione. Perché vedete, il resto del mondo, e lo sappiamo bene tutti, non aspetta altro che farci il culo, e quando la mancanza non c’è se la inventa. Figurarsi a servirla su un piatto d’argento. E non c’è da andare molto lontano. 

Tutti o quasi abbiamo avuto il piacere, io profonda ripugnanza, di leggere quanto nei giorni scorsi è stato pubblicato su “Visit Veneto”. Una campagna pubblicitaria che pur di sponsorizzare i siti veneti, denigra addirittura la Magna Grecia, definendola rovina. Una propaganda certamente ignobile, fatta sulla pelle della Calabria, ma ahimé, malgrado la ciotìa dei calabresi, la cui amministrazione si presenta sempre più approssimativa, improvvisata e qualunquista.

Alla Calabria Film Commission, mandiamo uno stilista. E sapete perché? Lui stesso lo dice: sono un grande amico del Presidente Occhiuto. Non avevamo per caso eccellenze a cui affidare la nostra cinematografia? Hai voglia se ne abbiamo. Forse ci rompevamo solo il cazzo ad andarle a cercare, individuarle, intercettarle. Ma che fesserie che andiamo facendo, e che perdite che facciamo gravare su noi stessi. Sul presente, sul futuro, sulla nostra storia. Sui nostri figli.

Per il 50° dal ritrovamento dei Bronzi di Riace, viene presentato un logo che, per dirlo alla Sgarbi, fa davvero cagare. “Capre, capre, capre”. Non potevamo bandire un concorso internazionale, per la creazione di un logo unico, coinvolgendo grafici da tutto il mondo? 

Ci sono errori che qui si compiono, e che si continuano ostinatamente a reiterare, e che la terra dei padri la trasformano in terra dei ciucci. E quelli come Zaia, lo sanno bene che a lavare la testa al ciuccio, si perdono acqua e sapone. E allora infilano il coltello nella piaga. Tanto sanno che noi sappiamo bene come fare a essere la piaga di noi stessi. 

Ma quando arriverà mai il giorno della Calabria? Con tutto quanto abbiamo, ci saremmo dovuti mangiare il mondo. E invece rieccoci qui, ancora una volta, a fare i conti con l’incapacità, l’approssimazione, le offese gratuite… Davvero magre consolazioni per chi nella Calabria crede e investe tutto ciò che ha. L’anima, lo spirito, il lavoro, i risparmi, la storia, la famiglia, la terra. Tutto. 

I padri dovevano essere l’esempio, la strada, il percorso, il viaggio. La rinascita, lo sviluppo, il riscatto. Con essi e per essi, bisognava partire dal concetto di Calabria come magnissima Colonna, dispensatrice di doti e di doni. Con uomini e donne a difesa della sua storia.

Una Calabria identitaria vera dunque, che sin dai nastri partenza abbia il vantaggio di appoggiarsi allo stato d’animo di chi la governa, e non sulle poltrone su cui ci si siede per governare. 

Avete idea, Presidente, assessori, consiglieri, dirigenti, ecc. di quanto genio dispone questa terra?

Io sì! Non avrei redatto altrimenti il Manifesto inviato al Miur, e anche alla Regione (da cui attendo ancora risposta), affinchè gli autori calabresi vengano studiati nelle scuole italiane. 

È tra quelle righe che chiedo venga istituita una legge regionale che preveda lo studio a scuola degli autori del ‘900; la prima Book Commission regionale, con la quale attraverso le opere dei nostri maggiori narratori vengano attuati progetti di sviluppo culturale e turistico; un ente regionale per la tutela della letteratura calabrese. 

Guardiamo per un attimo appena ai nostri vicini. Ai dirimpettai siculi. La Sicilia, vanta addirittura di un assessorato all’identità regionale. Difende i suoi autori, li fa studiare, mantiene la sua lingua siciliana, la protegge e la conserva… A che serve parlare di terra dei padri, quando i padri non vengono fatti rivivere nella vita politica, sociale, civile e culturale del paese? 

E qui la chiudo. Nei giorni scorsi, e quasi potrei gridare allo scandalo, l’assessore al Turismo della regione Calabria, pubblica sui suoi profili social, una poesia di Pablo Neruda, riportata su una sorta di carta intestata con il logo di Calabria Straordinaria, il nuovo progetto della Regione per lo sviluppo turistico del territorio. 

Bene direte. Io invece dico male, anzi malissimo. E boccio, assumendomene tutte le responsabilità, l’assessore Fausto Orsomarso, pur riconoscendogli in campo, un impegno che in pochi hanno avuto prima di lui. 

Ma davvero, caro assessore, serviva ricorrere a Neruda, che tra l’altro tanto amo come poeta, per raccontare una Calabria Straordinaria? 

Una terra vera, reale, va raccontata con le sue voci. Per essere identitaria, la Calabria, va fatta parlare con le parole dei suoi artisti. Diceva Saverio Strati, che do per scontato sappiate tutti chi sia, in altro caso Google vi sarà d’aiuto:  “Un popolo per capirsi deve conoscere i suoi artisti, altrimenti rimane indietro”. E allora, con tutto il rispetto per Pablo Neruda e la sua poesia, la Calabria Straordinaria, vi prego, raccontiamola così: 

Un arancio
il tuo cuore
succo d’aurora,
rosa nel bicchiere
(Franco Costabile)

Noi non sappiamo
da che anima nata
e sei da per tutto indifesa.
Io mi diffondo
per obbliviosi porti
ed imparo di te
l’azzurro e il sereno.
(Lorenzo Calogero)

Alla domanda: Chi siete? I nostri figli, ricchi di sapere e di conoscenza, con orgoglio, già oggi, dovranno poter rispondere: “La regione più bella del mondo”. Sempre più straordinaria, e meno sbronza. (gsc)

L’OPINIONE / Emilio Errigo: Contro i denigratori della Calabria

di EMILIO ERRIGO – Della Calabria e dei Calabresi, vi prego continuate e incalzate, a scrivere, parlarne bene se potete, altrimenti se ne ravvisate i presupposti, di fatto e di diritto, anche male, ma parlate ancora vi invito a farlo, insistete e non abbiate paura di parlare e scrivere il vero.
Raccontate una o tante verità, ma che siano fatti e verità documentabili, non invenzioni denigranti!
In molte pagine di Calabria.Live, unico giornale dedicato interamente ai Calabresi nel Mondo e non solo, ho espresso delle mie opinioni sulla Calabria e i Calabresi.
Oggi ho intenzione di sintetizzare la complessità della coesistenza, nel senso di esporre il mio pensiero e convinzione, su alcune caratterialità che contraddistinguono in Calabria, gli storici, i veristi, gli innamorati e i denigratori, di questo particolare, forse unico e importante angolo di affascinante, effervescente e particolare territorio, accarezzato dal Mar Mediterraneo, quasi interamente circondato dal mare come se fosse un isola, unita manu militari, al Regno d’Italia nel 1861, ora Repubblica Italiana.
Gli storici (molti tra questi sono Calabresi), che hanno scritto a favore e beneficio della Calabria e dei Calabresi, sono prevalentemente viaggiatori stranieri, i quali attratti da chissà cosa di bello, suggestivo e ammaliante, decisero inizialmente di esplorare, curiosare e conoscere, passo dopo passo, via mare, a dorso di cavallo o mulo e poi, con la costruzione di strade, ferrovie e aeroporti, in treno, macchina o aereo, e con ogni altro mezzo di mobilità disponibile, la Calabria e le Calabrie di allora .
Scrissero tanto e pure molto bene dei luoghi visitati, della umana Gente che vi abitava nelle piccole ma dignitose case, dei loro lineari tratti comportamentali e somatici, forse pure unici caratteri genetici.
Degli utopisti voglio solo ricordate e invitare a leggere, gli scritti del Calabrese più determinato, forte e immortale, Tommaso Campanella.
Dei narratori storici della Calabria, ho già scritto tanto e per chi avvertisse il desiderio o la curiosità di saperne molto di più, non mancano certo Editori calabresi coraggiosi, e conseguenti buone collane editoriali, curate e ristampate da editori i quali hanno investito tempo e risorse economiche, per rafforzare immagine e prestigio dei tanti scrittori nati in Calabria o figli di Calabresi.
Alcuni tra tutti, Corrado Alvaro, Nicola Misasi, Francesco Perri, Leonida Repaci, Vincenzo Padula, Mario La Cava, Saverio Strati, lo storico narratore del vero, Gaetano Cingari, Giuseppe Gironda, Fortunato Seminara, Domenico Ficarra, Vito Teti, Mimmo Gangemi Domenico Nunnari ed altri non meno noti scrittori, storici e narratori della Calabria.
I veristi e i naturalisti , nel vero senso del termine, sono scrittori oramai rari a trovarsi, perché in via di estinzione.
Oggi esistono pochi veri scrittori, persone per lo più non calabresi, i quali a causa del dio profitto e diavolo denaro, che tutto stravolge e modifica, in ragione dei fini personali e probabili condizionamenti mentali dei loro committenti finanziatori, tentano di scrivere della Calabria ma con scarsi risultati e pure non bene.
Una volta si poteva pure affermare, per sostenere una tesi convincente e autentica, “valga il vero” si diceva, oggi non è più così, esistono individui che non si fanno alcun minimo scrupolo e non arrossiscono, quando per sostenere le proprie e diverse tesi, cercano in tutti i modi di persuadere i lettori meno accorti, stravolgendo verità inconfutabili, incontrovertibili, affermando, scrivendo, pagine, dossier, lettere anonime, relazioni, verbali e libri, contenenti enormi falsità, pur di ” far valere il falso autentico”, per esclusivo tornaconto personale o profitto spesse volte illegale altrui.
Che si vergognino questi ultimi falsi e bugiardi veristi!
Gli innamorati della Calabria, come chi scrive questo contributo di pensiero e convinzione, non sono persone attendibili al 100%, in quanto è acclarato dalla letteratura scientifica internazionale e delle moderne scienze neuro-cognitive, che chi ama troppo, non solo è meno forte, ma risulta fortemente vulnerabile e condizionato, dall’attrattiva passionale naturale verso quegli esseri viventi e pensanti, chiamati Calabresi.
Quando poi l’innamoramento e l’attrattiva passionale, sono orientati come l’ago di una bussola magnetica, verso luoghi e persone conosciuti e sconosciuti, amati e desiderati naturalmente, o per esserci nati, cresciuti e pasciuti, allora il discorso si fa più complesso.
Io amo infinitamente la mia Calabria e i Calabresi, e basta, senza se, ma, come e però!
Chi ci sta, ci sa, chi non ci sta, non ci sta e continui pure a camminare a lungo, percorrendo le proprie strade infinite della vita e cammini verso le mete più desiderate.
Un giorno di moltissimi anni addietro, ero approdato sull’Isola di Levanzo, una delle Isole Egadi in Sicilia.
Il motivo che mi aveva portato su quella piccola e allora poco abitata, Isola di Levanzo, fu la necessità di accompagnare un bravo e sensibile Medico, per svolgere il periodo previsto presso l’unico Presidio Sanitario di Guardia Medica, a favore dei pochissimi abitanti residenti e alcuni turisti presenti sull’Isola.
Nel mentre attendevo sul piccolo molo del porto, il rientro dei membri dell’equipaggio e del Medico in fine turno sostituito, a bordo della Motovedetta della Guardia di Finanza, della quale ne ero il Comandante, notai seduto su una bitta della banchina di ormeggio, un distinto pescatore sportivo, intento con la sua canna da pesca colorata, a pescare qualche sfortunato pesce.
Mi avvicinai, lo salutai cordialmente e gli chiesi, se i pesci abboccavano, mangiavano l’esca e quali tipi di pesci avesse pescato.
Mi rispose con molta calma e gentilezza, dicendomi che non aveva pescato alcun pesce e che non era lì per pescare pesci, ma per rilassare il pensiero, ammirare il mare e contemplare il paesaggio costiero.
La giornata non era in verità delle migliori e il cielo plumbeo, non lasciava presagire ore future di miglioramento meteo.
La risposta mi colpì molto e riprovai, con altrettanta gentilezza a chiedergli, visto il suo accento sicuramente non siciliano, cosa lo avesse spinto ad scegliere di vivere in quella piccola e poco confortevole Isola della Sicilia.
Mi rispose che per lui vivere in quell’Isola era tutto quello che più desiderava, di vivere molto bene ed era tanto felice.
Non esistevano semafori, macchine, inquinamento e il tempo scorreva lentamente in buona compagnia.
Aggiunse, che se il buon Dio gli voleva fare un bel regalo, di voler terminare la sua esistenza in quella per lui bellissima, per me desolata, disagiata poco abitata e non confortevole Isola.
Lo salutai con molto rispetto, con un naturale sorriso, gli augurai una felice e lunghissima buona permanenza e mi allontanai lentamente, lasciandolo pescare o non pescare, in santa pace.
Lui si che era un vero innamorato del luogo e attratto dalla semplicità disarmante dei pochi abitanti di Levanzo, in barba a tutti i comfort della pseudo civiltà.
Se ho voluto raccontare questo accadimento oramai datato, ancora oggi impresso nella mia mente, è perché mi sono convinto, che coloro i quali per ragioni e motivazioni diverse, condivisibili o meno, non amano affatto, un territorio difficile, dimenticato, particolare, dissestato, a volte pure pericoloso e insidioso, come la Calabria, sicuramente non avvertono alcuna attrattiva o interesse personale, necessari per poter trascorre tutta o parte della propria esistenza in vita in una Regione molto difficile e per moltissimi aspetti interessanti, dell’estremo Sud d’Italia.
Costoro e sono pure in tanti, non amando la Calabria e i Calabresi, solo per un pregiudizio negativo, senza aver mai visitato o trascorso un solo giorno in Calabria, essersi relazionati e aver dialogato almeno per una sola volta, con uno dei tantissimi Calabresi colti o meno non importa, ne parlano sempre più male e ancora peggio, scrivono falsità, enormità fantasiose, inventano personaggi inesistenti e riferiscono comportamenti di pura e libera sensazione, non dovrebbero essere chiamati italiani.
I denigratori sono i peggiori nemici della Calabria e dei Calabresi, questi individui da assoggettare ad attente risonanze magnetiche craniche, senza alcun ragionevole motivo , sono come i maniaci seriali, devono fare del male , arrecare violenze e sofferenze al prossimo.
La loro mente molto malata, distrutta da un male incurabile, sono tendenzialmente capaci di commettere azioni criminali della peggiore specie, pur di appagare il loro irrefrenabile desiderio di commettere violenze, forse a causa di un insano e covato risentimento personale, tanto forte e dannoso, al punto tale di voler distruggere quanto c’è ancora di bello, da vedere e godere, in quella terra meravigliosa chiamata Calabria, ricca di Donne, uomini e bambini, festanti e gioiose persone accoglienti.
Cosa assai diversa è la gente malavitosa, collusa, concussa, corrotta, delinquente e criminale, che in Calabria, occorre dirlo chiaramente e senza alcuna riserva, è e rimarrà fino alla sua definitiva estinzione, il male più grave, male sociale questo, che sembra incurabile, si osserva crescere giorno dopo giorno, e non si riesce a bloccarne l’avanzata, nonostante i centinaia e migliaia di arresti e condanne esemplari a pene detentive in carcere pure di lunghissima durata.
Non credo che l’Autorità Giudiziaria e la migliore Polizia Giudiziaria del mondo, possono fare molto di più di quanto già egregiamente riescono a fare con enorme impegno e sacrifici in Calabria.
Sono in molti i Magistrati, Giudici, onesti amministratori locali e regionali, appartenenti alle Forze di Polizia, che non riescono a vivere pienamente la loro libertà in sicurezza personale e famigliare.
Significa che il male sociale è più profondo e le terapie d’urto e interventi di alta chirurgia penale e processuale penale, messe in atto sino ad oggi dallo Stato, non si sono rivelati idonei e sufficienti, per avere la meglio sul male che parrebbe non solo incurabile, ma è sicuramente devastante per l’economia legale.
La malavita in Calabria dovrebbe essere conosciuta e controllabile, individuando le cause, le origini, la genesi, con tutti mezzi giuridici e culturali, con nuovi e più incisive iniziative, messi a disposizione dal legislatore, non solo a favore dell’Autorità Giudiziaria e della Polizia Giudiziaria, ma anche e soprattutto, favorendo mirate azioni economiche, educative e sociali concrete, messe in atto direttamente dal Governo.
Se esistono come credo che ci siano, altre terapie d’urto e nuove tecniche di intervento, che possono rivelarsi utili al fine di mitigare il rischio di danni sociali e sconfiggere il brutto male, per fermare il quale , parebbe che non ci siano più rimedi e cure preventive, perché non tentare, adoperandosi allo scopo di migliorare la cultura, le attività sportive, migliorando e assicurando ai Calabresi, una piu giusta ed equa, qualità della vita civile e il reddito da lavoro onesto dei Cittadini che sono nati e hanno deciso di vivere in Calabria ?
Cosa e quanto costa al Parlamento e Governo, destinare risorse finanziarie, per attuare mirati interventi pubblici, necessari e urgenti, per combattere i mali esistenti e resistenti a ogni terapia giuridica e cura in Calabria?
Non si può provare a incrementare il livello di occupazione e del vivere civile in Calabria?
È forse più facile arrestare e rieducare il reo, o è meglio, prevedere e prevenire il crimine e adoperarsi per affievolire la crescita dei criminali futuri, educandoli al vivere civile sin da piccoli nella loro amara ma bellissima terra di Calabria ?
(Emilio Errigo è nato in Calabria, docente universitario di Diritto Internazionale e del Mare, e Consigliere Giuridico nelle Forze Armate)