di FRANCO CIMINO – Io ho un amico a cui tengo tanto. Gli voglio bene. Molto. E lui ne vuole a me. Di più. Ogni giorno di più. Questo, che è appena iniziato, è quello di una sua festa. Fa il compleanno, il mio amico. È giovane. Anzi, è proprio un ragazzo. Compie sette anni. Ed è stato un bel bambino. Sereno, allegro, vivace. Come tutti i bambini, fantasioso e creativo. Disinvolto e disinibito. Non conosce paure perché non sa cosa sia il male. È ottimista. Affronta le difficoltà negandole, perché i bambini hanno i sogni. E questi non temono nulla. Gli ostacoli sono l’esercizio per la conoscenza.
E il superamento di ciascuno di questi, l’accentuarsi della curiosità. I bambini vincono sempre, perché non fanno una gara. La partita è solo in quella voglia di correre e giocare, di sudare e sporcarsi la maglietta e i pantaloncini, rovinando le scarpe ancora nuove. E sbucciarsi le ginocchia non fa male. Il mio amico oggi è cresciuto, sta diventando ragazzo. Compie sette anni. Io l’ho visto nascere. All’improvviso. E me lo sono trovato davanti che era davvero inatteso. Mi è successo questo, e ve lo racconto, sulla via più importante della mia Città, da tempo, nel suo tratto più breve, triste. Quasi buio. Chiuso al sempre più piccolo mondo che gli passava davanti. La tristezza si faceva dolore per la bellezza che quel luogo aveva perduto. Specialmente, dopo la scomparsa prematura di un padre amorevole che l’aveva tenuto in vita, nonostante quei soliti cattivi che volevano invece che cessasse di essere ciò è stato per settant’anni circa. Quando tutto sembrava che andasse contro la Bellezza, che è vita di sé stessa rinnovata, ecco la nascita a sorpresa. La rinascita.
Il luogo si illumina inizialmente della sua luce interna, poi dei ricordi e della sua storia. Le grandi porte che si aprono sulla via, lo illuminano della luce che gli viene da fuori. Sembra un invito a entrarvi. Io lo accolgo con il timore che lì dentro si operasse per la sua distruzione che ne cambiasse volto e destino. Natura e vocazione. Invece, trovo, con le maniche rimboccate, i jeans impolverati, i corpi sudati, un gruppo di uomini e donne, che stavano ammazzandosi di fatica facendo lavori che neppure loro sapevano a cosa servissero. Il vecchio Cinema-Teatro Comunale stava pensando di riaprire. Nascere a nuova vita. Avevo già visto queste persone da qualche parte. Il loro abbigliamento operaio mi ingannava nel riconoscerle. Ma sì, sono proprio loro, gli attori di Teatro Incanto, da me molto seguiti nelle rappresentazioni nel loro piccolo teatro della lontana periferia, sin dalla loro prima uscita. “Ma che ci fate qui?” La mia domanda. “Eh, professo’, lo stiamo sistemando per come possiamo. La signora( moglie del proprietario) ha accolto la nostra richiesta di poterlo gestire per una nuova avventura. Ha avuto tanta fiducia in noi sotto tutti i profili. Vuole che, come da ferma volontà del marito, quel luogo restasse teatro e cinema”.
Pazzi, ma questi sono pazzi. Mi sono detto. Siete pazzi. Ho detto loro. E subito, carta e penna, di questi pazzi ho scritto. Ero già felice. I pazzi salvano il mondo. La pazzia contiene il sogno che diviene, l’Utopia che tutto muove, il coraggio che è il bambino che non teme la paura, ovvero che la incontra e non arretra. Catanzaro ha bisogno di pazzi. Anche se pochi, poveri e, appunto, pazzi. Anche se restano soli. Anche se spesso perdono secondo la considerazione comune della vittoria e della sconfitta. Questa volta, però, i pazzi hanno vinto. Sulla diffidenza e l’indifferenza. Hanno vinto e convinto. Hanno pure contagiato del loro entusiasmo molti catanzaresi. Il Comunale è vivo. È ritornato bello e funzionale con i grandi lavori di ristrutturazione e di adeguamento che sono stati effettuati.
Tra pochi giorni sarà bellissimo, con la restituzione di quello spazio, che io stesso non ricordo, il terzo piano che dà sul palcoscenico con i sui duecento posti che saranno realizzati. E quella scala esterna, in ferro, che, contrariamente a tanti piccoli mostri, renderà più “ simpatica e originale, quell’antica via resa brutta da quella enorme colata di cemento dei primi anni settanta. Il Comunale è il mio amico. E io lo sono per lui. Non manco mai, condizioni personali permettendo, ai suoi spettacoli. Sottoscrivo sempre tutti gli abbonamenti delle diverse programmazioni che lì trovano ospitalità. Vivono il loro teatro. E lo “declamano”. Il Comunale è il mio amico, assai prezioso per il bene che fa alla Città. Per quelle sue vetrate illuminate di luce e di cultura, di gente che entra ed esce, di parole belle che, con le lacrime di commozioni e le risate di allegria, dalla sala vanno in strada a sfiorare la gente che vi passeggia.
Il Comunale è il mio amico, perché ha sottoscritto un patto d’amore con Catanzaro. Un amore non strettamente emozionale, ma anche razionale. Un amore intenso, utile, produttivo. È fatto prevalentemente di fiducia. Quella del Teatro verso la sua Città. E quella della Città nei suoi confronti. Il Comunale è mio amico, perché ha riscoperto l’anima che in molti abbiamo dimenticato. L’anima di questa nostro territorio che dai monti scende fino al mare.
L’anima del Centro Storico e della cultura della nostra realtà urbana, in cui storia e paesaggio, tradizioni e religiosità, contribuiscono alla conservazione della nostra antica bellezza, pur se in tante sue parti violentata e sfregiata. Il Comunale è il mio amico, perché amico vero della Città è stato Franco Proto. Amiche le sono rimaste la di lui moglie e la figlia, che l’hanno salvato dalla solitudine e dall’abbandono. Il Comunale è mio amico, perché accoglie i miei amici, i catanzaresi e chiunque raggiunga la Città anche tramite il suo fascino. Il Comunale è mio amico, perché ad animarlo, a “rinascerlo”, a viverlo per noi, a gestirlo, come usa dire, vi è quell’esercito di pazzi, i cui componenti, di cui qui non faccio i nomi, neppure quello che su tutti campeggia, maestro e “fanciullo” del Teatro, sono diventati tutti miei amici veri. Oggi, il rinato Comunale, compie sette anni. Non è più un bambino, anche se nel cuore lo resterà. Oggi è la sua festa. Che inizierà stasera alle 19,30. A seguire, uno spettacolo di una comicità esilarante. Io sono stato invitato, insieme a molti dei suoi fedeli spettatori. Io ci andrò, come al solito con mio abito della festa. Veniteci anche voi. Veniteci tutti. Facciamo festa. Facciamo ressa. Spingiamoci alle porte e sgomitiamo. Entreremo tutti. Il Comunale si farà più grande per non lasciarci fuori. Auguri Comunale! Buona Festa. E grazie. (fc)