di VITO SORRENTI – I l 29 giugno alla presenza del presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, è stata Inaugurata la nuova mostra del Maestro Elio De Luca, “La voce del silenzio”. L’esposizione, curata dal museologo, critico, storico dell’arte Maurizio Vanni, mette in mostra 26 quadri e 8 sculture dell’artista calabrese di Pietrapaola ma pratese di adozione. Di seguito riportiamo l’intervista che abbiamo fatto per l’occasione all’insigne Maestro.
Elio De Luca, pittore e scultore
Non c’è onore senza oneri! E chi crede che si possano raggiungere certi traguardi senza fatica, senza sudore e senza studio è in grave errore.
Il successo, la fama, la gloria richiedono sacrifici, rinunce, dedizione e tanto studio. E ben lo sa Elio De Luca, pittore affermato grazie alle sue indubbie qualità umane ed artistiche ed al suo studio costante che gli ha consentito di creare opere artistiche di grande fascino e di partecipare a decine di mostre pubbliche e private tenute in Italia e all’estero, e ad importanti fiere d’Arte Nazionali ed Internazionali.
Elio, in questa mia intervista vorrei mettere in risalto non tanto le opere da te realizzate e le esposizioni a cui hai partecipato con le tue creazioni, né i giudizi critici e le recensioni positive ricevute, né tanto meno gli aspetti tecnici e artistici che caratterizzano la tua produzione, quanto, invece, gli aspetti sociali e umani che hanno caratterizzato i tuoi primi anni di vita e che, secondo te, hanno svolto un ruolo incisivo e decisivo nella tua formazione umana e per la scelta del tuo percorso artistico.
In altri termini, vorrei che la nostra chiacchierata mettesse in rilievo i tratti meno conosciuti della tua infanzia e della tua adolescenza, in quanto decisivi e determinanti il percorso che intraprenderai successivamente.
Tu sei nato a Pietrapaola nel 1950, un paesino aggrappato alla sua rupe, la “Rupe Castello”, sul versante ionico della provincia di Cosenza, che al tempo in cui venisti alla luce, versava nel più completo isolamento e in condizioni socio economiche assai difficili, così come quasi tutti i paesi della Calabria, dove erano ancora dominanti le così dette “baronie”, puoi dirmi che cosa ricordi di quel tempo, di quegli anni vissuti a Pietrapaola?
“Mi sono trasferito a Prato con mio padre e mia sorella Barbara, all’età di sette anni.
Del viaggio in treno non ricordo assolutamente niente, ricordo perfettamente, invece, il momento dell’arrivo alla stazione di Prato: nella mia memoria è enorme!!! La stazione si affacciava su una piazza ed un giardino così grandi che avrebbero potuto contenere per intero Pietrapaola, il piccolo paese dove sono nato.
Del paese ricordo ogni angolo: i vicoli e le stradine tortuose tutte in ciottoli di pietra, i pochi negozi, la piazza, la chiesa. E poi la fontana della Frischia, dove tutti andavano a prendere l’acqua da bere, dove le donne andavano a lavare la biancheria, dove, al ritorno dai campi, gli uomini portavano gli asini ed i muli ad abbeverarsi.
Ricordo le persone che frequentavano il nostro forno, gestito con sacrifici da mia madre. Ricordo che lei nominava ogni avventore con un soprannome caratteristico. Ricordo tutto, ricordo tutto perfettamente: le feste, i fuochi di Natale, la Pasqua, la raccolta dell’uva, la pitta calda con l’olio appena sfornata, le avventure con i compagni ed il mare che vedevo dalla finestra di casa.
A ben vedere e ricordare adesso, a distanza di molti anni, con gli occhi di un adulto, in paese c’era anche tanta sofferenza e tanto dolore, soprattutto per le donne, per le madri. Causati sì dalle condizioni socio economiche di un microcosmo paesano abbandonato a sé stesso, ma anche dalla ignoranza e dalla sopraffazione e dalla prepotenza del ricco sul povero, dell’uomo sulla donna. Le cose possono essere belle e brutte allo stesso tempo, dipende da quale prospettiva le si guardano, con quali occhi si vedono”.
Puoi dirmi che cosa ha indotto te, o i tuoi genitori, al trasferimento a Prato?
“La ricerca di maggiori opportunità economiche, il desiderio di migliorare la nostra condizione di vita, di avere una prospettiva di lavoro migliore. Questi i motivi principali che hanno indotto prima i miei fratelli maggiori e poi, poco alla volta, tutta la mia famiglia a trasferirsi a Prato”.
Nella città toscana hai trovato difficoltà per integrarti? E se sì, quali?
“Le difficoltà maggiori, vista la mia giovane età, sono state di apprendimento scolastico per difficoltà dialettale, ma soprattutto per essere stato strappato da quel mondo dove erano racchiusi tutti i ricordi più belli della mia infanzia.
Niente di traumatico, ma ho comunque vissuto un disagio interiore durato per un periodo, mi sembra di ricordare, non tanto breve”.
Che cosa ha determinato la tua scelta di intraprendere il percorso artistico e quali sono i modelli a cui ti sei ispirato?
“È probabile che proprio in quel periodo di difficoltà mi estraniassi dal contesto scolastico della mia classe, trovando rifugio nel disegno, la mia grande passione. Già in quarta e quinta elementare, durante la lezione di disegno, ricordo che i miei compagni venivano intorno a me per vedere cosa stessi disegnando, dimostrando ammirazione per la mia bravura. Questa attenzione da parte dei miei compagni è stata una delle motivazioni che mi ha spinto a coltivare la mia passione.
Più avanti nel tempo, a 12-13 anni, riuscii a racimolare un po’ di soldi, presi l’autobus per il centro città e andai nell’unico negozio di articoli d’arte. Comprai una tela, alcuni colori ad olio, pennelli e acqua ragia, per poi iniziare, tornato a casa, a dipingere la mia prima opera.
Nel 1965 ebbi la fortuna di conoscere lo scultore Mario Cappelli al quale potei far vedere i miei primi dipinti.
Fu lui a convincermi ad iscrivermi all’Istituto d’Arte Leonardo da Vinci di Prato.
Il primo pittore al quale mi sono ispirato è stato il Toscano Ottone Rosai. Appena potevo prendevo tela e colori, inforcavo la bicicletta ed andavo su per Filettole, frazione in collina di Prato dove c’erano viuzze strette e contorte come quelle che dipingeva Rosai. Trovato il giusto scorcio mi fermavo e cercavo di imitarlo.
In seguito ho imparato a conoscere gli impressionisti, il rinascimento, l’arte africana, il cubismo.
Ho poi studiato e mi sono ispirato ai grandi maestri del passato: Giotto, Masaccio, Michelangelo, Matisse, Picasso, Campigli, Sironi. Da tutti loro ho cercato di prendere qualcosa che mi permettesse in seguito di avere un mio stile personale”.
Sei soddisfatto di quello che sei riuscito a realizzare nella tua vita professionale?
“Professionalmente sono molto soddisfatto di quello che fin qui ho realizzato, anche se guardando indietro nel tempo di errori ne ho fatti molti. Nel mondo dell’arte conta molto coltivare amicizie e conoscenze. Il mio carattere schivo e introverso non mi ha certo aiutato, probabilmente avrei forse potuto ottenere di più, ma va bene così”.
C’è qualcosa che avresti voluto fare e non ci sei riuscito?
“Certamente avrei dovuto incrementare maggiormente i miei contatti con l’estero, esponendo di più soprattutto in America. Avrei dovuto frequentare maggiormente New York e le altre grandi città dove il mercato dell’arte è più vario ed impetuoso rispetto a quanto non accada in Italia. Allo stesso tempo mi rendo conto, però, che per quelle che sono state negli anni le mie possibilità logistiche ed economiche, ho comunque fatto molto”.
Quale è l’opera da te realizzata che ti fa andare particolarmente orgoglioso e perché?
“Non c’è un’opera che preferisca alle altre, ma ci sono state opere che nel momento in cui le realizzavo mi hanno dato più soddisfazione e reso più felice. Io sono solito lavorare studiando e poi realizzando cicli di opere imperniate su una specifica tematica. Pertanto posso rispondere alla domanda dicendo che l’ultimo ciclo di opere che ho realizzato, dal titolo “Amore – Cantico dei Cantici”, mi ha particolarmente reso orgoglioso. Tutte le opere, di grandi dimensioni, le ho realizzate con la tecnica antica della foglia d’oro. La bellezza del testo che mi ha ispirato, definito come “il più sublime dei canti”, è nella sua complessità e profondità interpretativa. A mio vedere (sentire), il cantico è un esplicito messaggio morale, da cui trarre un insegnamento per la vita. Tra tutti i cicli di opere da me realizzati, forse questo merita quindi una attenzione in più”.
Che cos’è per te l’arte?
“L’arte è l’espressione estetica di sentimenti e pensieri. Alla base di ogni opera c’è sempre un pensiero dell’artista, pensiero che verrà sviluppato in forma e contenuto, sociale, morale e culturale”.
Ti va di esprimere un desiderio per il futuro?
“In questo momento storico mi viene da pensare alle parole di Papa Francesco: stiamo vivendo, se pure in forma spezzettata e disomogenea, una sorta di terza guerra mondiale. A pagare è la povera gente, come sempre. E questo genera ed alimenta un inutile ed assurdo odio reciproco. Nel mondo, ad oggi, si combattono infatti ben 59 guerre, nella inconsapevolezza od indifferenza di molti. Mi associo al pensiero del Papa, auspicando la fine di tutte le guerre”. (vs)